La Rivista Popolare - anno II - n. 7 - 15 aprile 1894

LARIVISTAPOPOLARE POLITICA-ECONOMICA-SCIENTIFICLEAT- TERARIA-ARTISTICA ANNO II. 15 Aprile 1894 FASC. VII. ORIGINEE CARATTEREDELP"RIMOMAGGIO « ••.• quando tutti i lavoratori del mondo si mandano una voce a cui tutti rispondono, quella voce non è politica, non è giuridica, è qualcosa di più. Ha l'universalità di una religione e indica un millennio .... 1< Allora passa l'umanità. Non ci sono eserciti da opporre a tanta fede, a tanto diritto, a tanta giovinezza. Chi non sente questo nuovo mondo è morto n. G. Bov10. I. Una manifestazione calma, civile, solenne per onestà e per serietà di parole e di proponimenti, fu da principio la festa del_ 1 ° maggio, continuò ad ·esserla in molte città del mondo, dovrebbe essere sempre tale sino a che . . non si tocchino le rive di una civiltà superiore, e il so• gno dei secoli non divenga legge e costume. A che tende quella, o, meglio, a che dovrebbe tendere? E perchè, in mezzo a tante miserie e a dolori d' ogni genere, deve avere essa il carattere di una festa? E perchè, mentre dovrebbe indicare e affermare il civile ri• sveglio dei lavoratori anelanti alla conquista della giustizia, mentre dovrebbe mostrarli al mondo degni in tutto della nuova civiltà che già albeggia, v' hanno taluni che .cerca.110 di farla apparire scena di selvaggio terrore? Nel 66 a Ginevra già si proclamò che la riforma per le otto ore 1 di lavoro era la suprema condizione di ogni 1 Vi furono antichi comunisti, i quali già proposero nei loro progetti di riforma sociale che la giornata d1 lavoro fosse ridotta da sei a quattro, e alcuni anche a tre ore di lavoro. La Trades Union propone il massimo di sei ore, Vaillant, il soBiblioteca Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE altra ulteriore riforma. Nell'America del Nord il movi-· mento si a1npliò subito in modo singolare. Ivi nel 68 una legge limitò ad otto ore il lavoro degli operai dello Stato. Cleveland chiamò buona e giusta la legge, la volle rigorosamente• applicata, n1antenendo per gli operai il salario normale. Nell' 8 5 l'agitazione, in America, si estese più ancora, meravigliosamente. Iì Comitato del partito operaio repubblicano consigliava di evitare provocazioni, di non dar pretesto di cruente repressioni alla polizia e di cattivarsi la n1aggioranza del pubblico. In pochi mesi 150,000 operai avevano conquistato le otto ore; altre centinaia di 1ni- ~liaia stavano per conquistarle. Nel 91 lo Stato dell'Ohio adottava la riforma con imponente maggioranza. Così fecero altri Stati. L' Inghilterra, prima di giungere alla giornata di nove ore, aveva già promulgate cento leggi protettrici del lavoro. I capitalisti e gli industriali si opponevano, e tentavano, benchè quasi sempre invano, di frodar la legge. Non giovarono a nulla i loro sforzi e le loro astuzie. Ora, ogni giorno, apprendia1no che in Inghilterra la riforma si estende, eh' é applicata nel grande arsenale di Woolvich e negli altri arsenali dello Stato, e che molti industriali, dopo avere invano lottato, ora cedono il campo, seguendo l'esen1pio dato dal governo. In Francia, in Germania, in !svizzera, in Austria, più o meno, le otto ore vengono a mano a n1ano accettate dai governi locali e dagli industriali. I più renitenti si,amo noi, italiani, 1ns1eme ai russi, agli spagnuoli e ai turchi. cialista, pure sei ore, Hync1mann quattro, Lafargue tre, Reindorf e Noble cli New-York due, Yoynes un'ora e mezzo, Guesde, in un recente discorso a Roubais, un'ora e 20 minuti (almeno così dovrebbe essere, dicono, se tutti fossero lavoratori). BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 195 Una riforma che dovrebbe essere accolta da tutti, dopo che il fatto ne ha di1nostrata la grande utilità morale, igienica ed economica delle masse, dopo che la stessa Australia e la Nuova Zelanda l' hanno applicata, dando così con l'esempio un rimprovero a tante vecchie nazioni che diconsi eterne culle di civiltà, entra in casa nostra come una parola di terrore o come un sogno di n1ente malata. In Australia, il 21 aprile, quando appunto cominciava nel calendario repubblicano di Francia il floreale, si festeggia la memorabile data della riforma, che vige con vieppiù crescente successo. Il Rae, economista ortodosso, dimostrò in opere profonde che ivi la produzione non ne ebbe alcun danno e che anzi i lavoratori n'ebbero imn1enso utile. Essi mutarono le loro condizioni n1orali ed igieniche; crebbero le ore di riposo e diminuirono quelle date · al vizio; crebbero in essi l'amor della famiglia e della vita civile, e il benessere. Così, d'altronde, lo Schuler, segretario del lavoro presso il governo svizzero, magnificò con belle parole e con chiari I ed esatti dati statistici i buoni e grandi effetti della ìi1nitazione della giornata di lavoro nella repubblic_a. La indifferente neutralità dello Stato, eretta a domina dalla scuola di Manchester, così va a rotoli. Soltanto in Italia e nel Belgio mancano vere leggi protettrici del lavoro. In Italia la legge sui fanciulli è una vera ironia; come già in questa Rivista si disse, essa ha di bello e di utile solo il titolo. Da noi si vedono anche piccoli operai lavorare per 1 5 o 16 ore di seguito. Le cosidette ispezioni sono inutili, irrisorie. Ma rivenendo al 1 ° maggio, l'origine vera di tanta universale manifestazione ebbe luogo nel Congresso internazionale socialista che si tenne a Parigi nell' 89. Fra i vari congressi esso fu uno dei più in1portanti, e pure a molti rimase ignoto. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE Fra le questioni all'ordine del giorno era la seguente: « Vie e mezzi per raggiungere le rivendicazioni sociali ed econo1niche » . Il 2 o luglio, nel salone delle Fantasie Parigine, presenti De Paepe, Liebknecht, Bebel, Adler, Vol1nar, Willia1n Morris, Costa, Iglesias, Volders, Guesde, Lafargue ed altri, il delegato a1nericano Busche chiese si votasse una proposta tendente a una festa mondiale, a una manifestazione annua per la riduzione della giornata ài lavoro. E ne fu subito da tutti approvata la 1nassima. Ma quale data scegliere? Chi accennava al 14 luglio, chi al 2 1 setten1bre, ecc. Il delegato americano osservò che la Federazione Americana del Lavoro aveva deliberato nel dicembre r 888 che la grande manifestazione si iniziasse il r O maggio r 890. Nell'adunanza intanto si sparse rapida la notizia che una contro-di1nostrazione di anarchici, capitanati da Brunet e da Faure, si appressa va per in1pedire il voto delle ultime risoluzioni. Ma il cittadino Deville mise ai voti la proposta che venne accettata unanime1nente: l' opposizione anarchica cadde così nel vuoto. E d'allora in poi (è superfluo dirlo ai nostri lettori) la n1anifestazione è stata davvero solennissima, specialmente a Londra, a Vienna, a Parigi, a Bruxelles, a Berlino. In alcune delle grandi n1etropoli centinaia di migliaia di operai, tutti ornati di fiori, con le loro donne e i fanciulli, preceduti da araldi a cavallo, convengono fra le mu~ siche e i canti nei grandi parchi, dimenticando per un'ora le pene che soffrono ogni dì, abbandonando l'anima anelante in braccio alla speranza di migliori tempi, sorridendo al bel sole di 1naggio affinchè possa almeno baciare, n~lla sognata età della sociale giustizia, le pallide fronti dei fanciulli che nascono fra i cenci solo per il dolore e il pianto. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 1 97 Chi, in mezzo alla sin1patica e grande manifestazione, intromette pensieri ed atti di vendetta individuale, chi ne trae pretesto per la cosidetta propaganda di fatto, chi turba i canti inr1eggianti a un avvenir d'amore con attentati che gittano lo spavento d'intorno e sui lavoratori maggior discredito, non sa l'origine di quella festa, non ne conosce il carattere, non ne sente il significato. Non ne conosce il carattere anche chi vorrebbe farla vessillo di parte. Non e' è parte quando si tratta della giustizia per il proletario, quando si tratta, ben può dirsi, dell' un1anità stessa. Noi, piccini, talvolta ci palleggia1no gli uni cogli ·altri il 1nonopolio di questo movimento, il privilegio di quel sistema, la proprietà letteraria di questa o di quella teoria. E ci chiudiamo, alteri e sprezzanti, entro l'ideale edificio sociale che altri coll'ingegno profondo o bizzarro costruì, dicendo al mondo eh~ il vero è tutto nelle nostre biblioteche e il buono è tutto nei nostri magazzini. Una manifestazione, come questa, dovrebbe avere carattere non esclusivo, 1na universale e umano. E se, come è già avvenuto, riassumesse tutte le aspirazioni comuni a quanti il lungo e doloroso lavoro opprime, avrebbe importanza assai 1naggiore. Maggiore pure l'avrebbe se iniziasse in seno all'umanità stessa una vita civile di più sincera concordia e tolleranza, di 1naggiori studi e di maggiori sforzi per la comune civiltà. Intanto ad essa si associò, qua, l'agitazione per il diritto al voto, là quella contro il militarismo, 'altrove altre. Con1e una favilla si muta in fiamma e dà gran luce, così questa festa dovrebbe avere in sè non solo, oltre al1' inizia.le suo carattere, anche un carattere generale, quello dell'aspirazione alla pien~ redenzione umana, nell'alto significato della parola, che non è certo la rappresaglia o la vendetta, ma qualcosa di più degno e di più grande, ·Biblioteca Gin© Bianèo ....

