Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 5 - 15 settembre 1895

I " RIVISTA DI POLITIECSACIENZSOECIALI Direttore Dr NAPOLEONE COLAJANNI Deputato al Parlamento ITALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Anno I. - N. 5. Abbonamentopostale Roma15 Settembre1895 SOMMARIO. Cosi non può durare ... D.r Napoleone Colaianni. - L'educa~ione Jiiiea nella nostra scuola popolare, Prof. An_ gelo Celi i. - Dei demanii u.nioersali, A vv . .Emidctio Loscalzo. - A proposito rlel lff. volume del « Canitale • Antonio Grn• ziadei. - /,i memoria del 1lfanifesto Comuni$ta, L. A. - XX Settembre, (Ode cli Marin Rapisardi) A. Campar.ozzi - Recensioni. COSNÌONPUÒDURARE: ... Gli stranieri per lunga serie di anni considera rono l'Italia come la terra classica del brigantao-- . o g10, attomo al quale crearono leggende fantastiche e nel quale cercarono tipi e argomenti da romanzo. Lasciando da parte il periodo degli orrori, delle convulsioni, delle lotte tremende e delle repressioni feroci, che va dal 1861 al 1864 e in cui i briganti nel mezzogiorno coll'appoggio di Santa Madre Chiesa ~ssunsero carattere politico e tennero testa, come m guerra guerreggiata, alle truppe del governo italiano, si deve ricordare che essi in certi momenti divennero popolari e furono circondati dalla simpatia ed anche dall'affetto delle popolazioniin mezzo alle quali compirono le loro gesta. Fra Diavolo rappresenta la resistenza nazionale· all'invasione francese. Josafat Tallarico, trascinato sulla via del delitto da una ingiusta prepotenza, tiene la campagna con tanto prodigioso e cavalleresco ardimento, che un principe di Germania en toiwiste vuole conoscerlo personalmente e senza tema confìda nella sua cavalleresca lealtà. Il governo borbonico non avendolo potuto vincere gli accordò una pensione pel suo volontario ritiro .... Pasquale Bruno in Sicilia prende ai ricchi per dare ai miseri, raddrizza i torti, punisce i malvagi , si eleva a grande giustiziere : figuriamoci se lo amarnno i poveri e gli oppressi ! Quelli erano briganti dell'epoca, per così dire, eroica; i tempi prosaici adesso volo-ono il brigantaggio all'utilitarismo, e perciò l'ottin~o signor Tiburzi, serba buone relazioni con Senatori del Regno e prende in appalto il mantenimento della pubblica sicurezza nel proprio circondario di Viterbo con fortuna migliore di quella avuta da Delegati, carabinieri e sottoprefetti. Il brigantaggio, come tante altre~ manifestazioni sociali di altre epoche, si attenua; anzi gli ufficiosi lo hanno degradato a malandrinaggio. Colla nuova denominazione gli agenti e la stampa del governo credono di togliere importanza al fenomeno, di scagionare se stessi della sua molesta ripresentazione e d'ingannare il pubblico sulla causa che lo genera. E la genesi è sempre unica: il grande, generale e complesso malessere in certe regioni, nè più nè meno come nel periodo 1861-64 quando la inchiesta parlamentare ,e gli splendidi discorsi d_iGiuseppe Ferrari misero in chiaro che la pessima organizzazione economico-sociale del napole·• tano era la vera e grande responsabile del bri-• gantaggio. I briganti degradati a malandrini, a parte il danno arrecato ai tiingoli e lo spaYento suscitato nei pacifici cittadini, però, anche oggi rappresentano una funzione non indifferente : éssi rinnornndo le solite gesta in Sicilia e in Sardegna hanno aYuto il merito di 1·01npe1·el'alto sonno nella testa a certi dormienti e di richiamare l'attenzione del governo, della stampa e delle classi dirigenti sulle due isole derelitte. Non sarebbe il caso di avere per i signori malandrini una parola di riconoscenza? Quelli che l'amico Imbriani chiamò b1·iganti clell'oi·ctine più di raro se ne rendono degni. A dir Yero in Sicilia non sono stati i soli malandrini a farla da svegliarini benefici: i la. voratori della terra a Salaparuta, a Healmonte a Buccheri, a Piana de.Greci, a Corleone.,. si sono fatti Yivi ed hanno ricordato che la loro miseria è dura e sempre immutata. Bricconi di contadini! Protestare ,spontaneamente e senza la spinta dei sobillato1·i, - anzi mentre i sobillat01·i gemono in carcere e dai Yoli dei cittadini vengono eletti a deputati - protestare come protestarono nel 1820, nel 1848, nel 1860, quasi a dire che la paura del ricordo dello stato di assedio, delle repressioni sanguinose, dell'iniqua opera dei tribunali mi· litari è vinta dalle sofferenze della fame e dell'op- • I pressione ..... Così è. Gli avvenimei~tr luttuosi del 1893-94 SI possono dire di ieri, cosi presenti d.ovrebbero es.

