RIVIS'l'A DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 261:) Questo pazzo perfezionatore della razza umana conserva lo Stato sulla sua più odiosa funzione, la repressiva, e fonda un nuovo barbogio diritto divino in favore dell'ideal tipo latino. Appressiamoci al punto culminante. Nietzsche negli aforismi che pone in bocca a Zarathustra gli fa considerare l'uomo come una co1·da legata, attraverso l'abisso, tra l:i. bestia e il superuomo, e la grandezza dell'uomo sta in questo eh' esso è un ponte e non uno scopo. Qui è evidente l'affermazione del principio della evoluzione progressi va che fa venire l'uomo dalla bestia e lo incammina sempre avanti e più in alto al superuomo. Darwin e Spencer non potrebbe1•0 protestare contro questa applicazione logica della loro teoria. Il superuomo uscirà perciò, conforme alle dottrine della selezione, da una razza di eletti e compirà la grande metamorfosi della umanità ; e i superuomini saranno filosofi, artisti, santi, dolci giganti. Come artista-filosofo D'Annunzio non sa cercare progenitori al superuomo che tra degenerati; e ciò che potrà essere il suo Re di Roma s'indovina facilmente: un eroe della stoffa antica, un Romolo più crudele e più intelligente, un brigante gigantescÒ e fortunato. Perciò l'utopia dei due scrittori si riduce a questo: l'uno cerca la perfezione andando avanti; l'altro non sa che rievocare il passato, e al passato morto e seppellito chiede il suo prototipo di perfezione; l' uno rappresenta l'aspirazione verso l'avvenire, l'altro verso il passato. D'onde la grande differenza nell'anacronismo delle due concezioni, che concilia a Nietzsche le simpatie degli anarchici, a D'Annunzio l'ammirazione dell'aristocrazia e dei reazionari. Lo Zonco. LA VOCEDI NAPOLI La diserzione vile di Giosuè Carducci dalle file democratiche è cosa nota e veccbia; le occasioni di ricordarla a suo disdoro e di rilevarne le contraddizioni stridenti si ripetono ~on una frequenza per lui sps1ventevole; e tra le più clamorose è quella della infausta guerra d'Africa. Al· l'epoca di Dogali chi fu Enotrio Romano ed ora è semplicemente il senatore Carducci - amico e collega del senatore Cambray-Digny ex Ciambellano del Granduca di Toscana e stipendiato dalla Corte Sabauda - al sindaco di Roma che lo richiedeva di un' ode per le vittime della scellerata intrapresa rispose fiHo e tacitiano : Via dall'Africa! E poscia soggiungeva : « Qui la colpa dell'eccidio di Dogali. Il quale avvenuto, a cotesta amministrazione, per iscrollarsi dal capo il giusto giudizio del sangue di Dogali, non parve vero cotanta accensione negli italiani di pietà ed entusiasmo ; e vi soffiarono dentro, tanto che gran parte di noi si condusse a vedere in quei poveri morti non più le vittime d'una politica fallace, insipiente e colpevole, ma gli eroi della nazione chiamanti vendetta e segnanti all'esei•cito vie nuove di gloria. E ne siamo alla guerra coll'Abissinia. « Siamo? Il popolo italiano vero, il pop~lo italiano che lavora e che pensa, quello che non parteggia e non specula e non s'inebria e non tira alle avventure, quel popolo, dico, interrogato puramente e severamente, risponderebbe che non vuole esserci. Non vuole esserci, perchè guerra non giusta; e gli abissini hanno ragione di respingere noi come noi respingeremmo gli austriaci. Non vuole esserci, perchè guerra non politica; e distrarrebbe le nostre forze quando maggiore è il bisogno di tenerle 1·accolte e pronte. Non vuole esserci, perchè guerra non utile, anzi dannosa, impensabilmente dannosa; per vedere vantaggi italiani in Abissinia bisogna spossare !'·immaginazione in chimere di falliti: per vedere i danni, giacchè ormai del sangue sì fa buon mereato, basta guardare ai milioni che già accennano di cascarci a dosso. Non saranno cento per ora. Ma la guer1•a non è ancora guerreggiata. Lasciamo fa1•e: altro che cento!» Oggi - non sono passati dieci anni da quel giorno! - il senatore Carducci, che in cose guerresche brillò sempre per la sua proverbiale prudenza, fa l'eroe e incita alla guerra a fond-0 come un qualsia giornalista pagato. Ma Giosuè Carducci, ed è naturale, conserva ancora amici ed ammiratori, specialmente· tra letterati; uno dei quali eminente, il D'Ovidio, gl' indirizza la lettera che più sotto riproduciamo. Intendiamoci: non la riproduciamo perché la parola dell'illustre Professore, deve suonare amarissima rampogna al poeta rinnegato; ma la ripubblichiamo perché _la lettera è un capolavoro pel buon senso, pel freddo ragionamento, pel giudizio equanime; la ripubblichiamo perchè viene da un conservatore liberale, che non milita nelle nostre schiere, ma che giudica come noi la impresa africana; la ripubblichiamo sopratutto perchè rappresenta la sintesi della opinione pubblica di Napoli, la grande metropoli del mezzogiorno, che sinora venne ritenuta come la città più devota a quei due esacrali fratelli siamesi, che si chiamano: Crispi e Africanismo. Ed a questa lettera che raccomandiamo all'attenzione dei nostri lettori, non ba potuto negare la sua ammiru-zione pei nobili sentimenti nobilmente espressi, Edoardo Scarfoglio, eh' è il più convinto africanista d'Italia. Ed c•ra diamo la parola al Prof. D'Ovidio: Napoli, 3 marzo 1896. Mio caro Carducci, Le parole che avete dette costi alla Croce Rossa sono bellissime e nobilissime; sono un saggio dell'arte vera, dell'arte dei nostri grandi antichi, ispirata da alti ideali e da sentimenti magnanimi. Ma appunto perchè voi avete espresso così degnamente il pensiero della patria, non so tenermi dal rivolgere a voi le mie riflessioni dolorose. Voi sapete bene che, se l'angoscia di questo atroce momento mi spinge a metterle fuori,· esse sono però tutt'altro che recenti nell'animo mio. E, quel che più importa, voi ed io sappiamo che grandissimo è il numero di coloro che le agitano dentro di sè o le comunicano a pochi amici, ma non s'attentano di farne pubblica manifestazione. Poichè, o sono uomini competenti nelle co..se milital'i
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