I 9 8 LA RIVISTA POPOLARE Quella voce che venne a noi dagli antichi biblici profeti, che non tacque mai, anche se con1pressa in ge1nito, poichè fu seinpre l'espressione del dolore umano che non può essere spenta da tiranniche violenze, e che talora si esprime pur troppo fra triste ire e basse umiliazioni, deve , manifestarsi libera e serena, come la voce del diritto negato che prelude alla sua non reinota vittoria. E sarà non vittoria di classe, ma di popolo. La questione sociale deve farsi u111ana,o, 1neglio, vieppiù un1ana. Chi non osa procedere a capo del moto, proceda. Il socialista che si raggomitola nella propria scuola non vive con l'umanità, ma con sè medesi1110.Il repubblicano che discute solo di cose politiche, dimentica uno degli ele1nenti essenziali alla vita sociale, specialmente poi in questa se1npre fiorente modernità di pensieri. Il borghese che si ritira, pa11roso, e giudica il n1ovimento presente dall' irruenza e dalla violenza cieca di pochi che turbano e macchiano e forse inceppano quel moto stesso, si rende cornplice nella sua timida inerzia, nella solitudine, dei mali presenti e dei possibili pericolosi effetti di rimedi subitanei e strani. Una te1npesta sociale, senza indirizzo alcuno, senza l' ausilio di una costante virtù, senza la fraterna cooperazione dei migliori, che siano pronti all'opera, forti 1na saggi, accumulerebbe rovine sul campo sociale, non e1nanciperebbe alcuno. E pure dovrebbe essere così caro a chi ha cuore e così degno per chi non aspira al vano bacio di una falsa • • f glona, n1etters1 d'accordo per celebrare, fin da ora, la vittoriosa lotta dell'uomo contro. la materia, e il riscatto di tutte le vittime delle politiche e sociali iniquità l (Continua) A. FRATTI. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 199 CENNISULLECONDIZIONSITORICHE E SULL 1AVVENIRE DELL'AGRICOLTURA E DEGLI AGRICOLTORI I. Le classi agricole, nel 1nedio evo, anche pri1na che il feudalismo fosse scosso e trasformato, mediante l'abolizione della servitù della gleba, erano in condizioni meno infelici di quelle in cui versano attualmente i nostri contadini. Nè ciò è vero soltanto per i liberi coltivatori delle terre allodiali, i quali peraltro scomparvero quasi completamente nell' vrn e rx secolo, ma è vero ezian<lio per gli stessi servi della gleba, durante il periodo strettamente feudale, ed è più vero ed esatto ancora per i coltivatori liberi proprietari, e per i coloni, che dopo l'affrancamento della servitù rimase:ro sottoposti agli antichi signori, mercè un vincolo puramente economico agrario, diventando enfiteuti della terra, cui prima erano addetti. Neì tempi propri del feudalismo gli storici ordinariamente ci presentano le plebi come infelici vittiine della feroce ed ingorda oppressione dei baroni. E certo non erano conformi all'umana dignità quei rapporti di servitù e di vassallaggio che erano un ricordo dell'antica schiavitù ed una prosecuzione di quella. Molte erano le prerogative baronali e molte le prestazioni ed i servizi reali e personali che i contadini dovevano al signore. Erano essi tenuti alle corvate, ossia ai lavori sul manso dominico, dovevano far trasporti, portar lettere e messaggi, far le scolte al ~astello, pagare il mariiagium e i banni vari e molteplici, riferibili all'uso obbligatorio dei forni, dei torchi, dei mulini e di simili cose d'uso comune della vita; e la loro fedeltà aveva ad essere così ligia che venivano persino obbligati, come a tutti è noto, a battere le fosse di notte acciocchè il gracidar delle rane non turbasse i placidi sonni dei signori. Ma con tutto ciò, che Bibliotec 9 Gino Bianco

