Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 13 - 15 gennaio 1896

RIVIS'l'A DI POLITICAE SCIENZESOCIALI 205 riduzione di salario o come limitazione delle industrie, compresa la granicoltura, la quale, invece di avviarsi all'adozione di metodi razionali, si fissa sempre più nel metodo barbaro di sfruttare la terra, senza mai restituirle i materiali di fertilità che le toglie, cioè diminuendo sempre più la già sparutissima resa unitaria del grano. Se il dazio sul macinato di lire 2 a quintale, sopra una popolazione di circa 29 milioni, fruttava all'erario 80 milioni di lire cioè una media di L. 2,70 a persona, oggi il dazio d'importazione di L. 7 a quintale, in oro, cioè coll'aggio attuale dell' 8 OJo, sopra una popolazione di oltre 32 milioni, non frutterà meno di 340 milioni di lire, salva l'entrata doganale, ai proprietari di terre arative, cioè 34 milioni pe1• la sola Sicilia e L. 10,45 per ogni persona. Ebbene, considerata una famiglia di cinque persone, sono almeno 60 lire annue che il dazio toglie ad ogni povero padre di famiglia della classe lavoratrice ( se pure a coloro che mangi-ano solo pane e non comperano quasi mai carne il dazio non costa assai più), cioè una riduzione di salario di almeno L. 5 mensili; poichè è certo che quella famiglia, dovendo spendere un tanto di più per la compera del pane, potrà spendere un tanto di meno per soddisfare a tutti gli altri bisogni della vita. D'altra parte, quei 34 milioni sono sottratti al consumo dei generi di tutte le industrie, compresa l'agricoltura, delle quali per conseguenza si limita lo spaccio e si diminuisce la richiesta di lavoro, acuendo così quel curioso fenomeno, foriero di crisi di fallimenti e di ruine, che è la giusta punizione della inadeguata mercede, cioè i magazzini rigurgitanti di prodotti agricoli e manifatturieri, e la popolazione sofferente la penuria e la fame per non poterli comperare. Se il dazio di importazione sui cereali, dopo il giro di qualche anno, si risolve tuj,to in aumento della rendita fondiaria, dobbiamo credere forse che la necessità imposta ai ~onsumatori di comperare più caro il grano indigeno volga a nostro vantaggio la famosa bilancia commerciale, e che quindi impedisca la paventata emigrazione dell'oro. È inutile farsi altre illusioni in proi:,osito. Siccome i nostri grandi proprietari sono quasi tutti assenteisti e spendono all'estero le loro entrate, o in generi esteri che vale il medesimo; siccome la loro ricchezza si risolve in aumento di servitori, di cavalli, di parassiti, di mantenute o, alla men peggio, in alimento delle industrie di lusso, che è quanto dire si risolve in lavoro improduttivo e indirettamente in corruzione, esagerando sempre più la quota di coloro che vivono alle spalle del lavoratore produttivo; mi sembra evidente che nulla si possa immaginare di più disastroso per l'avvenire della prosperità del paese quanto <1uei provvedimenti governativi che tendono, come il dazio sui cereali, ad aumentare la proporzione della rendita fondiaria nel complesso del reddito nazionale. Ma è fatale che così avvenga nei paesi naturalmente più fertili; poichè ivi essendo più alta la rendita della fertilità naturale, e quindi più ricchi e più potenti i detentori del monopolio terriero, ivi maggiore è il numero di coloço che possono vivere nell'ozio più o meno dissimulato, ivi diventano moltitudine coloro che s'abituano a vivere alle spalle altrui, pronti in ogni occasione, col voto o col braccio, a dare mano forte agi' interessi del padrone, ed ivi è più che mai irresistibile lo scivolo verso la corruzione dei più, il dispotismo dei pochi e l'abbrutimento dei lavoratori. Voglia il cielo che il sentimento della giustizia, nei gov_ernanti e nei governati, valga ad arrestare in tempo la terza Italia nella china in cui la trascinano la cocciutaggine dei suoi reggitori e la incoscienza del suo popolo. Ma è poi vero, anche nello stato presente della nostra granicoltura, che il buon mercato del grano estero minacci di far abbandonare la coltivazione delle nostre terre arative? A questo quesito risponde lo stesso sig. Vincenzo Salomone coi suoi conti col turali del frumento sopra citati. Egli considera la resa unitaria di otto volte e mezza la semente; poichè ammette che, seminando salma 1 e tumoli 12 Gopra la estensione di una salma gròssa, se ne raccolgano 15 salme: ciò risponde alla media generalmente ammessa per la produzione dell'isola, confermata dal benemerito prof. Alfonso nella sua Rotazione e industria dei cereali nel sud Italia, salva la mezza semente, perchè nella media generale di 8 volte è compensata la. resa. delle terre peggiori, che sogliono toccare ai contadini, le quali sarebbe meglio la.sciare a pascolo, non volendo o non potendo concimarle. Il sig. Salomone calcola una. spesa di L. 653 per la cennata produzione di 15 salme, il che darebbe il costo di L. 43,55 a salma. Se non che, siccome dalle L. 653 sono da scemare L. ll0 per le arature del gabellotto e del cont· dino, che il sig. Salomone, come riconosce lo stesso sig. Favitta summentovato, calcola nella cifra eccessiva di L. 270; e siccome nelle L. 653 è compresa la rendita del proprietario in L. 135, la quale, abolito il dazio sui grani, potrebbe ridursi anche di oltre la metà, restando sempre superiore a quella che era prima del 1860; abbiamo che, ridotta a L. 67 questa rendita, resterebbe una spesa di L. 465 per la produzione di 15 salme di grano; il che darebbe il costo di L. 31 a salma o di L. ll,27 l'ettolitro, cioè presso a poco il prezzo del grano estero a Palermo senza dazio. Aggiungiamo che le L. 464 rappresentano una buona coltura sulla quale si potrebbe fare qualche economia, e sono certamente una spesa proporzionale molto maggiore di quella che suol fare il contadino pei suoi minuscoli seminati. Ciò significa che l'abolizione graduale del dazio, quando fosse sperabile, sarebbe in Sicilia sopportabilissima; tanto più che un'opportuna modificazione legislativa del patto agrario, che assicurasse al coltivatore una durata maggiore del fitto e del- !' inquilinaggio, non che l'indennizzo per le letamazioni o calorie lasciate nel fondo, eleverebbe, anche prima dell'abolizione totale, la resa unitaria di 8 volte e mezza la semente. La protezione dell'agricoltura e del lavoro agricolo, che è l'argomento, o meglio il pretesto degli interessati nello sfruttamento del la.voro altrui, non

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