66 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI sere; eppure l'amnesia e l'apatia italiana è tale e tanta, che si poterono considerare come dimenticati in certe sfere : in quelle sfere precisamente nelle quali c'era l'obbligo imperioso di non dimentical'li ! Venendo da questa Rivista l'accusa potrebbe sembrare suggerita dalla passione , dal risentimento. Ebbene, altri, non sospettabile come infetto da lue repubblicana e socialista, l'ha formulata in termini recisi , come meglio da noi non si potrebbe. Diamo la parola ad un ex ministro del Re, al più onesto ed intelligente conservatore : (( Quando scoppiarono i tumulti siciliani parve un (( momento, che tutti fossero impensieriti del peri- (( colo, che si manifestava a, nn tratto. Ma appena ((·furono sottomessi colla forza, nessuno più vi pensò, (( E già per molti questi tumulti son divenuti come (( fatti di un altro secolo, dei quali non bisogna pii1 « occupa1·si. » (1) Così scrisse il senatore P. Villari, l'illustre autore delle lettere meridionali, in uno dei suoi tre notevoli articoli consacrati alla Sicilia e al Socialismo. E affinchè non si sospetti che la severita del giudizio partigianamente vada a colpire il solo governo dell'on, Crispi suo avversario politico, lo stesso scrittore in un primo articolo aveva ricordato che (( dopo Il sette e mezzo - come venne chiamato, dalla « sua durata, la insurrezione di Palermo del Settem- « bre 1866, - molti scrittori narrarono quei fatti e « ne indagarono le ragioni. Se ne discorse a lungo << nella, Camera. Vi fu un'inchiesta parlamentare, una « inchiesta agraria, un'inchiesta degli onorevoli Fran- << chetti e Sonnino, che percorsero e studiarono tutta << l'isola. E dopo ciò che cosa si fece ? Silenzio go- .: nerale per tutta la linea. Non una legge fu votata, « non un provvedimento fu preso per portare un qual- (( che rimedio ai mali, che s'erano con tanta cura in- « ùagati e studiati. » (2) E in tema d'inchieste e di studì si sappia che la Sardegna, la sorella di sventura della Sicilia, quantunque per la particolare distribuzione dellasua popolazionenon abbia scosso dal letargo governo, parlamento e pubblicisti, con insurrezioni e tumulti, fu pure oggetto di libri onesti come quello del generale Alberto Lamarmora; di discorsi caldi di affetto per l'isola natia e di vera eloquenza come quelli di Siotto-Pintor e di Giorgio Asproni ; e di parecchie inchieste meno pompose di quelle per la Sicilia, ma non meno governative; tra le quali caratteristica davvero quella a scartamento ridotto affidata all'on. Pais-Serra, alla vigilia delle elezioni ultime. I risultati non furono dirnrsi ; o per meglio dire inchieste e studi non dettero per la Sardegna alcun risultato come non lo dettero per la Sicilia. (1) Nuova Antologia, I. agosto 95. (2) Nuova Antologia, t luglio 95. Questo prova, almeno, che il governo italiano - ir passato e il presente - non è reo di parzialità, e che per le due isole ha un'eguaglianza di trattamento, che si compendia nella parola : oblio! Ma è poi proprio vero che l' on. Crispi - il grande, l'unico patriota che vede tutto, sa tutto e provvede a tutto - sia anche lui colpevole di questo brutto peccataccio dell'oblio? Oh! vediamo un po' se i fatti analizzati con diligenza non possano dare una smentita. Dalla Sicilia come dalla Sardegna in gran parte, da anni ed anni vengono reclamati di urgenza provvedimenti d'indole economica, politica, amministrativa sociale. Quali e quanti se ne son presi o presentati~ C'era da difendere i piccoli proprietari ; e si è studiatò il modo di crearne di nuovi a spese dei grandi e degli antichi, incaricando intanto il fisco, in attesa che gli studì maturino, di distrurre inesorabilmente quelli esistenti. C'erano dei laYori idraulici e di bonifica da fare per allontanare la malaria e dare terre fertili ai contadini e aprire nuove sorgenti di ricchezza pubblica ; e le somme occorrenti a tali opere si sono negate per concederle all'Africa. C'era una legge sui contratti agrarì - riconosciuta urgente e necessaria dallo stesso on. Di Rudinì, che pur ha difeso con calore i latifondi - ma il governo ha protetto i latifondisti inumani e sleali, che vennero meno alla loro parola e ruppero i patti stabiliti nel 1893 coi contadini ; c'erano leggi e provvedimenti sui latifondi e sulla industria mineraria zolfifera, da tempo studiati e promossi ; e il governo ha provato che volendo si può. fare, ed ha presentato due disegni di legge , eh' erano due io-nobilimostriciattoli, dei quali esso stesso si o 1· è vergognato - è tutto dire! - ritirando ,, senza far loro accordare neppure l'onore della discusgione: C'era un disagio generale e profondo prodotto dalla gravezza insopportabile delle imposte; e il governo ne ha messe delle altre per decreto reale, violando lo Statuto, ed a compenso del raccolto scarso dei cereali a vil prezzo , della allarmante mancanza di lavoro, l'on. Sonnino, pensando che il buon popolo è taillable et corveable a nierci, minaccia a Novembre di aggravare quelle esistenti e di crearne delle nuove. C'era da rinnovare il personale delle prefetture, migliorandolo e consacrandolo alle sue rette fun. zioni amministrative tutelatrici della pubblica sicurezza ; e il governo hà imposto ai prefetti di occuparsi di politica soltanto, li ha messi a disposizione dei candidati e dei deputati servili per fare il loro comodo e le loro vendette, ed ha destinato

RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 6ì i delegati di pubblica sicurezza alla caccia degli elettori anzichè dei ladri , incoraggiandoli a mal fare, col punire i buoni e col premiare , decorare e promuovere i malvagi che hanno provocato tumulti e fatto versare sangue cittadino. (1) C'era da richiamare subito al dovere le amministrazioni comunali • che per unanime consenso e di tutti - dice l'on. Villari - sono la sorgente » prima delle più crudeli ingiustizie, dei più pro- « fondi rancori, la cagione più prossima ed imme_ « diata dei recenti tumulti. > (2); e il governo . ' sempre provvido ed onesto, ha punito le amminL strazioni buone, ma non ligie ai deputati serm'li ed ha rinforzato quelle colpevoli, che hanno bene meritato durante le elezioni. (3) (1) A conferma della grave affermazione, tra tanti, scelgo il giudizio di Villari. Eccolo : « I prefetti costretti come sono ad occuparsi di po- « litica spesso non hanno modo di occuparsi d'altro, nè « vogliono mettersi in urto coi partiti dominanti. - Dove « vuole che io trovi il tempo ? mi diceva uno di essi. Da « mattina a se1·a debbo ricevere deputati, senato1·i, « consiglieri comunali e provinciali, grandi elettori. « Se non li ricevo mi fanno traslocare. - Le qui- « stioni, che concernono il benessere materiale e mo- « rate della vrovincia vengono perciò troppo spesso « lasciate da parte. Tutto é politica da noi e perciò « appunto facciamo vessima politica. - Un modesto « falegname in Pal'tinico, che mi dissero laborioso, « onesto e tra.nquillo, discorrendo con me esclamava: « Qui il Prefetto non fa il prefetto, il sindaco non fa « il sindaco, il consigliere non fa il consigliere, il « maestro non fa il maestro. Questo popolo vorrebbbe « giustizia e non può aYcrla. (Nuova Antologia, 15 luglio '95). In conseguenza di tutto ciò Prefetti , autorità e deputati dinanzi alle popolazioni sono screditati, esautorati, come riconosce lo stesso Villari. In tali condizioni possono essi bene adempiere alle loro rette funzioni? In quanto ad incoraggiamenti ai malvagi delegati basti ricordare che furono decorati o promossi i delegati di Serradifalco, di Recalmuto, di Valguarnera, di Gibellina autori principali, se non esclusivi, di tumulti e di stragi ..... Un altro delegato nella provincia di Caltanissetta a chi lo minacciava di denunziare i suoi arbitrii elettorali rispondeva lesto : lvfagari ! sarò promosso! (2) Nuova Antologia 15 luglio p. 230. (3) Il Consiglio comunale di Catania v.enne sciolto solamente perchè non si p1•estava ai comodi degli ·amici del governo, quantunque ben visto dal popolo e curante della buona amministrazione. Se fosse ben visto lo dissero· le ultime elezioni , che non ostante sei mesi di preparazione del regio commissario, dettero una schiacciante maggioranza agli antichi consiglieri radicali, socialisti e repubblicani. La iniquità del governo venne confermata testè colla