200 LA RIVISTA POPOLARE del resto trovava un qualche corrispettivo in servigi pub- \ blici e privati, resi dal barone corne sovrano alle genti soggette, era ai coloni lasciato sufficiente te1npo perchè potessero attendere alla coltura dei campi loro assegnati, il cui frutto andava a profitto della loro fa1niglia. Abolita poi la servitù della gleba e sostituita al feudo la locazione perpetua o enfiteusi, oppure la libera proprietà coltivatrice, la condizione dei contadini si fece sì prospera e florida, che confrontata, co1ne dice il dottor Giulio Bianchi, 1 « con quella tristissima degli attuali giornalieri verrebbe la voglia di ripetere col socialista inglese Loesevitz, che il n1edio evo fu l'età dell'oro del popolo » • Le prestazioni dei servigi personali e reali o erano sparite o eransi mutate in un annuo canone pagabile in derrate o in denaro, quasi se1npre limitato e· ristretto; canone che on1ai) insieme alle futili cerin1onie della ricognizione del do111inio, costituiva pressochè tutti i gravami, che lin1itavano il profitto del lavoro agricolo. E in compenso la produzione agraria e un certo benessere degli agricoltori erano da questo sistema anzichenò assicurati. L'invariabilità del canone, la sua esiguità~ la perpetuità delle concessioni, i rapporti di patronato, la limitazione alle alienazioni, erano eccellenti 1nezzi per un buon sistema agrario. Nell'invariabilità del canone e nelle perpetuità della concessione il coltivatore trovava lo stimolo a lavorare con cura il fondo, sapendo di far suo il frutto e di sentire i vantaggi dei n1iglioramenti; nè essendo sfiduciato dalla prospettiva dello sfruttan1ento continuo e della possibiJe repentina perdita del podere. Da ciò derivava che la coltura dei fondi nel medio evo era abbastanza florida. « Per l'Italia, dice il Bertagnolli, il medio evo fu il periodo dell'abbondanza, l'epoca più felice della nostra agricoltura » . La stessa inalienabilità delle terre e il patronato tornavano a vantaggio della produzione e dei produttori agricoli. t BIANCHI, La proprietà fondiaria e le classi rurali. Pisa, I 89 I. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 201 La n1ancanza del diritto di disponibilità dei fondi e l'ereditaria trasmissione del diritto enfiteutico nelle fa1niglie erano evidentemente valide garanzie di durata e motivi di miglioramento della coltura. Il patronato poi, che veniva spesso esercitato con orgoglio e premura patriarcale, assicurava ai coloni la protezione dalle altrui violenze sulle persone e sulle cose e · il soccorso in caso di malattia e di bisogno. A buon diritto fu osservato che in questo sistema il colono era pressochè nella condizione dei proprietari coltivatori, e avvenne col tempo che colle affrancazioni gli fu aperto l1adito alla libera proprietà. Ma ciò non fu con suo vantaggio. Imperocchè si può dire che col dominio utile nell 1enfiteusi la proprietà già l'avesse, poichè, come osserva il Mili, il concetto di proprietà non esclude necessariamente che vi sia una rendila da pagare come non esclude che vi siano delle imposte. Sarà stata una proprietà limitata, ma era, appunto pel limite, più sicura. Mentre la rovina del11agricoltura e degli agricoltori fu il sistema. borghese, fu il sistema della libera alienabilità delle terre e dell 1 individualismo assoluto nella proprietà fondiaria. 1 Questo sembrerà un ·paradosso a chi sia solito dividere l'astio della borghesia contro il medio evo, e contro tutto ciò che del medio evo era proprio. E sembrerà anzi un1 eresia storica a chi si è avvezzato agli apriorismi ortodossi della ornai vecchia economia politica. La borghesia, movendo guerra alla feudalità, promise mari e monti al popolo, e fece le viste di affrancare i coloni, emancipandoli dai vincoli fondiarii e pareggiandoli nella libertà civile e nei diritti. Avrà forse avuto buone intenzioni, ma riuscì solo a fare gli interessi proprii, e a peggiorare quelli del popolo. 1 A questo sistema si devono le devastazioni delle foreste, su cui i contadini, come componenti la comunità di villaggio, godevano, in alcuni luoghi sino ad oggi, i diritti di pascere, legnare, ecc. Ed a questo sistema si deve pure lo sperpero del patrimonio delle soppresse corporlzioni religiose. · * Biblioteca Gino Biancç

202 LA RIVISTA POPOLA RE Sicura1nente fu gran n1erito quello di scuotere lo spirito umano, e di rivelare e rompere l'insidioso incanto del vecchio inondo teocratico feudale, dove gli uomini, senza le ribellioni della classe colta e industriosa, sarebbero rimasti irn1nobili in una perpetua soggezione, contenti di un relativo benessere. La borghesia abbattè lo scolasticis1no nella scienza, il dogn1atismo nella religione, il diritto divino nella politica, e proclamò alto il principio della sovranità poµolare. Parlò bene, ma operò male. La libertà e l'uguaglianza riuscirono parole vuote per chi non aveva altri 1nezzi di lotta per l'esistenza, tranne che le proµrie braccia. Ciò che accadde alle classi lavoratrici e al proletariato industriale è ben noto, e troppo dolorosamente noto. Quanto ai coloni, divenuti liberi proprietari dei fondi già enfiteutici, non poterono sostenersi di fronte all' invadente capitale mobile, e vuoi per i debiti contratti, vuoi pel frazionamento per successione ereditaria, presto si videro espropriati dalla borghesia. 1 Il meno male che potè ad essi accadere (specialmente dove la Lorghesia, come in più parti d'Italia, prevalse prima della rivoluzionè francese) fu di passare dalla condizione di proprietari coltivatori a quella di coloni 1nezzadri, conservandosi colla 1nezzadria un simulacro della antica locazione e della antica colonia parziaria, coi pesi e colle prestazioni semi-feudali, di cui abbondano pure oggidì gli scritti colonici. Per 1nodo che il 111enopeggio nello stato dei contadini è oggi ancora quanto ha l'impronta del medio evo. Onde non deve recar n1eraviglia se le popolazioni agricole sono rimaste pressochè indifferenti ai moti rivoluzionari della borghesia, e se si 1nostrano tuttavia <liffidenti e scettiche di fronte alla propaganda democratica e socialista quasi avessero per motto: timeo danaos et dona ferentes. 1 In alcuni paesi, e specialmente in Inghilterra, la spogliazione dei contadini fu operata anche dai signori, e persino con modi violenti, essendo diventato un motto d'ordine: guerra ai tuguri/ BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLAR~ 203 Il catnpagnuolo è rimasto estraneo ai progressi d'una civiltà, che nulla ha fatto e nulla fa per lui, e serba attaccan1ento agli avanzi d'una età, meno triste per la sua classe, trascinandosi ancora come ammaliato dietro il più gran sin1ulacro del medio evo, e guardando con venera- . zione quella Chiesa, che è l'unica istituzione la quale si occupi o dica di occuparsi, in qualsiasi modo, del suo spirito. ( Continua) F. BUDASSI. LEFONTIDELL'ANARCHIA (Continuazione e fine). III. Fino a questo punto, in che mi tocca conchiudere per non abusare pit1 oltre dell'ospitalità cortesemente concessami, io cercai di ricorrere il meno possibile ad argomenti tratti dalle condizioni speciali della contrada ove nacquero per caso quegli che scrive e coloro che hanno avuto la bontà di leggerlo senza lapidarlo. Due le ragioni: la prima, che in anarchia, figliuola unigenita del socialismo, la parola patria non ha più uno solo de' significati attribuitile sino ad ora, se non fosse quello di semplice ed assoluta sinonimia col luogo di fortuita nascita di una o più persone; la seconda, che niun governo, niun popolo, niuna regione, offrendo forse più della regione, del popolo e del governo italiano, la dimostrazione patente e continua dei principi sui quali si aderge nella sua tremenda maestà di Nemesi inesorabile l'anguicrinita Iddia della Ribellione, sarebbe più che bastato un nudo elenco di nomi e di fat1ti desunti, dalla cronaca giornaliera di questi ultimi due anni, a far ammu-tolire in eterno le gazze scodate della reazione e del privilegio, che girano, malate di volvulo, a torno, gracchiando con lor cloache la pollina che han per saliva. A provare una volta di più, se ce ne fosse bisogno, che il puro socialismo anarchico è una vera dottrina di riforma universale, e non mica una miserabile fazione politica, una meschina setta antidinastica per il solo fatto che la teorica del principio monarchico viene ad esserne BjbliotecaGino Bianco

