LA RIVISTA POPOLARE lezza femminea, ha sostituito in lui la fugace passione per la equita sociale). Ritornando al signor Boilley, socialista temperato, che scrisse talvolta anche nella Revue socialiste del Malon, diciamo com'egli negasse l'utilità della riforma e la possibilità della sua realizzazione.' Gli fecero eco altre riviste che van per la maggiore. Impossibile, egli scrisse, di stabilire una giornata di lavoro di ugual dur~ta in tutti i climi e per tutte le industrie. Poi sarebbe ingiusta, se ristretta all'industria soltanto. Gli agricoltori ne soffrirebbero. Di più, la diminuzione di un terzo della giornata, per non diminuire la produzione, esigerebbe l'aumento di un terzo di lavoratori. Ora c'è questa riserva disponibile di lavoratori disoccupati? Marx risponde di sì, ma nessuno lo prova con cifre. Delahaye e Rouanet eliminarono radicalmente ì'obiezione del Boilley, dimostrando che il lavoro di otto ore è pi11 intenso di quello di una giornata di dodici, dà produzione eguale, se pure non la dà magg10re. Ma Boilley, nonostante le poderose critiche dei socialisti, riaffermava che la loro agitazione non rappresentava che un fascio di paradossi: paradosso la scelta della cifra di otto ore, che non si può giustificare seriamente; paradosso il minùnum di salario; paradosso la soppressione dello chomage (ozio forzato); paradosso l'aumento di produzione proveniente dalla riduzione della durata del lavoro; paradosso il pretendere di generalizzare l'intensità del lavoro egualmente per tutte le industrie; paradosso promulgare una legge facilmente violabile; paradosso il surmenage, cioè l' esaurimento che vuolsi inerente all'opificio, mentre è proprio della piccola industria; paradosso la degenerazione attribuita alla lunghezza del lavoro, senza menzionare altre cause ; paradosso la speranza di una legge unica internazionale; paradosso la legge bronzea dei salari; paradosso il credere che le otto ore modifichino la condizione servile del proletariato; paradosso il dare all'operaio del tempo, quando egli non ha bisogno che di danaro. Ne volete di più? Vi può essere qualcosa di vero in ciò, ma certamente m mm1ma dose. Altri sociologhi risposero, altri se ne occupano tuttora; una r'icca letteratura è già da tempo apparsa intorno all~ simpatica questione. Professori di atenei suggellarono con la parola dello scienziato i voti che il buon senso o l'istinto suggeriva al lavoratore. E già gli scienziati avevano ,na molti anni parlato. Il De Molinari sin dal 1846 aveva condannato la lunghezza del lavoro nelle officine, e dimostrato che il suo eccesso distrugge l'intelligenza e il corpo stesso del lavoratore. BibliotecaGino Bianco
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