LARIVISTAPOPOLARE POLITIC-AECONOMI-CSACIENTIFIC-ALETTERAR-IARTISTICA I ANNO II. 1° Giugno 1894 FASC. X. LALIBERTÀDELCOMUNE L'ordine del giorno sull'autonomia con1unale, votato alla quasi unanimità dai sindaci e dai rappresentanti dei Comuni e delle Provincie, convenuti in Roma nei prin1i di maggio a solenne Congresso, segna una data importante in questo periodo così triste ed infecondo di vita italiana. Vincendo un,atonia fattasi ora1nai cronica, e spezzando l'inveterata abitudine. di attendere soltanto dai poteri centrali qualsiasi virtù d'iniziativa, i n1unicipi italiani hanno sentito il bisogno e il dovere, ad un tempo, d' intendersi per un' azione collettiva, diretta a rivendicare al Comune quella libertà dalla quale scaturì un giorno la I grandezza e la prosperità italiana e dalla quale soltanto può venir fuori nuovamente la scintilla vivificatrice delle energie locali, ora mute nella precoce senilità da cui è colpita ogni libera manifestazione delle singole attività, nazionali. Il danno inflitto all'Italia da una legislazione inspi- . - rata a criterii esclusivamente accentratori, ebbe, in quel voto, la più solenne manifestazione di protesta: protesta illuminata e seria, non consacrata in frasi generiche, ma formulata con precisi intendimenti e con chiara visione del fine che vuolsi raggiungere, nel duplice intento di <limoBiblioteca Gino Bianco
, LA RIVISTA POPOLARE strare la piena coscienza dell'invocata riforn1a e di additare al legislatore le grandi linee entro le quali dovrebbe svolgersi. Questo desiderio di approdare a conclusioni pratiche emerse chiaramente dalla lunga discussione intorno ai gravi quesiti che riflettono la nomina del sindaco, la tutela, il referendum e la responsabilità degli amministratori. A che varrebbe ottenere che il sindaco fosse dovunque elettivo, se in pari tempo non lo si sottraesse alle indebite influenze e all'arbitrio del potere esecutivo, statuendo che non possà venir rimosso o destituito che per infrazione di legge e con sentenza di n1agistrato? A che varrebbe emanciparsi da una tutela illusoria o paralizzatrice, se non si provvedesse in pari tempo ad eli1ninare l'enorme confusione che regna fra le attribuzioni dello Stato e quelle dei Comuni; a ben distinguere e classificare le spese obbligatorie e facoltative, determinando queste ultime in modo che, senza i1npedire i miglioran1enti di evidente utilità pubblica, in correlazione ai mezzi disponibili per conseguirli, riescano però di freno efficace a tutte quelle spese voluttuarie e suntuarie che mascherano, sotto apparenze plausibili, lo sperpero del pubblico de·naro e formano il tarlo roditore dei •bilanci comunali? A che servirebbe la piena libertà co·munale se un istituto di sorveglianza autonomo, elettivo, indipendente così dal potere centrale come dalle chiesuole amministrative, non fosse chiamato a constatare, a rivedere le gestioni ·comunali e ad integrare, occorrendo con ufficio coercitivo, la regolare funzione del bilancio per ciò che concerne le spese obbligatorie; istituto alla sua volta effettivamente responsabile, conforme alle nostre più belle tradizioni comunali che volevano sindacati dal popolo anche i sindacatori dei 1nagistrati municipali? E se, nel ten1po stesso, Biblioteca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE proibita ogni erogazione al di là di quelle stabilite per legge, non si riserba soltanto ai cittadini il diritto di votare nuove spese, nuovi aggravi o mutui, dando all'autonomia comunale il suo vero carattere che è quello di avvicinarla, per quanto più sia possibile, al Governo diretto, nei limiti compatibili con le esigenze dello Stato moderno? Ed infine, come si potrebbe rivendicare la vera tutela del Comune ai comunisti, il vero controllo degli amministratori agli amministrati, senza rendere effettiva la responsabilità dei magistrati municipali, mercè la facoltà, accordata a tutti i cittadini, di chiamarli, con procedimento spiccio e rapido, innanzi ai tribunali a re11der conto del male operato ? Convinto che senza il presidio di siffatte garanzie la libertà del Comune non potrebbe raggiungere quegli alti fini in nome dei quali si vuol rivendicarla, il Congresso respingeva I1ordine del giorno Arbib, affermante genericamente la con1pleta autonomia del Comune, senza determinarne I1indole precisa e la portata. ,Imperocchè il paese è oramai saturo e stanco di affern1azioni sintetiche e di aspirazioni indefinite che servono di pretesto alle maggioranze parlamentari per respingere anche le· riforme più urgenti, reclamate dal pieno consenso dell'opinione pubblica. Ciò che manca all' Italia non sono le affermazioni solenni, ma i diritti positivi; non le formole generiche della libertà, ma le garanzie reali- della libertà stessa, che vuol rispettate in alto come in basso; e nell'ambito del Comune reclama guarentigie tali che impediscano, ad un tempo,, le violenze del potere esecutivo e le mistificazioni delle congreghe locali, gli arbitri delle tirannidi e i trasmodamenti della libertà. o BiancQ
LA RIVISTA POPOLARE Quest'autonomia, che si può dire quasi caratteristica della patria nostra, che risale fino alle piì1 remote tradizioni italiche, che fu la forza di Roma, e dopo aver resistito alla corruzione dell'Impero si salvò dal naufragio delle irruzioni barbariche; che, di fronte ai castelli feudali, maturò la riscossa delle plebi e la coscienza del popolo, ~ e divenne il focolare di quel meraviglioso Rinascim~nto che fu la più bella gloria d'Italia e il faro più luminoso della civiltà europea; che nei giorni tristi della servitù, sotto le stesse tirannidi domestiche e straniere, non ismarrì mai del tutto le vestigia delle molteplici genialità dello spirito italiano; quest'autonomia che avrebbe dovuto suggellare, quasi bacio fraterno, fra regione e regione, fra Comune e Comune, le nozze della patria risorta, e che fu invece sacrificata ad un sistema accentratore, straniero al genio e alla tradizione nazionale; quest'autonomia che ci ricorda tante glorie e ci ridesta tante speranze, il Congresso di Roma. la volle rivendicata in nome della nostra storia, del nostro diritto, dei supremi, ineluttabili bisogni morali e materiali del popolo italiano. E in mezzo al dilagare dei monopolì e della pubblica corruttela, vollero i sindaci dare al loro voto il suggello del più nobile esempio, invocando essi stessi la responsabilità effettiva del loro mandato e la revoca di quelle leggi che ora li mettono al coperto di qualsiasi controllo reale e diretto da parte dei loro amministrati. Dott. EDOARDO PANTANO. