298 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALE a/fluisce abbondante l'offerta del lavoro. Ma è pur anche evidente che in certe altre le cose si presentano diversamente. Engel, il direttore della statistica di Germania, ha dimostrato che dd redditi dell'operaio il 73 °/o serve ai bisogni primi della vita, al consumo immediato, menlre per questi stessi bisogni del reddito delle altre classi si consuma soltanto il 52 °fo. Ogni cosa quindi che tenda ad attenuare il livello del salario effettivo dell'operaio deve provo- •Care una reazione da parte di questo, ed una traslazione in seconda istanza dall'operaio che l' ha subita in prima, al capitalista che lo impiega. Ricardo l'ha del resto esplicitamente riconosciuto e la communis opinio degli scienziati sta nel suo punto di vista. D'altro lato una imposta sui profitti, ove sia, beninteso, una imposta generale che colpisc:i. tutte le manifestazioni del reddito, sarebbe bensì intrasferibile, ma agirabbe come uno stimolo ad attenuare l'accumulazione. Anche ripudiando la. erronea teoria del fondo-salarii si deve ricono3cere che le conseguenze di questa tassazione sarebbe un illanguidicsi della domanda di lavoro e con ciò un estendersi del processo di pauperizzazione della classe la Yo~atrice. Viltà fiscali, come quelle verificatesi recentemente in Italia, portarono alla chiusura di molte fabbriche nella pr->vincia di Genova ed alla disoccupazione di migliaia di operai che premono del loro peso il mercato della forta di lavoro di cui abbassano sempre più il prezzo. Al contrario di ciò che pensarono gli idilliaci apologisti della borghesia al principio del secolo, la società attuale non può che inasprire, con l'opera propria, quei dissidii e quelle piaghe che sono il prodotto della sua organizzazione produttrice. E questa natur.i.lmente ipotizzando una imposta sul reddito ùhe ne colpisca le manifestazioni con imponderabile equità. Ora invece ci preme di confermare che una tal pretesa é perfettamente irraggiungibile. * .. L' imi osta unica· sul patrimonio o sul reddito è di data molto antica ed è quasi la forma naturale sotto cui si 1,res enta il concetto di una qua lunquc imposta alla ml'nte dell'uomo di stato e del cittadino. Una erudizione molto a buon mercato la mc,stra esistente ad Atene, a Roma (censo), a Firenze nella seconda metà del secolo xm e nel x1 v sotto il nome estimo, registro o catasto. La si definisce come « una imposta diretta, personale che colpisce secondo la cap::tcità contributi va reale, desunta dalla consistenza fisica dei capitali o del patrimonio produttivo od improdutli,·o, escludendo completamente da rgni tributo diretto od indiretto i redditi personali ». ( l) Questa definizione, generale nella scienza par fatta apposta (I} Flora - Scienza della finanza Livornc l ~93, pag. 282. per mettere in luce tutto di un colpo i difetti del1' imposta. Come si è detto una imposta sul patrimonio, dovrebbe colpir questo, anche quando esso tosse perfettamente sterile ed inoccupato. Il Giradin crede: « per base dell'imposta prendete il capitale, cioè la ricchezza accumulata, aggregata, agglomerata; bentoslo il car,itale che r.on circola va si mette a circolare, il capitale che dormiva si sveglia, il capitale che lavorava raddoppia i suoi sforzi e stimola il credito. Il capitale non può restare per un sol momento ozioso e improduttivo sotto pena di trovarsi intaccato e condannato forzatamente all'attività». (1) Ora tutte queste non son che ciarle poco serie. Si sa molto bene che ciò che il capitale vuole non è ciò che può fa1•e. Volere non è potere, questa è la verità. Nelle condizioni attuali del mercato industriale e commerciale la buona volontà degli individui deve cedere innanzi alla necessità. Accrescendo l'imposta sul reddito, o, semplicemente, creandola, non è affatto prevedibile la possibilità che l'individuo imposto accresca la produttività del suo capitale. L'imposta sul reddito si giustifica per altre ragioni, ma queste sfuggono ai teorici ufficiali della classe dominante, o sono inconfessabili da essi. Quando, come facevano quei noiosissimi dei socialisti della cattedra., si invoca un principio di giustizia per difendere l'imposta, tutti si sentivano di fare della cattiva rettorica. L'eguità di una imposta non è nè concepibile nè p1·evcdibile perché ld cause aberranti sono troppo numerose. Di fronte alla volontà del potere superiore che impone, l'equità della imposta consiste .soltanto nella proporlionalità o nella progressiviti con cui si pe1·cepisce dall'individuo che - di fronte allo stato - è il debitore diretto. lvi.a l'imposta può incidere in modo diverso i contribuenti e ciò, alla sua volta, per cause svariatissime: per malvagità degli strumenti del potere, per frode da parte degli imposti, per privilegii economici o legali etc. Per al1ro una imposta iniqua, cioè una imposta, che colpisca i debitori del fisco in modo sproporzionato o non progressivo se il criterio dominante dell'imposta sia la progressività o la proporzionalità, può divenire equa, per le stes3e ragio1,i e per altre ancora (2). La Giustizia in materia di imposta, come in tutto il resto, non è mai dest· nata a farci una troppo bolla figura, né ci ha da vedere. É giusto ciò che è legale, ecco tutto. Nella fase di civiltà attuale - tralasciando ogni CJnsiderazione che riguardi il passato - l'imposta sul reddito si presenta solo come un espediente fiscale, quando tutti gli altri son belli ed esauriti. L'imposta sul reddito in Inghilterra (lncome 'l'ax) fu escozitata nel 1791), dal Pitt, quando le finanze della nazione, oramai al principio di una irreparabile rovina, per le guerre (I) Gira,·din - Le socialisn1c et I' impòt. (2) Pantaleone - Traslazione dei tributi, pa;.;. 4R.
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