La Rivista Popolare - anno II - n. 5 - 15 marzo 1894

\ LARIVISTAPOPOLARE POLITICA-ECONOMICAS-CIENTIFIC-ALETTERARIAA- RTISTICA ANNO II. 15 Marzo 1894 FASC. V. BOMBE E IDEE I Quando n1esi fa quasi ogni sera udivansi scoppii di bo1nbe o di petardi, noi, e insieme a noi tutti i galantuo1nini non ingenui, ci chiedevamo: chi le fabbrica? chi ne accende la n1iccia? sono essi agenti della polizia? o sono delinquenti più o meno pusilli che non osano adoprare mezzi più terribili? E ci chiedevamo: v' hanno stolti malvagi o malvagi stolti che ritengono essere cotesto un elegante e civile modo di propaganda o di protesta? V'hanno congiurati per cotesti 1nisfatti? V'hanno .partiti o frazioni di partiti o ombre di partiti che meditano cotesti delitti ciechi come il d~stino, e, con1e morsi di tigri, selvaggi? Se simili delitti avessero a n1editatori ed esecutori un partito, e si perpetrassero all'ombra d'una bandiera, per un ideale qualsiasi, povera quella . divisa e povero quell'ideale I Ma non credia1no che alcun partito, in Roma, o in Italia, anche in questa olla fodrida di tanti elementi passeggeri e mu_tevoli, osi pensare al delitto che mira a punir ·colla violenza mercè l'agguato, ferocemente, un dato colpevole, e finisce collo straziare le viscere di vari innoceqti; e mentre tende a sollevare una protesta di contro al sistema che .ci smunge, invece, in realtà, solleva una protesta contro· il delinquente e_ il suo 1n1quo e scellerato sistema di vendetta· trasversale. Biblioteca Gino Bianco

130 LA RIVISTA POPOLARE V' hanno nella vita delle nazioni ore solenni, in cui è duopo esser pronti, in cui sarebbe virtù levarsi come un uomo solo e reagire. È per l'aria allora un eco di co1npassionevoli voci che chiamano. Sembra di udire allora, quasi a risposta, le sveglie del mattino risonar per i campi. Allora gli uomini forti dimenticano tutto, e corrono ove la propr~a terra si difende, ove si difende la libertà, ove pleLi tradite levansi contro chi manomise ogni loro diritto, ogni cosa loro, e don1andano il redde rationem, almeno per un giorno, per un'ora, in faccia all'azzurro cielo, in faccia al sole, a viso aperto, con la testa ritta, con la fronte pura, cercando di risparmiare ogni spavento ai vecchi, alle donne, ai bin1bi, evitando vittime innocenti, pensando solo a combattere, senza intima gioia veruna, il ne1nico che forse inconscio si presta a sostenere un delittuoso e inu1nano ordine di cose. E allora quegli iniziatori, se cadono, sono compianti, se vincono, sono glorificati; e presto o tardi la storia li addita come eroi e intreccia ghirlande di quercia alle loro fronti. O v' hanno anche sotto le tirannidi I o nelle oppressioni straniere esempio di giovani che offrirono la propria vita per ispegnere quella di chi riassun1eva tutta l'iniquità di lunghi anni di pianto e di sangue. Non apologisti dell'assassinio politico, noi qui dovrem1no ripetere il giudizio che diè. Gius7ppe Mazzini intorno al Gallengé\ quando questi pensò di uccidere Carlo Alberto. Tutti sanno con1e i repubblicani italiani la pensino intorno agli attentati di Agesilao JVIilano e di Oberdan. Ma cotesti ignoti bombardatori che con grande accortezza accendono miccie di bombe in luoghi oscuri e riposti, o con delittuosa leggerezza le acc;endono in luoghi ove è probabilissimo che debbano cader colpite vittime Biblioteca Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE IJI innocenti, o affidano i loro strumenti di n1orte a poveri individui scelti a caso, pusilli e deboli, non deboono nè dovranno mai essere equiparati a vendicatori politici. Vengano essi dal loto ove la colpa si rotola, o abbiano pure una bandiera, o un vecchio o nuovo cencio di -bandiera, chi ha l,animo onesto e libero li condanna, a ragione, severissimamente. Quando si compiono simili 1nisfatti, si oltrepassano anche i limiti della stessa den1agogia. Gli stessi più .fieri anarchici dovrebl>ero condannare con animo franco questi delitti enormi. Réclus è altamente rispettabile quanto odiosa è la memoria di Ravachol; Kropotkine, uomo d'azione, ora studia, scrive, propaga idee, che attirano le menti quanto le bombe micidiali respingono gli animi; ed egli de_ve stimarsi quanto debbono condannarsi le cieche feroci vendette di Vaillant e di Henry. Chi le approva e le applaude non può dirsi amico dell'umanità, non deve ascriversi a difensore della gran causa popolare. Il canto dei nihilisti scritto nel Che fare? di Cernicewski è il canto dell'àmore e della civiltà: Un solo sospetto non dovrebbe mai 1nacchiare cotesta nobilissima fra le cause; ella non dovrebbe n1ai essere cagione, anche minima, di terrore. È anzi necessità far sì, fra il dispregio in cui puJ troppo i miseri tengonsi, che quella gran causa sia circondata da universale simpatia. Gli scellerati e stolti, che invece di eccitare ad un'azione continua, aperta e leale, èccitano ad accidentali, oscure, incertissime vendette, servono i calunniatori del socialismo e la questura, offrono ragione ai governi di usare più fieri mezzi di repressione i quali volgonsi poi a danno anche di lavoratori che hanno solo la colpa di aver fame e di mancar di lavoro. Vorremmo dovunque· una grande cavalleresca lotta di l Biblioteca Gino Bianco

