LARIVISTAPOPOLARE POLITICA-ECONOMICAS-CIENTIFICA-LETTERARIA-ARTISTICA ANNO II. 15 Febbraio 1894 FASC. III. LA PROPRIETÀFONDIARIAIN SICILIA (UNA QUESTIONE STORICA SUGLI USI CIVICI) È divenuto ormai un luogo comune dire che l'attuale forma di proprietà fondiaria, libera da qualsiasi onere o limitazione nel ius utendi da parte della comunità, non ha un'origine n1olto remota: ma ciò che non è sempre avvertito, anche per le conseguenze giuridiche che può avere sempre dal punto di vista del diritto attuale e del presente ordinamento sociale, è che questa completa allo- · diazione della terra, ossia la consacrazione della proprietà privata esclusiva ed assoluta del suolo, non risale oltre all'abolizione degli ultimi residui feudali, e dipende anche dal modo con cui tale abolizione procedette. Politicamente il feudo non ebbe in Italia lunga vita; più _lunga l'ebbe nell'Italia n1eridionale e nelle isole: ma la sua azione economica resistette di più e si manifestò particolarmente ·nella costituzione della proprietà fondiaria, la qua_le, per esempio, in Sicilia e nel Napoletano, quasi fino alla rivoluzione italiana conservò consuetudini e forme tutte li- , mitatrici del diritto del proprietario e a vantaggio della comunità, forme ed usi che dal periodo feudale traevano se non l'origine certo il pieno riconoscimento. I . . Richiederebbesi lunga storia per descrivere e <limostrare tutto ciò; ma anche procedendo colla . maggiore B"blioteca Gino Bianco ♦ .
66 LA RIVISTA POPOLARE brevità non dispero di riescire a spiegare chiaran1ente questo processo storico che portò all'attuale forma di proprietà individuale, specialmente in Sicilia. E bisogna proprio cominciare dall'invasione nonnanna, quando Ruggiero divise le terre della Sicilia fra i suoi baroni. Larghissime concessioni, dicono le storie, fece alle chiese in cui aveva eretti vescovadi e n1onasteri. Poscia, fatti venire intorno a sè i compagni, divise loro le terre e le castella conquistate. I diplomi del tempo spiegano ancor meglio come avvenne questa ripartizione del suolo. Dai re normanni non furono spogliati delle loro proprietà e dei loro diritti d'uso quegli abitanti che coltivavano le terre, ma sovra essi fu posto un capo, un signore o barone, che riscuoteva in natura o in n1oneta alcuni vantaggi, detti variamente canoni, censi o decime~ e dopo si disinteressava con1pletamente nella cultura del suolo. Così la conquista normanna non cacciò gli antichi proprietari e coloni, non significò trasferi1nento dell'uso e godimento del suolo da questi ai nuovi venuti; ma solo mutò la natura giuridica del diritto di questi proprietari e coloni sul suolo; abbassando il diritto di proprietà di questi a un diritto di uso e trasferendo il dominio diretto nelle mani dei baroni conquistatori. È bene ricordare che per gli antichi feudisti il concetto di proprietà è tutto diverso da quello che i giureconsulti romani avevano raffigurato nel don1iniD quiritario e anche da quello che è stato condensato nel codice napoleonico. Il feudo è piuttosto sovranità che proprietà, ossia prevale in esso l'idea politica a quella di godimento privato, individuale ed esclusivo del suolo. In conseguenza non fu grande, nè tumultuario il turban1ento degli interessi spettanti agli antichi coltivatori del suolo, i quali appena si sarebbero nel momento accorti del muta1nento sopravvenuto se non avessero dovuto portare nel BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POi>OtARÈ castello signorile, che sorgeva nel centro a1 questo stato o feudo, le contribuzioni che prima pagavano alle autorità governative o al fisco, e che in processo di tempo sempre più crebbero, vessandoli e tosandoli quanto più questi baroni rafforzarono il loro dominio, quanto più debole si fece sentire il potere centrale, quanto più essi furono alla mercè degli ufficiali che i feudatarii creavano per l'amministrazione del loro territorio. Crebbero i censi e i terraggi, le decin1e e le prestazioni, le angherie e i servizi: sempre più limitata fu la parte che foccò al colono, all\1suario; ma questi restò sempre sul suolo che era suo, nè il feudatario I1avrebbe potuto cacciare per istabi- · lirvi il suo esclusivo diritto di proprietà. Anche essi avevano un diritto, i buoni statuti, che la nequizia degli uomini alterò presto, con pesi gravissimi, con limitazioni progressivamente dure, e con un crescendo di maggiori servizi personali e reali e di altre simili