Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 22 - 30 maggio 1896

342 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI Da Choren inoltrandosi verso i paesi dei Maria Rossi si attraversano delle brughiere ricche di selvaggina e dei boschetti di olivi selvatici. Si trova anche qualche conca bella da veder,;i. Così parlavo di quei luoghi nella Tribuna al i,rincipio del 1894: << Il terreno pare buono e adatto por l'orzo e per la pastorizia. Il guaio è - siamo sempre lì - che scarseggia l'acqua, che dopo le pioggie si hanno quasi sempre le cavallette e che il bestiame va soggetto al tifo ed alla polmonite in causa dell'enorme squilibrio di temperatura fra il giorno e la notte ».. Da AgorJat fino a Cassala si stende una regione così calda, arida e desolata di cui non mette conto di parlare. Della zona di Cheren cosi parlavo nella stessa T1·ibuna: « L' impressione mia è che noi facciamo qui da carabinieri agli indigeni per proteggerli dalle razzie, e che la zona di Cheren non servirà mai ad altro che a mantenere la strada sicura verso Cassala, fino al giorno in cui piacerà all' Inghilterra di decidere la distruzione del mahdismo. Se ne v,dga la p,m·a è un mistero di alta politica internazionale in cui sta racchiuso anche il segreto della nostra venuta a Massaua e della occupazione dei territorii componenti l'attuale colonia Eritrea». Spintomi negli altipiani dei Meusa e nel Mehetri, l'erano cavata durante la prima annata. Il raccolto era stato peggio che magro, ed erano malcontenti Due sole famiglie, i Dal ~Jestre, friulani, e i Laudani, di Catania, non si mostravano ancora sfiduciati del tutto perché ~•industriavano tagliando erba e vendendo fieno al presidio del forte di Adi-Ugri. - lo non ho raccolto neppure il seme - mi diceva il capo dell'ottima famiglia siciliana. - Seminai tre qu.intali e mezzo di buon grano e ne raccolsi quatti·o di pessimo, pieno di loglio. Venivano bene i fagiuoli, ma una grandinata li distrusse menh'e sta.- vano per maturare. Per tre mesi dell'anno quì piove così dirottamente che nen si può neppure uscire dalla capanna; durante gli altri nove mesi dell'anno è raro che cada una goccia d'acqua. È a questa eccessiva siccità che si deve i! mancato raccolto dol grano. Due contadini lombardi tornavano in quella dall'unico pozzo, molto lontano dai Tuculs del piccolo villaggio. - Cristo d'un'Africa - mormoravano nel loro dialetto - ci vuole mezza giornata per andar a prendere due secchi d'ac,1ua sporca! Il contadino Gornati di M~genta mi diceva: - La questione è molto chiara: vengono grnndi pioggie, poi non ne viene piu, e tutto secca. Provammo a piantare alberi da frutto e dopo due o tre trovai che era sem·pre la stessa storia: siccità, ca- mesi ritrovammo ancora i semi tali e quali li avevallette, piccole conche coltivabili sfruttate dagli indigeni, nulla da tentare per i bianchi. Al principio <li quello stesso anno 1894, visitai per la prima volta la vallata priva d'alberi di Goclofclassi dove il barone Franchetti aveva condotto il primo nucleo di contadini italiani. Quei pionieri eritrei, spesati dal governo, stavano dissodando i relativi poderi: non sapevano ancora nulla, trovavano solo che la terra era molto dura, l'acqua scarsa e lontana., che per provvedersi di un fascetto di legna dovevano fare un viaggio di molti chilometri. Il capitano Folchi, comandante del forte di AdiUggi, mi dicev,1: - Vedrà che questi esperimenti non riusciranno. Io conosco bene i luoghi tla anni. Prima che le famiglie italiane riescano a ricavare qualche cosa, saranno già costate parecchie migli,,ia di !'re per ciacheduna all'erario. Ammesso pure che queste famiglie facessero dei raccolti discreti dove li vende1·obbero se quì siamo in una vasta zona disabitata SJ il luogo più vicino, Asmara, dista dodici ore di marcia ? Yisitate anche le stazioni agrari(' di Godofclassi e cli Gura, constatai che crescevano bene solo i legumi ::. patto di essere continuamente inalfiati: il caffè non attecchiva per il freddo eccessivo della notte. * * * Tornato in Africa nel gennaio 1805, dopo i tradimenti di Mangascii e di nata Agos, andai subito a rivedere i coloni di Godofclassi por sapere come se va.mo messi. Non e' è acqua sufficiente. Un solo contadino, Emanuele Marchignoni, da Magenta, aveva raccolto qualche cosa. - Con cinque quintali di grano - mi raccontò - ne feci ventidue: è brutto e pieno di lo 6 lio, ma è meglio che niente. Non vedo l'ora però di tornare in Italia perché quì siamo senza scarpe e senza uno straccio di vestito. È una vita impossibile: mai una goccia di vino, neppure la festa I Seguendo le truppe nell'occupazione di Adi'grat, vidi che il paesaggio era sempre uguale: ambe e montagne roccic•sc con qualche conca coltivata a orzo dagli indigeni. In tutta la vallata di Adigrat non esiste che un gruppo d'alberi intorno ad una capanna chiusa, e il generale Baratieri telegrafava all'Africa Italiana, suo bollettino ufficiale: « Vasti boschi allietano la conca di Adigràt ». Intorno ad Adua vidi alcuni torrenti discreti cd i1rigati: quelli che formano il feudo dell'Abuna o papa cofto. Sostenni in quella occasione che occupare Adua e Acwm era un gravissimo errore, ma chi volern ascolta re la voce del buon senso? « L'occupazione del Tigrè » scrivevo nell'aprile 1895 nl Corriere della sera « è una magnifica prospettiva per i nostri africanisti non d'altro desiderosi che di nuove glorie guerresche; ma diventa una grave minaccia per il contribuente, la formazione di nuovi battaglioni indigeni non è ag<YVolcosa per la scar~ità della popolazione. Adoperare delle truppe

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