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 2 93 SOCIALISTEI CLERICALIIN SICILIA 1 II. Monsignor Blandini, nel suo opuscolo-pastorale contro il Socialismo, non si mantiene esclusivamente nelle alte regioni dell'astrazione religiosa, anzi comincia col dare una capatina sulla terra, e riconosce che cagioni prossime e occasionali degli ultimi tumulti siciliani sono stati il disagio economico dei piccoli proprietari e l' ESTREMA MISERIA degli operai della gleba e dell'officina; dà una botta ai sobillatori, ma afferma che alla sua volta l'ingordo capitalista, come il banchiere usuraio, mercanteggia senza rimorso, NONCHÈ IL SUDORE, IL SANGUE E L'ONORE di chi non ha se non le brq,ccia a disfamare sè e la sua famigliola; e mediante patti angarid e crudeli, facendo giocare la borsa a rialzi e abbassamenti jittizz, a furia di monopolz fraudolenti e d' iniqui aggiotaggi innalza la sua fortuna, dea suprema del suo ignobile cuore, sulle ruine di centofamiglie, i banchettando e vestendo di porpora e di bisso - proprio come un prelato cattolico! - con l'Epulone, irride e caccia da sè i Lazzari ch'egli ha affamato spietatamente.· Bravo monsignore I Voi scrivete come potrebbe scrivere un sogg·etto da manicomio, meglio .e più coloritamente che non potrebbe parlare un sobillçttore; e voi delle cause prossime ed occasionali dei. moti siciliani mostrate conoscenza più esatta e precisa che non abbia mostrato in Parlamento ·l'onorevole Nasi, che le ha smarrite di vista per la ricerca dell'introvabile socialismo dell'on. Fortis. 1 Continuazione e .fine; vedi numero precedente. ·Biblioteca Gino Bianco f
2 94 LA RIVISTA POPOLARE Credete, però, siano da condannare i moti e i loro autori, facendo intendere che si avrebbe dovuto aver fede nelle vie legali per riparare .a' tanti mali. Forse non avete torto; ma meglio avreste fatto a specificare quand~ i siciliani riuscirono ad ottenere giustizia per tali vie, confondendo così l'ignoranza mia e di tanti altri che non ~ sanno trovare il caso cui alludete, mentre è noto pur troppo che tutti i provvedimenti invocati, studiati, proposti e ap• provati da Ferdinando II in poi, sono tutti rimasti lettera morta. Monsignor Blandini, se onestamente confessa che reali e gravi ragioni di malcontento c'erano e ci sono in Sicilia e dappertutto, si meraviglia però che solo adesso siano riuscite a produrre una pericolosa esplosione, mentre per lo passato la mala suada fames non commosse gli antenati. L'asserzione sarà rettificata più oltre; adesso gli si può osservare che lo sviluppo intellettuale da un lato diè la coscienza, dapprima non posseduta, di nuovi diritti e l'uguaglianza politica, generata in linea retta dalla cristiana uguaglianza religiosa, acuì il desiderio, se non del1' uguaglianza economica, almeno della possibilità di vivere un1anamente. Se gli uon1ini iniquamente spogliati in passato, secondo il vescovo di Noto, si rassegnarono alla spogliazione ed oggi si ribellano, la causa della differente condotta devesi ricercare nella mancata fede religiosa. Oggi infatti l' u1nanità si è rifatta pagana, e peggio ancora; Dio venne cacciato dal governo del mondo; ripudiato Gesù Cristo legislatore e riformatore della società; messo da parte, quale vieta anticaglia, il Decalogo e il Vangelo. Occhio ai ma' passi I Se questo ragionamento filasse, si dovrebbe stabilire che i nostri popolani non sono più animati dalla fede religiosa, e ciò potrebbe augurarsi o Biblioteca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 2 95 deplorarsi secondo le convinzioni, ma in realtà non è. Se questa, poi, fosse la ragion vera del quietismo passato, evocato imprudentemente, la si darebbe vinta ai nemici della religione che la considerano come il più efficace strumento della oppressione politica ed economica. La verità è assai diversa. Nei tempi della n1assima fede religiosa, nel medio evo, che secondo il ragionamento vescovile si dovrebbe considerare co_me l'età dell'oro, le lotte e le insurrezioni furono continue e feroci. Col sentimento religioso in pieno rigoglio si levarono i popoli contro ai pastori trasformati in lupi; e le Jacqueries e le sommosse inglesi del secolo xrv, e l'anabattismo e il Sonderbund furono tutti moti insurrezionali a base di sentimento religioso; e Firenze popolana nomina Gesù Cristo suo re, battendosi contro i propri nem1c1 interni ed esterni. Comn1ettono forse peccato innanzi a Dio gli uomini che si ribellano per istar n1eglio? Ecco qua: iJ nostro reverendo sacerdote afferma, con ]a sapienza divina, che l'uomo non vive di solo pane, e che riescefacile acquietare la bestia dandole foraggi e tutto che abbisogna all'appagamento dei suoi istinti. Ma come può star queto l'uomo cui manchi anche il pane necessario a soddisfare l'istinto fondamentale, quello della propria esistenza? Meno male se l'esempio della rassegnazione gli venisse dall'alto. Ma si sa che così non è ; e non si può co1npr.endere perchè debbano essere sante e legittime le querimonie che nascono spontanee dal gran cuore del supremo pontefice, primo cittadino d'Italia, come lo chiama monsignor Blandini, e invece debbano condannarsi le proteste e le querimonie degli ultimi e più miseri cittadini del regno. E dire che il primo cittadino d'Italia si gode una volontaria prigionia nel più splendido e vasto palazzo del . 8 bliotect3 Gino BianGo ..
----------- ---- LA RIVISTA POPOLARE n1ondo, coricandosi sulla paglia .... d'oro! E dire che quel primo cittadino d'Italia possiede tanta sapienza da potere apprezzare la filosofica osservazione del vescovo di Noto, che potrebbe dirsi la sintesi del fatalismo storico ed economico: è da scioccolamentare la tristizia dei tempi, quando, al dire di Sant' Agostino, TEMPORA NOS SUMUS l E dire che lo stesso monsignor Blandini assegna . al tumulti una causa assai più generale e più alta che non sia quella dei sobillatori, quando esclan1a: Se il grande Iddio dei Cieli non farà custodia alla società, inutilmente vigileranno le sentinelle umane! Così è: Dio, che tutto può e tutto vede, si è dimenticato del ·suo vicario - cui non giovarono a nulla nè le sentinelle francesi, nè le austriache - e quello che è assai più, si è dimenticato dei poveri come da un pezzo si è dimenticato dei polacchi e degli irlandesi, che furono se1npre i più fedeli sudditi al suo vicario. Non saranno certamente considerati mai come grandi colpevoli quanti pur mantenendosi religiosi non vogliono essere schiavi. Gl' irlandesi, pure rispettando il sommo Dio dei Cieli, hanno pensato ai casi propri ; e qualcosa hanno ottenuto, e più sono in vii di ottenere. Che male ci sarebbe se li imitassero i siciliani che in tante cose rassomigliano agli irlandesi? Monsignor Blandini, che ha accertato le sofferenze dei lavoratori e le cause dei tumulti, si occupa anche dei rimedì. Comincio dal trovarmi pienamente d'accordo con lui sulla efficacia della cura del ferro e del piombo. Chi si affida nel ferro di ferro perirà, egli osserva saviamente; e l'esagerato militarismo del!'odierna Europa, .... quando meno vi si pensi e si tema, potrà accelerare la conflagrazione all'estero, la guerra civile al!' interno. Che vale rimettere in moto la ghigliottina e mozzare qualche testa? .... BibliotecaGino Bianco I.
