190 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI poterono pure contribuire all'individuazione dolla proprietà fondiaria ; ma riteniamo cho il passaggio dalla proprietà collettiva alla proprietà individualo dovè anche avvenire spontaneamente pel fatto dolla divisione del levoro, dello sviluppo del sentimento dell'autonomia personale e dolla necessità della coltivazione intensiva. Oggi il lavoro associato produce notevoli vantaggi all'agricoltura, ma quand'esso è spontaneo. Non ci pare provato però che espropriando gli attuali possess·ori di terreno e rientrando nella colle!tività i .possessi privati, le cose abbiano a migliorare. Conveniamo, ciò non pertanto, che l'attuale pro- . prietà privatà non corrisponde, come dovrebbe, alla sua funzione sociale, sia perchè in certi casi è soverchiamente accumulata, in altri soverchiamente sminuzzata, in altri ancora non è coltivata in modo conforme agi' interessi del lavoratore ed a quelli della produzione agricola. Ma riteniamo che la socializzazione di essa sarebbe al presente un rimedio peggiore del male: mentre, d'altro canto, si potrebbe, conservando l'attuale organizzazione, ovviare considerevolmente a ~iffatti inconvenienti. L'agricoltura attualmente soffre per l'enormità delle imposte che assorbe buona par•te del prodotto ed impedisce lo sviluppo delle industrie agricole. Su questo punto occorrerebbe un rimaneggiamento tributario, ma non lo crediamo possibile, attese le condizioni finanziarie poco floride degli Stati moderni. A più pratici ri~ultati ha condotto il fermento per aumentare il numero dei piccoli proprietari. In Francia, dopo la famosa rivoluzione, avvenuta la divisione delle grandi proprietà ecclesiastiche e nobiliari, un settimo della popolazione venne a costare di possidenti; ciò che aumentò enormemente la prosperità di quella popolazione. Qualcosa di analogo avvenne in Prussia, dietro le riforme di Stein-Hardenber 6 . In Italia, nelle provincie del mezzogiorno, mentre si aspettava di vedere risorgere l'agricoltura, ed aumentare la classe dei piccoli possidenti, pel fatto dell'incameramento e della censuazione dei beni-fondi delle disciolte corporazioni religiose, non si ebbe in sostan:r;a;-c•he' una· consolidazione di latifondi, perchè la gar•a delle offerte ed altre circostanze allontanarono i lavoratori del suolo dall'asta, e quelli che poterono usufruirne furono costretti a rivendere le 101•0 terre mancando loro i mezzi per coltivarle e per pagare le imposte. È perciò che su 2,500,000 ettaro di terreno in Sicilia, 650,000 ettare soltanto sono coltivate, il resto è costituito •di latifondi. E su 29,600,000 ettaro di supi>rficie in Italia 5,600,000 sono del tutto incolto, e delle 24,000,000 che restano più di metà sono coltivate a cultura estensiva. In esse rogna un grande squallore: non vi si vedono alberi, non case coloniche. I proprietari spesso assenti, locano i lorJ fondi ad altri; che li sullocano alla lor volta, sicchè il lavoratorc della terra non arriva noanco a percepire tanto da sfamar.si. Da ciò si vede come non bastino le limitazioni al diritto assoluto di proprietà apposte attualmente dallo leggi civili e dalle leggi amministative concorncnti l'espropriazione por causa di pubblica utilità. Il diritto uti et abuti sulle cose proprie, quando queste si trovino in natura in quantità limitata, deve alla sua volta ricevere dei temperamenti in vista dell'interesse generale. È" esorbitante, perchè lesiva dell'interesse sociale, la facoltà concessa attualmente al proprietario di lasciare incolti i suoi terreni quando questi potrebbero con vantaggio di molti coltivarsi, come è pure esorbitante la facoltà che gli spetta di abbandonare ogni coltura inten.siva, anche quando questa è la sola rispondente ai bisogni locali. La quistione agricola in Italia ha richiamato più volte l'attenzione dei ·giuristi e una legge sulla censuazione dei latifondi in Sicilia dovrà discutersi prossimamente in Parlamento. Noi riteniamo che in questa legge vi sia molto di buono. Però, a parte che essa dovrebbe trasformarsi in una legge generale per tutta Italia, ci pare che in essa nòn si tenga sufficiente conto delle condizioni locali, che in certi casi rendono indispensabile la sussistenza del latif Jndo, nè si provvegga in modo adeguato al credito necessario perchè tale legge sia praticamente efficace. Bisogna conservare il latifondo ove esso è richiesto da necessità di cultura estensiva, o dalle condizioni dei luoghi, che renderebbero interamente improduttive piccole estensioni di terreno. Son degne di studio le proposte d'impiantare tra noi qalcosa di simile all'homested americano o al l'hoferecht austriaco, rendendo inalienabili e insequestrabili piccole estensioni di terrenJ necessarie alla sussistenza delle famiglie. Ma è da notare che questa forma nuova di fidecommesso potrebbe giovare solo durante la vita d~lla persona a vantaggio di cui esso è costituito, perchè il vincolo verrebbe a cessare colla morte dell'utente. E poi varrebbe realmente questo mezzo ad assicurare la sussistenza di una famiglia? L'impedire che un fondo ·possa essere alienato o soggetto ad ipoteca suppone che ·il proprietario di esso sia persona impreviggente, capace di sperperare il suo senza ragionevole motivo. Laddove generalmente questo non avviene.· Il proprietario di un fondo è nel maggior numero dei casi costrdtto a venderlo od ipotecarlo perchè ha bisogno del denaro sia p~r la compra di altri fondi, sia per impiegare più vantaggiosamente il denaro in commercio, sia per sopperire a ur 5 enti bisogni di famiglia. Col vincolo che si vorrebbe addossare al fondo, tutto ciò non sarebbe possibile e il proprietar:o di esso non solo non potrebbe in molti casi migliorare la sua condizione, ma neanco far fronte ai più urgenti bisogni derivati da malattia o da accidenti. •
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