risposta dell'on. Sonnino, che in sei mesi nulla domandò al Regio Commissario sugli arretrati del da-zio··di consumo, e che non volle accordare la minima dilazione C'era, infine, da iniziare il regno della giustizia - perchè c'è sete ardentissima di giustizia, perchè con la sola giustizia, secondo il parere non partigiano del generale Mirri pu6 governarsi pacificamente e facilmente il buon popolo di Sicilia, - e lo stesso può dirsi di quello di Sardegna. Ebbene il principio di quel regno è ancora di molto lontano, e da quanto sin ora venne esposto risulta che cogli uomini attuali, e forse con l'attuale sistema, non c'è da sperare nel suo prossimo avvento. (1) In un libro consacrato agli avvenimenti di Sicilia nel 1893-94 (nel quale per quanto ad un uomo può essere dato imposi silenzio alle mie simpatie, alla nuova amministrazione. Il caso di Alcamo è notissimo : sintanto che nelle elezioni generali quella amministrazione caldeggiò la boulangista manifestazione in favore dell'on. Crispi, essa fu lodata e mantenuta ancora al suo posto ; I appena colle elezioni suppletorie essa si dichiarò contro un amico dell' on. Crispi, il Consiglio comunale venne disciolto. Casi simili se ne potrebbero citare a centinaia, e la cosa è tanto nota che il Giornale di Sicilia , il più autorevole e diffuso diario dell'isola, pochi giorni or sono scrisse : « Non ha torto il poeta : le leggi son ma.... e via < dicendo. E via dicendo finiamo con dire, che se in « molti casi le amministrazioni comunali sono respon- « sabili per dicci, cli fronte agli amministrati, di tutto « quello che loro si addebita, in molti altri lo sono « per cinque soltanto, perchè gli altri cinque gradi « di responsabilità rientrano nella convivenza del go- « verno,che lascia fa1·e perchè gli conviene di lasciar < fai·e. - No, non sono i consigli comunali che am- « ministrano peggio, quelli che vengono pÙl frequen- « temente sciolti, ma quegli altri presso i quali il Mi- « nistero A o il ministero B - tutti uguali veh ! - « puo trovare delle resistenze. - I docili, gli accomo- « danti, i girasoloni, i girasolini, che capiscono l'an- « tifona e non han scrupolo e non vogliono guai, di « resistenze non ne fanno mai, ed ,è probabile che « con l'autorità politica non si guasteranno mai e « commissari regi non ne conosceranno, tranne a non « spingere troppo sfacciatamente le cose. Questo si- « stema vige da cmni ed cinni in Sicilia e non c'è « stato ancora un Ministero che abbia avuto l'onesto « proposito di mutarlo. » (30-31 Agosto 1895). Per coloro che non lo sanrro è bene si dica che il Giornale di Sicilia, sebbene indipendente, è devoto all'on. C1•ispi. (1) Parole eloquentissime su questo supremo bisogno di giustizia furono pronunziate dal Minervini reggente la Prefettura di Caltanissetta nell'inaugura1·e i lavori del Consiglio provinciale. Tutto il suo discorso riuscì una critica spietata al governo che rappresenta, per quello che ha fatto e ancora di più per quello che non ha fatto. Il Marchese De Seta, P1·efetto di Palermo in circostanza analoga fece una brillante ed esatta esposizione dei disordini amministrativi.

68 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZ'ESOCIALI ai miei risentimenti, proponendomi la ricerca scrupolosa della Yerità) constatai con vivo rammarico che dal 1812 in poi nulla era mutato nelle condizioni economico-sociali dei lavoratori, Oggi mi correggo. Mutamenti ci sono; ma in peggio. Ai mali antichi si sono aggiunti quelli che Yengono dalla incertezza di procurarsi il 11iinimum dei mezzi di sussistenza ; quelli che procura un regime bastardo, bugiardamente detto costituzionale e c,he promette libertà per trarre in agguato gli incauti cittadini, che credendo sincera la promessa consacrata nello Statuto, si attentano di agire come se liberi fossero per davvero. Come finirà; potrà continuare questo stato di cose ; dove si rn? La risposta a queste paurose domande se Yenisse data da me o da qualunque altro che professa idee repubblicane o socialiste potrebbe sembrare suggerita dalla passione, dalla speranza di un mutamento radicale conforme a tali idee. Lasciamo dunque che la dia un monarchico convinto, un avversario del programma repubblicano-socialista: lasciamo che la dia ancora il Villari, da cui - per ragioni facili a comprendersi - ho preferito di trarre in prestito. Cosi non pu6 durar·e: saggiamente osserva l'ex ministro di Re Umberto : « La rivoluzione sociale, che si avanza, siamo noi « che l'abbiamo colle proprie mani apparecchiata, e « dopo averla resa inevitabile, ogni giorno più la pro- « vochiamo col Yolerla prevenire, sperando sempre << di poterla reprimere, né volendo persuaderci che il << numero e la forza reale non sono dal lato nostro. Io « qui non ·parlo di giusto) d'ingiusto ma di possibile o « d'impossibile. Sostengo solo che la società da noi « fondata non si regge in piedi. Bisogna o andare a- « vanti, o tornare indietro il che non mi par facile « e quindi é necessario ormai alle riforme politiche, « con troppa fretta, leggermente date, aggiungere le « sociali che sono divenute inevitabili. O le daremo ·o ci costringeranno a darle .... » « .... E la rivoluzione verra se noi ci ostineremo a « non prevedere, né _provvedere per l'avveni1·e. » (1) Ogni altra conclusione sarebbe erronea, ingannatrice; e la conclusione del conservatore intelligente, dello storico, se non agli uomini dell'attuale governo, dovrebbe far meditare quanti hanno occhi per vedere, orecchie per sentire, cuore e:mente per prevedere e temere i danni incalcolabili , che ad una nazione possono derivare dalle conseguenze estreme di un regime di Yiolenza, da cui non possono filiare che altre violenze. D1• NAPOLEONE COLAIANNI (i) Nuova A,ntologiq, 189-3 pag. 2H•405 L' BdncazionB f sicnaBlnlaostsrcauoplaopolare < 1 ) Il problema della scuola non è che una parte del problema sociale. Il pauperismo, la miseria sono i più terribili nemici della scuola ; ed è vano illudersi: finchè saranno l'effetto di qualsiasi ordinamento di qualsivoglia stato, il problema della scuola non sarà mai risoluto. E difatti noi con le nostre leggi, coi nostri regolamenti scolastici non facciamo che un' operamonca inane. Ad esempio nel 1878 abbiamo decretata la scuola obbligatoria. Ebbene tuttora pi1ì di 600,000 fanciulli (35 010) dai 6 ai 9 anni, nel periodo quindi della lern scolastica, non frequentano la scuola e circa 90,000 la frequentano irregolarmente. E pe('Chè? È doloroso doTer rispondere: più di tutto per la miseria loro e delle loro famiglie; perchè non hanno da vestirsi, non hanno da mangiare, e devono h1xorare anzitempo. Oltre a ciò l'obbligo di frequenza della nostra scuola dura soli tre anni, e invece 7 anni in Francia, ed 8 in Prussia. Se così pur durasse anche da noi, con la miseria che ci affligge, chi sa quanto l'esercito dei 600 mila che a scuola non possono andare, s'ingrosserebbe! D' altra parte in que' soli tre anni, che educazione in genere, ed in ispecie che educazione fisica si puo impartire? Asevamo, dopo i 9 o 10 anni, la scuola complementare festiva e serale, purtroppo non obbligatoria; e in questi ultimi tempi l'abbiamo condannata alla consunzione, togliendole i sussidi. Ma se a torto, pii1 che a ragione, fu detto che le economie militari erano una pazzia, queste economie scolastiche non sono indubbiamente un:delitto? Che se agli edifizi e arredi di scuola volgiamo lo sguardo, piuttosto che ambienti propizi all'educazione fisica, troviamo invece assai spesso le cause della degenerazione organica nell' aria mefitica nella scarsa o cattiva luce, nei banchi inadatti. In 14 anni la Cassa Depositi e Prestiti, in un paese come il nostro dorn in un solo anno furono buttati 570 milioni sul baratro degli armamenti, non ha dato che miseri 33 milioni di prestiti di favore per edifizi scolastici, ed oggi ha chiuso a dirittura gli sportelli. Poichè lo Stato obbliga i cittadini all'istruzione primaria, avrebbe anche il dovere di non danneg- - giare con ciò alle nuov~ generazioni la salute, ch'è il supremo bene individuale e sociale. 11: così: come si preoccupa, almeno, cl'impedfre la diffusione delle malattie contagiose tanto facili ad attecchire nell'efa della scuola? Douebbe esser questo un còmpito d'una bene ordinata ·vigilanza medica delle scuole (I) Da una conferenza agli insegnanti del Comune di Roma.