204 LA RIVISTA POPOLARE coinvolta nella comune ruina di ogni organismo autoritario, mi basterebbe per l'Italia citare lo spettacolo d'individuale innocuità dato dal suo re e di tutti gli scandali pilt turpi dato da' suoi amministratori, tra i quali par sia come una gara cinica a chi più sozze e pazze cose perpetri o pit\ bieche e ree maturi. I socialisti, e massimamente gli anarchici, i quali non sono più da un pezzo (se pure mai' furono) repubblicani, possono con serena lealtà di uomini e di avversari soscrivere le più ampie e le pili schiette dichiarazioni di stima e di simpatia tanto verso un repubblicano, quanto verso un monarca che se le meritino, senza tema di essere gratificati di alcuna tra le svariate ingiurie di rito or.d' è ricco l'ignobile nostro vocabolario politico; il quale, per altro, ha gran cura cìi risparmiarle al vero transfuga per viltà, al vero voltacasacca per lucro. Che se poi la goffa ingiuria, figlia d'ignoranza e livore, fischiando fuor dalla corda dell' arco di Gano, avvien che caschi ai lor piedi come insetto storpio od aspe acciaccato, il socialista e l' anarchico non abbassano neppure gli occhi a guardare, perchè a loro convien tenerli sbarrnti bene su' novissimi vigliacchi che saettano dalla macchia magari di una prefazioné, o di una poesia per monacanda, e però s'immaginano, struzzi, di non esser veduti. Ogni strale imbelle di codesti ribaldi è fattura delle lor mani, come il tossico di che n' è intrisa la punta è saliva e sangue loro. Seppie ed arpìe, ogni cosa intorbidano costoro, imbrattano ogni cosa. E orribili nomi hanno i loro veleni, di che molto s'intendono: romagnoli convertiti, tribuni pensionati, Tirtei rabboniti, garibaldini mistici, frammassoni di Vaticano, o tali. Di vili fanno incetta e di matti sì come loro: poi, col genio malefico eh' è de' nati a fare l' agente provocatore, gli uni aizzano contro gli altri, nel campo chiuso della universale ignoranza e della universale scioperataggine, servendosene come di mastini; e più bava veggono, e più ringhi odono, e più caos creano, di tanto più galluzzano e ululano, sciacalli briachi da guardine, Pelli Rosse del giornalismo venduto che campa di oscenità e sciarade, demoni fulminati dell'arte, delle lettere, dell' ideale, rinnegati apoplettici in sedia curule ustolanti al proprio « nidore di morto ». Ohimè, che nefandi e ignobili anarchici son mai codesti « sciagurati » davvero! Sì, sì, sì, Ravachol è un « delinquente », Vaillant è un « furfante », il gittar bombe non è un << gesto bello »; lo sappiamo a ·memoria; è, anzi, bestiale il doverlo dichiarare a ogni momento, tanto perchè il fannullone che si sgola a domandarcelo non BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 205 abbia ad impazzire dalla paura: ma, di grazia, non rovesciateci addosso, o borghesi onesti, la vostra broda! Quanto v' ha di odioso in questa aspirazione, in questa idealità, in questo vangelo, in questa utopia, in questa follia - chiamatela ccme volete - che da tre settimane d' anni fa il giro delle torbide coscienze de' privilegiati, sotto il nome (sempre monco, come tutti i nomi) di Anarchia; quanto v'ha di repugnante e di men che umano e di men che logico in questa parola e in questa cosa, s'intenda ben chiaro, e si assodi una volta per tutte, che è interamente opera vostra, merito vostro, vanto vostro, onorandi uomini d'ordine, che vi rammentaste di provare un po' di Regina Coeli' quando non ne poteste fare assolutamente di meno, e ancora tentennate, e vorreste, se possibile, syjgnare per la gattaiuola; cavallette governative senza pudore e senza onore, che avete per 35 anni divorato tutto ciò che in Italia c' era da divorare, ed ora, al popolo, il quale non vi chiede altro se non di essere, lavorando, difeso contro il pericolo di morir di fame in cc patria » o di febbre gialla al Brasile, rispondete con una cocciutaggine da dementi, se non fosse da disperati, rimanere a mala pena i milioni necessari per difenderlo da'<< nemici interni » (dunque da voi); farisei della legalità, che avete violato tutto il violabile, e, per colmo d' ironia, finite col domandare i (( pieni poteri » ! Oh non dubitate, quarantottisti da aranciera, che di socialismo cinguettate con sì buffo sussiego, citando ancora Ledru-Rollin; anime candide, che vi spaventate del suffragio universale come tanti Paul Bourget, senza comprendere, col vostro cervellin curialesco di cospiratori a mezzo, giunti a star bene, senza comprendere, dico, che molte cose, nuove all'Italia, l' Italia tra le nazioni novissima le ha a saltare a piè pari; non dubitate, o liquidatori del patriottismo, degni in parte di pietà, come que' vecchietti cagionevoli che han mestieri di comfort,· non dubitate, no: i pieni poteri vi saranno dati, anzi i (( pienissimi ». L' Italia è lunga come la sua pazienza; è lunga, geograficamente, come una enorme sciabola di1 tenente Blanc: e l'elsa copre tutta Sicilia, e la lama tutto il resto. Spargi, o bel dio Marte truccato da Astrea, le condanne a millenni; il Lungo Parlamento approverà ogni ,cosa ridendo, perocchè_ egli vuol aver « vita ~unga », e l' « ilarità », anco tra parentesi,. è, per ciò conseguire, condizione essenziale; ma, in un orecchio, quando vi mettono la bombetta fuori, badate di fare almeno come Tailhade, quello dal e( bel gesto » ...... badate di stare dentro, o Papirii; e il cerinaro emerito di servizio non faccia poi, mi raccomando, lo scemo. PAPILIUNCULUS. ~iblioteoa·Gino Bianèo ) .