I 3 2 LA RIVISTA POPOLARE idee; vorren1mo studii fatti davvero con coscienza intorno alle vitali questioni, e non cotesta noncuranza. africana; vorremmo organizzazioni che fossero vaste e ferree contro l'odierno tristo stato di cose; vorremmo agitazioni piene di vita, di scintille, di entusiasmi, come tanti popoli ne han dato l' ese1npio, con1e ne dà esempio a noi l'Austria stessa; vorremmo una preparazione costante, seria, virile. Ma le idee debbono diffondersi solo con la forma che persuade, che attrae, che incanta, che trascina, che convince. Vogliamo rispettare le opinioni altrui, poter tenere alta la fronte, avere diritto di chiamar vile il nemico che in agguato ci insidia la vita, e sentirsi migliori di lui. Quando si hanno idee, si manifestano liberamente, se anche il carcere, con l'inasprimento annesso, vi s'apra dinanzi. Quando si crede di essere vindici dell'onore e degli interessi supremi di una nazione o di una classe, si sorge, in caso estremo, a viso aperto. Pietro Micca che accende la miccia, e fa saltare se· stesso coi nemici, è bellissimo e degno dell'an1mirazione anche degli oppressori e del bacio perenne della Gloria. Armarsi anzi tutto di idee, di una grande coscienza, di una lealtà adamantina: ecco il primo dovere. Sentire il palpito della vita sociale, presentirne la virtù fecondatrice delle grandi complesse soluzioni de' molti problen1i agitantisi nella vita 1noderna: non basta carpire qua e là dal desco imbandito dalla scienza qualche briciola di idee critiche sociali. Tutto compenetrare in un i1nmenso sentimento umano: la vendetta di un'ora è nulla, spesso è un salto addietro: la rivendicazione degli umani diritti, a cui si tenda ogni dì con amore e tenacia, è tutto. La causa degli operai dev'essere an1ata, rispettata, stimata santa, e dovrebbe intrecciarsi ai grandi e adorati BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 1 33 nomi di Roma e d'Italia, astri meravigliosi nella constellazione umana. Solo a tal patto ci affretteremo verso la redenzione sociale che s'intravede più o men cohfusa nei sogni degli aspettanti nel dolore; solo a tal patto. A. FRATTI. PSICOLOGISAOCIALEFINDISECOLO III. Argent Christophle. Caratteristica dei popoli in decadenza è l'inclinazione a carezzare se stessi con le menzogne e a persistete, per vanità, negli errori. Se una specie di anestesia morale non serpeggiasse da qualche tempo nelle nostre midolla, sferzate dagli eccitanti, noi avremmo già dovuto mostrare, rinnegando, con meritorio coraggio, tutte le eresie quarantottesche, di non aver scialacquate le nostre energie di ri~ serva. Questa contrizione sarebbe stata segno di essere almeno degni di rinnovarci moralmente e socialmente. Per conto mio non voglio continuare più oltre nel rin1orso di scientemente mentire; onde, senz'arrossire e senza tem'ere le beffe e gli anate1ni dei filistei, protesterò che il governo così detto feroce e negazione di Dio di Ferdinando II di Borbone, ora, per la legge dei rapporti e dei raffronti, dinanzi alla vindice ragione, mi s1 scopre giusto e legittimo. Se è vera incondizionatamente la teorica, di questi giorni, non senza solennità, bandita in Parlamento, che uno Stato politico abbia, sopra ogni altra finalità, l'inesorabile ) BiJ?lio\ec~GfnQ Bianco

1 134 LA RIVISTA POPOLARE diritto di difendere se stesso e la sua esistenza sociale I contro quelli che, in nome di un ideale mortifero all'Olin1po, attendono, con ogni mezzo, a disfarlo, io non capisco con qual decoro noi possiamo consegnare, senza ritrattazioni, alla l'eggenda le nostre imprecazioni alla memoria di quel re che si fondò su questo stesso postulato! È venuta l'ora di rendere austera1nente giustizia a chi l'ha attesa, fin troppo a lungo, confidando nell' imn1ancabile trionfo della verità. Ferdinando II, oltre una dinastia, rappresentò un siste1na politico-sociale che ha avuto tempi di fortuna e di splendore, i suoi profeti ed i suoi apostoli, e non bisogna dimenticare che, davanti al giudizio della scienza positiva, non v'è una verità stabile, rna una verità evolutiva; e però io, don1inando le mie passioni intellettuali, godo nel trovarmi l'onesto ardire di riconoscere che, dinanzi a lui ed al suo ideale, i nostri martiri, giustamente, dovettero apparire ribelli e traditori. Egli si difendeva. Un ideale, che involgeva il suo sopravvanzandolo, infiammò i nostri padri, ed egli, morendo, prima di vedere l'occaso del suo mondo intellettuale, non potè intendere che una nova età cominciasse dalla dimostrazione che mal riesce la forza degli ordini a premere le energie dello spirito. * * * Non può darsi, dunque, che i novi ideali sociali sieno una più alta ascensione dell'intellettualità un1ana, e che noi abbia1no il torto di non saperli intendere? Non ci punge talvolta il sospetto che, come in causa nostra trionfalmente sperimentammo, ai traditori ribelli di oggi possano apparecchiarsi altari infiorati domani? Gl' ideali dei quali parlo, certo, non sono i miei; ma quando ascolto un governo nato da un ideale fecondato BibliotecaGino Bianco

. . LA RIVISTA POPOLARE 135 dal fiore del sangue d'Italia, giustificare repressioni feroci, dittature n1ilitari oggetto dell'archeologia storica, con il vieto argomento che lo Stato ha un sacrosanto diritto a difendersi, io son tratto a malinconicamente meditare le inconseguenze della 1nente umana, e penso: come, dopo questa insignificante e sterile argomentazione si sostiene che un sistema possa ancora fregiarsi dell'attributo di liberale? Come non debbano fren1ere di gioia le ossa di Ferdinando II nella tomba? * * * Il fatto è che dall'infelice pregiudizio, proclamato come quintessenza di saviezza politica dall'on. Crispi in Parlamento, sboccia alloro alla tirannide. Se uno Stato politico, di fronte ai novi ideali prementi da tutti i lati, non sa trovare altri rimedii che quelli di porre intere popolazioni sotto l'insensato furore delle sciabole, d'interdire al popolo la sua sovranità sospendendo il patto statutario, del quale sol quello può disporre, di ' allagare di cittadini le prigioni, di grazia, perchè un uomo che fece, forse, meno di tanto si chiama tiranno, e chi, pecorilmente ora lo copia, si appella liberale? Dunque, o l'esperienza ha dimostrato che i metodi debbano essere gli stessi per tutte le forme di governo, ed allora bisogna affrettarsi a decretare, in espiazione dei nostri· torti verso di lui, un monumento a Ferdinando II; o tra i due sistemi del dispotismo e della libertà vi è una diversità essenziale di contenuto e di metodi, di sostanza e di forme, che occorre religiosamente rispettare, se ci piace conservare i caratteri differenziali tra i due fatti, ed in questo ~aso il nostro governo è responsabile di aver richiamati metodi appartenenti a un ordine già superato e caduto sotto l'esecrazione del popolo, di aver fatto dell'atavismo politico. BibliotecaGino Biaoco •