LA RIVISTA POPOLARE 2 97 D'accordo ; solo è a deplorarsi che anche il sornmo pontefice· non l'abbia sempre pensata così: spesso si è affidato nel ferro francese o austriaco o turco, straniero sen1pre; e spesso ha fatto lavorare la ghigliottina: Monti e Tognetti inforn1ino. Ma ne fu pui1ito, perchè di ferro - politicamente - perì a Porta Pia. La parola di Cristo, per buona ventura, non venne smentita. Inutile la repressione, ed inutili del pari le leggi agrarie e industriali, il libero scambio o il rigido protezionismo, gli organamenti sociali che s'inspirano alla pit~ larga democrazia o alla più efferata dittatura, che, secondo la frase di monsignor· Blandini, non sono che pannicelli caldi. Dove sono, dunque, i rJmedi efficaci, e quale il medico portentoso? Non esita il chiarissimo vescovo a trovarli e ad additarli: bisogna affidarsi al medico celeste; bisogna gettarsi nelle braccia della Chiesa cattolica; si deve rimettere l'arbitrato delle cose internazionali nelle mani del papa, Principe della pace e Oracolo della verità; e sopratutto ci ?i deve porre all'ombra della Sacra Famiglia. Ben consigliato tutto ciò; ma con qual coraggio si può aver fiducia esclusiva in tali medici e in tali 1nedicine, se la lunga esperienza fatta per diciannove secoli insegna che essi hanno fatto fiasco? E basti colla critica alla pastorale .di monsignor Blandini contro il Socialismo. Nel concludere gli osservo che non c'è bisogno di rinnegare la religione per invocare un ordinamento sociale diverso dall'attuale, e precisamente più conforme a quello che costituisce la sostanza del Va~1gelo. Si può conservare tutta intera la fede religiosa, e, in pari tempo, si può tende!e attivamente ad un miglioramento delle condizioni in questa valle di lagrime; il proverbio non isbaglia: « aiutati, che Dio t'aiuta» . Socialismo e Cristianesimo sono tutt'altro che in contraddizione. Il socia- * Biplioleca Gir10 Biar:1co
LA RIVISTA POPOLARE lismo vuole ciò che impone il secondo ; n1a visto che i ricchi, i potenti, i gaudenti non ascoltano la parola di Cristo, i proletari cercano di costringer li a rispettarla. In questo caso avviene, rispetto alla parte sociale della religione, ciò che da diciannove secoli si fa rispetto alla parte morale. E mi spiego. Il Vangelo ·proibisce severamente di rubare, di amn1azzare, di sedurre la donna altrui ; visto, però, che molti, non ostante professino la religione cristiana, rubano, ammazzano, seducono, si è pensato a promulgare tanti bravi codici penali. E oggi i più devoti cristiani non credono di venir meno alla fede religiosa invocando manette e prigioni, giudici e carabinieri a difesa della vita, delle robe e dell'onore. Parimenti Cristo diè ottimi consigli ai ricchi ed ai potenti; ma siccome questi non ne tengono conto alcuno, i lavoratori si affidano al socialismo; e quanto più umane e tollerabili diverranno le loro condizioni di esistenza, tanto più si avvicineranno all'ideale cristiano. Se il socialismo, in un avvenire più o meno remoto, trionfi interamente, allora il simbolo, l'allegoria diverrà realtà; allora si potrà celebrare davvero la festa della Pasqua di Resurrezione; ed eliminandosi il duro e penoso contrasto tra la visione di ciò che si sogna ne' cieli e la constatazione di ciò che esiste in terra, la Pasqua di Resurrezione diverrà a un tempo festa civile e festa religiosa. D.t NAPOLEONE CoLAJANNI. BibliotecaGino Bianco
' " LA RIVISTA POPOLARE 2 99 I POETIDEIPOVERI I. Nella grigia tristezza della vita è pur bello un raggio di poesia. È bello come astro che scintilli ai naviganti smarri ti nella notte nera. Cotesta prosa continua spegne l'anima. Cotesto eterno e tedioso chiacchierio de' parlamenti soffoca gli entusiasmi. Cotesta viltà, fra mille br~tture che rinnovansi come ondate li1nacciose, rende floscie le fibre della gioventù, che, invece di raccoglier l'eterna protesta dei secoli e gittarla in faccia ai fieri egoisti della terra, se ne sta oziosa e ride. Oggi non v'hanno poeti, ma verseggiatori. O, se v'hanno vèri poeti, sono ben rari e lenti. S'addormentano sulla lira impolverata, mentre dovrebbero essi destare con alati e fian1manti epodi i dormenti. O s'innamorano tanto dello ideale che dimenticano il reale. E noi, alla nostra volta, leggiamo talora qualche poesia soltanto per fuggire la vita umana e il suo tedio. · Ma, per quanto ci atteggiamo tutti a pos1t1visti, e per quanto ci diciamo popolari nella forma e- nello stile, vaghiamo su per le nuvole, e cerchiamo ·con ogni cura le elette parole nei giardini della rettorica. E pure la poesia dei poveri, una poesia spontanea, sincera, chiara e forte, dovrebbe essere qualcosa di terribilmente e santamente reale; e potrebbe avere grande virtù politica e sociale. Dovrebbe e potrebbe essere una immensa forza per le volontà, per gli intelletti e i cµori. Già essa in altre nazioni, nell'Inghilterra sovra tutte, lasciò tracce profonde. . '
300 LA RIVISTA POPOLARE Cantare le miserie umane, vegliando alla cura degli infanti che cercano avidamente con le piccole inani le esauste livide poppe della madre tisica; vegliando al rude lavoro che schianta anche le più robuste vite di operai; vegliando anche alle bare povere e nude, vegliando ove è il dolore e il lutto, e cantare in cupo ritmo che spezzi gli animi, e ne tragga amari pentimenti, onde la virtù dell'azione potente che muta in lotta aperta le secrete vendette, e il bieco odio in entusiastico canto liberatore: ecco a che ti chiama la nova età, o giovine poeta, che or cerchi solo il profumo dei fiori e l'amor delle dame, o poeta che alle vaghe parole corri dietro, come spensierato fanciullo alle farfalle. V'è un mesto esercito d' ignoti che non ha chi renda simpatica la loro causa. Anzi talora v' ha chi, pur dicendosi loro amico, la rende antipatica, se pur non odiosa, con volgari motti o con atti indegni. È l'esercito dei legionari del lavoro, dispersi sulla terra, in preda alla fame, maledicenti. Sono abbandonati, sono scherniti, sono impng1onati ; ma nessuno canta le loro sciagure, o, se qualcuno tenta di cantarle, pare che si sforzi ad un· esercizio accademico. Lo spettacolo di tante umiliazioni e miserie, di tante iniquità e sozzure politiche, sociali, economiche, dovrebbe essere assillo tormentatore di tante fantasie