Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 5 - 15 settembre 1895

72 'RIVISTA 1H '.POLITICA E SCIENZÉ SOCIALI mancanza di boschi e di facilità commerciale con grave danno della pubblica igiene. Cambiata la fìsonomia della proprietà pubblica il cammino deve essere rifatto nella soluzione equa di capitale e lavoro, nel soccorso alla piccola proprietà, non per iniziativa privata, ma con quella poderosa dello stato, ritornando gl' istituti Pii alla loro primitiva missione, cioè l'aiuto al piccolo proprietario, all'agricoltore; altrimenti credo che ogni divisionee suddivisione è illusoria e non mai risolverà la quistione sociale. A VV. EMI ODIO LOSCALZO. ApropodsietlIoII.Volmdnel"Capitale ,, (Rispostci al p1'ofessore Schmidt) Molti economisti, prima ancora che fosse uscito il III. volume dell'opera del Marx, avevano sostenute che la teoria del valore tramandata al grande socia lista dal Ricardo, era incompatibile col fatto che nelle varie industrie, sopra capitali complessivi della stessa grandezza, se ne impiegano in capitale tecnico quantità diverse. Secondo il Marx, essi dicevano, il capitale investito in salari crea un profitto solo in quanto dà vita ad un sopralavoro. Il capitale tecnico, essendo investito in una cosa, cui, appunto perchè inanimata, non può imporsi un sopralavoro, non dà luogo a vrofitto alcuno. Perciò, se di due capitalisti che dispongano entrambi di un capitale complessivo di 100 giornate, A ne impiega 50 in capitale salari e 50 in capitale tecnico, B 25 in salari e 75 in capitale tecnico; B vfene a perdere tutto il profitto ottenibile dal capitale salari di 25 che A anticipa in più di lui. Posto per esempio che il saggio del profitto sia del 100/loo , il profitto di A diventa di 150 -100 -o O/ Il d. B d. 125-100 O/ M ~ = o O, que o 1 1 ~ = O·r' a questa enorme differenza nei profitti di due capitali della stessa grandezza è incompatibile coll'azione livellatrice della libera concorrenza. Dunque la teoria del valore del Marx, apportando nei vari rami del l'industria, a seconda del rapporto che vi si riscontra fra capitale salari e capitale tecnico, i profittì più diversi, è contraddetta dalla esistenza di un saggio medio dei profitti. Tale il caposaldo delle accuse mosse contro la legge classico-socialista del valore. Questa critica riusc più specialmente in Italia popolare, perché accolta da uno scienziato che, come il Loria, non se ne servì a scopo di apologie sociali, ma seppe associarla alle idee più ardite. Di fronte a questi attacchi i socialisti, nell'intervallo che precedette la pubblicazione del III. volumesi divisero in due schiere. La prima, e purtroppo la più numerosa, lasciandosi acciecare da un dogmatismo che pareva ormai bandito dalla scienza, negò, senz'altro ogni verità alla base di fatto su cui si appoggia vano gli avversari del Marx. Ricordo nelle prime file il Lafargue, il quale, partecipando ad una polemica accesasi in proposito sulla C1·itica Sociale, venne meno alla sua fama - la più esatta - di uomo di spirito. Pochi altri invece , e fra questi lo Schmidt, ebbero il merito - merito impareggiabile, quando si confronti la serenità loro coll'aristotelismo dei piL1,- di riconoscere l'esistenza e la gravità del problema. Senonchè, soggiogati dal genio del maestro, credettero conciliabili termini che erano fra loro antinomici , e si ostinarono a cercare una soluzione che potesse contenersi entro le premesse marxiste. Quand'ecco uscire finalmente, sul Dicembre dell'anno scorso, il IlI. Volume del Capitale. In esso il Marx riconosce perfettamente che la teoria del valore da lui accettata sembra ·opporsi all'opera livellatrice della libera concorrenza, e si prefigge appunto di risolvere siffatta contraddizione. In tal modo la mente superiore del maestro faceva meglio risaltare, sin da principio, la gréttezza di quei discepoli che avevano creduto di giovarlo negando la verità. Noi speriamo che persone le quali hanno sempre moskato se non il ·dovuto rispetto per i fatti, la più cieca fiducia nel loro capo intellettuale, vorranno piuttosto riconoscere il proprio errore, che ribellarsi al verbo sul quale finora giurarono. Interdetta così questa schiera da quello stesso per cui era sorta a combattere, gli unicche si trovassero d'accordo col Marx, furono quei pochi socialisti, che, prima ancora della comparsa del III. volume avevano ammessa l'esistenza del problema. I loro sforzi, specie quelli dello Schmidt, si trovano apJJunto nella direzione seguita dal pensiero ma,rxista. Il grande tedesco, riconoscendo che, data la sua teoria del valore, i capitalisti i quali impiegano sopra un identico capitale complessivo una maggior quantità di capitale tecnico, ricavano un profitto minore, ammette che quel profitto che non viene creato dall'atto produttivo possa ritrarsi dalla circolazione, mediante un elemento artificiale del valore. Riprendendo l'esempio in cui più sopra illustrammo la critica mossa dagli avversari al Marx prima della pubblicaziane del III. volume, il capitalista A che, data la determinazione del valore secondo la quantità di lavoro, godrebbe di un profitto inferiore a quello di A, di 25 giornate, deve poter partecipare al maggior guadagno del collega vendendogli le proprie merci ad un valore più alto di quello che sarebbe fissato dalla quantità di lavoro in esse contenuto. Per raggiungere questo scopo, il Marx somma i profitti dei vari capitalisti , divide il risultato per il numero dei

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==