La Rivista Popolare - anno II - n. 6 - 1 aprile 1894

168 LA R !VISTA POPOLARE La folgore fu il nome, il carattere, la fibra di Kossuth. La montagna fu l'Austria. E quel nome, che ora si ripete, come mesta onda sonora, dalle estreme plaghe della nostra penisola sino al più lontano lembo di terra ove palpiti cuore di magiaro, quel no1ne per cinquant'anni si levò sovra i miasmi poli6ci, sovra le nebulosità diplomatiche, sovra ogni bassezza e ogni servilità, nitido e lucente come l'original 1nonogramma delle genti magiare, confondentesi con i più santi ricordi di una nazione ora vinta, ora ingannata. Bisognerebbe ritessere alcuni anni di storia per i dimentichi. Bisognerebbe narrar loro quanto que' grandi vec·- chi, umili ed alti, patirono solo a porre sul tappeto la questione della propria patria spenta. E quando, dopo la capitolazione di Villagos, il dittatore fu costretto ad allontanarsi, con una violenta tempesta di dolori nell'anima, com' egli scrive, nessuno può imaginare i secreti affanni di lui che se n'andava lontano, errabondo, senza patria, in braccio alla cieca ventura come tavola di vascello gittato dall'uragano su una spiaggia nuda. Un ufficiale turco dopo la capitolazione, nel non1e di_ Allah, con occhi bassi gli chiese di consegnargli la spada. E aveva ben ragione di tenere rivolto a terra lo sguardo, egli, turco, che disarmava un magiaro. Kossuth, senza versare una sola lagrima, gliela consegnò. L'ufficiale gli augurò di riposar bene (come P.UÒ riposare un esule) e lo lasciò solo col suo dolore. E da quel dì il dolore fu a lui il fedele compagno della vita. Nell'abbandonare la patria prese un pugno di terra e la baciò, commosso. Or sono cinque anni un nume- , roso pellegrinaggio di patrioti ungheresi portò al vegliardo un argenteo vaso ripieno di terra della sua patria. Egli versò quella terra e la ribaciò, pjangendo come un fanciullo. Biblioteca Gino Bianco

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