La Rivista Popolare - anno II - n. 16 - 1 settembre 1894

LARIVISTAPOPOLARE POLITICA-ECONOMICAS-CIENTIFICA-LETTERAR- IARTISTICA ANNO II. 1° Settembre 1894 FASC. XVI. GLIORIZZONTDIELSOCIALISMO IV. Le teorie anarchiche. Non parlo di Rabelais e di Shakespeare, che videro nella mente imaginosa una società senza leggi e regole, ove tutti vivono liberi ed eguali, nella felicità dell'amore e degli agi. Ma quando Rabelais vedeva nella mente tal società, forse il concetto suo era generato dal suo stesso spirito critico, beffeggiatore scettico di tutto ciò che nella vita sociale esisteva : il genio innovatore esprimeYa insieme una satira e un'utopia. Così Shakespeare. Consalvo nel dramma La Tempesta pensava una repubblica, in cui tutto fosse a rovescio, in cui non esistessero magistrati, nè vi fosse ricchezza o povertà; nè contratti, nè servizi; nè agricoltura, nè industria, nè commerci. Nessun lavoro. Il beato ozio per tutti. Le donne tutte pure. Nessun sovrano alto o basso: tutto nella comunità, tutto per la comunità. ·La natura farebbe con abbondanza da sè. Nessun delitto e nessun n1ale. Non coltelli, nè spade, nè mo.schetti: nessun'arme. La terra e il· cielo darebbero ogni bene. · Presso questo gran sogno di Consalvo (che però non giunge sino all'abolizione della morte, come certi fiBiblioteca Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE losofi del secolo scorso), le teorie dei nostri anarchici scolorano. Sotto il sole v'è stato e vi sarà se1npre qualche anarchico o qualche socialista più audace di tutti gli audaci. Talora anzi v' ha chi crede di essere alla testa dell'esercito sociale, quanto più fantastichi cose per sè strane e impossibili, e poi gli studi o la riflessione o l'esperienza dimostrano la distanza che separa il suo solitario pensiero dai fecondi campi della realtà. Chi se ne sta lontano dalla terra, in alto, molto in alto, gitta i semi al vento e non n1iete 1nai. L'eterna poesia nera, co1ne la chiama Zola, eh' ebbe mistiche forn1e sul labbro de' profeti di Israello, che fu delineata con pennello d'artista dai due titani di cui più su ho parlato, prese aspetti e forme filosofiche col Deschamps, il quale fu già detto precursore del naturalismo darwiniano nel secolo xv111. In quel secolo era una ribellione contro il potere immane della regalità e contro tutte le catene e le reliquie del feudalismo. E, come sempre accade, si sognava tutt' altro. Si pensava: se la civiltà contiene tanta barbarie, se la società frutta tanti odii e vendette, meglio sia sciolto per sempre ogni legame sociale; meglio le albe de' giorni primitivi che questo sole il quale illumina tante iniquità! E allora, come già il Rousseau, Deschamps concepisce egli pure l'umanità organizzata senza veruna legge, senza veruno Stato, e la prevede felice nella continua pace, e tutta retta da costumi miti e soavi, come una novella età dell'oro, come l'Arcadia di Bernardino di Saint-Pierre. Ora io 1ni chiedo: con1e a quella età pervenire se vi hanno anarchici o anarchisti, i quali, ben più che la teoria, predicano l'azione. violenta, senza norma, anche se spaventi senza resultato, anche se uccida innocenti, anche se cerchi e voglia l'agguato e il tradimento, anche se gitti fra cit BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE tadini e fra popoli il tizzo della discordia e della reciproca guerra e maledizione? È una contraddizione enorme. Comprendo, per i partiti rinnovatori, gli inevitabili moti collettivi, anche se dolorosi, non altro, non più. Paolo Viberon nella Vie contemporaine dimostra che anarchico e anarchista sono sinonimi. Ciò ricordo in seguito a quanto ho scritto più sopra. Egli dice che dalla lor confusione hanno origine i falsi giudizi e criterii che ne danno oggi anche alti magistrati e politici e filosofi. L'anarchia, secondo lui, è lo stato d'animo generale d'una civiltà satura di beni materiali, che ciecamente crede nel progresso ·e, d'altronde, è abituata a tutte le licenze e agli arbitrii. L'anarchismo, invece, è l'ultima conseguenza, per gli spiriti deboli o alteri, della continua sovraeccitazione della facoltà di sperare e di godere, e infine la messa in opera di quella celebre frase del Beaurr1archais: « domani si raderà gratis » • Però queste definizioni non mi sembrano n1olto esatte. Risaliamo di nuovo ai maggiori anarchici. Pietro Kropotkine, difendendosi nel 1 883 innanzi alle Assise di Lione, disse: « Mi si rimproverò di essere il padre dell'anarchia. Troppo onore! Il padre dell'anarchia è l'immortale Proudhon che nel 1848 per la prima volta espose che cosa essa sia » • In omaggio all'esattezza, giova notare che il Proudhon ne parlò nel notissimo suo libro: Che cos'è la proprietà?, non nel 1848, ma nel 1840. Ma prima di lui, Max Stirner (Kaspar Schimdt) ne parlò nel suo libro: L'indz~viduo e la sua proprietà, così che alcuni chian1ano lui, lui solo, padre dell'anarchia. Eccone, in succinto, il pensiero. Biblioteca Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE Per Hegel l'uomo esiste in quanto è idea. Per Feuerbach in quanto è uomo, legato agli altri uomini. Per Stirner in quanto è io, cioè egli è principio e fine a sè stesso, creatore e creatura. L'io è tutto. Ecco il suo 1notto: « Io non ho nulla su me, nè fuor di n1e, nè in 1ne. L'io è dio » . L'umanità non esiste fuorchè nel cervello degli uon1ini. Nessun fantasma deve ingornbrarci la 111ente,nessun ideak. Punto di partenza e fine ultimo è l'io. Cos'è il buono, cos'è il cattivo?, egli continua, sono due parole senza senso per me. . . « La n1ia causa non è nè il divino, nè l'u1nano; non è nè il vero, nè il buono, nè il giusto ... è soltanto il 1niò... Per me non v'è nulla che sia al di sopra di me >>• Religione, Stato, legge, diritto, 111orale, famiglia, coscienza, sono tutti gioghi, tutti tiranni o padroni. La religione e il diritto dei borghesi, o anche il più puro ed alto concetto deistico o filosofico, sono spettri, e tutti noi siamo come gli eroi d'_On1ero eh' eran presi da sgomento vedendo un nume alla testa delle schiere nemiche. Chi ha la forza ha il diritto: ogni Stato è tirannico; ed ogni libertà meno1nata degenera in piena servitù. Però egli non è amor.fista, e dichiara che nessun io può esister da solo. Quindi ei predica le « società degli egoisti » , libere società ove ciascun io entra e resta, quando e quanto àò sia conforme a' suoi interessi. È un sistema egoistico per eccellenza, sì che Stirner, il quale se ne ride della virtù e del dovere, può appellarsi il teoretico del1' egois1no. Però non può negarsi che, 1nentre predica la lotta di classe, egli non abbia criticato e combattuto gagliarda1nente il sentimentalismo dei riformatori interessati e dei filantropi milionari. La salute, egli afferma, sta nelle forti BibliotecaGino Bianco

