La Rivista Popolare - anno II - n. 10 - 1 giugno 1894

300 LA RIVISTA POPOLARE Cantare le miserie umane, vegliando alla cura degli infanti che cercano avidamente con le piccole inani le esauste livide poppe della madre tisica; vegliando al rude lavoro che schianta anche le più robuste vite di operai; vegliando anche alle bare povere e nude, vegliando ove è il dolore e il lutto, e cantare in cupo ritmo che spezzi gli animi, e ne tragga amari pentimenti, onde la virtù dell'azione potente che muta in lotta aperta le secrete vendette, e il bieco odio in entusiastico canto liberatore: ecco a che ti chiama la nova età, o giovine poeta, che or cerchi solo il profumo dei fiori e l'amor delle dame, o poeta che alle vaghe parole corri dietro, come spensierato fanciullo alle farfalle. V'è un mesto esercito d' ignoti che non ha chi renda simpatica la loro causa. Anzi talora v' ha chi, pur dicendosi loro amico, la rende antipatica, se pur non odiosa, con volgari motti o con atti indegni. È l'esercito dei legionari del lavoro, dispersi sulla terra, in preda alla fame, maledicenti. Sono abbandonati, sono scherniti, sono impng1onati ; ma nessuno canta le loro sciagure, o, se qualcuno tenta di cantarle, pare che si sforzi ad un· esercizio accademico. Lo spettacolo di tante umiliazioni e miserie, di tante iniquità e sozzure politiche, sociali, economiche, dovrebbe essere assillo tormentatore di tante fantasie inerti, di tanti animi egoistici che pensano solo a sè, e si tappano gli orecchi per non udire le voci di cotesta immensa perenne orfana, l'umanità. · Ma, ci s'interrompe, a che 1naigiovano inni e canzoni? Bastano, dicono alcuni, i vecchi inni, che già ci addussero ai campi di battaglia. No, no, non bastano. Un'onda di altra poesia ci deve ribattezzare; ah, non sapete come la poesia pesi sulla bilancia degli interessi generali della BibliotecaGino Bianco

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