gravezze eh~ avevano diritto in forza delle sovrane concessioni di ripetere i si- .. gnori dai loro vassalli. Passarono i Norrnanni, gli Angioini e gli Aragonesi, ma sempre così spartito restò il diritto sulla terra, tra il barone che ne aveva il dominio eminente e i coltivatori che vi esercitavano diritti di semina, di legna, di pascolo o di ghianda, diritti che le leggi riconoscevano, le consuetudini regolavano. Nè il succeders~ del_le dinastie e il mutarsi delle dominazioni modificarono questo stato di cose, cioè questa associazione, generalmente poco pacifica, di due diritti diversi sopra lo stesso suolo: e quando la Costituzione siciliana del 18 1 2 aboliva il feudalis,ino, i diritti di uso dei coloni s' intrecciavano con quelli di dominio diretto dei signori n'on altrimenti che nei primi tempi dell'occupazione normanna. Questa veramente non è solo storia siciliana; perchè la stessa promiscuità di diBibHoteca·GinoBianco
68 LA RIVISTA POPOLARE ntt1 trovò la Rivoluzione francese in Francia, in Belgio e in Piemonte, e la stessa, per scioglierla, diede argomento a molte e notevoli disposizioni legislative da parte di Federico Guglielmo I di Prussia. Ma basta la storia della Sicilia di questi ultimi ottant' anni per mostrare con1e gli ex-feudatarii intesero lo scioglin1ento delle promiscuità, o per meglio dire, come procedettero a scancellare, annullare quei diritti dei coloni, o diritti civici più comunemente intesi, che avevano resistito a tante vicende e violenze, che avevano durato per otto secoli, intatti nell'essenza per quanto ridotti nell'applicazione, che avevano resistito ai cavilli dei forensi e ai soprusi degli agenti ! Basta la storia di Sicilia per spiegare come avvenne questa rivoluzione, più profonda nelle sue conseguenze di una rivoluzione politica, vera spogliazione compiuta dalla grande proprietà a danno delle masse lavoratrici, eguale a quella che fece la grande industria a danno dei pi~coli artigiani. Laddove il feudo era prevalente, il principio che regolava i rapporti fra proprietarii e lavoratori era il· seguente: che tutte le terre feudali, ecclesiastiche, comunali od universali, secondo che erano proprietà del barone, della Chiesa o del comune, erano tutte aperte agli usi civici, a quegli usi, cioè, senza dei quali i cittadini neque commode in feudo morari neque vitanz ducere possunt. Le tenute feudali erano soggette quindi alle servitù di uso in favore delle popolazioni, dall'agro delle quali queste terre erano svelte colle infeudazioni o coll'agro dellè quali erano stati i feudi composti. Con1e la Costituzione del 181 2, art. 1 I, stabilì: Non ci saranno più feudi e tutte le t~rre si possederanno in Sicilia come allodii. I baroni saranno esenti da tutti i pesi; - e come il Parlamento siciliano del 1 8 l 2 aboli gli usi civici esercitati dai cittadini sui fondi dei baroni (disposizione presa dai baroni nel loro BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE esclusivo interesse) si vide che quest'abolizione senza con1penso sarebbe equivalsa a una vera spogliazione: e perciò si dovette ammettere il diritto a compenso per gli usi provenienti da un condominio, o diritto di proprietà, da una convenzione corrispettiva o da un giudicato. Passarono cinque anni durante i quali i baroni intesero far valere la parte dell'abolizione a loro favorevole e invece seppellire l'obbligo del compenso, finchè con decreto r r ottobre 181 7 il Governo borbonico, ascoltando le sollecitazioni dei Comurti, ordinò lo scioglimento delle promiscuità e l'assegnazione in proprietà assoluta a ciascuno degli inte- , ressati di una porzione di terra corrispondente al valore dei suoi diritti. Poi nuova- pausa fino al 1825, anno in cui fu stabilito il modo di valutare cotesti diritti e furono istituite Commissioni coll' incarico di procedere amministrativamente, anché d'ufficio, alla valutazione dei fondi e di decidere senza alcuna forma di giudizio. E qui comincia l'odissea, ossia la lotta dei proprietarii che, in vista di questa espropriazione parziale dei loro ex-feudi, negano ogni servitù di diritto civico, contro i Comuni rappresentanti dei cittadini. La legge era oscura, ma la procedura eccezionale non meno dell'ordinaria facilitava le lungherie. Poi il Governo borbonico si appoggiava sui baroni e così lasciava spesso dormire e la legge di scioglimento delle promiscuità e le Commissioni che dovevano scioglierle. Passò quindi molto tempo