L~ RIVISTA POPOLARE prove, non negli appelli sterili alla magnanimità degli oppressori. E in ciò Stirner è pieno di nobile orgoglio. Egli combatte il comunismo, specialmente perchè abo·• lendo la proprietà individuale si forma, secondo lui, una. gran società di pezzenti. Sembra che per bocca di Stirner parli l'anima di un produttore di merci. A lui non piace lo Stato, perchè lo Stato non apprezza sufficientemente la sua proprietà. Ed egli la vuole tutta per sè la sua proprietà. Lo Stato è un i_ntruso fatale e tedioso, lo Stato che esige i tributi e le espropriazioni forzose l Abbasso lo Stato, egli grida, e viva la semplice e intera proprietà individuale ! Egli già tradusse G. B. Say e Sn1ith, e non fece che esagerare le idee dei liberisti, non fece che pronunziare l'ultima parola del!' individualismo borghese. Un merito egli ebbe: quello d'essere stato rigidamente logico. Dovrei parlare di Henry Seymour, di Pietro K.ropotkine e di un'importante opera di J. Le-Vagre, 1 direttore della Révolte, ma lo farò nel numero prossimo. Per quanto mai tenti di essere succinto, l'argomento porta via molto spazio. È però vero che oggi tutti ne parlano e cercano di averne cognizioni esatte, sì che non fa duopo dilungarsi intorno ad esso, per quanto sia opportuno. Vorrei poter riprodurre, come le lessi testè nei primi giornali francesi, le belle parole di Sebastiano Faure, assolto dalla giurìa parigina, le quali segnano una netta di- ' stinzione fra anarchici e anarchisti, e sono un'.aperta e franca condanna degli ultimi recenti delitti. 1 J. LE--VAGRE , La société au !endemain de la révolution. Parisj' 1894, BtbliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE « Io sono e fui estraneo, egli disse, ad ogni propa• ganda di fatto... io ho soltanto e sempre inspirato senti1nenti umanitarii . . . Si può essere repubblicani come Lafa·yette o repubblicani come Marat ... L'anarchia di Faure può essere tutta diversa da quella degli altri... Io penso che un mondo n1igliore può levarsi ed oppongo all'anarchia mercè l'odio l'anarchia 1nercè l'a1nore, e invece di tutto distruggere voglio tutto edificare ... Credete voi che un uon10 il quale ha tali idee possa in qualsiasi momento istigare al delitto?... Io non sono una tigre assetata di sangue, perchè piango quelli che piangono, e non ho mai predicata la violenza o fatta l'apologia del delitto ... Non sono settario, 1na apostolo di un'idea; ho visto un faro, e lo indico ; dico ad alta voce ciò che altri nel silenzio pensano ... Io credo che la natura non abbia creato nè tiranni nè schiavi, ma individui eguali in dritto ... La libertà, la santa libertà dev'essere scopo e fine di tutte cose >>• Il giornale Le Père Peinard, se fosse stato vivo, lo avrebbe deriso e condannato per citazione direttissima come un vile borghese. A. FRATTI. IL LATIFONDOE L'ON.BARAZZUOLI Affidati a lui, all'arido e stecchito consorte toscano, affidati a lui i problemi sociali. A lui le questioni spaventose e sante da sciogliersi, altrimenti la guerra civile bussa alle porte delle città e grida alla giustizia e alla vendetta. Ma l'on. Agonia se l'è cavata come un azzeccagar• bugli. Alcune parole sonore, che il primo vento autunnale Biblioteca Gino Bianco ...

LA RIVISTA POPOLARE porterà via come foglie secche per l'aria, e· una vaga pron1essa. Quando leggevo il suo discorso all'esordio, dissi fra me: per lui, per l'on. Agonia, tutto considerato non c'è male. Il n1oderato tenta di volare, si lancia su per l'erta e va. Ma poi, a mezza via, ecco le riserve, le solite riserve, peggio che guidaleschi alle gambe di un ronzino che va per una via ripida, sassosa, ignota, buia. Non v'è neppure un bagliore lunghesso il cammino della gran questione sociale, non un raggio nell'anima, se non si è arditi come ribelli e pensosi e studiosi come filosofi, se non si ha cuore, se sino dalla giovinezza i begli anni arridenti non si sono dedicati a studiarla. Venire, all'ultim'ora, dopo avere approvati mille e uno arbitrio almeno, è un sarcasma, è uno scherno. Venire ora a dirci che la risolverà l' on. Crispi l Il quale già anni fa osò dire di averla risolta, e in.altra epoca, credo elettorale, ne aveva parlato a Palermo come ne parlerebbe un economista dozzinale della vecchia scuola. Ma l'on. Agonia proseguì nelle sue riserve. Vedrete le leggi che ci darà il Ministero: il latifondo nelle isole disparirà. E qui, nell'Agro Romano? Agonia non ne parlò, ma ben s'intende. Tutto si rinnoverà, tutto. Si scioglierà la questione sociale, anche a vantaggio dei ricchi; egli poteva dire anzi a vantaggio dei ricchi. Te1neva l'·on. Agonia che i ricchi si lamentassero? Sarebbe stato egli un ingrato, egli che sempre dei ricchi ha difeso la causa... e le cause. Dunque, mentre i ministri lavorano e ponzano, si preparano le soluzioni della gran questione. I ministri studiano, le Commissioni tecniche vegliano, gli ispettori girano per la penisola. E noi, calunniatori, noi credevamo Biblioteca Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE che unico o primo pensiero del Governo fosse l'ampia applicazione della legge del sospetto, la quale, dopo la circolare Crispi e il regolamento, è divenuta la legge della libertà. La vecchia procedura penale è cosa rancida. Io ho gittato sotto il tavolo le opere di Nicola Nicolini e di tutti i commentatori. Dunque il latifondo sparirà. Non solo in Sicilia, onorevole Barazzuoli. Dovrebbe sparire qui nelle nostre campagne, nella I\1aren1ma, nel Pisano, dovunque. V' hanno possedi1nenti che prendono più di un grosso comune, e ai comunisti tutto è interdetto. E si condannano come ladri, anche chi coglie due ghiande o due fuscelli secchi, anche quelli che hanno sulle terre diritti storici imprescrittibili. Il male è da per tutto. Non bisogna essere riformatori solo per una plaga italiana. Il male, il danno, l'iniquità è da per tutto. Le proteste dei siciliani possono domani essere proteste generali, da un punto all'altro della bella penisola che non dà il pane necessario a' suoi lavoratori. Ma ora risorgono le grida dalla Sicilia. Hanno essi ragione quegli agricoltori? Nella mia biblioteca serbo religiosamente il lavoro dell'on. Sonnino sulla Sicilia. So da quell'opera che l'immensa maggioranza di quelle terre è in mano dei grossi proprietari. In certi comuni, 10,000 salme appartengono a principi e conti e baroni, e 2 oo o 300 ai lavoratori. Le conseguenze dei latifondi sono gravi, tristi, funeste. Basterebbe vedere in volto quegli agricoltori, e interrogarli, e assistere al loro desco che è peggio di quello dei cani. · Il latifondo genera il gabelloto, di cui si è tanto parlato, come intermediario fatale fra i padroni e gli agricoltori. Biblioteca Gino Bianco