• RIVISTA DLPOLITIC~ E SCIENZE ~0_9IALI 69 com' è organizzata nei paesi civili, dove con le norme opportune ai maestri, con le visite metodiche e irregolari, con l'isolamento dei casi, con le disinfezioni, con tutta insomma una medicina preventiYa si fanno miracoli, impiegando il denaro al 100 per uno. .A Londra, per esempio, l'ufficio medico dell'Associazione della scuola spende annualmente 2,240,675 lire; per lo stesso scopo si spende a Parigi circa un milione. A Roma un solo medico deve fare le Yisite fiscali agli insegnanti che .ammalano e provvedere all'igiene di tutte le scuole della città. Nel resto d'Italia (tranne poche e lodevoli eccezioni) spetterebbe la sorveglianza medica delle scuole della città all'ufficiale sanitario, ch'effettivarnente non può fare nè questo nè altro. E a tutte queste note dolenti si aggiunga che ogni educatore, ed ogni educatrice, dovrebbero avere un nume1·0 proporzionato cli allievi; invece a causa del solito problema economico che incombe sulla scuola, per risparmio di personale e di locali, spesso il numero degli scolari per classe è soverchio. Ancora: dovrebbe esserci a1monia nei programmi e nell'orario fm l'educazione della mente e quella del corpo. Quindi l'educazione fisica dovrebbe entrare come parte integrante e con pieno diritto nelle ore d'insegnamento. Invece si reputa peggio che perduto il tempo da consacrare alla educazione del corpo. E perciò, riassumendo, che educazione fisica si può mai dare nella nostra scuola popolare, se non c'è nè il modo, nè il tempo, nè il luogo di farla? Enunciamo brevissimamente quali sono i mezzi di educazione fisica, e d'ognuno di essi vediamo quel che si fa, e quel che si può fare. Innanzi tutto urge la necessità di nutrire e vestire gli alunni povei·i. Nel 1891 a Londra il Congresso internazionale d'Igiene ha votato questo memorando ordine del giorno: « Il congresso affermando i doveri dello Stato verso i suoi futuri cittadini in materia d'istruzione, dichiara che per renderla efficace è necessario nutrire e vestire gli scolari poveri. Ma fin oggi questo voto fu accolto solo da alcuni dei pochi municipi socialisti. In altre città, come a Londra, a Parigi ed anche a Roma ove recentemente sorsero 6 educatori, privati, le società filantropiche pensano a sfamare e a coprire alcuni dei più poveri scolari. Però specialmente da noi, con la pubblica beneficenza non si puo fare nè di molto nè di durevole. Credo che altrimenti si potrebbe fare di piìt e di meglio. uno dei passati ministri dell' Istruzione avea proposta una legge sul contributo scolastico, cioè \ma piccola _tassaannua di 2, 3 o 5 lire _per ogni classe elementare, a carico soltanto delle famiglie agiate e ~ vantaggi? de_glialunni poveri. Se fra le tante inique e gravose tasse fosse. passata questa e giusta e lieve, si sarebbe compiuta davvero una grande riforma morale nelk scuola, perch·è con l'esempio e coi fatti si sarebbe a quelli che sono agiati insegnato il dovere che hanno cli togliere gli attriti più stridenti della lotta di classe, riconoscendo ai figli del povero il diritto a un'esistenza normale. Soltanto qualora fosse posto in opera questo primo e principalissimo mezzo d'educazione fisica, si potrebbe pensare alla ginnastica. Per rendere questa utile e dilettevole s'era consigliato il ritomo alle italiche tradizioni del Rinascimento, quando l'Italia a Firenze, a Venezia, a Ferrara torno a insegnare al mondo l'educazione fisica per mezzo dei giochi. i\1a i nuovi programmi non trovarono nè il tempo nè l'aree libere per essere eseguiti. La nuova riforma venne strozzata nelle fasce; e nel Regno intero seguitiamo a spendere per la ginnastica la miseria di L. 391,000 in tutto e quasi tutte a vantaggio degli alunni per lo piiLagiati della scuola secondaria. È incredibile quanti mali si possono prevenire, con qualche semplice rimedio nell'età dello sviluppo. E il Belgio, che lo sa bene, esercita nella scuola con poca spesa, per quanto largamente, questa vera e benefica medicina preventiva, somministrando rimedi specialmente ricostituenti. A Roma per opera d'una donna, s'è iniziata questa provvidenza in una scuola di Trastevere, e mirabili se ne son visti prontamente gli effetti. Ma nelle altre scuole della città e nel resto d'Italia ? .-\.tutti è noto quale preziosa medicina preventiva sia il bagno. Splendidi impianti se ne ammirano nelle 4 nostre nuove e grandiose scuole popolari, ma troppo spesso rimangono inoperosi. E poi- altrove, in quanti degli edifici scolastici anche nuovissimi si è pensato al bagno? ..\Itri mezzi d'educazione fisica sono i rici·eatori festivi e le colonie fe1·iali; queste al mare o in montagna, offrono anche ai più grandi figli del proletario quella villeggiatura che rigenera la prole del ricco ; quelli togliendo dalla strada e dalla bettola i giovani operai, li rendono moralmente e fisicamente migliori. L'iniziativa privata, per disgrazia nostra così fiacca, qua e là fece sorgere e man tiene e gli uni e le altre, ma, sempre per la più volte ripetuta ragione economica, in numero sproporzionatamente esiguo in confronto con la necessitit che ce ne sarebbe. Del lavoro manuale e del canto, · che posson anche essere fattori d'educazione fisfoa, ho poco a dire; il primo più che nella scuola popolare sarebbe utile negli Educatori e nei Recreatori suddetti· e il canto oltrechè a raffinare il senso dell'udito, ~uò essere un ottimo esercizio respiratorjo, a condizione che sia fatto all'aria aperta o di libera circolazione

70 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI piuttosto che nelle aule così spesso mefitiche. In paesi più civili e più morali del nostro, ad es. nel Belgio, arrivano già ad esercitare nella scuola ·popolare, e con suprema efficacia, la p1·0paganda per combattere il vizio dell'alcoolismo, terribile e fatale causa di degenerazione fisica e morale degli individui e della razza. Tardi di mente o idioti, nevrotici od epilettici sono i figli dei bevitori, e per essi occorre quindi un'educazione a parte. E già che son giunto all'argomento delle scuole speciali pei degenerati godo chiudere questa 0!':ommaria numerazione dei mezzi d'educazione fisica, accennando a quella gloria d'Italia che sono le scuole speeiali dei rachitici, impiantate e fiorenti .a Torino, a Milano e in poche altre città. Roma p. es. n' è priva, ad onta ch'abbia circa il 4 010di bambini rachitici. A sollievo di questi infelici è un delitto il non far nulla oggi che l'arte· chirurgica è arrivata a prevenire, e, in tempo, a correggere