206 LA RIVISTA POPOLARE IL FABBRO Io, sull'antira e rugginosa incudine Della classica età, .I'Òl['-[;-i() il rallto per te, vergine indomita, Di'l!ina Libertà ! E, ron vece so11oralo percotono l_ colpi del martel, Moztre, all'intorno, V(}lanogli spiriti Nel mio solùzgo oste!. Ma il canto è nano: ha flaccido lo scheletro; Grottesco aborto egli è: .lo sento sgltig11azzar, vinto, gli spiriti .... Sghignazzano su me. Anso e più batto, e, sotto i colpi, spicciano Gocce di sangue al sol; À7.Janti, o fabbro, e, via, quel sangue giovine Prenda pe 'l cielo il vol. È sangue del mzo cor, sangue di libero, Clte per gli azzurri va ; Ed ogni goccia è un grido, un sogno, un palpito Della ventura età. Roma, Aprile '94. ROMOLO PRATI. BibliotecaGino Bianco

i,A RIVISTA POPOLARE IL RIBELLE I. Quando nelle ore dolorose della tristezza sento l'anima stanca svanire come in una immensità di tenebre angosciose, e rni assale e mi opprime la stanchezza del vivere, quando, esausto dalla lotta, anelante a cercare il riposo anche nella quiete del nulla, penso dolorosamente a questo triste sogno che è la vita, e snervato mi abbandono con acre voluttà al pensiero del non essere, se all' improvviso, dinanzi alla fantasia, mi appare una roccia immane, aspra, piena di ombre, di riflessi e di una luce fantastica, pallida come quella del nord, il sangue mi scorre rapido e impetuoso dal cuore al cervello: Prometeo, l'eroe incatenato alla rupe basaltica, mi fa fiorire nell' animo la speranza e il desiderio della lotta. E penso allora che bella è la vita, bella è la lotta per l'ideale, la lotta fra i triboli e le spine, ma che ci svela o~izzonti purissimi, e bello nella lotta cadere arditi, forti, col corpo squarciato, ma col pensiero ribelle, come l'eroe di Grecia che soffriva là sulla roccia del Caucaso per l' ideale vagheggiato. Chi ama tutto I ciò che è forza e ribellione, chi ama la guerra indefessa, costante, per il trionfo del bene, deve amare la figura divina di Prometeo, che è la personificazione di questa forza, di questa ribellione, la figura di Satana che rappresenta, trasformato dalle tenebre alla luce, il pensiero umano, che sorge a combattere e a vincere le pugne con I' invisibile, con l'ignoto, con la menzogna. E Prometeo non è passato col passar dell'Olimpo greco, nè Satana è svanito collo svanire del grande edificio ebraico-cristiano, atterrato· dalla logica fiera e terribile di Strauss, dalla poesia del Renan, dall'incalzar vittorioso della scienza positiva: no, essi vivono e soffrono tutti e due; essi, ai nostri giorni, nel nostro secolo, seguitano a lottare e a sperare per l' avvenire. Il primo conserva ancora il suo originario carattere: è l'uomo che si ribella al sovrannaturale, che cerca le luci serene della scienza; Satana ha perduto l'aureola del delitto di cui necessariamente la religione lo aveva rivestito, e oggi, mito trasformato, ci appare come la forza che spezza i legami granitici del pen..: siero umano, la ribellione che dal cranio di un uomo, sia desso filoB1bliot~caGino s·anc"o

208 LA RIVISTA POPOLARE sofo o tribuno, astronomo o milite, fra le ricchezze o nella miseria, sale fino al trono degli Dei. Dessi vivono, gli eretici, i ribelli, i precursori dell'età nuova, e mai morranno; cesserà il primo di rimanere avvinto alla rupe, e il secondo di sognare lotte e vittorie negli abissi dell'inferno cristiano; e allora vinceranno, allora quando, come in una quiete diffusa di luce e di azzurro, l'umanità avrà riposo. La battaglia del sentimento è quella di Amleto e di Fausto, quella del pensiero è la battaglia dell'eroe ribelle. Ed ogni volta che ·un poeta sentì agitarsi nel cervello questa forza indomita, questa ribellione a tutto ciò che è falso, opprimente, signoreggiante, egli estrinsecò questo suo sentimento forte e poderoso, cantando una di queste due fantastiche figure: Prometeo, Sata11a; e siccome accanto a Prometeo che si ribella a Giove, e a Satana che insulta Geova, il mito narra dei Titani che clànno la scalata al cielo, fior di eroi, nella Jotta ineguale, cusì il poeta cantò insieme ai due ribelli anche i giganti di Grecia: vediamo in quali forme questo concetto di guerra e di ribellione, che il poeta estrinseca dalla sua anima per gittarlo come sfida all'Essere supremo, si manifestò attraverso il corso dei secoli. II. Nel mondo orientale, molle, snervato, superstizioso, non poteva svolgersi il concetto di un eroe che sì ribella a dio: in Cina tutto era marmorizzato, pietrificato; era una immobilità teologica che costringeva uomini e cose, pensieri e azioni; non v'è individuo, perchè assorto dalla famiglia, e questa dall'emblema dello Stato, e l'emblema dall'imperatore, e l'imperatore finalmente dalla tradizione, che si porge come fato esclusivo, unilaterale, indiscutibile; non v'è libertà, perchè lo schiavo è servo del desp ,ta, e il de.-;pota è legato alla tradizione; il pensiero è farisaico, obbediente alla sillaba, alla lettera immobile: la coscienza individuale non esiste. L'Egitto è pure rinserrato nei ferrei legami delle sue caste : il pensiero è vincolato, atrofizzato nelle pastoie teologiche; tutto è sacro, tutto è divino, e come tale non suscettibile a critica; il corpo è servo del sacerdote, il pensi·ero è servo del dio; non gli si dà nemmeno la facoltà di muoversi: nella inazione si atrofizza. Ivi allora non poteva certamente sorgere il mito di un eroe che poderosamente si ribella al dio; l'ambiente non permetteva la feconBibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE dazione e la malurazione di simile concetto: ne troviamo l'origine nell'India. Ma ::tppunto perchè anche l'India è vincolata e pietrificata dalla casta rigenerata o sacra, come la Cina lo era dall'imperatore, così il mito vi sorge solamente come vago profilo di quello che poi diverrà; e vi sorge, non come eroe che si rivolga impetuoso a dio, ma come eroe rigeneratore che dà la vita e b scienza al popolo degli uomini rubando il fuoco al cielo; però costui ancora non è un eroe, è semplicemente un generoso: la Grecia poi da questo concetto trarrà fuori la figura di Prometeo. Ma come si formò nella 1etternturn. indiana simile mito? Ritti fra i bianchi armenti, padri Aria, nell' immensa pace della campagna verde, odorosa, tra i profumi dei fiori e il polverio luminoso delle nebbie scintillanti al primo raggio <lel sole, salutavano il dio benefico che tornava immortale ad accendere di fuoco le vette delle colline, le cime degli alberi frementi di gioia alle carezze del vento. E l'inno Vedico si levava baldo, appassionato, a svegliare gli echi misteriosi delle foreste. - « O Dio Agni, dallo sguardo di fuoco, dalla rossa capigliatura, noi ti salutiamo ... o onnipotente, che ci appari sotto piì1 forme; ti levi la mattina ad infocare le cime delle nostre foreste, ti sprig1om mobile e bello dai tronchi e dai rami, cadi dal cielo tempestoso sotto forma di fuoco celeste a fulminare le vette dei munti e delle foreste ... Tu, o buon Dio Agni, figlio di Indra, che ti fa sorgere dai grandi massi, dalle grandi rocce, proteggine! ». 1 E così sul mito indian9 s:..irse l'inizio del mito di Prometeo; ma nell'India mancò il soffio dell'arte per creare una figura così bella, così umanitaria, così piena di simbolo, come quella del Prometeo greco. E quando la leggenda ìndiana del Pramautlta, o fuoco rubato, filtrò nella Grecia insieme a tanti altri miti o tradizioni, il popolo greco mutò quella leggenda, che si plasmò nel nuovo ambiente mo~ bile, vivace, ardito, e dal mito scaturì l'eroe che doveva essere legato al Caucaso (De Gubernatis, Lettm-e sulla mitologia Vedica, C. Fuoco, 1 Immaginavano che il fulmine_, o fuoco celeste, fosse prodotto dallo strofinìo delle nuvole fra loro; e poichè la radice adri significa tanto nuvola, quanto roccia, il mito· immaginò che il fuoco celeste nasceva dallò strofinamento di due rocce, appunto come nella terra essi lo facevano nascere dallo strofinamento di due bastoni. Questo bastone fu detto Pramautlw; e siccome la radice mautli significa rubare, il mito cantò del fuoco celeste, generatore del fuoco vitale, rubato. E chi era che produceva il fuoco: Pramautha, ossia Prometeo: facilmente si rinviene la simiglianza di radke. BibliotecaGino BianGo