L.A RIVISTA POPOLARE Il latifondo produce poco. Il gran proprietario non ha necessità di (ar miglioramenti nelle proprie terre. Il latifondo costringe i contadini a star lontani dalla terr~, onde con~un10 di forze, o pure, se l'agricoltore dorn1e all'aperto, febbri intermittenti; onde più facile l'abigeato nelle campagne. E questi ed altri ancora sono gli effetti maledetti del latifondo. Un'aristocrazia lontana dalle terre, che possiede e non conosce; manipoli di fittabili speculanti sull'altrui miseria; e uno squallido esercito di poveri coloni, ecco l'organizzazione sociale delle t½rre ov' è il latifondo. Si dice che v'è sen1pre stato, e eh' è fatale che vi sia. Fatale? Per la comune inerzia, per l'egoismo di pochi. Presso le città sicule, ove si coltiva con altri sistemi, l'agricoltura verdeggia e fiorisce ridente e feconda. Con altri sistemi altri popoli hanno reso fertili le più deserte e aride piaggie. Bisogna toglier via le cause sociali. Ma non le toglierà l'on. Barazzuoli. Le toglierà soltanto l'energia e la costanza di un popolo, le toglierà l'ineluttabile necessità delle cose. La legge proposta sarà ridotta, mutata, potata. Ma rinascerà sotto altre forme, in altri mo1nenti, più precisa e più radicale, alla luce. Non s'ingannano i popoli a _lungo. Essi la vorranno una diversa legge : la legge delle leggi sovra tutto preparino. E fidino in sè. Fidino in sè, se anche Crispi fosse Solone o Licurgo, e se Agonia fosse Caio Gracco o Marx. STENIO. * BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE IL SECONDPOELLEGRINAGGDIODANTE (Continuazione e fine, vedi n. precedente). Dante si pose a leggerlo, e quando fu ad un certo punto .esclamò : - No, io non lo conosceva; e il peggio è che qui non mi ci raccapezzo .nemmeno. - Come? non si raccapezza sui metodi? Ma se sono la parte piLl importante dell'insegnamento! Bisogna bene che lei spieghi in che consiste il metodo sillabico puro, il sillabico misto, il fonico puro, il fonico sillabico, l'eclettico ... - Per carità, direttore - interruppe Dante - ma che cosa mi dice? Io non ne so nulla di cotesti metodi. Io ne conosco uno solo. Quale? - Quello col quale ho imparato a leggere io. - Va bene - rispose asciutto asciutto il direttore - vada pure m classe, e ne riparleremo. Messer Dante andò per far lezione; ma non ci fu verso: le alunne gli avevano dichiarato guerra. Fecero tanto brusìo che dovette prendere il cappello e venir via per non lasciarsi scappare qualche insolenza. Il giorno. dopo fu invitato a presentarsi nell'ufficio d'un ispettor centrale alla Minerva, e messer Dank ci andò. L'ispettore non c'era, ma aveva incaricato di far le sue veci un individuo fra l'impiegato d'ordine e l'impiegato di concetto, il quale disse al divino poeta : Senta, signor professore ... - Io non sono professore: sono maestro. - Allora senta, maestro: ella - ne sarà ormai convinto - non è fatto per l'insegnamento. Il commendatore m'incarica dunque di dirle che prima di farsi destituire dia le sue dimissioni. - Sì, le do, le do subito - rispose concitato messer Dante - non ne voglio più sapere di questo vuoto insegnamento. ' - E proprio quello che le resta da fare. Però il commendatore che ha della benevolenza per lei ... - ·Anche lui! - mormorò Dante . • . . m' incarica d'offrirle un posto d'ispettore scolastico. - D'ispettore? E che deve far l'ispettore scolastico? BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE Scusi, ma è di Beozia lei? Lei sarà di Beozia - urlò messer Dante battendo il pugno. Abbia pazienza; ma è marchiana questa di non sapere in che consiste l'ufficio d' ispettore scolastico. Ebbene, non lo so. - L'ispettore ha l'obbligo di sorvegliare le scuole elementari per vedere se i maestri fanno il loro dovere, se adoperano il metodo buono ... . - Eccoci al metodo! Dunque io dovrei vigilare sugli altri maestri, perchè insegnino bene? - Appunto: e correggerli se fanno male. - Ma se non son buono io a insegnare, come potrò correggere gli altri? Ma sa che è d'un' ingenuità preadamitica! Ah, sì, sono ingenuo, io? Sicuro! Che importa che gl' ispettori non sappiano insegnare? O che devon farla loro la scuola ai ragazzi ? Ma devono èorreggere il maestro ! Correggere. . . mio Dio! non la prenda alla lettera. Basta che l'ispettore dica: questo va, quest'altro non va. Poi ci pensa il maestro a trovar la buona strada. Quello che è necessario, anzi indispensabile, è un po' di gravità, un po' di serietà, almeno apparente .. ·. Insomma vuole accettare l'ufficio d'ispettore scolastico? E dove mi mandano ? A Lucca. A Lucca? - Messer Dante sorrise, come se gli tornasse alla mente un dolce ricordo, e rispose: Accetto. Tre giorni dopo il divino poeta, ispettore scolastico circondariale, passeggiava per il Fillungo come un lucchese di Lucca ed osservava con qualche insistenza le donne che passavano, sperando di trovare in alcuna di esse qualche somiglianza di Gentucca. Domandò anzi ad una guardia di città se v'erano discendenti di quella gentildonna, ma gli fu risposto che solamente Bonturo aveva lasciato una numero.sa discendenza, la quale s'era sparsa per tutta l'Italia. Dante sospirò e continuò la sua passeggiata. Il giorno dopo di buon mattino andò in vettura a far.la sua prima ispezione in un paesotto tre ·o quattro miglia di là dal Serchio verso Frégionaia. La scuola era una catapecchia a uscio e tetto che faceva venir freddo solamente a guardarla. 1 BjbliçJtecaGino 1anco

