334 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI per noi deve entrare in una fase diplomatica europea e conclude : « noi dovremmo metter_e le cose in «: mano alle potenze, e princip:.1.lmente all'Inghilterra « perchè ci sappiano dire chiaramente come ci dob- « biamo regolare. Si chieda chiaramente alle potenze « amiche, se questo protettarato nostro, che può es- « sere la difesa della quistione etiopica agli occhi e «:nell'interesse loro, noi 10· dobbiamo tenere o lo «: dobbiamo rinunciare alla Francia. Che ce lo dicano «: chiaro, per nostra nor.na: è ora di finirla; se l' lta- « lia. è una nazione giovane, che non può ptrmet- «: terdi grandi imprese, almeno dimostri, una volta « tanto, di Tlon mancare, se non altro, di qualche «: naturale intelligenza! » Parole d'oro. Si, è propi:io ora di finirla ed è. tempo di sapere a che cosa serve la T,·iplice alleanza, di cui fanno parte le potenze amiche. È tempo di farlo sapere al paese ; da parte nostra siamo perfettamente persuasi che la Triplice, come difesa dei nostri inteJ"essi, rappresenta una canzonatura bella e buOn'a,..... come i tributi che gl' indigeni pagavano al generc1.le Barattieri. x. ~~"-./"JIlfallimednetlsoisteminadustriale Continuazione vedi N. precedente Il. L'aumento prodigioso delle industrie della Gran Bretagna. e lo sviluppo simultaneo del traffico internazionale, facilitando il trasp0rto delle materie prime e dei viveri su d'uria immensa scaJa, hanno fatto nascere l'impressione che alcune contrade dell'Europa occidentale siano destinate a fornire il mondo intief'O di prodotti manifatturati, a condizione di ricevere in cambio i viveri necessari al loro consumo insieme alle materie prime destinate alla fabbricazione. La prodigiosa rapidità delle comunicazioni tl'ansoccaniche e le meravig!iose facilitazioni offerte dà!l..Lnavigazione hanno dato ancora maggior corpo a questa credenza, e studiando i quadri entusiastici del trafllèo internazionale, dipinti dalla mano maestra di Neumann Spallart - lo statista e quasi il poeta del commercio mondiale -- noi siamo tentati di andare in estasi innanzi ai r;sultali ottenuti: « Perchè seminerdmmo noi il g1•ano, ingrasseremmo bovi a montoni, pianteremmo dei vigneti, faremmo il penoso mestiere di lavoratori e di affittaiuoli interrogando il cielo nel timore d'un cattivo raccolto, quando, senza il menomo male possian:..o ricevere dei mucchi di grano dall'India, dall'America, dall'Ungheria e dalla Russia, dei legumi dalla Francia, delle mele dal Canadà, delle uve dalla Spagna, degli animali dalla Nuova·Zelanza, ecc. ccc.? » esclamano gli Occidentali. « Già - aggiungono - le nostre più modeste famiglie si nutroflo di prodotti venuti da tutte le parti del mondo dalle quali vengono anche i tessuti di cui son fatti i nostri abiti Biblioteca Gino Bianco I prati dell'Amerio~ e dell'Australia, le montagne e le steppe del!' Asia, i deserti ghiacciati delle ·regioni settentrionali quelli dell'Africa e le profondità dell'oceano, i ttopici ed i domini del sole di mezzanotte sono nostri tributarì. Tutte le razze ci forn'iscono il necessario ed il superfluo, i nostri abiti modesti o sontuosi; mentre noi inviamo loro i tesori ddla nostra intelligenza, delle nostre conoscenze tecniche, della nostra potente industria e delle nostre facoltà organizzatrici. Che prodigioso spettacolo è • questo grandioso scambio internazionale sorto in pochi anni da tutti i punti del mondo I » Prodigioso è di fatti. Ma non è questo un fantasma.? É des3o nécessario, è propizio all'umanità? A qual prezzo si è ottenuto, e quanto durerà? Ritorniamo settant'anni indietrù. La Francia sanguina, spossata dalle guerre napoleoniche; ht. sua giùvane industria, che era sorta verso la fine del secolo scorso, non ·esiste più; la Germania e l'Italia sono impotenti dal punto di vista industriale: le arw · mate della Grande Repubblica avevano dato un colpo mortale al servaggio sul continente, ma la reazione trionfa e cerca di galvanizzare l'istituzione spirante. Or chi dice servaggio, dice mvrte dell'industria. Le terribili guel're tra la Francia e l'Inghilterra, che si cercano di spiegare sempre con motivi politici, ebbero una ragione economica profonda: la lotta per la supremazia commerciale ed industriale. Fu la Gran Bretagna che prevalso, e divenne la regina dei mari. Bordeaux c~ssò di essere la rivale di Londra, e si potè presumerè che l' industrta francese era morta nel suo fiore. Non avendo più competitori serii in Europa e profittando dell'impulso dato alle scienze naturali ed allc1.tecnologia con la molteplicità delle invenzioni e delle scoverte, l'Inghilterra si mise risolutamente all'opera. Produue industrialmente in lar;a scala, fu la parola d'ordine. La forza umana necessaria a quei lavori era in riserva nei contadini inglesi, attirati nelle città dall'esca dei salarì elevati, o strappati violentemente alla coltivazione. La forza meccanica fu tosto creata ed i prodotti della fabbriche raggiunsero una cifra. considerevole. In meno di settant'anni - dal 1810 al 1878 - il consumo del carbone ascese da 10 a 133 milioni di tonnellate, l'importazione delle materie prime da 30 a 380 milioni di tonnellate e l'esportazione dei prodotti manifatturati da un miliardo e 150 milioni a cinque miliarJi di lire. Il tonnellaggio della ilutta comme1·ciale fu quasi triplicato, e si costl"uirono 25,000 chilometri di strade ferrate. È inutile dilungarci sul prezzo al quale furono ottenuti questi risultati. Le spaventevoli rivelazioni delle commissioni parlamentari (1840-42) sulle misere condizioni dt-lla,_classe operaia, i fatti spesso citati a proposito di dominii dove si fece piazza netta e degli ammutinamenti degli Indiani, restano nella me•
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