Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 15 - 15 febbraio 1896

226 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOClALl Proprio così! Se il ministero continua nei suoi borbonici sistemi di governo - e anche li perfeziona - la stampa eh' è sua gli tiene cordone continuando a guadagnarsi il pane disonesto colla calunnia, colla menzogna, con certe strane distinzioni : sui nomi delle cose, che diversamente chiama secondo che si riferiscano agli italiani o agli scioani. Così osservò argutamente il simpatico Asino di Roma, che ha assestato calci vigorosi in questi giorni. I combattenti sono orde se scioani, sono truppe S'3 italiani; chi porta notizie a Menelik è una spia, diviene informatore se pagato da Barattieri. Con queste piccole falsità vogliamo far dimenticare che la parte odiosa laggiù in Africa spetta esclusivamente a noi, che senza alcuna ragione siamo andati ad assalire, senza che ci avesse menomamente offeso o provocato, chi era nostro sincero amico, prima della occupazione di Massaua. E noi, ingiusti e sleali assalitori, chiamiamo sleali gli scioani che arnalirono i Danakili dell'Aussa, che furono sempre loro nemici per ragione di razza e di religione e che sono nostri alleati nella lotta presente: un loro capo, Tacla, combattè a fianco nostro all'Amba-Alagi e poco mancò non lo proponessimo a' grandi onori, per un valore che non dispiegò. Le meditazioni dei pochi, per non dire dei solitari, non si arrestano qui; esse si estendono alla resa - di liberazione più non si parla - di Makallè : e' è chi ha osato dire che Galliano e i suoi ebbero salva la vita mcrcè oro sonante. Liberazione, dunque, a base di talleri di cui ci hanno dato diversi esempi gl' Inglesi. E sarebbero stati i primi denari be11-e spesi in Africa, esclama l'Italia del popolo, poichè avrebbero servito a salvar0 delle vite, che con la poesia epica dei nostri ufficiosi sar<lbbero andate pe-r:dutc. E vera la voce 1 Corse insistente ; ma H governo che vede quanto danno essa arreea alla leggenda· militare l'ha fatta dichiarare una turpe invenzione. È possibile che si tratti di una turpe invenz-ione; ma di chi la colpa se le turpe invenzioni, quando si riferiscono al governo di F. Crispi, trovano credito in Italia e fuori? Le voci calunniose d'altronde potrebbero farsi cessare subito: pubblicando integralmente i patti della resa di Makallè. Fuori i patti! grida Cavallotti il quale ha il torto di credere che la commedia sia finita. No ! amico caro ; appena appena può essere finito il primo atto ; ma la commedia continua. Continua tanto, quella che per modo di dire chiamiamo commedia - ma ch'è di::;pendiosa e sanguinosa tragedia - che si preparano nuove spedizioni di dieci, di ~quindici mila uomini, per l'Africa, all' Harrar, o al Tigrè : ancora non bene si sa per quale di queste destinazioni. Si teme in alto che con una nuova spedizione si sorpasserebbe ogni misura e per rimuovere ostacoli si disse pronto un bravo coliio di Stato. Questa non la diremo, secondo lo stile degli ufficiosi, una turpe invenzione; ma serenamente possiamo considerarla come una voce infondata. E ciò non perchè supponiamo nel Presidente del Consiglio scrupoli politici e morali : esso nel calpestare leggi e sentimenti morali è un vero D'Annunziano superuomo. Ma non prestiamo fede ad un colpo di Stato perchè sarebbe una violenza assolutamente non necessaria; e i bricconi non si debbono credere tanto destituiti d'intelligenza da commettere cattive azioni inutili. Il colpo di Stato, del resto, sarebbe il riconoscimento ufficiale di ciò che c'è di fatto. Vige forse la Costituzione, specialmente del gennaio 1894 in poi? L'on. Crispi di nulla teme e sa di non trovare resistenze. Ciò che poteva temere è avvenuto: ha protestato la estrema sinistra: han protestato i socialisti; han protestato i republicani; e il governo, solo per mostrare la propria onnipotenza, ha fatto sequestrare il Manifesto dei repubblicani, che rappresenta la quintessenza della temperanza e dello ossequio alle leggi. È stata inutile la protesta? Non è questo il nostro avviso: repubblicani e socialisti e ra'1icali hanno fatto il loro dovere. Però speriamo poco, ora come ora, che il popolo pronunzi quel basta! su cui conta il manifesto dei repubblicani. Qnando la misura sarà colma il popolo farà sentire fr suo impèrativo ·categorico; Adesso è il popolo che ha dovuto subire l'affronto di sentir::;i gridare basta ! dal giornale di Costanzo Chauvet; il quale non ne poteva più delle indecenti e pazze manifestazioni di gioia per la caduta di Makallè. È tutto dire l LA RIVISTA. -IL PARLAMENTO E LO STATUTO Il grido, sollevato il 31 gennaio dalla punta estrema della Camera italiana, riverbera le giuste esigenze di tutti coloro - e non sono, per fortuna, pochi - i quali, dopo le conquiste politiche del secolo, non vogliono servilmente adagiarsi in una dittatura larvata - che, sotto le sembianze del regime parlamentare, Ìnalcela il vecchio spirito retrivo, che sorge dal fondo della storia per soffocare i progressi della civiltà. Nelle ore solenni del paese, non bisogna tappar la bo~ca all'assemblea legislativa: innalzando - per rinascente sistema di vecchi tempi reazionari - a dignità di sapienza politica la cuffia del silenzio. Questo è un attentato proprio e vero al gran principio della sovranità nazionale - eh' è il fondamento del nostro nuovo diritto pubblico ed una tradizione gloriosa della storia contemporanea italiana. Gli amici, dunque, della democrazia radicale parlamentare si sono resi, con quel grido, benemeriti del paese e delle migliori franchigie pubbliche. Ma, se devo dire tutto quanto l'animo mio, schiettamente, non avrei voluto che la immediata convocazione della Camera si fosse chiesta come un diritto statutario: però che io non credo che conferisca bene al significato politico della democrazia radicale questo continuo appello - per la rivendicazione de' diritti più inconcussi, in un regime rappresentativo, della suprema autorità parlamentare - ad una

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