49 2 LA RIVISTA POPOLARE :Messer Dante st fece coraggio ed entrò; ma dovè portarsi la mano al naso per difenderlo da un gran puzzo di tanfo. Cinquanta ragazzi sudici e sorandellati stavano pigiati m quella stamberga che avrebbe potuto bastare alla metà di essi. Le mura umide e scortecciate, il soffitto spiovente nero come quello di un metato, il pavimento un immondezzaio da stabbiolo. Nessuna carta, nessun oggetto scolastico; solamente un Volto santo di gesso, nero come un calabrone, pendeva minaccioso dalla parete, sul mondo capo del povero maestro che s'era per riverenza all'ispettore alzato in piedi. Messer Dante lo fece cortesemente sedere, gli si fece accanto, e gli domandò: A che siamo) Il maestro senza rispondere verbo prese un foglio stampato, glie lo spiegò dinanzi, e disse, mettendo il dito in un punto: Son qui. Dante lo guardò come chi non capisce. - Son qui col programma - ripetè il maestro. - Ah col programma! Anche lui ci ha il programma - mormorò Dante - e gli scappò fra i denti un'imprecazione delle sue. Poi, rivolgendosi con sorriso di benevolenza compassionevole al povero insegnante, disse: - Io non mi occupo del programma; mi dica piuttosto: studiano? - Eh.. . studierebbero; ma, che vuole? la maggior parte non hanno mezzi per comprarsi 1 libri e i quaderni. Dante scosse il capo. - E frequentano la scuola? - Eh ... la frequenterebbero; ma, che vuole? la maggior parte non hannò scarpe, non hanno da coprirsi specialmente l'inverno. Dante cominciò a battere il tac~o forte forte sulla predella del banco. - E sono disciplinati? - Eh ... sarebbero; ma, come vede, non ci sono posti abbastanza per iscrivere e, naturalmente, si dànno noia l'uno con l'altro, e fanno un po' dì baccano. Dante s'alzò con un diavolo per capello: - Ma che mi mandano a far l' ispezione? ci vuol altro che ispezioni ! Anderò io dal vostro sindaco, e mi sentirà. Ella intanto faccia quello che può. - E scappò via che pareva una furia, dimentico quella volta della promessa fatta al Signore. Entrato nell'ufficio del sindaco gli disse ex abrupto e concitato che quella scuola era una vera indecenza e che provvedesse altrimenti ... Il sindaco lo ascoltò con un risolino ironico, e quando Dante s1 tacque con la minacciosa reticenza, gli rispose: - Si vede, caro ispetBibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 493 tore, che lei comincia ora la sua carriera: si vede dal suo zelo , ma sappia che noi non intendiamo di spendere un centesimo di più nè per quella nè per altre scuole, perchè il nostro bilancio non ce lo permette. - Ma il municipio è obbligato per legge ... - La legge obbliga anche chi ha dei debiti a pagarli; ma se quattrini non ci sono? - Ebbene glie li farò trovar io quattrini - esclamò messer Dante - glie li farò trovar io! - E s'alzò per andarsene. Il sindaco lo accompagnò fino alla porta col suo sorriso ,ironico ripetendo: - Bene ! bravo! ce li faccia trovar lei i quattrini. Non s' avrebbe altro di bisogno. Due giorni dopo il R. provveditore, appena uscito dall'ufficio del prefetto, mandò a chiamare messer Dante e gli disse : - Vi devo dare una spiacevole notizia; ma forse la lezione vi gioverà. Il ministro della pubblica istruzione v1 ha traslocato a Cagliari. - A Cagliari! E perchè? Perchè voi non sapete trattare con le autorità. Vi par conveniente dire a un· sindaco: Lei faccia questo, lei faccia quest'altro? Ma io ho parlato in nome della legge ... Ma che legge <l' Egitto! Siete un pedante. Io un pedante? Sì, voi... e ricordatevi che v1 trovate dinanzi ad un vostro superiore immediato. Dante si morse il labbro disotto che aveva un po' sporgente, e mormorò: - Signore, che ·ho fatto mai perchè tu m'imponessi tanto supplizio? E il R. provveditore a continuare turgido e impettito: - Procurate di far tesoro per l'avvenire di ciò che vi dico, e ringraziatemi. Se le autorità municipali non fanno il loro dovere in quanto riguarda le scuole, si prega, si torna a pregare e sempre cortesemente, umilmente; se poi si vede che non si ottiene nulla, si chiude un occhio, e si lascia andar l'acqua per la china. Capirete che il deputato del collegio ha bisogno del prefetto, il prefetto ha bisogno dei sindaci, e non se la sente davvero di disgustarsi con loro per l' esigenze d'un ispettore scolastico qualunque. Ah esigenze ? Sicuro! ... Dunque avete capito? In Sardegna ... Aspetti un momento - interruppe messer Dante. - Si avBibltotecaGino Bianco

494 LA RIVISTA POPOLARE vicinò al calendario che stava appeso ad una parete, e contare aiutandosi con le dita. Poi si volse di scatto al ditore, e gli disse: - Sono appunto quaranta oggi. · L'altro non capiva. . . ' commc10 a R. provve- - Sono quaranta, proprio quaranta. Ho finito il mio secondo pellegrinaggio pit1 doloroso del prim·o. Questa è la risposta che dò. Mi dispiace che ormai l'Inferno l'ho scritto - E se ne andò via con l'ali ai piedi. Il R. provveditore restò li in asso, convinto d'averla avuta a fare con un pazzo. Dante invece corse a prendere la sua valigia, e in quattro e quattr' otto fu lassì1. Il Signore l'aspettava sorridente sulla porta del paradiso. Appena vide da lontano il divino poeta, gli corse incontro sorridente, l'abbracciò, lo baciò, e gli disse : - Dunque che te ne pare del mondo dopo quasi secent'anni di progresso? - Non me ne parlare, Signore, cbè la bile ancora mi soffoca ... lVIi dici piuttosto perchè ti saltò in capo di rimandarmi laggiù altri quaranta giorni? - Ecco, ti dirò: e' è tanta confusione oggi in quel mondo benedetto che, in parola d'onore, mi trovavo imbarazzato a giudicare se veramente è meglio o peggio di quello che era a tempo tuo. Cento, mille volt~ peggio! - Ma il progresso delle scienze ... - Sì, il progresso delle scienze è quello che inganna, e non ti lascia vedere nudamente lo stato morale che è pessimo. Te lo dico io, e quando te l'ho detto io ... - È per questo che ho mandato te. Ora che 'me ne sono fatto, tua mercè, un giusto concetto, posso operare con più sicurezza. Sicchè non ci torneresti ? - Signore, ti parlo sul serio: farei piuttosto un altro viaggio al1' inferno. Almeno all'inferno mi accompagnerebbe di nuovo Virgilio. Il Signore sorrise, lo prese affettuosamente a braccetto, e se ne andarono tutti e due a passeggiare pei cieli. F. ORSI. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 495 LELETTEREINEDITEDEIFRATELLIBANDIERA 1 Tra i martiri della indipendenza italiana - meglio detto che non della libertà - Attilio ed Emilio Bandiera spiccano circonfusi di maggior gloria. Essi, giovani e ricchi, cui tutti la fortuna prometteva i suoi favori, abbandonano agiatezza e ogni cosa e persona più c~rarnente diletta, e, prese le aspre e dubbie vie dell' esilio, vanno ad offrire alla patria la giovinezza loro, senza un disegno determinato nella mente, ma con una fede grande in cuore, una fede da apostoli e da martiri. Figli di un ufficiale dell' Austria, e soldati dell' Austria essi pure, si fanno disertori, perchè odiano l'Austria che tiene schiava la patria loro, e, ai primi moti di ribellione contro la mala signoria, vanno essi pure a combattere, se più esatto non sarebbe dire a farsi ammazzare. Sentendo da Corfù, dove si erano rifugiati, che la Calabria tumultuava, e sperando che quei tumulti fossero la poca favilla cui tien dietro gran .fiamtna, si uniscono con altri diciotto esuli e partono per l'Italia. Prima di partire scrivono a Giuseppe Ricciardi: « Stiamo per iscendere in Calabria. Nostre nuove le avrete dai giornali. Chiamate gl' italiani ad imitare l' esempio e profittate dell' occasione ». Ed a Giuseppe Mazzini, maestro loro e degli italiani tutti nel culto della libertà: « Se soccombiamo, dite ai nostri concittadini che imi tino l'esempio, poichè la vita ci venne data per utilmente e nobilmente impiegarla ». Gli eroi di Plutarco non avrebbero parlato meglio. Partono, e, giunti in Calabria dopo quattro giorni di viaggio, s' incontrano subito coi soldati del Borbone. Sono sopraffatti e arrestati. Si disse e si dice pur oggi che un solo compagno, il corso Boccheciampe, 'li tradì; ma un ufiìciale borbonico, in un opuscolo: Narrazi'one sugli avvenimenti dei fratelli Bandiera, dato alle stampe nel I 848, nega il tradimento, asserendo che il Boccheciampe si allontanò dai compagni, appena giunti in Calabria, per dimandare aiuti a Cotrone. Se si potesse chiarire la cosa, sarebbe un gran bene; se si potesse dire· con sicurezza che quel Boccheciampe non fu un traditore, s~rebbe una grande consolazione. per ogni cuore italiano. 1 Lettere inedite dei fratelli Bandiera, pubblicate da Francesco Guardione. • Catania, Giannotta, 1894. Biblioteqa Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE Una comm1ss1one militare fu destinata a giudicare i Bandiera e 1 loro compagni; e il giudizio fu di morte per tutti, tranne che pel Boccheciampe, non avendo egli preso parte al combattimento contro i borbonici. Egli fu condannato a cinque anni di carcere. La sentenza di morte venne eseguita per Attilio ed Emilio Bandiera, Domenico Moro di Venezia, iccola Ricciotti di Frosinone, Domenico Lupatelli di Perugia, Iacopo Rocca di Lugo, Giovanni Venerucci di Forlì, Francesco Berti di Ravenna, Anacarsi Nardi di Modena, e, latin sangue gentile >>. Se occorre dirlo, morirono da eroi. « Tirate senza paura, che siamo soldati anche noi » disse il Ricciotti ai borbonici, e al grido di ,e Viva l'Italia! » caddero tutti. Intorno ai Bandiera e ai loro compagni di martirio abbiamo varie pubblicazioni, e del Mazzini, lo storico che fosse più degno di loro, e del Ricciardi, e del Vannucci, e di altri. A quelle pubblicazioni se n'è aggiunta ora una nuova, a cura del signor Francesco Guardione, la quale contiene una narrazione dei fatti e varie lettere inedite dei due fratelli, possedute dalla signora Annina Villari Del Giudice, dal cav. Isidoro Del Giudice e dal signor Raffaele Del Giudice. In verità, di questa nuova pubblicazione se ne poteva fare anche a meno, senza che i martiri di Cosenza ne venissero menomamente a soffrire, inc1uantochè essa non getta nuova luce sugli avvenimenti e sulle persone che in essi ebbero parte, non ci ritrae nella loro interezza nè gli uni, nè le altre, non aggiunge nulla a quanto si sapeva, e, nel suo insieme, non ha importanza nè storica, nè biografica, nè psichica, nè, se occorre dirlo, letteraria. Mi dispiace dare di questa pubblicazione un giudizio così severo, ma l'imparzialità e l'onestà di critico mi ci costringono. Nei e, preliminari » il signor Guardione dice assai meno di quello che dissero dei Bandiera e degli altri il Mazzini, il Ricciardi, il Vannucci; e lo dice in una forma che, nella sua gonfiezza, non poteva essere piìt inelegante. Basteranno due saggi del modo di scrivere del signor Guardione: « Vieppiìi cadendo i generosi, ha trionfo l'Idea, e domina gl' Italiani d'ogni luogo, anche coloro_che, per condizioni cospicue, avrebbero potuto obliarla, e i paterni consigli avevano avuto non poca turpezza ». ,, Gli storici narrarono di loro, dissero con flebili parole dello intrepido carattere e del massacro di Cosenza, ma a niuno di essi fu dato sapere pienamente quali nobili intenzioni albergarono ne' petti loro prima che fossero uccisi: non udirono i sensi gentili e forti, di che furon compresi que' due prodi ». BibliotecaGino Bianco

~A RIVISTA POPOLARE 497 Ma veniamo alle lettere. Esse sono dodici di Attilio e otto di Emilio: segue poi una lettera della sorella dei Bandiera alla madre. Ahimè! pitt insignificanti e più inconcludenti non potevano ess.ere queste lettere, tranne una di Attilio alla madre, da Corfù, senza data, e una di Emilio, al padre, con la data << Corfù., I 7 aprile I 844 ». Queste due lettere sono veramente « due gemme di eloquenza politica e tali da mettersi a paro colle piì1 rare che vanti la storia del martiri'o politico » come scrive il signor Guardione. Ma le altre lettere non servono nientaffatto nè a farci conoscere nè a farci amare di più i due eroici fratelli. Sono lettere male scritte, alcune, anzi, sgrammaticate, che parlano di cose comunissime, che non ci dicono . nulla di veramente importante. I due fratelli scrivono alla madre che stanno bene, che sono arrivati felicemente in questo o in quel luogo, che hanno ricevuto i denari di casa, che aspettano la biancheria o che altro, e finiscono salutando, oltre la mamma, il babbo, la nonna, lo zio e la zia, eccetera, eccetera. Io mi sono studiato di trovare in queste lettere qualche cosa di meno ovvio, ed ecco tutto que~lo che, non senza fatica, ho potuto trovarvi. Attilio, da Poveglia, in data 26 aprile 1832, scrive alla madre: << Non si dimentichi di vValter-Scott », le quali parole possono dirci qualche cosa intorno ai gusti letterari di lui. Lo stesso, in una lettera senza data, seri ve al fratello Emilio: << Ti raccomando il tuo amor proprio: cerca di appagare i tuoi superiori e di farti amare dai tuoi camerati. Sono queste le due basi su cui si appoggia la buona nomina di un militare. Senza esser troppo condiscendente, non esser per altro irragionevolmente ostinato ». Si vede, da queste parole, che il fiore della ribellione non era per anche sbocciato nell'animo di Attilio. Nella stessa lettera troviamo questo consiglio che è saggio: << Cerca per quanto è possibile nella tua età di pensare sempre prima di operare ». In data 6 gennaio I 844 scrive lo stesso Attilio al fratello: << Pregoti di spedirmi il trattato (in originale inglese) di Navigazione cli Moore. Serve desso per approfondare certe mie investigazioni di cui avrei bisogno per compilare un articoletto da inserirsi ne giornale di Tycerott contro la esclusiva idolatria che da taluni dei nostri .si professa per Hezout ». Questo passo ci dice qualche cosa degli studi del· giovane, e potrebbe avere una importanza, sebbene lieve, per chi si ponesse a scrivere la vita di lui. Non moltq di più ho trovato nelle lettere di Emilio. Da Corfù, in data 22 marzo I 844, scrive alla madre: « Il papà, che non ne riBibliotecaGino Sian$:

