Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 5 - 15 settembre 1895

:. · RlVSTA:.J)'I.':POLITieA'.E SClENZE.SOClALI 73 capitali complessivi ·a ·cui- essi corri'Spondono, e cor1'egge, secondo il profitto ml:ldio così ottenuto, il valore delle singole merci quale sarebbe stato determinato in base al lavoro. Nel nostro cas.o, essendo il sopravalol'e totale di 50 giornate per A+ 25 per B = 75, ed il profitto medio di 75: 2 = 37, 50, il valore delle merci di A dovrà essere non più di 150 ma di 137,5, il valore delle merci di B non più di 125, ma di 137,5 anch'esso. In questo modo il :Marx crede di aver risposto trionfalmente ad ogni obbiezione. Egli non s'accorge che se ha saputo esser logico, la logica è stata appunto quella che lo ha condotto al suicidio. Posto che veramente il valore si ùelerminasse dal lavoro, i valori delle merci di A e di B dovrebbero essere 'di 150 e di 125 giornate. Ma giaccltè tali valori, concedendo i più diversi saggi di profitto, contradi1;ebbero all'azione della libera concorrenza, così essi devono diventare di 137,5 entrambi. Orbene: questa è la negazione recisa, assoluta della legge che deter mina il valore dal lavoro. Se il valore. che le merci dovrebbero, secondo questa legge, avere, è diverso dal valore ad e.;se imposto dalle necessità della libera concorrenza, come si può più oltre sostenere che la legge vige tuttora? Una legge resta vera finché i fatti non la contraddicono. Quando questi le si ribellano, essa è irrevocabilmente condannata. Non dobbiamo qui combattere gli al'gomenti coi quali il MMx ha cercato di conciliare la coesistenza delle due contradditorie determinazioni del valore. Il nostro proposito è di rispondere allo Schmidt, la ~ui difesa al Marx ci sembra del resto tanto più efficacé di quella fatta dal Marx a sè stesso, che ad una confutazione del secondo preferiamo , per l'utilità della causa, una del primo. Mentre il Marx aveva tentato di accordare le due diverse formazioni del valore sul campo dei fatti, lo Schmidt abbandona questo ti-oppo positivo terreno per le regioni più comode della logica. Ciò che per Marx è una realtà Jenomenica, diventa per lo Schmidt una realtà mentale. Il professore di Zurigo riconosce sin da principio quello che il Marx si è sempre rifiutato di ammettere: che, non potendo mai il valore delle merci coincidere colla misura segnata dalla quantità di lavoro in esse contenuta, la determinazione del valorin base a tale quantità, se conserva ancora, un quale che diritto alla esistenza, lo conserva non più come fatto, ma come ipotesi. La legge del valore, egli dice, è una ipotesi per la spiegazione della realtà. Essa è necessaria : I. per formarci una chiara idea della natura del profitto; II. per ricavare quel profitto medio col quale il Marx, modificando la formazione del valore in base al lavoro , ottiene la vera legge del fenomeno. Orbene: questa doppia necessità di una deterrainazione, del valore ipotetico lo Schmidt doveva non soltanto asseri1·la, ma provarla. Invece, almeno per la prima parte egli si limita ad affermare che per mezzo della teoria secondo cui il valore è dato dal lavoro;· si giunge ad ave1•e una idea del profitto molto più esatta che con qualunque altra teoria. Noi riconosciamo perfettamente la ve1•ità dell'asserto, ed è perciò che stimiamo essere la leggo classico-socialista del valore la pii, perfetta di tutte le leggi sino ad ora tentate. Ma da questo al provare che una concezione positi va del profitto non si possa ottenere in alcun altro modo, corre una grande distanza. Noi c1•ediamo che la determinazione classico-socialista del valore appaia necessaria alla scoperta della causa del profitto, solo pe1·chè rispecchia fenomeni, la cui analisi se si è compiuta o può tuttora compiersi all'infuor( di ess·a, sembra a prima vista con essa indissolubilmente congiunta. Con quale criterio si potrebbe affermare che una data merce contiene, per esempio, 12 ore di lavoro, delle quali solo 6 sarebbero bastate all'operaio per produrre il suo s;i,lario, se l'esistenza di questo lavoro necessario e del relativo sopra.lavoro non fosse stata assodata con un esame precedente e però all'infuori di ogni legge del valore? La scoperta del soprala voro si effettua evidentemente considerando il lavoro non in quella fase derivata nella quale si trasforma in agente del valore, ma in quella sua prima fase in cui ci si presenta come il fattore della produzione. Siccome l'analisi dei fenomeni può compiersi tanto passando dalla causa all'effetto, quanto passando da questo a quella, si può sempre osservare il lavoro anche attraverso alla sua forma valore. Ma non si deve mai dimenticare che come nei fatti, così nel processo logico c'è prima il lavoro che produce, poi il lavoro che diventa valore: prima il sopralavoro, poi il sopravalore. E giacché il profitto, se consiste nel sopravalore, deriva dal sopralavoro, la causa del profitto procede ed e perciò indipendente da qualunque teoria del valore. Solo una deplorevole confusione fra i due diversi momenti attraversati dal lavoro può far credere necessaria alla teoria del sopralavoro una teoria del valore che la presuppone. Lo Schmidt pe1·h,nto nella prima parte della sua difesa ha ammess,L l'esistenza di un rapporto fra la legge del valore e quella del profitto che non ha fondaniento alcuno, ed ha asserito, senza provarlo, che solo per mezzo della teoria classica-socialista del valore si possa acquistare un criterio preciso del profitto. Passando dopo ciò alla seconda parte della sua argomentazione, lo Schmidt sostiene, come abbiamo visto, che la supposizione secondo cui il valore si determinerebbe dal lavoro è necessaria per addat-

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