210 LA RfVTSTA POPOLARE iWito/ogia comparata, C. Fuoco - Kunn, Die Herabku.nft des feuers umi des Sottertrauks). III. Il pnmo poeta greco che c1 parli del mito di Prometeo I è Esiodo nelle sue Opere e Giorni,- ma ancora non si è sbarazzato il mito dall'antico significato orientale, nè ba ancora acquistato il nuovo simbolo; l'eroe non si leva a combattere, non si ribella, è vinto e legato al Caucaso: così pure lo stesso autore, che ci narra l'as-,alto dei Titani al cielo, non spiega una energia ardita nel racconto; si càpisce che t-gli non si entusiasma dell'operato di quei genii, che in pochi sfidano l'Olimpo, che, piccioli atomi, si ribellano ad un universo divino; no, l'autore narra semplicemente. Ma passano cinque secoìi, e nella tragedia di Eschilo si inizia: la lotta: la vittima è legata alla roccia durn, tagliente; le punte adamantine del basalto penetrano a lacerargli i fianchi, ma non gli strappano un solo lamento; là, solo, di fronte alla brulla solitudine ghiacciata, perduto ne1l' infinito, egli, ribelle indomito, non piega il capo, ma sfida iddio a trargli un sol lamento di L>occa; egli lo deride, povera vittima abbandonata, infinitesimale, in catene alla roccia, dilaniata dagli spasimi, osa deridere il Tonante, grande, vittorioso, seduto nella grandiosità dell'Olimpo greco, in un mare di luce, in un tripudio di gioia. Eschilo ha posto tutta la forza del suo animo in quei versi, e i lamenti delle Oceanine, che, vaporose e gentili, come delicate fioriture di un sogno di poeta, vengono a consolare il ribelle, non fanno altro che dare maggior vivacità, pel contrasto, alla grandezza dell'eroe che non si arrende al dolore, al fato, a dio - dell'eroe che sdegnosamente dice a Mercurio: ..... Blandisci, rnvoca, Adora pur chi regna; a me di Giove Men che nulla ne cale ..... . . . . . l\Ieglio d'assai Lo star qui ligio a que,,ta rupe io stimo Che fede! messaggero esser di Giove. Egli hn. la grandiosità tutta del!' eroe che si sacrifica per un ideale, 1 Veài l'elegante studio di A. GRAF: Prometeo nella poesia, e quello l O. MANN: Der Pro11ut!ieus in der nzodernen Diclitimgs. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 2 I I per il bene dell'umanità, e tutta la sua grandezza traspare immensa e generosa dalle sue parole: Già tutto io sapeva, e peccar volli. Volli, nol niego, e a me stesso tormenti Io procacciai per dar soccorso all'uomo. E se lo Schlegel diceva che dal cervello di Eschilo era uscita tutta intiera la tragedia, come Pallade armata dal cranio di Giove, noi possiamo dire che egli pel primo creò quest'aureola mistica intorno al sublime capo di Prometeo, aureola che doveva rivestire quell'eroe rii luce sì bella e sì cara a chi soffre e combatte per l'ideale. IV. Ma intanto un altro mito, ben diverso, si manifestava e si svolgeva accanto alle rapsodie e ai ritmi greci. Il panteismo indiano, saturo di luce, di colori, di fantasia, si era tramutato nel dualismo persiano di Oromaze e Arimane, il primo il buon iddio della luce, a cui ardeva perennemente il fuoco sacro sulle vette delle colline, nei bianchi tempietti sorrisi dal .sole e abbracciati dai rami verdeggianti; il sec,ondo, le tenebre, il fosco principio del male: 1 a sua volta poi, il dualismo persiano si converte nel monoteismo ebraico, e segue così, il pensiero teologico, tutta la strada della evoluzione, poichè i popoli primitivi, non sapendosi spiegare la pluralità dei fenomeni che appaiono all'uomo, sono politeisti; poi, quando una osservazione più attenta e pi11 lunga della natura rivela che tutti i fenomeni sono tra loro connessi, sorge il fatto che la divinità, nel suo senso assoluto, si riduce a una. 2 Però, come nella evoluzione organica il tipo superiore non può del tutto sbarazzarsi dei caratteri posseduti nelle sue anteriori fasi di trasformazione, così il monoteismo ebraico tanto risentì del dualismo persia_no da creare di fronte al dio Geova, dio del fulmine, principio del bene, un'altra figura, tenebrosa, nera, come l'Arimane dell'Iran, la figura di Satana. E il Vecchio Testamento,· con la vivacità di tinte che poi Milton avrebbe adoperato a profusione per narrare la medesima scena nel suo 1 CREUZER, Les réligions de l'antiquité, voi. I. 2 D. F. STRAUSS, L'ancienne et la nouvelle .foi - I: Avons nous encore une religion ? BibliotecaGtnoBianco