LA RIVISTA POPOLARE Al dispotisn10 è naturale ed intrinsecamente legittin10 il sistema della violenza; alla libertà è una macchia~ un segno di pervertimento. Se i n1etodi di governo dell' Italia del 1860 debbono coincidere con quelli di Ferdinando II, è farisaica ipocrisia chian1are un'identità in due modi diversi; se non altro, questi fu conseguente a se stesso ed al suo mondo intellettuale: voi, invece, o argo- ·nauti della libertà, siete in contraddizione con le vostre conscienze, con le vostre parole, con il pensiero moderno. Quel sistema era organican1ente sviluppato, il vostro è amorfo; quello era il tipo, voi siete la parodia. Ma con1e si sarebbe dovuto fare? Qui finisce il mio còmpito; a me importava dimostrare che il vostro sistema sta a quello di Ferdinando II come l 'argent Clzristoplzle sta all'argento vero! c. A. ALEMAGNA. LEFONTI·DELL'ANARCHIA I II. In qualsiasi questione di riforma sociale, le parti avversarie sogliono dividersi il lavoro in questa maniera: l'una la nega ostinatamente • senz'altro; una seconda ne impugna la maturità, la opportunità; una terza si restringe a mettere in vista (es.-igerandoli, s'intende) gli errori, i .torti, le intemperanze de' suoi apostoli e fautori. La mia, come vedesi, è una classificazione che può fare sdilinquir di piacere il paglietta più ortodosso di pasticceria costituzionale o di economia politica, nel senso che essa ammette, anche in· si fatta materia, la divisio::i.e <lel lav0ro, non pure, ma è il natural disegnarsi di una, direi, provvidenziale opposizione, senza la quale, tanto a chi regna· 1 Vedi il numero precedente. BibltotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 1 37 quanto a chi governa non rim~rrebbe altro che sbadigliare dalla mattina alla sera, o, come s' è visto non ha molto nell'Europa e nell'Asia orientali, imporre allé!-Camera di fo;nire qualche scampolo di deputato. d'opposizione entro ventiqualtr' ore, sotto pena di fustigazione o di scioglimento. C' è chi dice che, a questi ferri, da noi non siasi venuto ancora; e sarà vero. Certo è che, auspici gli Arcoleo e qualcun altro eiusdem farinae, ci abbiamo a venir presto. Sicchè, dicevo, noi udiamo tuttodì asseverare, con molta e molto ben p:isciuta tranquillità, che di question sociale, a stringere, non c' _è respice; che la miseria, la fame, il privilegio, sono declamazioni di arruffapopoli, di demagoghi, i quali vogliono pescare nel torbido; che le cose di questo basso mondo (o quello alto?!) sono sempre andate· così, e ccsì hanno a durare in perpetu9, sino a che; al meno, non siasi riusciti a cambiare il cervello degli uomini e anche la testa che lo contiene. E quelli che parlano in questa sentenza sono i gros bonntts della stampa salariata (tagliami la lingua, o Brunetière, unico uomo cli coraggio che sia comparso in questo scorcio di secolo dopo Max Nordau !), della magistratura giudicante, dell'esercito, della finanza, dell'industria. . Crogioliamoci un pocolino un <li costoro. Io conosco, p. e., un presidente di Corte d'assise, che ora è qualche cosa di pit1, ma che è sempre rimasto celebre per queJla sua spiccata vocazione dell'appioppare 25 o 30 anni di galera al primo giudicabile che gli capitasse sotto le basette fulve di felino umanato. Incredibile la quantità di carezze e di lenocinii che codesto convinto rimpiangitor della forca, del cavalletto e deJla ruota, metteva in opera per pigliare in. castagna il disgraziato bruto, dalla fronte depressa e dal color terreo7 che gli stava 1ebete dinanzi, nella gabbia, belva rusticana contro bel_vacivile. Egli lo leccava, Io strisciava, lo adulava, lo vezzeggiava, lo compativa, gli parlava in dialetto, e, se lo avesse avuto più accosto, lo avrebbe pigliato pure pel ganascino. Poveretto! confessasse, ammettesse, e sarebbe stato un brav' uomo. E facendosi, con la mano ossuta, capanna all'orecchio enorme, e prosternandosi quasi sul banco, per udir<'fmeglio, gli ammiccava fraternamente, come usano a Bagnolo del Trigno. . . lui pure c' era stato ... bel paese, buon' aria ... ~ lo incorava: ....;.A. nimo! costa poi tanto a dire: " Sono stato io? ,, - E strappatogli quel sì fatale, ratto volgevasi a' giurati (a que' tempi mi ci ficcavano; oggi non mi ci ficcan più: ed io, che ho altro a fare, ringrazio di vivo cuore la bizzarra " çecità delle µq1c ,> ), e dicea loro, larµbenqosi - * Biblioteca.GinoBianco

LA RIVISTA POPOLARE voluttuosamente con la lingua aguzza le labbra di giaguaro in amore: - Signori giurati, come potreste voi assolver costui? Egli è, si può dire, reo confesso; nulla lo scusa; ammazzò, e basta. Datemelo nelle granfie: io lo seppellirò nelle patrie galere, e salverò voi, integri cittridini, le cui vite, le cui sostanze, ecc., ècc. - Io mi guardava attorno: i miei colleghi di giurìa avevano gli occhi iniettati di sangue, la bava alla bocca, le dita rattratte, come se volessero strozzare qualcuno. Mi pa• revano carnefici in potenza, se non in atto. Rabbrividivo, e seguendoli tacito nella sala delle deliberazioni, mi turavo gli orecchi per non udire quel gorgog1ìo inarticolato di propositi da bestie feroci eh' e' ruttavano rabbiosamente dopo la colazione fatta fuori di casa; e, naturalmente, non essendo boia, davo scheda bianca. Ebbene, andate a dire a qllesti giurati, a questo presidente di Corte d'assise: - Che merito avete voi nel non essere assassini, o ladri, peggiori di quello che avete condannato testè? - Il giaguaro vi farà, potendo, arrestare; e i giudici popolari, potendo, vi accopperanno. Nè solo: ma io dico in verità che ci son molti pizzicagnoli, capi di divisione, locandieri, agenti di cambio, scioglitori emeriti di sciarade, accecatori patentati di fringuelli, maggiori in posizione ausiliaria, tenenti case di tolleranza, censori d' istituti di credito, preti liberali addetti al Ministero di pubblica istruzione, ·carabimeri smessi e guarda-portoni di case per bene, i quali applaudirebbero furiosamente il giaguaro grosso e le faine piccole, e, osando osare, darebbero :i voi ed a me di pazzo o delinquente. Io, in vece, rispondo tranquillamente a codesti infelici: - Una delle fonti dell'anarchia sta giusto lì. Di che vi lagnate? - Ma, certo, non ho mai sognato di persuaderli. A pedate, volendo, li persuaderei: viene Ravachol, o un altro, e li fa saltare per aria. Or io non dico a codest' altro infelice : -. Bravo I -· Non glielo dico (e, notisi bene, niun galantuomo gliel' ha mai detto, checchè sbraitino gli scioperati che fingono di credere a certe bombe e a certe gazzette anarchiche fabbricate nelle questure), non glielo dico, perchè io adoro i bambini biondi e innocenti; perchè io venero le mamme oneste che si logorano .la salute per tirar su la famiglia, e fanno miracoli col salario misero del marito che lavora e soffre e non sa nulla piti che lavorare e soffrire; perchè io ho un culto pe' vecchi dalla calva te:;ta tremante, dagli occhi fissi nel vuoto dell'abisso onde si sentono attratti ogni giorno più intensamente, pe' vecchietti buoni che non sanno astenersi dal lodare il tempo passato, ma non han più la BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 1 39 forza di maledire il presente; non glielo dico, perchè io non voglio la morte nè il male di tutti codesti inconsci o rassegnati i~nocenti, i quali, morendo, potrebLero rivolgere a Ravachol, o ad altri, un rimprovero a mille doppi più sanguinoso del dantesco (< Percht mi scerpi? »; non glielo dico, perchè io non voglio la morte nè il male di nessuno, neppure del mio assassino, o, che è peggio, del mio calunniatore. ) perchè io voglio, e lutti dobbiamo volere, la ragione e non la violenza, !'_amore e non l'odio, la pietà e non l'egoismo, la dolcezza e non la tirannide, la preghiera e non il comando, la gioia pura delle uuo1.e opere e del sano vivere, non il sangue nè lo sterminio. Ah! ma, se il pus deleterio d' invendicate turpitudini secolari, trasfuso per venti generazioni nel sangue degli oppressi, erompe a un tratto dà lutti i pori di un disgraziato, Ravachol o un altro, al quale voi, bo"rghesi, classi dirigenti, sangue azzurro, avete socchiuso a mezzo lo spiraglio della scienza del bene e del male, sbattendoglielo poi sul viso nel momento eh' egli chiedeva di gustare del ùene la parte sua, e non lasciandogli per suo retaggio che il male; se questo pus avvelenato, che pure è il suo sangue, come il vostro - azzurro - è di cimici, gli va al cuore e glielo imputridisce, gli va agli occhi e l'acceca, gli sale alla gola e gli fa urlare « Mora! mora ! », di che vi meravigliate? a che strillate? chi potreste mai accusare, se. n0n v0i, superui, il cui solo coraggio non fu, non è, non sarà mai allro che quello della paura; voi, vigliacchi, che avete respinto quell'uomo, sempre, che lo avete umiliato, che lo avete schernito; voi, che, come i vostri « avi » si spassavano, or è qualche secolo, a far flagellare da' suoi « progenitori " le acque dello stagno attorno al vostro maniero, oggi vi divertite a far raccattare a' suoi bimbi famelici i conlettacci di gesso tra le zampe ?e' vostri poneys ,· voi, che lo avete mandato a domicilio coatto, che lo avete torturato co' « bottoni di fuoco >> 1 come usa ancora nelle guardine d' Italia, celebri per imbastir processi di « g~irla sediziose » a carico di sordomuti; voi, sempre voi, che gli avete precluso la via del lavoro, pel gusto di ottenerne la ricaduta, e lo avete ricacciato in carcere a finir di corrompercisi, o, alla men trista, a « battervi moneta falsa d'accordo coi çarcerieri? » Vestra culpa, onesti borghesi, che ve n' andate ritti e tronfi i 111 . breack alle Corse, a suon di corno, accusatore innocente di pudichi adulterii impuniti dopo il processo, con le vostre vaporose duchesse accanto, disfatte pel ballo very select della notte passata, occhieggianti languide, con le pralines m bocca, e sorridenti se avvien che armò- · BibliotecqGinoBianco - ..