con pochissima spesa quelle deformazioni che lasciate solidificare resteranno indelebili per tutta la vita! Si consigli quindi l'aiuto della mano del chirurgo non appena le deviazioni si manifestano. Da quanto brevissimamente ho detto mi sembra risulti con dolorosa evidenza che la nostra scuola popolare anche ne' suoi rapporti con l'educazione fisica è lo specchio fedele delle cause e degli effetti delle nostre miserie. Il minaccioso problema economico, gravita anche sulla scuola, e la comprime entro un circolo vizio,-o. Poichè l'economia sociale, ossia il lavoro individuale e collettivo, la salute, eh' è il solo patrimonio del povero, il carattere, la morale chiedono vita e forza ad una perfetta educazione fisica; ma questa, domanda a sua volta, per potersi svolgere, i mezzi all'economia sociale, che oggi, così com'è, non può darli. Spezzare questo circolo vizioso non è opera d'individuo alcuno; sarà il lavoro arduo e concorde dei più e del tempo. Prof. ANGELO CELLI Deputato al Parlamento DEI DEMANII UNIVERSALI Di molta opportunità torna discorrere del patrimonio pubblico, ora che si fanno innanzi leggi agrarie, che le antiche modificano, indirizzandole a scopo sociale. Nella più remota antichità la proprietà privata non esisteva, e tutto ciò ch'eravi di vegetale e minerale era un patrimonio collettivo di tutti gli animali, che abitavano la terra. In questo tempo l'uomo viveva in comunione con tutti gli altri animali, - ma più tardi, per la legge di finalità, sopraffece e sorpassò gli- aitri. In siffatto periodo, non si potette parlare di proprietà, perchè mancò ogni affermazione di diritto, e può dirsi che la vita era tutta animale nel senso di nessuna socialità, e quindi la nozione di sussistenza era tutta ridotta nella lotta con gli altri esseri animali. A questo tempo si assegna il semplice conato per passare dalla pura animalità all'umanità, dal puro genere alla specie, dalla tradizione al pensiero. Fu adunque il periodo preistorico, che va dalla caverna alla Grecia, quello che mancò del tutto di coscienza giuridica e difettò completamente della nozione di proprieta, la quale perdevasi in un collettivismo indeterminato ed infinito. In Grecia appare la prima favilla del diritto, che fu jus civile abstractum, e la proprietà, espressione del pensiero, fu collettiva, perchè l'individuo ·:qon esis,teva, se non come membro costituente lo Stato, senza affermazione propria diretta, ecco perchè quel periodo:rappresentò il socialismo clas~ sica, perchè all'uomo non restò nessuna parte di sè per sè. Al periodo protostorico greco si connette l'esi- 'stenza dei primitivi popoli italici, prima che Roma assorgessc alla sua grandezza e li incorporasse tutti sotto un unico governo. In questi popoli predominava la forma municipale, ed il loro dritto di proprietà era egualmente _jusci-vitatis abstractU?n,_ appunto perchè il cittadino era solo membro dellacomunità municipale, o meglio di quel piccolo stato regionale. In questa forma. di comunione collettiva della' proprietà a ciascun cittadino era dato il dritto di usarne, come mezzo di vivere la vita, ut vitam cive$ ducere possint. Il dritto cli usare della proprietà comune collettiva fu detto civico, aggettivo della forma unica civitas, stato, governo. In questo punto storico sorsero i demanii uni versali, quelli cioè su i quali ciascun cittadino usava della proprietà collettiva direttamente uti sin-· gulos pro usu domus et f amiliae et ad sustinenda onera vitae. Il cittadino singolo usava della proprietà comune collettiva, per quanto gli necessitava come individuo e come capo della famiglia, per riparare alle pitì urgenti necessita della vita. Egli però non po· teva disporre di questo suo diritto, il quale non era trasmissibile per contratto e solo per successione naturale, giacchè tutti gli abitanti di una regione o contrada ne usavano per jus naturae. Le prammatiche dei tempi posteriori ritennero questo concetto dicendo: omnes sunt domini jure singulari et prop1·io. Ognuno nasceva invest:to del jits civitatis in' potenza, ed aveva diritto ad usare del demanio universale, e lo effettuava, ese1·citando sovra esso

RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 71 il particolare e speciale uso , secondo che la natura di quello comportava, ecco perchè il Donnello disse : Sibi suoque jw·e pr·ivatim locis publicis uti potest. Il De Laveleye, l'on. A. Rinaldi, il Roscher, il Prof. Schupfer, il Loria ed il De Ruggiero fra i moderni, come il De Luca, il D'Andrea, il Montano, il Novario, il Capece, il De Franchis e moltissimi altri dei piì1 antichi dicono che : Una specie di legge universale presiedette all'evoluzione delle forme della proprietà primiera, perchè sotto tutt'i climi e presso tutte le razze si trovano le medesime comunioni. Questa legge di evoluzione cominciò dal bosco, già preesistente all'assembramento delle case, il cui godimento per i pascoli e per le legna apparteneva all'università dei cittadini nel senso che tutti vi potevano trarre per soddisfare gli usi necessart alla vita. I nominati moderni autori opinano che i demanii universali originassero dal primitivo collettivismo, ma finora nessuno ne ha assegnato il periodo storico dell'incominciamento, come io debolmente mi sono sforzato determinare, raccogliendo con pazienza e non Lunl studi i frammenti dei primitivi popoli greci-italici. Che i demani universali preesistessero alle istituzioni romane ce lo dicono pure G. B. Vico nella 65. dignità e Virgilio nelle Georgiche come Tacito e Tito Livio, ma quando e come cominciassero non era stato ancora detto neanche dai Savigny. dal Niebuhr e dal Puchta, che pur ritengono i municipi non essere possessori di beni per assegnazione fatta da Roma, come furono le colonie, ma lo erano come antichi popoli itali sovrani. Il diritto che nella protostoria era abstractum divenne positivo in Roma, ove comincia l'affermazione giuridica e la storia. 