212 LA RIVISTA POPOLARE Paradiso perduto, ci racconta la ribellione dell'arcangelo a dio, la guerra feroce, implacabile, dei pochi contro i molti, del pensiero incarnato in Satana contro la potenza celeste. Ma il ribelle è \'into, e dal fulmine è prnslrato nell'abisso, come Prometeo è avvinto alla rupe. E quale era il peccato di Satana? Egli voleva conoscere, egli si sentiva invaso dalla sete ardentissima della scienza, quella sete che invade oggi il sapiente e l'umanità, desiderosa di liberarsi dalla tetraggine delìe tenebre. Ed egli fissò il dio, il sommo Fattore, e, come oggi il filosofo, domandò: Qual è la tua essenza? Sei una illusione o una realtà? Qual è il principio dei mondi? Quale il principio del1' essere? Era il pensiero che sorgeva contro l'ignoto; era la luce che voleva sprizzar fuori dalle tenebre, spezzando, evaporando, ciò che vi si opponeva; era il divino pensiero, il libero pensiero, che ha tanti martiri e tanti eroi, che oggi è giunto a sì alto punto nel suo cammino, travagliato sì a lungo dai lamenti delle vittime e dai riflessi dei roghi; era il pensiero dell'uomo, che per la prima volta s'innalzava a scrutare entro il mistero, e che si ribellava alla ferrea necessità del dogma. E Satana, che è il primo ribelle, è la prima vittima. (Continua) ALFREDO NICEFORO. NOTTE D'APRILE De la terra è vasto il seno: Pure, in tanta estensione, Non v'è un palmo di terreno Cli'abbia me per suo padrone. Io non vo' nulla pretendere. · Vasto è il inondo ? J';; un gran di sabbia. E, a veder tanto contendere, Io ci rido e con che rabbia ! Dinamite? ... propaganda Sciocca ! pazza, ùzutil guerra ! Tutto ciò che in aria manda Ci ricasca sulla terra. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE Sì, godetevi, o melensi, Su la terra i vostri fondi. Che son essi a quegl' immensi, Splendidissùni, profondi, Infiniti beni, clt' io Ho nel cielo ? O allegrezza De le sfere, o luccicltio, Siete voi la mia ricchezza ! Campi azzurri, eterni in fiore, De gli spazzi costellati; Da nessun agrimensore Fino ad oggi misurati! V,anno, al suol curve, le genti, Nè pur levano la faccia, Stelle, ai vostri puri argenti, D'altro argento vanno in caccia. Pur se a voi, vasto possesso Indi7.Jiso,gli spiantati Si volgessero più spesso, • Sarian meno tribolati. In quel pio lume soave Che versate sul mortale Sta la vera eterea chiave Del problema sociale. In quel pio lume perfetto °'Rni affanno si scolora, .E si sperde il piccioletto Jlfal che tanto m'addolora. I.n quel pio lume superno Il mio cor spazia, rapito, E lo segue ne l'eterno Rotear per l'infinito. i Io starei, sognante e -muto, Fino a l'alba a contemplarvi, Astri miei! ... Ma uno starnuto Mi tunsig-Ziaa salutarvi! 213 G. LANZALONE. Biblioteca Gtno Bianco J

2 14 LA RIVISTA POPOLARE MOVIMENTPOOLITICO-SOCIALE Comizio a Ravenna. - Domenica I 5 aprile avrà luogo in Ravenna un gran Comizio di protesta contro le repressioni governative e contro i nuovi provvedimenti finanziari. Vi parteciperanno le varie gradazioni della democrazia popolare della città, anzi di tutta la regione romagnola. Oltre cento associazioni del circondario hanno già aderito. Il Comizio si terrà al teatro Mariani. - AH'ultim'ora apprendiamo che per rngioni d'ordine pubblico il preretto di Ravenna ha proibito i! Comizio. Viva la libertà! * * * Lega fra i 11iuratori. - Nei locali del Circolo socialista si sono adunati i soci della Lega di resistenza fra i muratori; e in una animata discussione, convinti che senza l'accordo in solidarietà è impossibile ottenere una migliore retribuzione, deliberarono all'unanimità di chiedere: 1° che la giornata di lavoro sia di 10 ore; 2° che sianu fatte due classi di lavoranti, basate sull'abilità personale; 3° che s:a fissata a seconda dell'appartenenza q_ll'una o all'altra classe un mmnno di retribuzione di 20 centesimi e un massimo di 23 all'ora. * * * il contratto di lavoro a Berlino. - V'è stata viva discussione al Reichstag intorno alla legge sul contratto cli lavoro. Si stabilì che vi sia un obbligo <li diffida di quattro settimane, nel caso che non sia stato prima stipulato il termine del contratto. In seguito a proposta dei deputati socialisti si diè forma più efficace al paragrafo della legge che dà diritto ai commessi di commercio di esigere il salario fino a sei settimane in caso di accidente sul lavoro, ritenendosi nullo per legge qualsiasi contratto in contrario, già avvenuto fra padrone e subalterno. * * * Il diritto al lavoro in Isvizzera. - Il Consiglio nazionale a Berna discusse a lungo una petizione, nella quale chiedevasi fosse iscritto nella costituzione il principio del diritto al lavoro. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLA.RE 215 Nonostante un'agitazione popolare in proposito, il Consiglio, unanime, ha respinto la proposta dei socialisti. * * * Congresso socialista. - A Siena il C,mgresso fu tenuto in forma privata, dopo la nota stolta e iniqua proibizione. Lo presiedette il Gabrielli. Fu approv:1to il regobrnento interno della Federazione. Il professor Danielli svolse il tema: « Sulla organizzazione di mestiere e sul modo di organizzare i contadini toscani». Il Congresso deliberò promuovere leghe di resistenza e invitare i rappresentanti delle varie provincie a riferire intorno alle condiziuni dei contadini. Gabrielli parla dei doveri dei deputa( i e consiglieri amministrativi verso il partito: propone il referendum. Vacirca tratta .del modo di organizzare conferenze. Meoni fa il resoconto ·della Mcwti'nella. Poi si parlò del modo dì festeggiare il I O maggio, astenendosi dal lavoro e diffondendo opuscoli e giornali. Firenze fu riconfermata sede del Comitato regionale. * * * Bills per i disoccupati. - Si sono formate negli Stati Uniti due poderose associazioni di disoccupati, delle quali l'una si chiama l' Esercito industriale e l'altra l'Esercito della repubblica di Cristo. Il promotore fu un fanatico dello Stato <li Ohio, certo Coxey, che si propone di andare, con molta gente a Washington a presentare petizioni al Congresso per due important1 bills affincaè lo Stato provveda ai disoccupati. Dalla California ora telegrafano al Times di Londra che in Oakland avvennero dei disordini perchè i treni preparati dalle Compagnie per questi strani petenti erano a vagoni-merci, non a vagoni-viaggiatori. La questione però fu accomodata e i treni partirono. La prima delle due associazioni conta centomila uomini, la seconda ne conta cinquantamila. Fra poco saranno a Washington e si presenteranno al Congresso. * * * Congresso repubblicano. - A Forlì, domenica, 81 ebbe luogo un numeroso Congresso regionale. ·BibliotecaGino Bianco