LA RIVISTA POPOLARE tino (oh Dio, non già loro, le ruote!) qualche mascalzoncello anemico su per la gremita via Flaminia ... Vestra culpa I Picchiatevi il petto, voi che tenete cappel~a privata 1 e avete il confessore di casa che vi diverte con le carte trasparenti che vengono da Bruxelles e co' tavolini giranti che vengono da Cracovia; picchiatevi il petto, e baciate basso. ( Continua). PAPILIUNCULUS. DALLECAVE CARRARESI I I recenti fatti, che si dissero di Lunigiana, ma che avrebbero dovuto piì1 propriamente chiamarsi del Carrarese, hanno raccolta l'attenzione di tutto il mondo civile sulla nostra regione. E i giudizi che si sono formati al riguardo furono sì disparati e vari, causa la precipitazione ed il preconcetto, che se molti prima ignoravano l'esistenza persino di questo importantissimo centro industriale, pochi sono ogg1 in grado di avérne un' idea precisa ed esatta. I fatti parvero strani nel loro sorgere come nel loro esplicarsi. Da tale stranezza fu facile dedurne senz'altro una colpa eccedente la normale, in coloro che vi parteciparono. Fu facile, data la impressione del momento; la riflessione avrebbe condotto invece a concludere che non vi ha effetto senza causa proporzionata; ed avrebbe convinto allo studio delle cause. Chi non ha salite le nostre vette nel maggior freddo del verno e nel maggior caldo dell'estate; chi non ha seguìto con cuore e mente di osservatore le diverse fasi attraverso alie quali si esplica giornalmente la vita 1 Ringraziamo l'egregio nostro amico avv. Del Nero per l'importantissima sua corrispondenza, fidenti eh' egli ci mandi per i numeri prossimi altri articoli sulle vere condizioni di quegli operai. In mezzo alle calunniose asserzioni, da .un lato, e alle esagerazioni, dall'altro, è bene che un uomo d~ gran coscienza ed intelletto, 11n vero gentiluomo, come il Del Nero, dica liberamente un'esatta parola sul vero stato de1le cose. Noi avemmo il bene di conoscerlo al!orchè due anni fa ci recammo alle cave di marmo, e in mezzo a quello immenso sple::ndor di ricchezza vedemmo le ine• narrabili fatiche degli operai che menano una vita da b~stie e non da uomini, e apprendemmo i loro continui pericoli e sacrifizi, e il continuo colpevole abbandono in cui furono sempre lasciati e da proprietari egoisti e, in genere, dai governanti. (N. d. D.). BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE dell'operaio cavatore, chi non si è addentrato in tutte quelle forme speciali di raP.porti fra capitale e lavoro che rendono caratteristica la società nostra, e inducono a considerarla e giudicarla con criteri speciali, non potrà mai dare un giudizio che risponda allo stato vero delle cose. I termini della quistione sono qui come altrove capitale e lavoro. Il capitale rappresentato dai proprietari delle cave e dagli industriali che speculano sulla compra dei marmi che di mano in mano si escavano ; ed il lavoro rappresentato da quella massa di operai che accompagnano la preziosa materia dal punto della sua escavazione fino· a quello della esportazione, sia sotto forma di marmo grezzo che di marmo I segato o altrimenti lavorato; ed il rapporto qui come altrove si estrinseca setto forma di salario variante dalle lire 2.30 alle 3 al giorno. Per chi è abituato a sentir parlare di salari inferiori alla lira, sembra che le condizioni dell'operaio non possano essere migliori; che in nessun sito ~a lotta fra i due principali agenti della produzione sia meno giustificata. Occorre però tener conto delle seguenti circostanze le quali sono. molto influenti: 1° Che il lavoro delle donne e dei fanciulli è quasi nulla fra noi, e quindi la famiglia deve vivere esclusivamente sul salario del propno capo ; 2° Che le famiglie di operai sono quasi tutte nullatenenti; 3° Che le giornate utili di lavoro alle cave non oltrepassano le 220 all'anno, se si escludono i giorni festivi e piovosi; 4 ° Che in nessun sito d'Italia 13:vita è così a caro prezzo come da noi dove la poca produzione agricola locale è carissima stante le gravi spese di coltivazi~ne, tutto si importa dal di fuori, e gli affitti sono altissimi; 5° Che n~ssun genere di lavoro importa con~umo di calzature e vestiario come questo del cavatore, nè richiede al par di questo un vestiario relativamente costoso, specialmente d'inverno, esercitandosi il lavoro delle cave all'aria aperta ; 6° Che in nessun altro genere di lavoro il peric@lo della vita è così grande e continuo, giacchè non vi ha giorno nél quale la vita . di ogni operaio non corra rischio di essere spezzata, o la sua integrità personale menomata. Materialmente quindi, se a pnma vista le condizioni dell'operaio nostro possono sembrare invidiabili, non si può mantenere simile giudizio quando si giudichino tenendo conto di tutti quegli elementi che servono a caratterizzarle. BibliotecaGinoBianc"o

