Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 5 - 15 settembre 1895

68 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZ'ESOCIALI ai miei risentimenti, proponendomi la ricerca scrupolosa della Yerità) constatai con vivo rammarico che dal 1812 in poi nulla era mutato nelle condizioni economico-sociali dei lavoratori, Oggi mi correggo. Mutamenti ci sono; ma in peggio. Ai mali antichi si sono aggiunti quelli che Yengono dalla incertezza di procurarsi il 11iinimum dei mezzi di sussistenza ; quelli che procura un regime bastardo, bugiardamente detto costituzionale e c,he promette libertà per trarre in agguato gli incauti cittadini, che credendo sincera la promessa consacrata nello Statuto, si attentano di agire come se liberi fossero per davvero. Come finirà; potrà continuare questo stato di cose ; dove si rn? La risposta a queste paurose domande se Yenisse data da me o da qualunque altro che professa idee repubblicane o socialiste potrebbe sembrare suggerita dalla passione, dalla speranza di un mutamento radicale conforme a tali idee. Lasciamo dunque che la dia un monarchico convinto, un avversario del programma repubblicano-socialista: lasciamo che la dia ancora il Villari, da cui - per ragioni facili a comprendersi - ho preferito di trarre in prestito. Cosi non pu6 durar·e: saggiamente osserva l'ex ministro di Re Umberto : « La rivoluzione sociale, che si avanza, siamo noi « che l'abbiamo colle proprie mani apparecchiata, e « dopo averla resa inevitabile, ogni giorno più la pro- « vochiamo col Yolerla prevenire, sperando sempre << di poterla reprimere, né volendo persuaderci che il << numero e la forza reale non sono dal lato nostro. Io « qui non ·parlo di giusto) d'ingiusto ma di possibile o « d'impossibile. Sostengo solo che la società da noi « fondata non si regge in piedi. Bisogna o andare a- « vanti, o tornare indietro il che non mi par facile « e quindi é necessario ormai alle riforme politiche, « con troppa fretta, leggermente date, aggiungere le « sociali che sono divenute inevitabili. O le daremo ·o ci costringeranno a darle .... » « .... E la rivoluzione verra se noi ci ostineremo a « non prevedere, né _provvedere per l'avveni1·e. » (1) Ogni altra conclusione sarebbe erronea, ingannatrice; e la conclusione del conservatore intelligente, dello storico, se non agli uomini dell'attuale governo, dovrebbe far meditare quanti hanno occhi per vedere, orecchie per sentire, cuore e:mente per prevedere e temere i danni incalcolabili , che ad una nazione possono derivare dalle conseguenze estreme di un regime di Yiolenza, da cui non possono filiare che altre violenze. D1• NAPOLEONE COLAIANNI (i) Nuova A,ntologiq, 189-3 pag. 2H•405 L' BdncazionB f sicnaBlnlaostsrcauoplaopolare < 1 ) Il problema della scuola non è che una parte del problema sociale. Il pauperismo, la miseria sono i più terribili nemici della scuola ; ed è vano illudersi: finchè saranno l'effetto di qualsiasi ordinamento di qualsivoglia stato, il problema della scuola non sarà mai risoluto. E difatti noi con le nostre leggi, coi nostri regolamenti scolastici non facciamo che un' operamonca inane. Ad esempio nel 1878 abbiamo decretata la scuola obbligatoria. Ebbene tuttora pi1ì di 600,000 fanciulli (35 010) dai 6 ai 9 anni, nel periodo quindi della lern scolastica, non frequentano la scuola e circa 90,000 la frequentano irregolarmente. E pe('Chè? È doloroso doTer rispondere: più di tutto per la miseria loro e delle loro famiglie; perchè non hanno da vestirsi, non hanno da mangiare, e devono h1xorare anzitempo. Oltre a ciò l'obbligo di frequenza della nostra scuola dura soli tre anni, e invece 7 anni in Francia, ed 8 in Prussia. Se così pur durasse anche da noi, con la miseria che ci affligge, chi sa quanto l'esercito dei 600 mila che a scuola non possono andare, s'ingrosserebbe! D' altra parte in que' soli tre anni, che educazione in genere, ed in ispecie che educazione fisica si puo impartire? Asevamo, dopo i 9 o 10 anni, la scuola complementare festiva e serale, purtroppo non obbligatoria; e in questi ultimi tempi l'abbiamo condannata alla consunzione, togliendole i sussidi. Ma se a torto, pii1 che a ragione, fu detto che le economie militari erano una pazzia, queste economie scolastiche non sono indubbiamente un:delitto? Che se agli edifizi e arredi di scuola volgiamo lo sguardo, piuttosto che ambienti propizi all'educazione fisica, troviamo invece assai spesso le cause della degenerazione organica nell' aria mefitica nella scarsa o cattiva luce, nei banchi inadatti. In 14 anni la Cassa Depositi e Prestiti, in un paese come il nostro dorn in un solo anno furono buttati 570 milioni sul baratro degli armamenti, non ha dato che miseri 33 milioni di prestiti di favore per edifizi scolastici, ed oggi ha chiuso a dirittura gli sportelli. Poichè lo Stato obbliga i cittadini all'istruzione primaria, avrebbe anche il dovere di non danneg- - giare con ciò alle nuov~ generazioni la salute, ch'è il supremo bene individuale e sociale. 11: così: come si preoccupa, almeno, cl'impedfre la diffusione delle malattie contagiose tanto facili ad attecchire nell'efa della scuola? Douebbe esser questo un còmpito d'una bene ordinata ·vigilanza medica delle scuole (I) Da una conferenza agli insegnanti del Comune di Roma.

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