inerti, di tanti animi egoistici che pensano solo a sè, e si tappano gli orecchi per non udire le voci di cotesta immensa perenne orfana, l'umanità. · Ma, ci s'interrompe, a che 1naigiovano inni e canzoni? Bastano, dicono alcuni, i vecchi inni, che già ci addussero ai campi di battaglia. No, no, non bastano. Un'onda di altra poesia ci deve ribattezzare; ah, non sapete come la poesia pesi sulla bilancia degli interessi generali della BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 301 nazione I Non sapete quanto possa fare, come possa distogliere dal materialismo vile i giovani ardenti che vi si avvoltolano, mortificando i loro più delicati sentimenti in fiore, uccidendo l'anima loro schiudentesi ai sorrisi e alle speranze pri1ne della vita. ' Voi vedete come la poesia abbia vegliato sempre agli albori delle umane trasformazioni o delle iniziali battaglie per la libertà. E perchè ora non dovrebbe essa, eh' è resa. immortale, risollevarsi e gittare le sue strofe liete e solenni all'aria, ora che un popolo deve liberarsi dal fango e dai cenci in cui tutti cotesti suoi falsi amici l'hanno indegnamente gittato? Non s'apre nel n1ondo una nuova èra? Non si è già detto che il xx secolo deve nascere dal profetismo sposato alla scienza? Vogliamo sempre e solo udire codesta vil prosa dei parlamentari e dei banchieri? O non è mille volte più bella, più degna, più eloquente, la profetica poesia del pastore Amos o pure di Lucrezio, e meglio anche i tremendi versetti di Isaia ? Cotesta prosa borghese o bottegaià è troppo bassa e vuota. E non è neppur l'ombra della scienza. Siamo noi un popolo che debba disprezzare la poesia, tutto dimenticando, le glorie antiche e le moderne, le arti, che paiono sempre ringiovanire in questa povera nostra terra sì maltrattata e che rimangono· le sole nostre ricchezze, e la natural beltà ch'è dovunque, dalla limpidezza del cielo sino al verde delle più nascoste vallate? Noi, cui sussurrano sempr~ nella memoria le terzine e le ottave dei vecchi classici, echi dell'antica gloria? Una canzone di Hood o della Browning bastarono, in Inghilterra, a iniziare e ad accendere intere immense agitazioni, per il bene dei poveri, che il lavoro schianta e porta av.anti sera al cimitero. Biblioteca ~ino Bianco ., ..
302 LA RIVISTA POPOLARE E Crabbe e Bamford ed Elliot, tutti poeti popolari, popolarissimi, specialmente questi ultimi due, hanno fatto per la loro nazione quanto e più di tanti eroi combattenti e vittoriosi sul campo. I tribuni e i legislatori vennero appresso agli araldi. E?si avvilupparono di un'ideale beltà la piL1 lurida miseria. La portarono alla luce del sole, al conspetto dei signori sospettosi, timorosi e avari, che non volevano vederla, al conspetto dei freddi egoisti, che, dopo le nenie del Goldsmith intorno al lusso e alle ricchezze, se ne ricordavano appena qualche volta all'anno, con1e di un qualsiasi tema senti1nentale. Ma essi, i poeti dei poveri, vollero con assoluta franchezza veder tutta· la realtà nel suo lividore, nel suo abbandono, ne' suoi tetri abituri ; vollero vedere operai e agricoltori precisamente nel loro stato, veder le piaghe delle loro carni e delle loro anime, numerare i loro molti dolori. Arcadia alcuni tediosi romantici verseggiatori la diranno, sprezzando: arcadia. Altri, pratici co1ne ragionieri, sorrideranno alle nostre ubbìe. Scegliere1no, nel prossimo numero, qualche ese1npio dalla storia letteraria dell' Inghilterra, per dimostrare (non certo ad essi) quanto là potè la poesia popolare, che cantava le 1niserie e le torture e le morti dei poveri insien1e alle virtù di Hampden, di Cromwell, di vVashington, che invocava al ricordo santo della repubblica le sognate g.iustizie. Una novella vena di poesia suppone un novello stato della società. E l'Italia, alla vigilia della sua nuova vita (se pure non è l'ultima delle ,nazioni per viltà), l'Italia, ove qua e là fiorisce l' arancio, ove da per tutto fiorisce I1 albero · della poesia e al cielo s'innalza più bello e odoroso del BibliotecaGinoBianco
LA RIVISTA POPOLARE cedro del Libano, l'Italia tacerà ella, se ha taciuto, per aridità di genio o vecchiezza precoce. colui che ora canta Moriro i sogni de la prima età. I miei piì1 santi amori io li ho sepolti, Sepolti ho nel mio cuore i desii sterili. 1 colui che pure è sommo fra coloro eh' essa un dì chiamò col fatidico nome di poeti, e già idealmente ne cingeva di lauro la fronte? (Continua). A. FRATTI. l?IME TRISTI I. A UN VECCHIO KNUT. Il vecchio knut di sangue ancora lacrima, E lo Zar non lo. sa? Con esso i lupi, sulla neve, giocano. O Russia, o Libertà ! ' Imperiale knut, come, sui martiri, Come schioccavi tu ! .Or, fatto imbelle, i lupi ti trascinano .,, Su per la steppa e giù. E lo Zar non lo sa quai pianti orribili, E bestetnmie e dolor, Hanno tessute le tue storie perfide~ Storie di sangue ognor. I 1 CARDUCCI, Opere, vol. IX. Bologna/ ed. Zanichelli, I 894. ·B1tlli0tecaG.'nbj3ianco . ~ ' . ;
LA RIVISTA POPOLARE Cosacchi, avanti! E novi knut, già, schioccano, O Russia, o Libertà! E matura, matura la voragine, E lo Zar non lo sa? II. LA SPADA. Sotto le nevz di Siberia sta, Indomabile vergine, La spada ultrice della Libertà, Sotto le nevi candide. Turghèniej, vieni, e, tu, Russia, fa' cor: I morti tuoi l'arrotano, Della luna al fatidico chiaror; I lupi intorno danzano. Scocca la mezzanotte: o morti, in piè; Mugiki, a l'opra, o martiri, Crociati santi della nuova f è. I rei Cosacchi dormono. III. DOPO HENRY. Chiede la Morte: - perchè, spesso, pio1nba110 Negli atri abissi miei le teste, giù ? Rispondimi, o gentil Deibler carnefice, Questo segreto lo conosci tu? Clzieggon le buone imnzacolate vergznz, Morte di Cristo nell'antica /è: - Ma quelle teste orribili, sanguinee, Scendon sotterra, accanto a noi, perchè? - BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE Caino ghigna, e nel grand'occhio .fiammeo Rispecchia l'odio della nuova età; E nuove teste negli abissi cadono, Nei foschi qbissi dell'Eternità. ROMOLO PRATI. PERNICOLASPEDALIERI l Si è costituito un Comitato per innalzare un monumento a Nicola Spedalieri qui in Roma, di faccia al Vaticano oscurantista; e sorga presto questo monumento, come ad ammonire il Vaticano che il mondo non torna indietro, ma progredisce, progredisce