216 LA RIVISTA POPOLARE Si approvò, a grandissima .maggioranza, un ordine del giorno, 111 opposizione ad un altro, che venne proposto da alcuni intransigentissimi. I repubblicani romagnoli, in genere, segnono un indirizzo che sa di moderno e associano le migliori tradizioni alle esigenze dei nuovi tempi. Fu eletta 1a direzione della Consocinione regionale. Si fecero voti per ricostituire il Patto di fratellanza fra le Società operaie. --- --· ' VARIE1"'A Il telefono e il telegrafo senza filo. Finora il filo era ritE'nuto indispensabile, ma ora tutto sarà modificato. Le vibrazioni dell'apparato trasmissore si riprodurranno nell'apparato ricevitore senza bisogno di filo. Edison già siuo dal 1885 propose all'uopo di utilizzare il fenomeno dell' z'.nduzione. Le sue proposte parvero insensate, ma invece si provò eh' erano fondate e pratiche. Ora un dotto fisico inglese, \V. H. Preece, ha fatto recentemente dei curiosissimi esperimenti sullo stesso argomento, avanzandosi di un gran passo verso la soluzione. Senza insistere sulle spiegazioni teoriche date dal Preece al congresso cl' elettricità a Chicago, accenneremo ad una delle molte esperienze pratiche da lui fatte sul canale di Bristol. Lungo la costa del continente egli collocò una specie di linea telegrafica di I I 50 metri di lunghezza, sulla quale si potevano lanciare delle correnti elettriche, dei segnali Morse in modo da formare alcuni dispacci. Nell'isola di Feat Hohn, che sta dirimpetto, si collocò una linea che sta parallela alla prima, della lunghezza di 540 metri. Se la teoria del Preece era esatta, ogni corrente indotta dalla prima linea sulla seconda doveva produrre nell'apparato ricevitore di quest'ultima i segnali corrispondenti ai dispacci mandati. Ebbene : quantunque le due linee fossero a 5 chilometri di distanza l'una dall'altra, nell'isola di Feat Hohn si lessero senza difficoltà i dispacci mandati per induzione dal continente. Il signor Preece è convinto che con due linee parallele più lunghe si possano mandar telegrammi fino a I 6 chilometri di distanza. Ora, Biblioteca Gino Bianco

' LA RIVISTA POPOLARE 217 se anche non è probabile che questo sistema debba sostituire i cavi sottomarini ·e i fili telefonici ordinari, si può per0 comprendere gl' innumerevoli servizi che esso può rendere, segnatamente per mettere in comunicazione fra di loro delle isole separate da stretti ove il mare agitato o il fondo roccioso consumerebbero ben presto dei cavi sottomarini. Finalmente, come oggidì le questioni militari s'impongono su molte altre, si pensa già che per mezzo del nuovo sistema si potrebbe comunicare con una città assediata o ~ettere in relazione due corpi d'esercito separati da un fiume o anche dal nemico. Gli analfabeti in Italia. In Italia avevamo nell'ultimo censimento il 67 per cento di analfabeti: nello stesso anno vi furono il 40 per cento di spose e il 60 per cento di sposi che non sapevano scrivere. Il seguente specchio ci dà la statistica degli analfabeti per ogm cento coscritti nella stessa epoca:· Italia . 43.04 Francia. Germania . Svizzera Svezia • 9.5 o.6 o.8 0.19 Ecco ora le spese impiegate per l' istruzione: Francia, 6 mili0ni di sterline; Germania, 4 milioni di sterline; Italia, I milione e mezzo di sterline. Riguardo agli Istituti supenon s1 vegga il seguente prospetto: Università Professori Studenti Inghilterra II 344 13,400 Germania. 21 1920 26,680 Francia . I (?) 180 10,300 Italia • 21 600 9,900 La potenza meccanica dell'Italia. Per la potenza meccanica dell'Italia in confronto con quella delle altre nazioni d'Europa, si veda il seguente prospetto, ·che la esprime in cavalli a vapore : Inghilterra • 9,200,000 Germania Francia Italia. ' BibliotecaGino Bianèo 4,200,000 \ 4,400,000 830,000

218 LA RIVISTA POPOLARE L'Italia mvece è la più ricca di forza motrice naturale; ma non la può mettere a profitto, perchè qualunque industria muore appena nata, o appena incomincia la vita, restando strozzata dalle troppo avide brame dei fiscali e troppo zelanti agenti delle tasse. Il valore delle mani. Ecco com' è calcolato questo valore dalle compagnie d'assicurazione per i minatori in Germania. La perdita d'ambedue le mani dà diritto a tutta intera l'assicurazione, inquantochè rende impossibile il guadagnarsi di che vivere. La perdita della mano destra' è calcolata come diminuente di 70 od 80 per cento la facoltà di sostentarsi; quella della mano s·nistra cìi 60 o 70. 11 pollice vale da 20 a 30 per cento del guadagno, l'indice della destra da 14 a 18 per cento, e quello della sinistra da 8 a I 3.5, il medio vale da I o a I 6 per cento, l'anulare cla 7 a 91 il mignolo cla 9 a 12. L'oro e l'argento delle miniere del inondo. L' Economiste européen reca la seguente statistica firmata dal suo direttore Eduardo Théry: « La produzione totale di tutte le miniere del mondo, dalla scoperta dell'America al i 892 inclusive, ha fornito 233,949,972 chilogrammi d'argento del nostro pair bimetallico, 5 I ,936 milioni di lire, e 12,368,752 chilogrammi d'oro rappresentanti 42,564 milioni di lire, cioè, in totale: 95 miliardi e mezzo. « Se si desse aHa massa rispettiva dei due metalli preziosi una base equivalente, p. e., a quella del cubo perfetto dell'oro (8 m. 62 per lato, cioè 74.50 metri quadrati di superficie per base) si potrebbe con 22,280 metri cubi d'argento elevare una colonna massiccia esattamente eguale, in altezza, alla torre Eiffel: cioè 300 metri; l'altezza della colonna d'oro essendo rappresentata da 8 m. 62 ». Una statua colossale. Tra le domande presentate per la prossima .esposizione di San Francisco, è notevole quella del sig. Edward Green, il quale vorrebbe erigere una statua colossale della Giustizia portante nella mano la tradizionale bilancia. La statua avrebbe un'altezza di metri 45. 70 e l'asse della bilancia sarebbe lungo metri 9 I ! Ciascun piatto potrebbe portare 5 o persone, le quali non avrebbero che a fare un segno per vedersi innalzate a 88 metri sul livello del suolo. Y. BibliotecaGino Bianco

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