Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 17 - 15 marzo 189 6

RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 261 legittima le diffidenze nudl'ite dalla Commissione, pare a me che si debba ricercare nel soverchio numero delle nostre scuole universitarie. Dicendo questo, tocco al punto più vivo e scottante della quistione; quel punto nel quale di nuovo si è rivelato profondo, anzi radicale, il dissenso fra il ministro e la Commissione. Il ministro, riconoscendo il male di questa molteplicità eccessiva di scuole superiori, ma non osando proporre rimedi di attuazione immediata aveveva imaginato un espediente per giungerne indirettamente alla riduzione. La Commissione, anche per questa parte della riforma, ha fatto un passo indietro, e ha voluto confermare lo statu quo. Essa infatti ha soppresso di netto l'art. 6 del progetto ministeriale, che disponeva la abolizione ipso iure delle Facoltà o Scuole nelle quali, per due anni consecutivi, il numero totale degli studenti non corrisponda almeno ad otto volte quello degli anni di corso. Non credo che questa disposizione sarebbe stata la migliore possibile; affermo che è un grave vizio del controprogetto parlamentare avere voluta salva ad ogni modo la vita di ogni istituto universitario, per quanto tisico od anemico. Conosco le molte ragioni che sono state addotte in difesa delle Università minori; ma altrettante obbioiioni sono pur state portate contro queste ragioni. E a prescindere dall'analisi del lungo dibattito (che potrebbe anche essere interminabile), 1•itengo che la decisiva condanna delle scuole che hanno penuria di scolari stia appunto nel fatto di questa penuria. Si dice che le Università sono i soli centri della vita scientifica in Italia; ma non si riflette che appunto la loro esuberante molteplicità è quella che impedisce la formazione di altri centri dirnrsi di questa vita. Si dice cl,1edove è minore il numero degli scobri è più intenso lo sviluppo degli studi; ma non si osserva che, malgrado le bella figura rettorica, i professori di qualche valore, o non vanno in queste Università disertate dai discepoli, o, se vi vanno, sospirano impazienti il momento di abbiJ:ndonarle, nè si dan pace fino a che tal voto non sia esaudito, nè rifuggono a tal uopo da notevoli sacrifizi ; è perfino avvenuto che professori, da parecchi anni ordinari, pur di entrare in una dello Univor.;;ità maggiori, concoi r~ssero a 1,0.;;tidi straordinario. E intanto, questo soverchio numero di Università produce il pernh:iosissimo effetto di creare esuberanza di cattedl'e disP.onibili, nelle quali anche le mediocrità. più modeste trovano collocamento; così vanno formandosi nuclei di interessi poco o punto scientifici, vere chiesuole locali, o consorterie chiuse, intente a vivere per vivere pit1 che per dal'e incremento alla scienza. 11 che non disconosce, ma anzi pone in rilievo, la Commissione p,ìrlamentare, in uno dei brani più veri ed efficaci della relazione dettata dal Fusinato: « La pressione delle amicizie di scuola o di parentela, gli intrighi locali, le mutue condiscendenze inevitabili, farebbero sì che in breve periodo di tempo le Università, e specialmente quelle delle città minori, si trasformerebbero in corpi regionali, con estrema jattul'a della scienza e dell'insegnamento ». Se così è ( ed io sono fra i primi a convenirne), la logica imporrebbe di desiderare e favorire la scomparsa. di questi organismi, quasi parassita.rii, che impediscono il rigoglio della libera vita del!' Università italiana, nello svolgimento della più preziosa e vitale fra le sue funzioni, la autonomia didattica. Lasciate vivere soltanto un numero ragionevole di grandi e fiorenti Università, e vedrete presto svanita ogni ragione di temere le pressioni delle amicizie e delle parentele, gli intrighi locali, e gli altri malanni di simil genere. E non vi paia invece preferibile quello che è il pessimo fra gli espedienti, negare cioè la piena autonomia didattica, per rendere compatibile la vita delle piccole e mal frequentate Università, conservando le quali non vi accorgete di prestare ancora un servigio, più che altro, a queste influenze di amicizie, di parentele e di intrighi locali ! Una osservazione che dovrebbe ammonire i difensori delle piccole Università, e farli ricredere, è ancora questo: che vanno ogni giorno sorgendo difficoltà nuove a copril'e tutte le cattedre dall'insegnamento delle varie Facoltà richieste. Per non dire che della Facoltà giuridica, a me meglio nota, sono ormai parecchi anni che va aumentando il numero delle cattedre vacanti, non solo per materie secondarie, ma altresì per certe discipline fondamentali: basti indicare, il diritto costituzionale, il diritto e la procedura penale, il diritto amministrativo, la procedura civile, la filosofia del diritto, la statistica, la scienza delle finanze, il d\ritto ecclesiastico ; nè dai concorsi esperimentati si ebbero tali frutti che rivelassero l'abbondanza, e nemmeno la sufficienza di valenti cultori di queste discipline. Che significa ciò? Che significa lo spesseggiare degli incarichi, coi quali si è costretti a supplire alle avvertite deficienze? Mi pare che simili fenomeni significhino per l'appunto essere troppe le Università ed essere impossibile in ciascuna di esse il regolare svolgimento della vita scientifica che è loro alta ed esclusiva missione. E taccio d'altro; ·e in particolare della concorrenza (già più volte stigmatizzata) che fannosi certe scuole, in modo meno degno, con le eccessive facilitazioni negli esami, con la cieca prodigalità nell'esonerare gli studenti dalle tasse, nel favorirli di sussidi o borse di studio ; fatti questi ben noti, e dolorosamente noti, a chi vive nel nostro mondo p1·ofessionale. Ma ,ì che prò insistere? Da quando in Italia si cominciò a parlare di riforme universi tari e, entrò

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