Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 1 - 15 luglio 1896

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI parte sofisticando tra la rnienza come scienza e la scienza che << diviene passione, diviene partito, diviene propaganda». Nè soltanto di parecchi errori di logica può appuntarsi il suo discorso dell' 8 maggio, ma eziandio di confusioni arbitrarie e sorprendenti, com'è quella ch'egli fece della questione dei diritti dei professori e della liberta d'opinioni legalmente manifestate, con l'argomento dei tumulti unive,·sitari; quasichè da più anni a questa parte, i tumulti, i disordini, le dimostrazioni degli studenti universitari avEssero per impulso od obbietto un qualsiasi ideale politico o sociale, anzichè essere mosse, come sono, da semplici egoistiche e meschine quistioncelle di esami da rifarsi fuori tempo od esoneri e privilegi professionali, che i Ministri stessi, col loro andazzo di concessioni ed eccezioni, vennero fomentando. Bisogna vivere nel mondo della luna, per osare di supporre un nesso tra i tumulti universitari di questi ultimi anni e le opinioni sociologiche o scientifiche dei professori, poniamo, Ardigò, Loria, Salvioli, Panebianco, Pantaleoni, Lombroso o di chi altro piaccia vi di ricordare. Io vo raccogliendo, da diversi anni, documenti e' note per una Storia costituzionale del regno di Umberto I, la quale, se vivrò, spero di pubblicare quando « sarà venuto il suo tempo ». Orbene, dopo il 76, se si eccettuino le dimostrazioni pel fatto di Oberdan, io più non trovo agitazioni studentesche, a cui sia stata musa o nemesi la politica, le quali si possano paragonare, non dico a quelle ( che noi - professori incaricati d'insegna re la « Storia del Risorgimento italiano - di certo non dobbiamo presentare sotto luce antipatica) ch'ebbero luogo ai tempi dell'oppressione indigena o forestiera, prima del 48 o del 59 ; ma nemmeno a quelle che ac'lalorarono i nostri giovani prima del 70, e le cui vibrazioni durarono, più o meno intense, insino a che smo1•zaronsi del tutto, nel decennio susseguepte. Po- ·chi giorni dopo la tornata dell' 8 maggio, nella università stessa dove insegna il nuovo Ministro, avveniva un tumulto nel quale un giovane studente rimaneva accoltellato. Trattavasi forse di quella « scienza che diviene passione» o di quella « propaganda colpevole » contro la quale l'on. Gianturco. tuonò le sue minacce in Parlamento? - Ahimè, quale flagrante smentita alla vaqua fraseologia del neo Ministro ! Tratta.vasi di ottenere una dispensa da certi esami scl'itti d' italiano e latino !... .. * * Ma veniamo a considerare il professore come impiegato dello Stato, e a gittare un po' di luce positiva nel caos dei sofismi e dei vieti concetti e delle abitudini servili, ereditate dai cessati regimi ; caos che offusca le menti di molti legislatori e pubblicisti, quando si parla de' nostri rapporti col Governo. Badate. Nel campo del desiderabile, io già invocai (e proposi ali' Associazione degl' Insegnanti classici, la quale me ne aveva anzi dato incarico di relatore al Congresso di Roma) la revisione delle condizioni e norme, che regolano il nostro contratto di prestazione d'ope1·a; perocchè tale, non altra è la forma giuridiGa. sotto çui voglionsi considerare i nostri rapporti col Governo, conseguenti dalla nostra qualità d'impiegati. Ma, prescindendo dal « desiderabile » io vo' rimanere sul terreno della realtà vigente; e mi domando se v' è identità di obblighi e di condizioni giuridiche e morali, tra i « Presidenti delle Corti supreme, che amministrano la giustizia » o tra « i generali che comandano le nostre milizie » e i professori insegnanti nelle Università o negli istituti medii dello Stato ? Perocchè non. si tratta di « pensiero meno che rispettoso e quasi offensivo » per un professore, se lo si chiami « impiegato » - no, e l'on. Gianturco ebbe tl'oppo buon giuoco (lo ripeto) d'aver potuto distrarre la questione giuridica in una quistione di galateo, che, per noi, non ha significato. Forse nelle provincie del sud la parola «impiegato» suona spregiativa, se riferita all'estimazione, che .ancora vi si fa d'altri titoli, onde si pavoneggiano le classi oziose? Forse l'impiegato, colà, è riguardato con occhio « meno che rispettoso e quasi offensivo» dai molti conti, marchesi, duchi, baroni ed altri consimili galantuomini sopra vissuti al reggimento spagnuolo? In tat' caso si spiegherebbe la dichiarazione dell'on. Gianturco; ma per noi, settentrionali, riesce strana, perchè superflua. Quì dove ogni condizione e classe di borghesi lavoratori è ugualmente pregiata nel concetto dell'opinione pubblica, la parola impiegato è si poco dispregiativa che impiegati dello Stato consi• deriamo i Ministri, e perfino lo stesso Re ; dacchè esso medesimo il capo dello Stato, a nostro mo' di vetlerc, riceve, per le sue alte funzioni, . un emolumento fi,sso, stabilito · dal Parlamento e pagatogli, come ad ogni altro impiegato, sulla cassa pubblica, i cui mezzi finanziari Jerivano dalle imposte dirette e indirette di cui tutti sopportiamo la nostra parte. Non è per noi, dunque, la rettifica, che l'on. Gianturco ha creduto di fare di certo erroneo concetto dello Stato. Oh no: per noi lo Stato non è un ente astratto o separato dalla collettività dei cittadini, ma è semplicemente l'azienda della collettività stessa: concepiamo lo Stato come una grande cooperativa; e pertanto, essere impiegati d~llo Stato significa, per noi, « prestare l'opera nostra pe1·un detei·minato serrizio, ve1·so un determinato compenso, alta nazione» ossia alla società a cui apparteniamo; come altri cittadini, similmente, prestano l'opera loro, per servizi analoghi, a un Comune, a una Provincia, a una compagnia privata o ad altr-o committente . Si tratta di un contratto, in cui da un lato l' impiegato presta il suo lavoro d'ingegnere, di ragioniere, di medico, di giurisperito, di professore ecc., dall'altro la società, a mezzo del governo, compera questo lavo,·o con stipendi prestabiliti. Questo in linea generale. A questa stregua, tutti, dall'ultimo degli stipendiati insino al primo, siamo lavoratori al servizio della società, che ci paga; il Governo non è un nemico, ma neppure un padrone : esso non è che il mandatario della società, un suo gerente, stipendiato a sua volta dal nostro comun padt·one, che è il pubblico: e, nella mutabilità dei gerenti, che si avvicen-

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