LA RIVISTA POPOLARE Quanto alle condizioni morali si potrebbe, come a riguardo delle rnateriali 1 scrivere un intero volume se si volessero analizzare logicamente rico11eganclole all'ambiente. Le popolazioni nostre sono intelligenti ed ardite, ma purtroppo 1 senza loro colpa ignoranti. Di fronte allo stridente contrasto che ogni giofno sono chiamati ad osservare fra le loro condizioni ed i principi dell'equità sociale, i nostri operai non possono nmanere muti e passivi. Sono quindi tratti a formulare i loro desider1 in forme rozze ed indeterminate come rozze ed indeterminate sono le idee che le menti loro possono produrre. Non si erra però affermando che colla stessa materia prima ben <liretta ed educata alla scuola dei buoni esempi, si potrebbero ottenere risultati più che soddisfacenti. La continua dimestichezza col pericolo, li rende, più che coraggiosi, temerari in tutte le loro azioni. Sono insofferenti di freno e di legge, perchè lo è l'ambiente tutto nel qnale vivono, perchè il disprezzo della legge 1 sia formulata nei codki, che nelle sentenze dei magistrati o nelle private stipulazioni, è comune qui a tutte le classi sociali. Come non si rispettano nella escavazione i dettami della scienza, così non si rispetta la cosa giudicata; ed è comune il caso di inibitorie violate nelle quali gli operai figurano come esecutori materiali degli ordini <lati dai loro padroni. Il completo abbandono nel quale sono lasciati in caso cli infortunio li fa pensare più all'oggi che al domani; quindi una imprevidenza che si imputa loro come difetto, ma che è naturale e logica. Molto ancora potrebbe dirsi ed anzi questi non sono che appunti · staccati sull'argomento. Occorrerebbe per trattarlo adeguatamente una esposizione sistematica che comprendesse l'esame di tutto l'ambiente colle sue azioni e reazioni specialissime quanto interessanti. Mi basta per oggi farvi convinti della esattezza del punto di vista dal quale mi sono dipartito e che è il solo giusto per esaminare tutto quanto c;i connette alle nostre condizioni sociali e cioè che, svolgendosi queste in un ambiente speciale sotto tutti i rapporti, devono essere giu<licate freddamente con criteri egualmente speciali. E questo potrò fare se la Rivista vorrà seguitare ad accordarmi cortese ospitalità. Carrara, 8 marzo I 894. PANTALEONE DEL NERO. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 143 GLISTUDENTTI ORINESIDEL1821 1 (12 gennaio) A Ferdz'nando Mi'cheli. La restaurazione aveva affidato il governo del Piemonte ad una fazione di gesuiti e di nobili, che aveano avuto per iscopo di far dimenticare in tutti i modi qualunque molesto ricordo lasciato dalla Rivoluzione francese. Negli altri staterelli le condizioni politiche non erano di molto diverse: Pio VII, perduta la leggenda di ribellione al Bonaparte, volea smaltire la rabbia sofferta col fare alla sua volta il tirannello; il Borbone - in fatto di tirannide - sapea il fatto suo; i duchi di Toscana, di Modena e Lucca prendeano gli crdini da Vienna, ed il loro esempio non disdegnava seguire nel Parmigiano' la moglie di Napoleone, Maria Luigia. Frattanto però la rivoluzione prendeva piede a Lisbona, a Madrid ed a Napoli. A Torino - ove la Federazione z'taliana raccpglieva nelle sue fila numerosi proseliti fra tutti i ceti - si attendeva fre)1lendo il giorno della riscossa. Carlp Alberto, non ancora macchiato del sangue dei congiurati, per l' educazione ricevuta col popolo, per le simpatie e per le amicizie che lo legavano ai più noti federati, dovea essere. a capo del movimento: avvenimenti posteriori, è vero, ed il suo tentennare, gli hanno fatto perdere questa aureola; ma, è indubitato, glorie ben diverse da quella di Novara, eran riservate all'italo Amleto dagli albori della rivoluzione italiana, se i tempi avesse compreso. E propizia occasione gli offrivano - chi l'avrebbe preveduto? - gli studenti universitari. Al teatro d' Angennes - divenuto ai giorni nostri teatro di marionette! - recitava con felice successo la celèbre Marchionni. Vi conv:emva ad udirla il fior fiore della cittadinanza e numerosissimi ac-· correvano gli studenti universitari, che, per la secolare abitudine - conservata come dolce retaggio ai giorni nostri - di tumultuare prima dello spettacolo, solevano avere frequenti alterchi con le guardie di polizia. Una sera però quattro ·_studenti compaiono nella platea col berretto frigio in capo. Le guardie s'adombrano e li arrestano. I compagni si schierano sull'uscio del teatro e, nel tumulto successo, sareb1 V. BROFFB:RIO, I mz'ei tempi", ·ij1bliot~c ' no Bianco