senza che il Governo di Napoli si occupasse di questa faccenda. Nel r 83 8, avendo Ferdinando percorsa l'isola, la sua attenzione fu chiamata su tale argomento dai leclami delle popolazioni che imploravano l'esecuzione delle leggi abolitive della feudalità, la pronta decisione delle annose cause pendenti fra Comuni ed ex-feudatarii, lo scioglimento delle promiscuità e la quotizzazione delle terre. L' 11 dicem- , , ·siblìoteca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE bre 1 84 r furono fissate altre norn1e, che non fecero fare grandi passi in avanti; gli scioglin1enti furono scarsi, e il fine cui miravano le leggi eversive della feudalità fu in grande parte frustrato. Chi doveva cedere trovò nella procedura tutti i mezzi per resistere, e rilassati e insufficienti si rnostrarono gli organi destinati ad eseguire la legge. Dopo il r 8 60 si ebbero circolari ministeriali, pareri del Consiglio di Stato, fu istituita nel 1884 una Con1missione per istudiare, finchè il 1 8 febbraio r 8 93 il ministro Lacava presentò al Senato un progetto di legge sui demanii comunali nelle provincie meridionali. Ottantuno anni sono passati adunque senza che la questione abbia avuto la sua soluzione, come avrebbe dovuto avere sia secondo il diritto feudale sia secondo il nostro: e ne passeranno ancora e si può dire che lo stato presente di fatto, che è la negazione dello stesso principio che la Costituzione del r 81 2 proclamò, è ormai divenuto lo stato di diritto e va riguardato con1e perfetto e regolare. Viceversa da questa esposizione storica, dalle deliberazioni del Parlame~to siciliano e da tutta la legislazione borbonica, risulta incontrastato che sul feudo il diritto eminente del proprietario esisteva accanto ai diritti civici di varia natura e importanza, che questi diritti tuttora vivi alla pro1nulgazione delle leggi eversive della feudalità non furono aboliti n1a convertiti, che il feudo non poteva esserne esonerato, se non colla cessione di una parte del feudo stesso ai Comuni, che invece il legislatore, i tribunali, le commissioni, i governi furono impotenti a ottenere questa partizione defl'ex-feudo, una quota in pieno ed assoluto diritto del proprietario e un'altra quota in esclusivo godimento dei comunisti. Fino al r 860 questo processo di eliminazione dei diritti civici sugli ex-feudi e grandi latifondi fu debole e intermittente: dopo il r 860 si rivelò BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE vigoroso, continuo, assoluto, favorito indirettamente dalla legislazione, fino all'ultimo codice penale che, violando tradizioni immen~orabili, comuni al Deuteronomio e al diritto longobardo, punisce chi entra nell'altrui fondo, chi caccia, spigola, rastrella o raspola nei fondi altrui. Il feudo un giorno aperto all'esercizio di usi civici, aperto non per concessione n1a in virtù di un diritto spettante alla università dei cittadini, si chiuse contro il consenso di questi, si barricò entro un diritto assoluto ed esclusivo di godimento, creò le guél;rdie campestri per cancellare, se fosse il caso, le tradizioni degli antichi diritti di pascolo, legnatico, erbatico, semina, ecc., che potevano restare nel seno delle popolazioni; e la legge italiana nulla ha fatto per ricondurre i violatori di un diritto storico indiscutibile al1 'osservanza delle leggi borboniche sullo scioglimento delle pro1niscuità e della giustiz_ia. Difatti anche il progetto Lacava non parla che di beni demaniali e solo con frase troppo ambigua accenna ai beni promiscui: mentre dovrebbe avere in vista tutti gli ex-feudi, come si espri1neva il Parlamento siciliano, ossia tutti i latifondi, che fino al 1 8 r 2 erano legalmente soggetti a usi civici e ove i contadini coltivavano il grano, salvo il pagamento del consuetudinario terraggio e la prestazione di alcune giornate di lavoro o di speciali servizi. La. questione dovrebbe essere ripresa quale si trovava al 181 2, e non si avrebbe a limitare ai beni demaniali. Messa nei suoi veri termini storici, essa aèquista straordinaria importanza, perchè allora il legis1atore potrà stabilire, se nel nostro diritto una società gravata d'oneri si possa sciogliere arbitrariamente e senza compensi, e se gli attuali proprietarii di ex-feudi, eredi di quei baroni che erano tenuti a tanti usi civici, possano liberamente convertire le loro terre in dominii assoluti ed esclusivi. Se il legislatore riconoscerà Biblioteca Gino Biancq .