LA RIVISTA POPOLARE conoscerà più per figli, non vorrà certamente soccorrerci, ed io non voglio disgustarlo. Troppi ho torti con lui perchè debba aggiungerne altri; la sua volontà mi sarà sempre legge, ben inteso fino a tanto che non si opporrà a ciò che io calcolo santissimi doveri ». Alla stessa scrive, in data dell' 8 giugno successivo: « Noi abbiamo fatto il nostro dovere. Sono vili quei dispregiati italiani cl1e baciano la mano straniera che gronda sangue italiano; quelli che peggiori del carnefice soccorrono l'oppressore e dilaniano la terra che ebbe la sventura di produrli; quelli che sui mali della patria e sulle sue vergogne scherzano e tripudiano; ma noi abbiamo con tutte le nostre forze procur~to di elevarci liberi e forti da schiavi ed oppressi; noi, dato uno sguardo all'Italia e ritrattalo lacrimoso dallo averne considerate le somme sventure, abbiamo giurato sacrificare ogni onorata cosa, e la vita se ne va d'uopo, per ritornare la benedetta nostra patria a quel seggio di libertà e di gloria per come a sua creatura prediletta Iddio quaggiù la destinava ». Indi trascrisse per la madre una lettera indirizzatagli da Giuseppe Mazzini, sperando che « il plauso che dai buoni ottiene suo figlio giunga a confortarla ». In data dell' I I dello stesso mese scrive, pur sempre alla madre, da Corfù: « L'insurrezione italiana cominciò. Noi corriamo a prendervi parte. Non si sgomenti, Iddio ci proteggerà. Ci rivedremo. Due vie mi erano aperte per giungere fra le sue braccia; quella dell'infamia, col dimanclar perdono, e quella generosa di scacciare d'Italia l'Austriaco. t difficile, perigliosa quest'ultima; ma noi la seguiremo; la seguiremo invocando Icldio Santissimo a Protettore ». Questa è l'ultima lettera cli Emilio compresa nel volume, e dev'essere anche l'ultima che scrisse alla madre. I passi riferiti sono quanto di meglio è contenuto nelle lettere di Attilio e di Emilio Bandiera, tranne le clue ricordate a parte, belle veramente. In quella di Attilio alla madre, 1' eroico giovane difende calorosamente l' operato suo e del fratello. Della loro diserzione scrive: « Per servire umanità e patria abbiamo dovuto sacrificare il nostro affetto di famiglia; ma, quantunque obbligatorio, pure noi a questo sacrificio ci convenne sottostare sforzati e non volontari. Pensammo generosamente ed il tradimento venne a colpirci, altra risorsa non· ci rimaneva che la fuga, e noi l'abbiamo eseguita, perchè la voce dell'individuo, della patria, della ragione e quella istessa delia famiglia ce lo imponeva, e difatti tu stessa e nostro padre ... preferito avreste di saperci ad ogni BibliotecaGino Bianco

.LA RIVISTA POPOLARE 499 istante minacciati di prigionia e di supplizi, oppure esuli come presentemente ci troviamo ? » Contro l' accusa d' ingratitudine verso l'Austria, così si difende: « Se l'Austria trattò bene nostro padre, ella non fece che ricompensare i suoi lunghi ed importanti servigi; ma noi perciò non eravamo legati a nessun obbligo, chè la indipendenza del pensiero non può esser mai legalmente nè comprata, nè impedita, e poi la gratitudine, l'affetto filiale, hanno, come tutt'altra cosa, un confine, e per adorare nostro padre non perciò intendemmo mai di disconoscere per esso i nostri più sacrosanti doveri ». Alla proposta di chieder perdono all'Austria, fieramente risponde: « E come puoi tu consigliarmi di accettare il perdono dell'Austria e di rimpatriare? tu devi aver dato bando ad ogni raziocinio per consigliarci simile pazza viltà; oppure sarà vero che sino all'ultima favilla in te si estinse quel1' amore che così incommensurato ci portavi? Il perdono dell'Austria! Oh va ad interrogare il famoso Spielberg, e le carceri più infami che stanno sotto gl' impaludamenti dei fiumi dei paesi ungar.esi, e dove a lettere luminosissime star dovrebbero scolpite le parole: Clemenza imperiale. La lealtà del Governo? e quando egli la ebbe? quello che non arrossì di tradire Napoleone, Riga, Ipsilanti, si arretrerebbe adesso avanti allo scrupolo di far cadere due teste, se non senza fama però sempre senza potenza? » Dal canto suo, Emilio scrive al padre: << Signore, una carriera opposta percorremmo'; la percorremmo, oso dirlo, con la stessa devozione, con la stessa nobiltà. La vostra era quella che rifulgeva del prestigio della potenza, e voi l'onoraste, e la vostra probità, l'elevatezza del vostro operare giunsero anche a mettere in dubbio se da quella parte non fosse la giustizia: la mia era quella dell'Italia, d'una patria caduta, desolata, avvilita. Dai primi anni mi commosse 19 spet-- tacolo di così grande sventura; crebbi e gettai lo sguardo sui suoi ·nemici, e gli odiai perchè tormentavano tanto, perchè sogghignavano sulla lor vitti~na d'un sorriso infernale. E guardai le armi che adoperavano a piagarla e le conobbi inique e sacrileghe; e considerai diritto e dovere ritorcere le· frodi e le violenze sugl' infami maestri, e, soldato austriaco per caso, cospirai, a venti anni cospirai. Feci fin d' allora un patto con la morte ; rinunziai ad ogni dolcezza, predominai ogni affezione, e adesso caduto, profugo, perseguitato, ma forte della coscienza di aver fatto;ciò che doveva, non chino la fronte, la sollevo verso Dio Giudice Sommo•· di Giustizia e Possanza ». Senza dubbio, è questo un. esempio magnifico di eloquenza'. patriottica. E I Bibti9tèca _GinoBiancQ