144 tA RIV1S'fA POPOLARE hero riusciti a sottrarli alla polizia, se da uno stuolo di carabinieri, sopraggiunto dalla vicina caserma, non fossero stati sopraffatti. In quegll anni gli studenti universitari aveano il privilegio, consacrato dal tempo garantito dalle leggi ed esplicitamente specificato nel foglio di matricola cli poter essere giudicati solo dal magistrato degli studi. Privilegio quanto volete; ma giustificato dagli infiniti arbitri e violenze, a cui si era esposti continuamente. Il pietoso Governo invece fa trndurre gli arrestati, nel cuore dell'inverno, alle carceri cli Fenestrelle e cli Ivrea, dopo aver fatto loro attraversare la città fra due fila di carahinieri. All'indomani ( 12 gennaio 182 I) gli stuclen'ti, che aveano inutilmente ricorso alle vie legali e vedeano manomessi imphnemente i loro diritti, dopo la lezione pomeridiana tolgono le chiavi dei portoni ai bidelli, sbarrano gli usci del palnzo universitario e giurano di non ritornare alle loro case prima di aver ottenuto quanto per i loro compagni giustamente dom:rnclavano. Asserragliatisi alla meglio e collocati nei davanzali delle finestre i ciottoli del cortile universitario, inviano due delegati al conte Balbo ministro degli interni e presidente degli studi « con l'incarico, dice il Brofferio, di persuaderlo ad interporsi presso il sovrano,· acciocchè fossero lasciati in lihertà gli arrestati o quanto meno fossero dati in mano ai superiori universitari ». Per risposta sopraggiunse uno stuolo di carabinieri: a questo ne seguirono altri, parte a piedi e parte a cavallo, che si disposero dinanzi al palazzo Madama: si collocò un drn.ppello di granatieri nei principali quartieri della capitale ed il resto della truppa veniva trattenuto nelle caserme. Compiuti questi preparativi per sedare gli animi dei rivoltosi, giunse il conte Balho ·con l'ordine immediato <li sgombrare il palazzo universitario, insinuando di sperare nella bontà del sovrano. Le urb ed i fischi che seguirono ben si possono immaginare. Il Balbo promise di interporre immediatamente presso Vittorio Emanuele il suo appoggio in favore degli studenti; tuttora però si ignora se egli facesse in quel momento promessa da gentiluomo, ovvero se il suo buon volere si spezzasse dinanzi agli intrighi di gabinetto. Certo è questo che verso le 8 pomeridiane sopravvennero, a passo di carica, due battaglioni del reggimento granatieri e incrociarono le baionette contro gli studenti. Questi diedero mano ai sassi e vi fu qualche ferito fra i soldati. Ciò bastò perchè si ordinasse di :1tterrare i portoni e di dar la carica - al grido di Viva il re I - agli studenti, inse• BibliotecaGino Bianco

LA RJVIST A POPOLARE guendoli nelle gallerie, ove opposero un'ultima e debole resistenza. La scena seguìta è delle più raccapriccianti che si possano immaginare. « Si videro quei cannibali, così il Brofferio nell'opera citata, indegni del nome di ufficiale piemontese, alzare implacabili la sciabola sopra i fuggitivi e divertirsi a far macello fra i tumultuanti; si videro molti di quegli infelici trascinati gitt per le scale che irrigavano del loro sangue ; di sotto alle panche, alle tavole, alle ringhiere tratti per ]e gallerie e fatti bersaglio alle sciabole e alle baionette; neppure nella chiesa, neppure nell'altare di Cristo, nove alcuni di quei miseri si rifugiarono, venne usata misericordia ». La crudeltà maggiore venne usata dagli ufficiali. Gli ospedali furono ingombri di feriti e di moribondi; e, durante la notte, è tradizione, venissero raccolti parecchi cadaveri. Gli ammalati aveano chi 51 chi 8, chi IO ferite; un tal Giaccone, giovane di I 6 anni, ne avea 23 e tutte di sciabola, quasi nessuna di baionetta I A sacrifizio compiuto, il principe di Carignano compiva il pietoso ufficio cli visitare i moribondi negli ospedali. Il triste fatto, che portò il lutto nelle principali famiglie, accrebbe l'esasperazione degli animi e preparò la rivoluzione del marzo, delle pit1 nobili e delle pit1 feconde che la storia ricordi, sebbene gli eventi non arridessero per il rr.omento. Queste dolorose pagine di storia moderna non hanno dimenticato • gli studenti torinesi. Dal I 884 essi lottano contro le autorità governative ed il Consiglio accademico per far murare nell'atrio del loro Ateneo, ove il fatto avvenne, una lapide commemorante quel moto; il quale, sebbene studentesco potè sembrare nelle origini, fu però emiùentemente italiano per lo spirito che l'animava e per i fatti che ne seguirono. Per le vittime della reazione piemontese il Bovio dettava la seguente epigrafe: IL I 821 AI POPOLI DATA INAUGURANTE DICE CHE UN LUSTRO BASTÒ A CONSUMARE LA SANTA ALLEANZA A RIALZARE TRA I SUDDITI LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI UMANI TRA LE NAZIONI LA COSCIENZA DI NON BASTARE TRE CORONATI A TRAMARE I DESTINI DELLA STORIA · BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE I CADUTI DI QUELL'ANNO SI RIZZARONO ARMATI TRA GLI INSORTI DEL I 848 RIVISSERO A MILANO CINQUE DÌ E RICADUTI DA PALERMO A NOVARA TORNARONO IN MILLE A MARSALA RICERCANDO DA CALATAFIMI A MENTANA ROMA ROMA NON RIPOSANO ANCORA GLI STUDENTI DELL'UNIVERSITÀ TORINESE ONDE IL MOTO PARTÌ. L'epigrafe può avere dei difetti, e, forse principale, di non ncordare abbastanza i giovani martiri; ma la critica che professori, ministri, Consigli accademici le hanno fatto, è delle più ingiuste, avendo voluto sulla povera grammatica riversare l'antipatia inspirata loro da ricordi ed augur1 inopportuni. Almeno il Nicotera francamente e.idiceva di scrivere al Bovio perchè cambiasse l'ultima espressione « non riposano ancora ». Ma negli altri ministri, da Agostino Depretis a Francesco Crispi, quante gesuiterie non si dissero? Gli studenti però non si stancano, e quasi ogni anno, in muta processione dall'atrio, ove si sparse il sangue ed all'ora in cui la sommossa incominciò, si sogliono recare, con la bandiera donata dalle signore torinesi al battaglione universitario che partiva alla guerra, a deporre una coron:1 di fiori (modesto tributo dell'economia studentesca) sull'obelisco eretto ai martiri della rivoluzione di marzo. Lo studente torinese, allontanandosi dall'Università, lascia ai compagni il mo11ito di quei fatti, che, se spesso sono vanto della sua famiglia, sono sempre attestato brillante del valore e del coraggio dello studente italiano, allegro e spensierato nella leggenda, ma sempre nobilissimo di cuore e arditissimo nei momenti del pericolo. CELESTINO LOY. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 147 ' VARIETA " Mes paradis ,, di Giovanni Richepin. Il recentissimo volume del poeta francese, celebre per tante sue poesie e prose, celebre per le Canzoni dei pezzenti, nelle quali si sente Io schianto dell'anima e il segreto dolore che tormenta i poveri, il nuovo suo volume si divide in tre parti: Viatiques, Dans le remozu, Les Iles d' or. La prima parte risona della dolce nota della tolìernnza; nell'ultima, per navigare intorno o sino alle Isole d'oro, è necessario un pilota. Diciamolo subito: la conclusione dell'opera è che v' ha in ogni individuo migliaia di << io », e che è folle, secondo l'autore, chi spera poterli ridurre ad uno solo, assoluto, unico; quindi non bisogna cercare un paradiso, ma moltissimi paradisi, senza fine: e il poeta appunto ce li indica nelle Isole d'oro, le quali sono come le sparse felicità che a<l ognuno· è permesso conquistare o sognare. V' ha l'Isola della giovinezza piena di pazza gioia, ove si coglie l'amicizia come un fiore, e le Isole del mistero ove si mirano le stelle, ove i baci fioriscono. Vi sono le Isole d'oro della infanzia, paradiso di già vissuto: si ritorna il piccino dei primi gesti, dei primi balbettamenti e degli occhi che si fanno grandi alle favole raccontate. Ma l'Isola più bella e ridente è quella ove si è amati, ove grandemente si ama. Osiamo tradurre una delle poesie, un vero gioiello, scritta in fluidi e soavi alessandrini, chiedendo venia se ne togliamo il profumo. IL BAMBINO. Cos'ha il caro mignon pe1· agitarsi cos't? Ognuno vuole calmarlo, ma nessuno v'è riuscito, nè il padre orgoglioso della sua vana scienza, nè la nonna cantando le son, son, vène, vène. Egli grida, piange, contorce le braccia; egli con i piedi nudi gesticola,- egli ha dei dispiaceri, sconosciuti anche alla mamma, la divina inte_rprete che tutto co1nprende e tutto spiega e tutto indovina. Sono grandi dispiaceri, sebbene non abbiano nome. Inesprimibili: certo. Inconsolabili? No. La madre sorridendo si scuopre il petto. In cima al seno, bottone di rosa porporina, tremola, bianca rugiada, una goccia di latte. Alla voce del bi0mbo già essa vi perleggiava. Egli, come una silvestre rosa aperta, tende la bocca. E tosto che la rosa porporina tocca la rosa silvestre, cessano le grida, i pianti, i grandi dispiaceri. La madre, sopràstando co' suoi sguardi sereni, gli versa col latte l' oblìo. Il suo respiro calmo si spande per l'aria come al ritmo d'una palma, e scaccia, alitando con moto leggero, tutte le nere farfalle eh' egli sentiva volteggiare con le ali oscure confusamente d'intorno a lui. Ah ora, nè d'esse, nè d'altro ha alcun pensiero I Egli è tutto della felicità che beatamente beve. I suoi occhi levati e dolci sono in pieno firmamento a contemplar gli occhi di sua madre. Egli si stringe BH:>fioteca Gjno Bianco