11 diritto ciYile adunque romano riveste due forme di proprietà, che ne indicano i suoi due principali momenti; - col primo la proprietà si presenta sotto la forma collettiva positiva ; col secondo sotto quella individuale nel colletti1,o. Nel Municipio romano troviamo una proprietà popolare detta AGER PUBLTCUS, il quale, come dice il Prof. Persico, si era andata formando man mano, fin dalle prime origini della republica, di boschi pascoli e monti, e che poscia fu indicato coi nomi di Campanus, Lucanus ,'. Reatinits, Picentiuus ecc, ma questo ager publicus era di due maniere. L'uno era l'ager publicus proprio degli antichi municipii preesistenti e di nattll'a interamente comunale - demaniale, cioè il demanio uni,·ersale, uti singuli, e l'altro era effetto di conqui ta formato di proprietà. private strappate ai vinti, detto demanio dell'universitas, nel quale il godimento era uti univei·si ed inserviente alle necessità dello stato, sia come republica, che come impero, a differenza dell'uninirsale itti singitli inalienabile ed incommutabile inserviente nel collettivo alle necessità singole dei cittadini. Nel periodo republicano la lex Rubria. la Julia Municipalis, la Juliae Genitavae, e le tavole di Salpensa e di Malaca sotto l'impero di Domiziano, dimostrano chiaro come lo stato romano riconoscesse e tutelasse questa proprietà pubblica. Mutato in prosieguo il. concetto romano, e sopraggiunto alla civitas collettiva l'indidualismo cristiano, i popoli Germani e Francesi, nella dissoluzione del mondo romano, venuti fra noi, importarono l'istituzione feudale, la quale comprese tutta quanta la proprietà sotto un unico regime; quindi anche quella di demanio universale, la quale cominciò a prendere il nome di comunale e feudale, Ma poichè gl'importatori del fe.udo avevano necessità di conservarsi la benevolenza delle popolazioni, così mantennero, nel loro accentramento prediale, gli usi civici ai cittadini nei fondi di antica loro proprietà, e concessero sugli altri dei diritti d'uso; cioè tante speciali prerogative ben diverse da quelle di poi contemplate dalle nostre leggi civili. I primi restarono e si mantennero intatti, i secondi divennero redimibili. Da ciò la masssima « dove sono feudi, ivi sono itsi. » Ma anche l'anomalia agraria, che si chiamò feudo, doveva scomparire dopo la rivoluzione universale del 1789, e quindi con le leggi eversive della feudalità si Yenne a discernere e distaccare proprietà c~munale (patrimoniale) dalla pubblica itti singuli e dalla privata sottoposta a diritti d'uso burgensatica o proprietà privata degli ex feudatar;i, Di qui la confusiune del demanio in prima unive1·sale, poi comunale, indi exfeitdale, ma queste tre denominazioni difformi, rappresentano stadi diversi di passaggio ed implicano un unico con~ cetto. Con le leggi abolitive della feudalità il collettivismo prediale subì una falcidia terribile, e si può dire che l'antica grandezza scomparve, giacchè la prop1·iet~tpubblica da collettiva passò ad essere sociologica, ci:>èla proprietà acquistò i suoi termini di passaggio contrattuale e familiare e divenne oberata di un carico sociale, quello di pagare un canone alla comunione in compenso del diritto, pri vato alla generalità dei cittadini, godenti ttli singuli. L' indirizzo degli usi civici, con la divisione in quote dei demanì universali , prese un nuovo orizzonte, il quale finora à dimostrato due cose : che la proprietà frazionata non ha giovato alla piccola agricoltura, perchè il quotista, mancante di capitale, ha barattato il suo piccolo predio, divenutogli gravoso per l'aumentato tributo fondiario e per l'onere insito del canone; che la pastorizia e le industrie indigene sono scomparse od affievolite per

72 'RIVISTA 1H '.POLITICA E SCIENZÉ SOCIALI mancanza di boschi e di facilità commerciale con grave danno della pubblica igiene. Cambiata la fìsonomia della proprietà pubblica il cammino deve essere rifatto nella soluzione equa di capitale e lavoro, nel soccorso alla piccola proprietà, non per iniziativa privata, ma con quella poderosa dello stato, ritornando gl' istituti Pii alla loro primitiva missione, cioè l'aiuto al piccolo proprietario, all'agricoltore; altrimenti credo che ogni divisionee suddivisione è illusoria e non mai risolverà la quistione sociale. A VV. EMI ODIO LOSCALZO. ApropodsietlIoII.Volmdnel"Capitale ,, (Rispostci al p1'ofessore Schmidt) Molti economisti, prima ancora che fosse uscito il III. volume dell'opera del Marx, avevano sostenute che la teoria del valore tramandata al grande socia lista dal Ricardo, era incompatibile col fatto che nelle varie industrie, sopra capitali complessivi della stessa grandezza, se ne impiegano in capitale tecnico quantità diverse. Secondo il Marx, essi dicevano, il capitale investito in salari crea un profitto solo in quanto dà vita ad un sopralavoro. Il capitale tecnico, essendo investito in una cosa, cui, appunto perchè inanimata, non può imporsi un sopralavoro, non dà luogo a vrofitto alcuno. Perciò, se di due capitalisti che dispongano entrambi di un capitale complessivo di 100 giornate, A ne impiega 50 in capitale salari e 50 in capitale tecnico, B 25 in salari e 75 in capitale tecnico; B vfene a perdere tutto il profitto ottenibile dal capitale salari di 25 che A anticipa in più di lui. Posto per esempio che il saggio del profitto sia del 100/loo , il profitto di A diventa di 150 -100 -o O/ Il d. B d. 125-100 O/ M ~ = o O, que o 1 1 ~ = O·r' a questa enorme differenza nei profitti di due capitali della stessa grandezza è incompatibile coll'azione livellatrice della libera concorrenza. Dunque la teoria del valore del Marx, apportando nei vari rami del l'industria, a seconda del rapporto che vi si riscontra fra capitale salari e capitale tecnico, i profittì più diversi, è contraddetta dalla esistenza di un saggio medio dei profitti. Tale il caposaldo delle accuse mosse contro la legge classico-socialista del valore. Questa critica riusc più specialmente in Italia popolare, perché accolta da uno scienziato che, come il Loria, non se ne servì a scopo di apologie sociali, ma seppe associarla alle idee più ardite. Di fronte a questi attacchi i socialisti, nell'intervallo che precedette la pubblicazione del III. volumesi divisero in due schiere. La prima, e purtroppo la più numerosa, lasciandosi acciecare da un dogmatismo che pareva ormai bandito dalla scienza, negò, senz'altro ogni verità alla base di fatto su cui si appoggia vano gli avversari del Marx. Ricordo nelle prime file il Lafargue, il quale, partecipando ad una polemica accesasi in proposito sulla C1·itica Sociale, venne meno alla sua fama - la più esatta - di uomo di spirito. Pochi altri invece , e fra questi lo Schmidt, ebbero il merito - merito impareggiabile, quando si confronti la serenità loro coll'aristotelismo dei piL1,- di riconoscere l'esistenza e la gravità del problema. Senonchè, soggiogati dal genio del maestro, credettero conciliabili termini che erano fra loro antinomici , e si ostinarono a cercare una soluzione che potesse contenersi entro le premesse marxiste. Quand'ecco uscire finalmente, sul