sempre, a dispetto suo. Ieri il monumento a Giordano Bruno, il martire della libertà filo~ofica, e domani quello allo Spedalieri, il .martire della libertà politica; così! Nicola Spedalieri fu, invero, un nobile e dotto precursore dei tempi nostri. Sebbene cattolico, sebbene prete, anzi, capì che il mondo s' incamminava per la libertà; capì che il vecchio ordine di cose era condannato a sfasciarsi, presto o tardi che' fosse; capì che il Vaticano, come istituzione politica, non avrebbe regnato più a lungo; e, sebbene cattolico, sebbene prete, lavorò a tutt' uomo onde l'alba dei giorni nuovi non tardasse di troppo. Uomo di lettere, scrisse libri; filosofo, scrisse libri filosofici; e quei libri, che pure erano rivoluzionari nel- !' intimo, potè scrivere, se non pubblicare, qui in Roma, proprio sotto gli occhi della Curia pontificia, la quale, in verità, è strano come lo lasciasse fare. Questa tolleranza della Curia ci farebbe creder vero quel che da molti si disse, che, cioè, i libri dello Spedalieri fossero ispirati da Pio VI, apposta (come pensa Carlo Botta) per conciliarsi i novatori rivoluzionari di Francia, apposta (come scrive François de Champagny) « per riconciliare con _la Chiesa la libertà nascente ». Ad ogni modo, lo Spedalieri fu in grande intimità con quel papa, - e deve certamente a lui se le unghie del.fa .Curia non lo ghermirono, come, forse, avrebbero voluto. È vero che lo Spedalieri, scrivendo quei libri, non intaccava il 1 T. MAMIANI, Lo Spedalieri, dialogo, ripubblicato a cura di Giuseppe Cimbali (Roma, Bocca, 1894). BibliotecaGino B1aftc0
LA RIVISTA POPOLARE dogma cattolico, non usciva dal grembo di Santa Madre Chiesa; ma, pur non' ostante, e pur non parendo, attaccava l'autorità della Chiesa in quanto si riferiva alla politica, e scalzava il Vaticano dalle fondamenta. È vero che lo Spedalieri intendeva dimostrare che « lo spirito di libertà sfavilla da tutto 'il Vangelo, e il cattolicesimo essere nella sua sostanza nemico nato di qualunque maniera di dispotismo » ( come scrive il Mamiani). Ma questa stessa dimostrazione, in fondo in fondo, veniva a dire come lontani dal Vangelo fossero i preti di Roma, e come adulterato fosse il cattolicesimo loro. Si capisce, del resto; lo Spedalieri, credente, non poteva prendersela col dogma, ·nè poteva, poi, prendersela tanto di fronte col Vaticano, il quale, senza dubbio, lo avrebbe stritolato. Egli doveva agire cautamente, direi furbescamente, per poter approdare a qualche cosa di positivo, di pratico. E pratici al tutto sono i suoi libri: l'Arte di governare e i Diritti dell'uomo. In essi poco o nulla di metafisico, sebbene sia un prete e un filosofo colui che scrive. « Anzichè agli astrusi dottori medievali (bene scrive Giuseppe Cimbali), lo Spedalieri si accostò ai frementi Padri della Chiesa dei primi secoli; anzichè illustratore di dommi e di controversie teologiche, egli volle essere un lottatore sul terreno dei fatti ». E nell'Arte di governare e nei Diritti dell'uomo egli lotta veramente, e non da prete. Si direbbe, anzi, a leggere quei libri, che egli non è prete. E questo, certo, dovette dire Matteo Ricci, se potè scrivere, nella sua prefazione alla Politica di Aristotile, che lo Spedalieri è « più ortodosso nelle intenzioni, che nel discorso ». Egli, in que' suoi due libri, fulmina « quanto di decrepito, di ingiusto; di tracotantemente prepotente c'era. tuttavia nella compagine sociale, per avviare le correnti della vita nel cammino del retto designato e voluto dalla maestà delle leggi della natura non adulterate dagli interessi e dalle prepotenze degli uomini )) , come lo stesso Cimbali scrive. Per compiere questa opera rivoluzionaria, lo Spedalieri si valse, sia pure subordinatamente, della stessa autorità della Chiesa, e in ciò sta l' abilità sua, la sua furberia, abilità e furberia che pur denotano un'audacia grande. Co' suoi Diritti dell'uomo Io Spedalieri abbatteva la teoria del di- .ritto divino del potere, e quindi il legittimismo e la tirannide, sostenendo che la sovranità viene da Dio, ma è immanente nel popolo, che il popolo può ribellarsi ed anche uccidere il re che violi il contratto che gli ha assegnato il potere, e che la religione di Cristo, anzichè nemica, è amica, è fautrice di tutti i diritti e di tutte le libertà • BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE degli uomini. Questa è la tesi che lo Spedalieri sosliene; tesi che dovette essere capita da Pio VI, se è vero, come racconta il Mamiani, che egli, ricevendo personalmente l'omaggio del libro, ebbe a dire all'autore: « Gran tempo è che i principi vanno chiedendo quid_ est Papa,· il vostro libro insegnerà loro quid est populus ». Sebbene la Curia romana non punisse lo Spedalieri, mancandole, per poterlo fare, il permesso del papa, pur non ostante si levarono contro l'opera del filosofo gli amanti dello statu quo che più avevano l'odorato fine, e gridarono allo scandalo, non potendo gridare all'eresia. L'abate Pietro Tamburini trovò la pubblicazione dei Diritti. dell'uomo una vera enormezza, e scrisse indignatissimo: « Ella è vergogna del secol nostro che tra noi si levi un cristiano scrittore, e che, in mezzo alla capitale del cattolicesimo, abbia l'ardimento di ergere, sopra sogni e chimere, un micidiale sistema che insidia alla sicurezza dei principi, e, colle massime le più licenziose, raccolte qua e là dai pretesi riformatori e dai libertini filosofi dell'età nostra, tenda ad ispirare nei popoli i sensi della discordia e della ribellione ai loro legittimi sovrani. Si sa che in Roma ha eccitato un tal libro orrore e sdegno, e che alcuni autori hanno innalzato la voce contro siffatto scandalo. Ma gli amatori della pace, della tranquillità e del decoro della religione amerebbero vedere riparato un simile scandalo con una maggiore solennità, che pòtrebbe assicurare i sovrani ed i popoli; poichè nulla più sta a cuore della Chiesa di Gesù Cristo che la sicurezza del principato e la debita subordinazione dei popoli alla potestà stabilita da Dio sulla terra ». Non può negarsi che il Tamburini, dal suo punto di vista, non avesse pienamente ragione I Contro l'opera del filosofo siciliano si scagliarono anche un tenente Ausonio Bianchi, un padre Giuseppe Tamagna, un anonimo Sacerdote romano, un abate Luigi Cuccagni, un altro abate A. C., che si diceva di professione idropolita, ed altri ed altri; ma i loro scritti, anzi i loro volumi, non valsero a far perdere allo Spedalieri la protezione di Pio VI, protezione che, come dissi, lo salvava dalle ire della Curia, nè, tanto meno, valsero a spengere l'incendio che quell'opera aveva destato. Si dovette ricorrere ad altro, per far sì che lo' scandalo cessasse; e « col veleno, nella cui. scienza era molto dotta la Roma ufficiale del settecento, il filosofo fu spento », secondo quanto scrive il Cimbali. Ma che lo Spedalieri morisse di veleno non è storicamente assodato; ad ogni modo si parlò di veleno ; e di veleno, anzi, par che si tratti verame'nte ...• B1blJotecaGinp 81anoo ·