LA RIVISTA POPOLARE a lei. Le sue dita lente, con cm'ezza vaga, vanno e vengono sul seno elastico e color neve, e sembra r!te vi toccltino, per i mistid suoni di un ballo d'angeli nelle armonie celesti, un'arpa ùz sogno dalle invisibili corde. E nulla, nè il profondo delirio del!' amante, quando l'amata cd egli ardente1Jiente si fondono nel bacio clu fa di due esseri un essere solo, nè la voluttuosa ebbrezza che penetra una veccltia devota ·ùtginocc!tiata in luo,ro santo e clte sente il suo corho unirsi allo stesso corho di Dio, nè il Ò I j' j' rapimento d'un santo, le cui pupille vegg-ono già rilucere le lampade eterne e s' empiono dei loro estatici splendori, nulla non è felice quanto quella bocca in fiore suggente il fi,or della vita, e quanto quegli oa!ti molli di sopita tenerezza, come se, mentre il bimbo poppa, colasse nd suo cuore tutto il cuore della madre sua I Le donne inventrici in America. Il progresso dell'attività inventrice delle donne americane è da vari anni straordinario. Negli ultimi venti anni furono da esse presentate 400 domande di privative. Il numero totale delle invenzioni femminili, fino all' ottobre 18921 è stato di 3458, e fra queste pochissime sono le straniere. Spesso si tratta d' invenzioni semplici, p. es., <li bei giuocattoli per bimbi, di piccoli utensili, ecc. Una semplicissima aggiunta a<l una macchina da cucire fruttò un gran patrimonio a Miss Elena lHanchard. Miss Phelps di Dorchester inventò un porta-cibi con refrigeratore, la cui provvista di ghiaccio dura un giorno intero, e può servire a chi si reca in campagna o viaggia per una giornata. Un'invenzione di grande importanza fu fatta da Miss Montgomery di New-York, che perfezionò le ruote delle locomotive, e il perfezio- .namento fu subito applicato a una nave da guerra, per cui ella ebbe la privativa. Una giovine di Lima (Ohio) ha scoperto un processo chimico, per mezzo del quale si estraggono da un barile <l'olio circa <liecimila piedi cubi di gas ilfuminante. Mrs. Batcheller ha inventato uno strumento adatto a raddrizzare le orecchie mal conformate, e un altro a migliorare la fisonomia delle brutte facce asimmetriche. Sarebbe troppo lungo trascrivere i nomi e le invenzioni di tutte le donne che da vari anni si distinguono in America per invenzioni. Il futuro si presenta brillante ad esse, e verrà dì che negli uffici pubblici, come nei banchi e nelle industrie, avranno il loro impero. Sulla lista degli impiegati di Edison, il gran mago, leggonsi i nomi di più che duecento donne, ed egli dice che preferisce queste per la esecuzione dei dettagli delle sue invenzioni elettriche. Secondo lui, le nonne si fanno un concetto più chiaro dei meccanismi, in un minuto, di quel che non se lo facciano, nella maggior parte, gli uomini in tutto il corso della vita. Però alle donne americane arride ben poco l' ideale : la poesia è muta per la gran maggioranza di quelle singolat;,i creature che col tempo vinceranno gli uomini in tutto, anche nella politica e nelle armi. Y. BibliotecaGirioBianco

LA RIVISTA POPOLARE 149 MOVIMENTPO LITICO-SOCIALE In Sicilia. Gli avveniment; e le cause. - È questo il titolo d'un nuovo lavoro dell'on. Colajanni, lavoro di gran mole e di grande importanza. Mario Rapisardi nella prefazione scrive: << Le due principali verità che risultano, a parer mio, dalla notizia sincera de' fatti sono l' indipendenza dei moti siciliani da qualunque opera di partito e la prepotenza del governo, che vuole parere forte, e non è». L'opera si compone di 1 2 capitoli. Narra la storia del socialismo in Sicilia, svela fatti nuovi e strani, descrive il malcontento de' lavoratori, l'azione o tric;ta o ·negativa del governo e de' municipi, ecc., ma specialmente s' intrattiene sul capitolo duodecimo intitolato : La reazione. La conclusione è di 40 pagine: l'opera intera è di 2 50. L'autore crede possibile una soluzione pacifica ai tremendi problemi- che s'agitano nell' isola. Ne indica il modo, e accenna categoricamente a pronti provvedimenti che impedisc~no il ripullulare delle maligne consorterie locali. Revisione di liste elettorali, riduzione di spese obbligatorie, riforma e giustizia nella distribuzione delle imposte. Il nuovo organismo amministrativo dovrebbe completarsi col referendum. Poi riforme economiche sociali per i lavoratori; per gli zolfi una legge truck-system, un'altra contro l'usura, casse di sovvenzioni per le miniere, probi-viri per l'agricoltura, ecc. E tutto questo coronato da due provvedimenti: ricostituzione dei Fasci e diffusione della pubblica istruzione. L'autore dimostra poi come il rincrudimento delle tasse sia una vera provocazione. E dall' analisi delle povere condizioni dell' i- . sola sale a quella delle condizioni di tutta l' Italia. Secondo lui, si videro già i segni precursori della rovina d'un sistema interno, come avvenne nel secolo scorso quando la rivoluzione francese scoppiò. Il libro del nostro egregio amico è davvero utile e ·pregevole, ed è un'opera critica di quanto fect il governo in risposta a' consigli suoi. Il governo risponderà ai nuovi consigli come ha risposto in passato. Qualche finzione, qualche concessione apparente, qualche riforma dal titolo risonante, ma, in realtà, nulla. Permettere la ricostituzione dei Fasci? Ai paurosi, nella loro falsa fierezza, che stanno in alto, è come proporre il S\,licidio. Consigliare la nessuna ingerenza nelle elezioni e la fine della corruzione, è come consigliare la fine del sistema. Criticare l'opera del generale Morra, è come criticare la vittoria del liberatore. Il libro del Colajanni avrà un meritato successo, ma non di certo nelle. sfere governative: in esse accettansi solo i consigli della prepotenza e dell'albagia: si pensa colassù a vivacchiare come ministri, non a far vivere una nazion~ che si va spegnendo nell' inedia morale e materiale. BibliotecaGirioBianco