Dicembre dell'anno scorso, il IlI. Volume del Capitale. In esso il Marx riconosce perfettamente che la teoria del valore da lui accettata sembra ·opporsi all'opera livellatrice della libera concorrenza, e si prefigge appunto di risolvere siffatta contraddizione. In tal modo la mente superiore del maestro faceva meglio risaltare, sin da principio, la gréttezza di quei discepoli che avevano creduto di giovarlo negando la verità. Noi speriamo che persone le quali hanno sempre moskato se non il ·dovuto rispetto per i fatti, la più cieca fiducia nel loro capo intellettuale, vorranno piuttosto riconoscere il proprio errore, che ribellarsi al verbo sul quale finora giurarono. Interdetta così questa schiera da quello stesso per cui era sorta a combattere, gli unicche si trovassero d'accordo col Marx, furono quei pochi socialisti, che, prima ancora della comparsa del III. volume avevano ammessa l'esistenza del problema. I loro sforzi, specie quelli dello Schmidt, si trovano apJJunto nella direzione seguita dal pensiero ma,rxista. Il grande tedesco, riconoscendo che, data la sua teoria del valore, i capitalisti i quali impiegano sopra un identico capitale complessivo una maggior quantità di capitale tecnico, ricavano un profitto minore, ammette che quel profitto che non viene creato dall'atto produttivo possa ritrarsi dalla circolazione, mediante un elemento artificiale del valore. Riprendendo l'esempio in cui più sopra illustrammo la critica mossa dagli avversari al Marx prima della pubblicaziane del III. volume, il capitalista A che, data la determinazione del valore secondo la quantità di lavoro, godrebbe di un profitto inferiore a quello di A, di 25 giornate, deve poter partecipare al maggior guadagno del collega vendendogli le proprie merci ad un valore più alto di quello che sarebbe fissato dalla quantità di lavoro in esse contenuto. Per raggiungere questo scopo, il Marx somma i profitti dei vari capitalisti , divide il risultato per il numero dei

:. · RlVSTA:.J)'I.':POLITieA'.E SClENZE.SOClALI 73 capitali complessivi ·a ·cui- essi corri'Spondono, e cor1'egge, secondo il profitto ml:ldio così ottenuto, il valore delle singole merci quale sarebbe stato determinato in base al lavoro. Nel nostro cas.o, essendo il sopravalol'e totale di 50 giornate per A+ 25 per B = 75, ed il profitto medio di 75: 2 = 37, 50, il valore delle merci di A dovrà essere non più di 150 ma di 137,5, il valore delle merci di B non più di 125, ma di 137,5 anch'esso. In questo modo il :Marx crede di aver risposto trionfalmente ad ogni obbiezione. Egli non s'accorge che se ha saputo esser logico, la logica è stata appunto quella che lo ha condotto al suicidio. Posto che veramente il valore si ùelerminasse dal lavoro, i valori delle merci di A e di B dovrebbero essere 'di 150 e di 125 giornate. Ma giaccltè tali valori, concedendo i più diversi saggi di profitto, contradi1;ebbero all'azione della libera concorrenza, così essi devono diventare di 137,5 entrambi. Orbene: questa è la negazione recisa, assoluta della legge che deter mina il valore dal lavoro. Se il valore. che le merci dovrebbero, secondo questa legge, avere, è diverso dal valore ad e.;se imposto dalle necessità della libera concorrenza, come si può più oltre sostenere che la legge vige tuttora? Una legge resta vera finché i fatti non la contraddicono. Quando questi le si ribellano, essa è irrevocabilmente condannata. Non dobbiamo qui combattere gli al'gomenti coi quali il MMx ha cercato di conciliare la coesistenza delle due contradditorie determinazioni del valore. Il nostro proposito è di rispondere allo Schmidt, la ~ui difesa al Marx ci sembra del resto tanto più efficacé di quella fatta dal Marx a sè stesso, che ad una confutazione del secondo preferiamo , per l'utilità della causa, una del primo. Mentre il Marx aveva tentato di accordare le due diverse formazioni del valore sul campo dei fatti, lo Schmidt abbandona questo ti-oppo positivo terreno per le regioni più comode della logica. Ciò che per Marx è una realtà Jenomenica, diventa per lo Schmidt una realtà mentale. Il professore di Zurigo riconosce sin da principio quello che il Marx si è sempre rifiutato di ammettere: che, non potendo mai il valore delle merci coincidere colla misura segnata dalla quantità di lavoro in esse contenuta, la determinazione del valorin base a tale quantità, se conserva ancora, un quale che diritto alla esistenza, lo conserva non più come fatto, ma come ipotesi. La legge del valore, egli dice, è una ipotesi per la spiegazione della realtà. Essa è necessaria : I. per formarci una chiara idea della natura del profitto; II. per ricavare quel profitto medio col quale il Marx, modificando la formazione del valore in base al lavoro , ottiene la vera legge del fenomeno. Orbene: questa doppia necessità di una deterrainazione, del valore ipotetico lo Schmidt doveva non soltanto asseri1·la, ma provarla. Invece, almeno per la prima parte egli si limita ad affermare che per mezzo della teoria secondo cui il valore è dato dal lavoro;· si giunge ad ave1•e una idea del profitto molto più esatta che con qualunque altra teoria. Noi riconosciamo perfettamente la ve1•ità dell'asserto, ed è perciò che stimiamo essere la leggo classico-socialista del valore la pii, perfetta di tutte le leggi sino ad ora tentate. Ma da questo al provare che una concezione positi va del profitto non si possa ottenere in alcun altro modo, corre una grande distanza. Noi c1•ediamo che la determinazione classico-socialista del valore appaia necessaria alla scoperta della causa del profitto, solo pe1·chè rispecchia fenomeni, la cui analisi se si è compiuta o può tuttora compiersi all'infuor( di ess·a, sembra a prima vista con essa indissolubilmente congiunta. Con quale criterio si potrebbe affermare che una data merce contiene, per esempio, 12 ore di lavoro, delle quali solo 6 sarebbero bastate all'operaio per produrre il suo s;i,lario, se l'esistenza di questo lavoro necessario e del relativo sopra.lavoro non fosse stata assodata con un esame precedente e però all'infuori di ogni legge del valore? La scoperta del soprala voro si effettua evidentemente considerando il lavoro non in quella fase derivata nella quale si trasforma in agente del valore, ma in quella sua prima fase in cui ci si presenta come il fattore della produzione. Siccome l'analisi dei fenomeni può compiersi tanto passando dalla causa all'effetto, quanto passando da questo a quella, si può sempre osservare il lavoro anche attraverso alla sua