LA RIVISTA POPOLARE Morto lo Spedalieri 1 il silenzio si distese su di lui e sulle opere !$Ue,e per anni ed anni non si parlò più dell'autore dei Diritti dell'uomo. Nel 1819 sperò un nipote dello Spedalieri che la congiura del silenzio, a danno di un morto, fosse cessata, e chiese il permesso_ di collocare nel Pantheon iì busto dello zio, accanto a quelli dell' Alfieri, del Goldoni, del Muratori. La collocazione del busto non venne permessa, segno evidente che Nicola Spedalieri faceva ancora paura ! Pur non si erano dimenticati tutti del filosofo da Bronte; pur egli « aveva sempre un culto nel cuore di quanti amano educarsi a liberi sensi»; e non è punto a meravigliarsi se Terenzio Mamiani, studiando qui in Roma nel Collegio Nazzareno, s'innamorasse per tempo dello Spedalieri e delle sue opere. « L'attrazione verso quella grande memoria (dirò col Cimbali) doveva essere, per_lui, irresistibile ; si sentiva anc0ra, diffuso per questo classico cielo latino, l'odore della polvere incendiaria, che egli aveva sparato con la sua celebre opera; durava ancora il sentimento d'orrore suscitato, negli animi pii o serv_ili, da tanta audacia; durava ancora l'onta delle persecuzioni subì te; si vociferava sommessamente sempre la cronaca del suo avvelenamento; vivevano ancora quelli che avevano amato e protetto l'eroico filosofo, e che, pur costretti a tacerne i meriti singolari, non volevano che tanta tradizione gloriosa andasse perduta». Più tardi, nella terra dell'esilio, questa tradizione gloriosa il Mamiani affidò ad una sua scrittura nobilissima, ad un dialogo filosofico, che appunto dallo Spedalieri prese il nome. Del filosofo da Bronte si incominciò a riparlare, e, grazie specialmente ad un giovane di cuore e di valore, Giuseppe Cimbali, lè opere di lui ritornarono a poco a poco ad esser pubblicate, lette ed ammirate. Questo pure è il caso di ripetere: il tempo è galantuomo! G. STIAVELLI. LA PRIMAVERA DEL POVERO Vaglzi augelli, che a voi tra le czme Dei verdissimi bosc!ti esultate, E un tripudio d1 amori e di rime Su pei nidi e fra i rami intrecciate, BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE Quella gioia che il canto vi esprime Vien dal sole e da !'aure mutate; Ma più viene dal lauto becchime! J Cari augelli, cantate, cantate! / Nel mio nido un bel coro cinguetta D'otto uccelli affamati; e mi strazia Gl' intestt:ni una brutta civetta ; E il suo verso maligno mi dice: « Tutto il mondo ribocca di grazia, Perchè muori d'inedia, o infelice? ... » G. LANZALONE. VITA FERROVIARIA È questo il titolo, come già i lett9ri sanno, dell'elegante e utilissimo libro, scritto dal mio amico e collaboratore Arturo Catelani. Io lessi quel centinaio di pagine, senza fermarmi, avidamente. Imaginavo già i molti dolori che affliggono i poveri ferrovieri, le molte iniquità che subiscono, ma, leggendo quel libro scritto da chi visse la loro durissima vita, sentii rossore_ per la mia patria nel leggere descritte iniquità e pene anche maggiori di quanto mi figuravo nella mente. Dopo le Convenzioni, funes~e come ogni tirannide, le condizioni dei ferrovieri peggiorarono assai. Enorme l'ordine di servizio, inumana la durata. Desolante l'ampia cifra delle morti. Tutto in questo libro è esattamente vero. È verità che ora agghiaccia, ora sdegna. E la pubblica opinione tace_: si commove solo quando accadono disastri. , Ma che? Centomila cittadini debbon viver sì malamente, lasciati all'arbitrio di pochi che han lauti stipendii, devono morire di stenti, mentre gli azionisti dividonsi lucri immensi? Il Colajanni, nella concisa importante prefazione, e l'autore tratteggiano mirabilmente la gravissima questione. Questi delinea bozzetti Biblioteèa Gino Bianco
310 LA RIVISTA POPOLARE che racchiudon problemi e alle loro soluzioni, sebbene di volo, accenna. Tutto egli tratta con esperta mano .e con gran cuore, dai sacrifici e dai tormenti che debbono subire i ferrovieri sino alle irrisorie promesse, rispetto all'organico e ad altre gravi questioni, date dal Finali, dal Branca, dal Saracco. Tutti formati nello stesso stampo cotesti ministri-cariatidi del beato regno! L'autore s'addentra nella grave e oscura questione delle casse-pensioni, ove il deficit è come un enorme abisso senza fondo. Si tratta, nientemeno, di 70 milioni! L'autore addita la possibilità o probabilità di uno sciopero generale. Ultima ratio cotesta, se nessuno risponde all'appello di tanti proletari, se nessuno sente le loro grandi sciagure, se ritengonsi come perduelli i ferrovieri che alta la fronte difendono nobilmente innanzi all'assemblea degli azionisti i proprii diritti. E l'avvenire? Oh sia pure come l'autore augura! Quando lo Stato vigili e abbia garanzie di regolare servigio, venga pure la grande cooperativa dei ferrovieri ! L'avvenire in ogni modo sarà migliore. Felici quelli che verranno dopo di noi, diceva il Lamartine, poichè il secolo sarà bello. Ma non sarebbe necessario, stringendo le file e temprando le volontà, accelerare i tempi in cui scenda dai cieli la tanto invocata e tanto lenta giustizia? Il codice ferroviario è iniquo, duro, crudele: nuove vittime vi saranno: ma pure è stretto dovere che i ferrovieri s'intendano tutti. Essi sono un esercito: abbiano tutti una sola parola d'ordine e una sola bandiera. Cospirino onestamente e fortemente. Vinceranno. Raccomando il bello e utile opuscolo ai ferrovieri e a tutti gli am1c1. ANTONIO FRATTI, BibliotecaGino Bianco