LA RIVISTA POPOLARE * * * Una commemorazione a Vienna. - Il I 2 corrente circa 20,000 operai viennesi si recarono al cimitero centrale per ricordare l' anniversario dei ~aduli nella rivoluzione del I 848, dopo avere assistito a grandi comizi per il suffragio universale. Sulla tomba dei martiri deposero 53 ghirlande, 3 con l' iscrizione: « Ai combattenti del I 848, i socialisti-democratici di Vienna». L'avvocato Ellenbougen, e tre operai pronunziarono acclam~ti discorsi in tedesco e in czeco. Si gridò con entusiasmo più volte: « viva la democrazia sociale! » E si cantò l' inno dei lavoratori. Numerosissimi poliziotti a piedi ed a cavallo scortavano il grande corteo; ma, nonostante, l'ordine non fu turbato. * * * Per Giuseppe Mazzini. - In Italia, da. per tutto, s1 è commemorato l'anniversario della morte del grande Educatore. Furon tenute conferenze, adunanze, ecc., a Roma, a Milano, a Siena, a Lugo, a Rimini, a Pesaro, a Forlì, a Bologna, a Livorno, in Ancona, a Terni, a Perugia, ecc. Si pubblicarono numeri unici, manifesti ed epigrafi, in moltissime città. A Genova le associazioni repubblicane ed operaie si astennero dal recarsi a Staglieno: un austero manifesto del triumvirato della Confederazione ammoniva che splender non deve per le vie l'apoteosi del Genio, finchè durano il danno e la vergogna di questi giorni. * * * Sciopero di operai ferrovieri. - A Siena il 12 gli operai delle officine ferroviarie, circa 400, si misero in isciopero. Essi richiesero al loro capo l' immediato aumento generale di paga e la revoca deJla limitazione sulla percentuale de' cottimi; e ottennero già parte di quanto chiedevano. Si teme che seguano il loro esempio gli operai di altre officine. A Verona si sono pure messi m 1sc10pero gli operai ferroviari, causa lo 'scarso salario. * * * Il matrimonio civile e la libertà religiosa. - A Budapest vi fu, il 4 corrente, un' imponentissima dimostrazione di circa 20 mila persone, in favore <lel matrimonio civile obbligatorio, dél riconoscimento del culto degli israeliti e della libertà religiosa. II ,neeting fu imponentissimo. I dimostranti coprivano lo spazio <li I o ettari. Essi ritornarono in città al suono della musica e di inni patriottici, fra l'entusiasmo e le acclamazioni del pubblico. * * * , Il Comizio di Faenza. - Un manifesto, firmato da 700 cittadim d'ogni ceto, inyitava, domenica· scorsa, al Politeama per un grande comizio contro le nuove tasse. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE Da telegrammi a1 giornali si annunzia che il Comizio fu affollatissimo. · Aderirono Imbria11i, Cavallotti, Fratti e altri. Parlarono, acclamati, Masoni, Caldesi, Zabeo, Vendemini, Turchi. Enorme apparato di forze: nonostante, ordine perfetto. L'ordine del giorno, chiaro e preciso, scritto in forma semplice e popolare, condanna gli aumenti sul prezzo del sale e sul dazio dei grani, aumenti che colpiscono i lavoratori, poi quello sulla' ricchezza mobile, sul bollo e registro, sulle misure metriche, poi l'aumento dei due decimi sulla fondiaria, che dà l'estremo colpo alla industri.i: e all'agricoltura ambedue già languenti, e che assottiglia più ancora il patrimonio delle opere Pie, oggi ultima speranza de' miseri, di più indica il danno che ne viene ai comuni, mentre, d'altronde, le economie proposte sono irrisorie e risparmiano i grossi stipendii; denunzia al paese il falso sistema tributario che tende a perequare la nazione nella comune miseria, e invita il popolo italiano a trarsi dall'apatia per rendere impossibile, mercè una sena e solenne manifestazione de' suoi voti, l'approvazione di tanto rovmos1 provvédimenti. * * * il Congresso dei sindaci a Roma sarà tenuto nel mese prossnno: la sua importanza è accreséiuta dai progetti delle nuove tasse che graveranno tanto sui comuni, e da quello dei p1em poteri per le riforme amministrative. . La libera voce dei rappresentanti dei comuni d'Italia dovrebbe avere potenza e virtù d'iniziare il· disegno di una vera e grande trasformazione tributaria. La circolare diramata dall'attivissimo iniziatore dell'agitazione per l'autonomia comunale, dott. E. Fazi, accenna a tre· punti principali da discutersi: I O La rigida e complicata uniformità della legislazione amministrativa; · 2° L'accentramento burocratico che impedisce e inceppa ogni utile movimento degli organi locali; 3° Le ti:isti condizioni finanziarie fatte dal governo ai comum e ora già arrivate all'estremità dell'assurdo. Quindi semplificazioni de' pubblici servizi, economie, ecc. Il Congresso avrà grande importanza, specialmente se intervengono i sindaci delle principali città d' Italia, e se vi prendono parte liberamente e risolutamente, lungi da ogni servilità, e con animo arditamente riformatore. * * * L'Ufficio del lavo1·0 in Franet'a. - La direzione .di questo ufficio ha testè pubblicato i pririi.i risultati di un'inchiesta importantissima sulla ripartizione dei salari e la durata del lavoro nell'industria francese. L' U tficio del lavoro, istituito nel I 89 I, raccoglie e coordina le informazioni relative al lavoro stesso, rispetto allo stato e allo sviluppo della produzione, all'organizzazione e rimunerazione del lavoro, a' suoi rap-. BibliotecaGinoBianco

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