500 LA RIVISTA POPOLA RE commoventissimo è quest'altro luogo, anche per il suo signihcato profetico: « Padre mio, una grazia; sarà l'ultima e dopo questa voi non udrete più nulla di me; non vi chiederò piì1 mai soccorso, consiglio o compassione. Cna grazia, padre mio. La miseria, gli stenti, gli affanni, i pericoli, mi condurranno prestissimo ad una morte prematura e violenta. Credetemi che in quel supremo momento, in cui varcherò il ponte che mena là dove dovranno tacere gli odii ed i risentimenti, concedetemi, padre mio, prendendomi la vostra benedizione. Oh siate misericordioso! non condannate a morire disperato un figlio che sul suo letto di dolori e di miseria non vedrà forse che una mano mercenaria e straniera, ansiosa di chiudergli gli occhi. Se voi me l' accordate questa grazia, Iddio ve la conterà e ve la retribuirà per me che ho perduto tutto quanto. E salito io dinanzi a Lui a ricevere il premio di tante tribolazioni, gli dirò: - Signore, proteggete i miei genitori, è compensate con la loro felicità i tristi giorni che mi avete fatto passare nel mondo. Oh, padre mio, fatemi giungere codesto assenso, fate eh' io sappia che almeno in morte mi rimane a gustare una dolcezza ». Questo luogo ci dice anche della grande fede in Dio, in Dio cc Giudice sommo di Giustizia », in Dio protettore dell' Italia, che animava l'eroico petto di Emilio Bandiera. Oh, questi nostri martiri come erano credenti! Se tutte le lettere del volume avessero la importanza di queste due, il signor Guardiane, nel pubblicarle, si sarebbe reso grandemente benemerito della storia e del patriottismo. Ma abbiamo veduto, invece, come le altre lettere contengano pochissimo cli buono. Questo dico riguardo alla storia più che non al patriottismo, inquantochè esse, essendo lettere di martiri nostri, hanno pur sempre, come tali, un valore, un valore patriottico, non altro che patriottico. Custodite in un museo nazionale, esse sarebbero dagli italiani riguardate con un senso di religiosa ammirazione ; affidate alle st:m1pe, impallidiscono, perdono il loro profumo, diventano cose nulle. Solo_ le due lettere eccezionali dovevano esser pubblicate e diffuse nelle scuole d'Italia, perchè con esse soltanto va l'anima di Attilio e di Emilio Bandiera. G. STIAVELLI. I BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 501 LA POESIANELLACINAE NELGIAPPONE Pare che l'ufficio della poesia nella Cina sia quello di moderare l'ardore patriottico. Così oggi, come in antico. Nella raccolta 'del Chi-I(ing (libro dei versi), prezioso documento dell'inerzia orientale, vi sono meste canzoni intorno al così detto « nobile mestiere dell'armi ». Il soldato in esse si lagna d'esser lontano dalla casa paterna. Egli va, solo, per le aride montagne, e non riposa mai. La mamma lo chiama; essa gli chiede di ritornare. E il soldato ha nell'anima la nostalgia della casa paterna. Nulla di meno marziale che questo Canto del soldato. Il Letourneau dice che non può convenire altro che a un popolo vecchio, senza illusione alcuna. La poesia resta cristallizzata colà, come lo Stato, come la grande monarchia accentratrice che schiaccia la vita della nazione cinese. È poes1a che non vola alto ; poesia scolorita, fiacca, scettica, sterile; un lirismo piano che abu~a della descrizione e non esprime che sentimenti mediocri. Li-Tai-Pè, poeta classico che visse durante la dinastia dei Thang, canta la vita come fuggevole lampo. « Se la vita è un gran sogno, a che tormentarci l'esistenza? Per me, mi ubbriaco ogni giorno ». Il celebre Thou-Ton, nel canto La partenza dei soldati, li compiange, protesta nobilmente contro l'imperatore che progetta conquiste, parla commosso della miseria della patria abbandonata dai lavoratori piì1 gagliardi, condanna la guerra... ,, La vita di un uomo non ha maggior valore di quella dei polli e dei cani ». Descrive i gemiti strazianti delle anime dei trucidati, in mezzo agli urli, al vento, maledicenti alle stragi e alle prepotenze. In altra poesia una madre si lagna che le hanno preso alla leva tre figli che sono morti tutti e tre sul campo. cc Resto sola, ella grida, ho ancora un figlio di mio figlio, eh~ sugge il latte dal seno della madre. Quello non me lo prenderete ! » Than-Sit paragona la guerra a una megera sdentata e fetida che con la scopa gitta le anime dei soldati negli abissi del demonio. LingLing dice che il soldato è un asino a due gambe. Dopo ciò, dopo che i poeti deridon la guerra, non si può pretendere per la guerra entusiasmo ed ardore in un popolo. BibliotecaGino 8janco.

502 LA- RIVISTA POPOLARE Però, di recente, nel naufragio del trasporto Howsking e nei vari combattimenti navali, i cinesi dimostrarono grande coraggio. Forse hanno pensato la sorte orribile che sarebbe loro toccata se fossero caduti in mano ai giapponesi. Meglio, avranno detto, morire da noi e andare a godere la nostra porzione di paradiso di Budda, che essere scuoiati da chi talora a nostra volta abbiamo scuoiato ed arso lentamente, per cupa voluttà di vendetta. * * * Nel Giappone regna dovunque e da per tutto la poesia: si fanno versi per le nascite, per le morti, per i matrimoni, per tutte le gioie e per tutti i lutti. La metafora e l'iperbole signoreggiano. Non si dice « una parola dell'imperatore », ma « una parola del Leone » o « del Drago ». Oggi la poesia giapponese è nel massimo splendore. Il poeta non cerca l'interesse e pensa su tutto alla propria sodisfazione personale. Cerca l'isolamento, studia le bellezze delia natura, tesse idillii di fattura delicatissima. Essa per i giapponesi è la gran consolatrice dei dolori e delle sciagure umane. Anche i più umili contadini la ricercano; anche i cuori più duri ne sono domati. Pure i giapponesi sono epicurei, cercano le belle donne e il Luon vino, e cantano. Poco curano la scienza, molto la natura, I preti sono come i poeti. Un povero prete, che fu amabile filosofo, certo Ithikiy, si crede felice come i re della terra, e canta così: « Io non sapevo ove era il paradiso. Esso è sotto la porta ornata di foglie d'abete, sott,) la porta di Matm·oka (nome di un mercante di vino) ». I tiranni avversarono la poesia, e condannarono a morte i poeti. Ma i poeti giapponesi ebbero ed hanno una potenza indefinibile sul popolo. Essi pure pensano vagamente ad una alleanza generale fra gli uomini e alla fine delle conquiste. E amano la loro terra con entusiastico ardore. Il celebre poeta Motoori-N orinaga in uno dei suoi sublimi poemi ha detto: « Se si chiede la descrizione del gran cuore di Yamato (il Giappone), convien rispondere: « egli è un bel ciliego della montagna che spande i profumi suoi sotto i raggi di un sole meraviglioso ». Cantano sempre imaginosamente la loro terra, e intimamente l'amano, ammirando e adorando. IL RAPSODO. BibliotecaGinoBianco