. ' \ ' , LA RIVISTA POPOLARE 311 I LIBRI NUOVI Rassegna letteraria della quindicina. IX. SOMMARIO-. ANTONIETTAGIACOMELLI, Sulla breccia, Barbèra, Firenze - Biblioteca economica di studi sociali: diretta da G. Pozzi, vol. I - Opere scelte, di C. FOURIER, E. Ferino, Roma - Collezione di Opuscoli Danteschi, a cura der conte PASSERINI,S. Lapi, Città di Castello. La signorina Giacomelli mi ha mandato, con una dedica di suo pugno questo suo lavoro, forse per la cristiana pietà eh' ella sente dei miei peccati, che non son pochi nè piccoli in verità, e con la pia inten~ione di spronarmi al ravvedimento. Del dono gentile la ringrazio; dei suoi fervori di catechizzatrice perdoni se io sorrido. · Sulla breccia, non è un romanzo e nemmeno un' opera d'arte di altra forma o sostanza: è il giornale di .una istitutrice che si è votata, senza misurare le sue forze e quelle del pensiero moderno, alla superba impresa di ritorcere, per quanto per lei si possa, l'umanità dalle arenose vie della scienza e di ricondurla nei sentieri fioriti della fede, cioè della religione cattolica, apostolica, romana. La signorina Giacomelli ha un sacro orrore per tutto ciò che di più alto e di più sano rampolla dalla concezione scientifica e naturale del mondo; per lei e per il suo delicato sentire un libero pensatore dev'essere inevitabilmente un libertino, un dissoluto, uno scostumato, un depravato, un angelo decaduto, un demonio insomma. Io voglio I mostrarle che talvolta questi sa essere più tollerante, più imparziale, . più indulgente, più largo di vedute, meno passionato che non è lei che queste belle virtù predica tutto giorno. Il lavoro della Giacometti, infatti, non è un lavoro comune, non è un'opera da conio. Guardi, ne consiglierei financo a ~utti la lettura. Vi si scorge, è vero, la donna che sente più che non ragiona, che si move più per le contrazion~ delle emozioni che per quelle della mente; ma, nell' insieme, l'opera è penetrata da una fede così pura, da un entusiasmo così nobile, dalla dedizione così completa di tutta Bibltoteca din
312 LA RIVISTA POPOLARE l'anima ad un ideale, che finisce per piacervi, per riscaldarvi, per attirarvi, benchè la ragione sia costretta a sogghignare ad ogni passo. Certo alle opere moderne nelle quali trionfa lo sfacciato disprezzo di ogni convinzione io preferisco questa con tutto il suo odore di fanatismo. Il fatto è che nuJla di bello e di buono si crea nel campo del1' arte che non sia prima profondamente sentito ed inteso. Anche la forma, tuttochè picchiettata d' inutili francesismi e macchiata, qua e là, da qualche solecismo, è degna di encomio, poichè l'autrice, inconsciamente per l'effetto delle attività dei suoi polmoni intellettuali, respira il paesaggio e sa ritrarlo con pochi tocchi da pittrice sicura del colore e del disegno. La signorina Giacomelli non isperi che io invochi mai la discesa in me dello Spirito Santo, e, nella sua esemplare dirittura di coscienza, sarebbe meglio riconoscesse che una sol cosa è sopratutto biasimevole: la mancanza di opinioni salde e lucide, che l'animo tengano sgombro dalle nebbie del dubbio, e l'assenza di spirito di verità negli uomini. Ogni credenza onestamente professata merita la riverenza del consorzio civile; e però io mi guarderei, come da una profanazione, di intorbidare con le mie dottrine la pace della coscienza della signorina Giacomelli. Segua dunque l' e~empio di un demoniaco: non si lasci guadagnare la mano dall'orgoglio di profetessa e smetta quel tono di dottore in cattedra che, a lungo andare, secca e quelle bende da vestale del vero. È troppo pretensioso, me lo perdoni, il suo proposito di evangelizzare le turbe. Il suo spirito è incapace di ricevere uno solo dei mille rivoli che dalle sommità della scienza discendono a fecondare le coscienze degli uomini. Sprofondata nelle sue estasi religiose, ella non può vedere e non può capire la scissura che si è fatta tra il divino e l'umano. Si limiti ad irradiare intorno a sè la naturale ·bontà del suo carattere, ma non sdottoreggi di ciò che non conosce o conosce poco. Scriva d'arte e s' inspiri ai suoi sentimenti, giacchè ella è tempra di artista e non lo sa nemmanco, e noi le batteremo le mani; spanda pure la sua fede, ma non deturpi - per la simpatia ch'ella mi ha destata - la natia bellezza dei suoi lavori con i vaniloqui del suo cervello. * * * L'avvocato Pozzi, un intelligente cultore di scienza sociale, ha cominciato a pubblicare - Edoardo Perino editore - una biblioteca economica di studi sociali. BibliotecaGino Bianco
.. .. LA RIVISTA POPOLARE Era tempo che si tentasse di popolarizzare le opere principali di quei savi pazzi che, con le· utopie, spianarono la via alle nuove idee , economiche. Tutti conoscono di nome il Fourier, il Saint-Simon, Considerant, il Proudhon, l' Owen; ma pochi veramente hanno potuto leggere i loro libri e scoprire sotto le scorie di una sbrigliata fantasia il filoncino d'oro della verità. L'avvocato Pozzi ed il Perino sono, adunque, benemeriti della cultura del popolo. Il primo volume della collezione contiene la scelta non delle opere ma dei pensieri di Carlo Fourier, i ,quali sono stati così bene imbastiti dal signor Pozzi da formare quasi un lavoro originale di getto. Non è il caso di discutere ora le idee dell'autore; è noto quale vena di follia contengano; ma non si può, d'altra parte, negare che egli divinò la direzione che avrebbe presa la società civile: l'assoc1az1cne. Fa prezioso il volumetto la stupenda prefazione, una conferenza che sul Fourier e le sue teorie tenne in Montpellier l' illustre Gide, professore di quell'università. * * * Il conte Passerini, un dantista di gran valore, ha intrapreso, da qualche tempo, per i tipi dell' intelligente Lapi di Città di Castello, a pubblicare una collezione di opuscoli danteschi inediti o rari. Sono otto i volumetti usciti fin ora, e tutti e otto spargono luce sull'esegesi del divino poema. Io non li posso esaminare ad uno ad uno; ma posso, in complesso, dire che ogni studioso di Dante dovrebbe leggerli, per lo meno. Gli studi danteschi formano ormai una biblioteca; ma per molti si può dire che sarebbe c;tato meglio che non fossero comparsi. Sono ben pochi quelli che, mettendosi sulle orme dello spirito del sommo poeta, mirano alla esplicazione naturale del suo pensiero. Questa collezione servirà, senza dubbio, a correggere molte storte interpretazioni ed a frenare la mania delle ipotesi . . Fisciano, li 25 di maggio del 1894. C. A. ALEMAGNA. BibliotecaGinoBìanco
