Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 3 - 15 agosto 1895

34 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI IL PROBLEMA AFRICANO I. Gli avvenimenti, e gli uomini che li hanno provocati, rimisero sul tappeto il problema africano, che il paese, quasi con compiacenza, avrebbe preferito dimenticare. I cosidetti popoli ci vili, nel fare la politica coloniale a spese dei barbari si trovano sempre di fronte ali' imprevisto ; poichè i barbari che sono stati spogliati della propria terra e della indipendenza tentano sempre di riacquistare entrambe, e coi loro tentativi provocano i loro civili oppressori quando questi meno lo pensano, e li costringono a nuove battaglie e a nuove conquiste per assicurare le precedenti. In nome di questa sicurezza l'Inghilterra gradatamente ha conquistato l'India ed ha creato un impero con centinaia di milioni di sudditi, senza aver trovato ancora la famosa frontiera scientifica, che la rassicuri in guisa tale da permetterle di arrestarsi nella sua marcia progressiva verso il centro dell'Asia dove avverrà il grande urto col colosso del Nord, la Russia, che alla sua volta procede cogli stessi metodi e cogli stessi intenti verso l'oriente e vers'o il sud. L'imprevisto negli ultimi avvenimenti africani, che interessano l' Italia non c'entra molto, perchè sono stati determinati dalla condotta del governo italiano. Il quale accarezzando in un momento Menelik e in un ,dtro Ras Mangascià, facendo in un giorno la cosidetta politica Scioana e in un altro quella tigrina ha finito col far credere di tl'adil'li ontl'ambi sicchè tutti e due si son coalizzati contro di noi. ?\è questa è ipotesi azzardata per denigrare il governo, ma essa sorge lampante dalle confidenze fatte da Generale Barattieri a un redattore di un giornale uflicioso, che appena il Generale fu arrivato in Roma, mando a intervistarlo. La incertezza e la contt·addiziono dello indil'izzo della politica africana, vc1·0, non sono mali 1•oaonli impnk,hili Bollunto n.ll'attualo :\linistoro. Se nuovi g-uai, se nuove complicazioni, a.dunque, avrà l'Italia in Africa non se ne potrà incolpare la slealtà e la in fedeltà dei barbari, ma piuttosto la mala fede o la imprevegenza del governo, che ha saputo scontentare tutti ed ha eccitato tutte le giuste diflìdenze dei sudditi, dei proteUi, degli alleati a.fricani. Nel 1895, vercio, la situazione nostra moralmente non è diversa da quella che nel 1887 condusse a Dogali prima od alla spedizione San Marzano dopo. Ciò è bene assodare aflinchè non si cada in errore nello assegnare poi la responsabilità di ciò che potrà accadere, in un avrenire prossimo. IL Coloro che si compiacciono di citare, spesso asproposito, le frasi latino più celebri ripetono il fa111oso: hic mcmeuimits OJ)tiine a significare che gl' italiani non si devono muovere dall'Africa. E vedi coincidenza: gl'italiani di questa fine di secolo che non brillano per virtù di sorta alcuna, giurano di rimanere là dove i Romani duemila anni orsono non vollero restare. In Africa, dunque, noi ci siamo è ci resteremo. Pur troppo vi resteremo sino a tanto che non ne saremo cacciati colla forza. Quod deu, avertat ! Ma che cosa vi stiamo e vi resteremo a f..ire ? Ecco il problema. In Africa non siamo andati per fisime sentimentali; si è parlato di giustizia, di civiltà, ma per retorica più che altro, quasi ad ingannare l'animo stesso degli occupatori. E queste fisime sentimentali furono sbandite, con lodevole schiettezza, da Ferdinando Martini nel suo pregiato libro sul l'Atfi·ica italiana: campeggiano poco del pari nella relazione della Regia Commissione d'Inchiesta mandata dal l\ilinistero Di Rudinì sulle rive del Mar Rosso dopo che furono da me denunziate alla Camera dei Deputati le scelleratezze commesse nella nostra colonia dal Livraghi e dai suoi complici 1). L'utilità, dunque, confessata o sottintesa, fu e rimane il movente delle conquiste italiane sulle rive del Mar Rosso nel 1885 ed oggi nel Tig-rè, nel Sudan; domani nell'Abissinia. Quale è stata o sarà questa utilità? Le colonie da un tale punto di vista pratico sono state divise in colonie di sfruttamento, di commercio e di popolamento. A traverso ad una serie di affermazioni, di contraddizioni e di discussioni, più che di veri sperimenti, si è convenuto che l'Eritrea non pub riuscire utile se non come colonia di popolamento: laggii1 si sogna o si spera - non si può dire ancora che il tentativo sia stato fatto - di veder sorgere ht Nuova Italia, indirizzandovi tutta quella emigrazione di centinaja di migliaja di piccoli proprietari e di proletari, che ogni anno lasciano la patriti e si dirigono principalmente ver~o gli Stati Uniti del Nord e verso il Brasile, l'Uraguay e la Repubblica Argentina, nel Sud dell'America. ~ on v'è dubbio in questo: l'intento, se si potesse raggiungere, sarebbe eccellente: dal lato morale, politico ed economico. :Moralmente sarebbe un grande guadagno che gli Italiani emigrati cessassero di essere considerati e trattati come i Chinesi di Europa dovunque essi vanno a cercare il lavoro e il pane che non trovano a casa provria. Politicamente sarebbe bene che gli emigranti cess,tssero da un lato di procurare imbarazzi al governo e costituissero un centro di fo1·za italiana in un altro grande continente dove tutte le altre nazioni hanno preso stabile posizione. Economicamente riescirebbe anche proficuo alla metropoli, che si formassero dei nuovi aggregati coi quali di preferenza ess,t manterrebbe scambi commerciali attivi d'importazione e di esportazione. Gli idealisti non mancano di enumerare il lustro che verrebbe all'Italia dalla diffusione della sua lingua, della sua cultura e della sua razza nel continente nero; ma d'idealismo si convenne di non parlare ed è da avvertire, I) Quanto poco la civiltà e !"umanità entrino nel prog,·amma dei popoli., che fanno una politica eoloniale chi vuole può ,•edado nel libro che allo. medesima ho consacralo,

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