' LA RIVISTA POPOLARE LE RIVISTE Nella Revue des Revues v'è sulle Riviste uno studio importantissimo. Le riviste inglesi, ricche e serie, cominciano ad entrare nel dominio della leggenda. La grave Qua'rterly Review è ancora viva, e così anche l' Edimburgh Review, ma il numero dei loro lettori è notevolmente scemato. Così è avvenuto delle altre principali riviste inglesi: Fortn~ghtly, Nineteenth, Contemporary, Westminster, National. La piì1 diffusa d~lle riviste inglesi, la ·Nineteenth, ha una tiratura di I 2,000 copie. La Fortnightly e la Contemporary, che tengono dietro, hanno uno- smercio assai meno rilevante. Eccettuata la Fortnightly, che ha il caratter~ deciso di una rivista radicale e pressochè atea, tutte le altre servono di. rifugio alle idee del momento. Il nome dello scrittore è la cosa essenziale; il contenuto dell'articolo è l'ultimo . . pensiero. Sono i magazines che uccidono le riviste. Il magazine inglese è un giornale mensile in-8°, senza politica, con molte illustrazioni, che ~i vende ad incredibile buon prezzo. La leggerezza degli articoli ivi pubblicati, la loro scelta accurata, le novelle scritte da romanzieri alla moda sono altrettanti elèmenti di successo. La diffusione di questi magazines è prodigiosa. Lo Strand, la cui vita non supera i due o tre anni, è arrivato già alla tiratura di 300,000 esemplari. Viene in seguito Idler e una dozzina di altri magazines più o meno vuotr e cattivi. La Revie'?,V of Reviews è in una condizione particolare. Accanto a riassunti dei migliori articoli pubblicati dalle altre riviste, essa ci . reca .una serie di conce'zioni originali, dovute sopratutto al _talento del suo direttore, lo Stead, uno dei più valorosi giornalisti del tempo. Sono, per 10 più, case editrici di Londra che concentrano :nelle loro mani la pubblicazione delle reviews. e dei magazines, pei quali occorrono grandi capitali e mezzi straordinari, inauditi di réclame. Le ri- • viste inglesi, come qqelle americane, non vivono che per la vendita a numero. L'abbonamento diventa un fatto rarissimo, e alcune riviste . omettono addirittura di stabilirne il prezzo. . , Anche in America i magazt'nes ucciçlono le riviste. Non vi è più che la grave ed ammirabile North American Review che abbia poSibli0teca'G~noBianco

LA RIVISTA POPOLARE luto conservare il suo antico successo e prestigio. Il Forum ha dovuto diminuire della metà il suo prezzo, e l'Arena si è gettata nel mondo dei miracoli e specula sulla credulità de' suoi lettori. I magazines americani sono però cli assai superiori a quelli d'Inghilterra; sono vere riviste artistiche, nel nobile senso della parola. I principali sono: il Century, l' IIarper' s, lo Scribner' s e il Cosmopolitain, che, in media, superano ciascuno la tiratura di 200,000 copie. Tre quarti dei collaboratori sono donne. Le retribuzioni maggiori sono, come in Inghilterra, riserbate ai grandi nomi, mentre le comuni non superano quelle adottate, in media, dalle riviste londinesi. Così la North American Review ha potuto pagare a Gladstone e a Salisbury da 50 a 7 5 mila lire per articolo ... ; è ovvio aggiungere che questi scritti non brillavano punto per finezza o per profondità di idee. Non molto numerose sono m Germania le riviste. I pit1 diffusi sono i giornali di famiglia, come il Ueber land und 11zeer e il Garten laube. La Deutsc!Ìe Rundscliau, il Nord und Si'td, assai ben redatte, la Deutsc!te Revue, i Freussische J'ahrbùc!ter: ecco i maggiori nomi e le principali potenze giornalistiche tedesche. La Germania ha in compenso dei giornali settimanali, come il Gegenwart e il Magazin fi'tr litteratur, che pubblicano, accanto ad articoli politici, studi artistici e letterari. L'Italia è in condizioni sfavorevoli. Si vuole spendere poco o nulla, molta è la miseria, e molta l' inerzia. Non si cerca certamente con grande avidità la cultura. V'è la Nuova Antologia, che vive perchè aiutata da Banche o dal J\1inistero della P. I., la Rassegna Nazionale, la Riforma Sociale, il Rinnovamento Economico, la Rivi'sta di Sociologia, la Critica Sociale, e poniamo pure fra il numero anche la piccola nostra Rivz'sta Popolare che potrebbe ingrandire se i snoi abbonati lo desiderassero. Vogliamo sperare che in futuro, più anche del giornale, abbiano vita le Riviste, e tutti vi cooperino, e gli scrittori siano meno lenti e i lettori rinunzino a godimenti e spese superflue, ma non rinunzino mai, facendo una vile economia, alle Riviste. La Spagna non ha che la Rivista Moderna a cui il Castelar presta la sua valorosa collaborazione. La Russia è il paese che possiede le riviste più imponenti, essa ne conta una dozzina e talmente voluminose che tre numeri, per esempio, della nostra Nuova Antologia non basterebbero ancora a formarne BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE un fascicolo. Il più rispettato fra questi periodici, è il Viestnik J'evropy ' che ha circa settemila abbonati; poi la Rousskai'a Mysl, il Sceverung ·Viestnik, la Niediela, una delle più diffuse, il Rouskoi'e Bogatstvo. - È sopratutto la mancanza della vita parlamentare che concentra l'attenzione generale su questi giornali, ove il pubblico cerca la sua ispi~ razione per la sua vita politica, sociale e letteraria. Numerosi assa 1 sono gli studi serii, profondi, dovuti agli spiriti più valorosi e piì1 l~rghi della Russia, che si pubblicano in quelle riviste. Esse combattono pregiudizi, predicano la tolleranza, difendono la causa degli oppressi e dei poveri, sognano la lontana libertà, per èssi continuo . . m1ragg10. Le altre nazioni hanno o meglio non hanno rivista, o ne hanno di niuna importanza. Nulla nella Svezia, m Polonia, nella Turchia. Ove manca l'anelito della libertà e il culto della scienza, le riviste non veggono luce o muoiono sul nascere. OGGI E DOMANI I Strisciava un bruco a terra. - « Oh che bestiaccia! » nel vederlo, un bambino X. grid~. - « Voglio schiacciarla! » d'u~ sasso nel giardino. e corse in tracda · Ma il bruco del!'assenza profittò j nella crepa d'un buco s'intanò,- e, tornando, il bambin più no! trovò. Il maggio venne,- e, tra i fiori rinati, una faifalla fulgida aleggiò. -) (< Oh, com'è bella! » - cogli occhi sbarrati per meraviglia il bambino esclamò! E la bella farfalla eh' ei vedea era quel bruco che schiacdar volea ! Così le idee. - Al nascere, con lor feroce è il mondo . .. e, il dì eh' esse trionfano, ' le ammira poi, giocondo! i Dalle Poesie politiche .popolari di prossima pubblicazione. BibliotecaGinoBianco

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