' LA RIVISTA POPOLARE LIBRIRICEVUTIIN DONO G. TAROZZI. Il pensiero di Gaetano Trezza. - D. Tedeschi, Verona, 1894. V. GIACI-II. Aniori e costunzi latini. - S. Lapi, Città di Castello, I 887. T. WENTWORT-1-IIGGINSON. Storia degli Stati Uniti, traduzione di S. Fortini-Santarelli. - S. Lapi, Città di Castello, I 888. G. 1\1. BEARD. Il nervosismo am_erfrano, traduzione di S. FortiniSantarelli. - S. Lapi, Città di Castello, I 888. H. SPENCER. Istituzioni ecclesiastiche, traduzione di S. Fortini-Santarelli. - S. Lapi, Città di Castello, I 886. A. MASPES. Cuori di donne. - Galli, Milano, I 894. O. Rovi. In vano. - Galli, Milano, I 894. A. P ANZINI. L'evoluzione di Giosuè Carducci. - Galli, Milano, I 894. A. S. N ov ARO. Il libro della pietà. - Galli, Milano, I 894. E. D' ORAZIO. Ponte Chiarenza. - Galli, Milano, I 894. P. BETTÒLI. Elena Salvà. - Galli, Milano, 1893. MARIO NOVARO. Il partito socialista in Germania. - Torino, 1894. Avv. G. EscoBEDO. La scienza nel ricettatore. - Roma, tip. Camera dei Deputati, 1 894. V. SAPERE. Primi schianti. - Catanzaro, I 894. Avv. F. ARMELANI. Alla conqzti'sta della vera ricchezza. - Scansano, tip. degli Olmi, 1894. MOVIMENTPO LITICO-SOCIALE La caduta del Ministero Périer. - II fatto ha grande importanza politico-sociale, se si rifletta che il Ministero francese è caduto, anzi tutto, perchè non ha rispettato i diritti e gli interessi dei lavoratori. Così suonava l'ordine del giorno Goblet. In quello erano insieme espressi sensi di protesta contro ogni lega coi clericali e contro il rigetto delle riforme fiscali sul capitale e· sulla rendita. Questo, dissero i socialisti, è uno de' sommi bisogni del paese; iniquo il ricusarsi: più che giusto l'affrettare le tanto invocate riforme. BibliotecaGino Bianco
e . ' LA RIVISTA POPOLARE ' 31 5 Ma è bestiale o inumano il rifiutare agli operai delle ferrovie dello Stato il diritto di costituire i propri sindacati, sotto pretesto che quegli sono funzionari pubblici ! E così i rappresentanti della gran corporazione che conta 300 1000 operai, non poterono convenire al gran Congresso di Parigi. Ma, pe:r ciò, il Ministero fu rovesciato, e i deputati repubblicano-socialisti ebbero una gran vitt~ria. Noi, borghesi, plaudiamo al tonfo di simili borghesissimi Ministeri. Ed ora procedesse davvero la repubblica verso la giustizia sociale, come i tempi richied.ono ! * * * Comizi operai a Vienna. - Il 22 si riunirono nei vari sobborghi ben I 7 Comizi! In tutti si discusse sul diritto di coalizione che hanno , gli operai e si biasimò l'attitudine violenta del Governo di fronte ad essi. Si protestò vivamente contro le ultime stragi. Otto Comizi furono sciolti dalla polizia. * * * Il Congresso minerario internazionale. - Il Congresso radunato a Berlino, discusse sulle otto ore di lavoro. ' I delegati inglesi erano divisi sull' argon\ento. . . ,.., mmerano, La maggioranza di essi propose l'introduzione della giornata di otto ore, a mezzo di leggi votate dai rispettivi Parlamenti; ricordando che la Camera dei comuni approvò già in seconda lettura il noto bill e aggiungendo che lord Rosesbery e il ministro dell'interno Asquith promisero di fare il possibile per accelerare l'approvazione di questa legge. Due oratori della minoranza ingle;e (che sono' i nove delegati del Northumberland e del Durham ove la giornata di sette ore e mezza di lavoro è stata già da un pezzo introdotta grazie a circostanze favorevoli agli operai) sostennero che l'introduzione della giornata di otto ore di lavoro .a mezzo della legislazione è un nonsenso, tenuto conto delle grandi differenze esistenti fra le condizioni naturali delle diverse nazioni e paesi. Raccomandarono solo che ogni Stato e ogni distretto afferri le occasioni _favorevoli per regolarizza/re la questione delle ore di° lavoro. Il çongress~ dei minatori accettò l' intro~uzione della giornata di otto ore di lavoro per mezzo delle legislazioni. La proposta fu approvata con 76 voti rappresentanti I ,050,000 minatori. -Biblioteca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLAR.~ Votò contro Ten, delegato inglese del N orthumherland e del Durham, rappresentante I 20,000 minatori. Il delegato boemo Singer fece una relazione sulle tristi condizioni dei minatori della Boemia e della Slesia, e, fra le generali proteste e lo sdegno, descrisse le infami repress10m della polizia austriaca. * * * I coloni socialisti del Freiland. - Si ha da Londra che, secondo alcune notizie ricevute da Lamu colla data del 3 aprile, i coloni che fanno parte della prima spedizione verso il monte Kenia, ove il dottor Hertska intende di fondare la colonia che piglierà il nome di Freiland (Terra libera), fanno dei preparativi per inoltrarsi nell'interno del1' Africa. Il dottor Wilhelm, loro capo, li aveva preceduti di tre settimane. Questo primo grùppo di coloni si compone di 22 persone, di cui 4 sono inglesi, 7 tedeschi, 7 austriaci, I danese, I russo, I belga, 1 neo-zelandese. La spedizione ha deciso di partire verso la metà di giugno. Essa ' risalirà l'Osi e raggiungerà il Tana per il canale di Beledzoin. Si arresterà probabilmente a cinque o sei marcie da Hargaso ove finisce la navigazione sul Tana. * * * Contro i Lordi e contro i Magnati. - A Lorrdra i liberali si raduneranno in grande Conferenza a Loads per preparare il piano di campagna contro la Camera dei Lordi. A Budapest ferve l'agitazione contro i Magnati in causa del progetto sul matrimonio civile che· quei senatori-preti respinsero. Intanto la Camera ha già di nuovo approvata la legge. * * * Il I 0 maggio festa ufficiale. - Si ha dall'Australia che la colonia del Queensland ha decretato che il I O maggio sia dichiarata festa ufficiale. Si crede che tale esempio sarà imitato dalle altre colonie. * * * . Candidature operaie alla Nuova Galles. - L'attività per la pròssima campagna elettorale è grande: sono già state proposte cinquanta candidature operaie. Si spera che la vittoria arrida alle Labor electoral leagues, nonostante che il Governo abbia internato nelle miniere d'oro molti operai disoccupati. BibliotecaGino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==