forma valore. Ma non si deve mai dimenticare che come nei fatti, così nel processo logico c'è prima il lavoro che produce, poi il lavoro che diventa valore: prima il sopralavoro, poi il sopravalore. E giacché il profitto, se consiste nel sopravalore, deriva dal sopralavoro, la causa del profitto procede ed e perciò indipendente da qualunque teoria del valore. Solo una deplorevole confusione fra i due diversi momenti attraversati dal lavoro può far credere necessaria alla teoria del sopralavoro una teoria del valore che la presuppone. Lo Schmidt pe1·h,nto nella prima parte della sua difesa ha ammess,L l'esistenza di un rapporto fra la legge del valore e quella del profitto che non ha fondaniento alcuno, ed ha asserito, senza provarlo, che solo per mezzo della teoria classica-socialista del valore si possa acquistare un criterio preciso del profitto. Passando dopo ciò alla seconda parte della sua argomentazione, lo Schmidt sostiene, come abbiamo visto, che la supposizione secondo cui il valore si determinerebbe dal lavoro è necessaria per addat-

74 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI tare il valore stesso alle esigenze della libera. concorrenza.. Il Marx infatti ricava il profitto medio in base al valore dato dal lavoro, e secondo tale profitto corregge i valori già ottenuti. Orbene: se nel mondo reale accadesse ciò ch'è nell'opera del Marx, se nel mondo reale il capitale tecnico e la libera concorrenza smascherassero d'improvviso la loro azione sul valore così come accade nei volumi del Marx, nei primi due dei qua.li non si parla ma.i dei rapporti di tali fenomeni col valore, mentre brusca • mente se ne tratta nel terzo, noi potremmo ammette1•e la necessità del processo seguito dal Marx. Ma siccome le cose vanno in modo diverso, ed il capitale tecnico e la libera concorrenza esistono sino dall'inizio dell'odierna economia, noi possiamo sempre sostenere che prima del qualurique momento in cui il Marx voglia supporre essersi realizzata la determinazione del valore secondo il lavoro, questa aveva già subite le influenze del capitale tecnico e della libera concorrenza. Così, posto che il Marx intendesse ammettere che il valore delle merci era dato dal lavoro, per esempio, nell'anno 1850, n~_i potremmo subito affermare che, il capitale tecnico e la libera concor1·enza essendoci anche prima, tali va.lori avevano già subito la loro azione modificatrice. Come, in tal modo, desumere il profitto medio da una determinazione del valore che, essendo già stata alterata da esso, anziché preluderlo lo presuppone? I fenomeni di ciascuna economia costituiscono un tutto contemporaneo ed inscindibile. La legge del valore quindi, come qualunque altra, non deve derivare da un'analisi in cui si siano per troppo tempo trascurati fatti dell'importanza di quella. del capitale tecnico e della libera concorrenza, ma scaturire dalla comprensione sintetica dell'intero sistema.. Immensa è stata. la conteaddizione logica nella quale è caduto lo Schmidt col credere che umi teoria del valore da h1i stesso riconosciuta per irreale potesse servir di passaggio, ciononostante, ad una teoria. più esatta. Se la via dell'inferno è seminata di buone intenzioni, alla verità non si giunge mai per mezzo di errori. Indarno lo Schmdt !ia cercato di evitare il contracolpo dialettico, dicendo che ciò che è dato dal lavoro sarebbe il valore, non dei singoli capita.li, delle singole merci, ma del capitale totale, di tutte le merci. Come la somma. di ti-e numeri fra. cui intercedo un rapporto di uguaglianza, non costituisce per sè uguaglianza ttlcuna, çosì, sprizzando il valore dal rapporto fra due merci, la. somma del valore di tutto le merci non è essa stessa un valore. Di più, il rimedio a cui è ricorso lo Schmidt è in contraddizione collo scopo al quale l'ipotesi marxista dovreùbe servi1·e. La media è un punto comune non alla somma di più cose, ma a ciascuna di queste cose. Il profitto medio alla sua volta sarà medio non per il' capita.le sociale, ma per i singoli capita.li. La ricerca di esso si basa dunque effettivamente sulla conoscenza del solo valore di eia.senno di questi ultimi. Noi ci compiacciamo del resto dell'indil'izzo che gli articoli dell'egregio professol'e ci rivela.no. Quella. serenità di spirito che prima della pubblicazione del III 0 volume del Capita.ie, lo aveva condotto ad ammettere contro la grande maggioranza de' suoi compagni di fede, l'esistenza. del problema. sollevato dagli avversari di fronte alla teoria marxista, gli ha fatto ora riconoscere, con uno strappo allo stesso pensiero del maestro, che tale teoria è sostenibile non come fatto, ma come ipotesi. Non abbiamo bisogno di insistere sulla gravità di questa. concessione. Ancora un passo e l'eresia sarà completa ! AJSTONIO GRAZIADEI INMEMORIA DELMANIFESTO COMUNISTA (Il L'ultimo libro che Federico Engels nel suo letto di dolore di Londra lesse, fu questo appunto del professore La.briola.; così come l'ultimo documento della. sua attività politica. fu la lettera a.i socialisti .di Sicilia.. L'Italia (( uscita fuori della. circolazione della. storia » da qualche secolo, ed assolutamente passiva nel movimento dell'agitazione socialistica , vi rientra per l'opera dei buoni ed eroici contadini di Sicilia, in una forma incomposta. ed impulsiva, ed appunto perciò più significativa ed eloquente. D'altra parte il movimento teorico produce a poca distanza dì tempo dalla sperata repressione di quelle agitazioni, l' opuscolo del quale ci occupiamo, che assegna. all'Ita.lia socialistica un posto nella produzione intellettuale degli ultimi anni. Le idee seguono i fatti e ne son determinate; questa verità indiscutibile del materialismo storico ritrova la sua novella giustificazione anche questa volta. Sino a qualche a.1v10 addietro, ogni pubblicazione che in Italia si fosse proposta di dichiara.re e di completare il contenuto immortale della teorica marxistica., sarebbe restata pura esercitazione accademica. Ora che in Italia un partito esiste - ed ha già per sè una storia - questi studii si spiegano anche dal lato pratico e son destinati ad esercitare una qualunque infiuenza sullo spirito dei tempi. Come è avvenuto di tante altre cose, le teorie marxistiche furono lungamente ignomte in Italia, sebbeue ciò non abbia dispensato tutti i professori (I) Prof. A,1ton(o Le.brio/a - Saggi sull'inlcrvretazione materialistica della storia: l. In. m,emoria, del mantj"eslo cl.:l comunisti - Roma, 1 ~5.

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