LA RIVISTA POPOLARE questa massima, cadrà ogni discussione; n1a poichè tale massima in realtà non ha valso per le Marche e le al tre provincie pontificie, è ben chiaro che anche per gli ex-feudi della Sicilia si dovrà stabilire che gli usi civici non possano essere aboliti e prescritti senza con1penso, ma debbansi riguardare, n1algrado il silenzio di alcuni anni, ancora in vigore. E allora, dovendoli disciplinare, converrà, dopo questa non breve nè inutile esperienza, vedere se sia il caso di mantenerli come sono, o di scioglierli, oppure di regolarli diversamente. E se l'ese1npio degli altri popoli serve, si potrà anche esaminare se la legge irlandese del 188 1, che è una vera censuazione o enfiteusi forzosa, si possa applicare a questa situazione che per ragioni storiche e giuridiche non manca di riavvicinan1enti con quella che Gladstone avviò in Irlanda a una soluzione. Per concludere: in poche circostanze, come nella presente, il legislatore trova nella storia e nei precedenti legislativi tali eloquenti e fondate ragioni per intervenire nella questione, per ricondurre l'esercizio di un diritto entro i suoi confini, per sorreggere l'altro diritto più debole nell'aspra battaglia che l'ha sopraffatto, ed infine per escogitare una soluzione che anche la storia e il diritto passato, per non dire altro, rendono legittima e doverosa. G. SALVIOLI. BibliotecaGino Bianco
I LA RIVISTA POPOLARE SULL'ALIMENTAZIONE DELPROLETARIO IN ITALIA I (Continuazione e fine, vedi numero precedente). 73 Per dare un'idea della forma degli alimenti che si consumano dai proletari italiani, prendo in prestito dal nostro Raseri 1 una tabella, che, quantunque non sia recente e sia tratta da un parziale numero di comuni per ogni regione, è però così istruttiva che venne riprodotta anche in manuali stranieri. ' Essa ci indica in numeri la Proporzione per 100 dei comuni dove si fa uso notevole di ' ' I e:: ::, C1S C1S ~ V o ... .~O e:: C1S ·- "' C1S ·- o ·s C1S e:: REGIONI .., '"O .., bJJ '"O ·u ·- o (I) (I) E C1S '"O (J e:: V C:: .., Cli ::, ~ C1S e:: ·-V ::, - ... V i:::· (I) o o !:! .., .., C1S e:: !:! (J ::, V o e:: ::, N (fJ b.() ::, (fJ :.a ... (fJ O' e e C1S.., o c,i E -~ ... C1S e-: (I) ... Cli C1S C1S V cii (J ·-·- o.. o.. 0.,. I~ o,o... u ...:i~ o.. c., u ...:i o.. U) < :> > I. Piemonte . 29 100 52 12 2 38 19 69 IO - 27 25 - 4 31 37 33 II. Lombardia 64 100 17 30 2 15 6 55 9- 24 50 9 8 49 II 29 III. Veneto . 6z 100 22 Il 4 7- 74 2- 27 25 22 1S 33 27 31 IV. Emilia, Marche, Umbria. . 100 29 - - IO 4 67 7 4 3° 17 13 4 4 2 33 27 V. Liguria, Toscana, Lazio. 73 68 2 3 2 3 22 72 12 2 27 7 2 5 35 12 53 VI. Abruzzi, Molise, Campania 100 20 39 - 2 45 4 79 15 - 42 2 2 9 39 9 48 VII. Basilicata, Calabria, Puglie . 24 I 52 3 26 25 I 100 7- IO 3 4 6 29 5 66 VIII. Sicilia, Sardegna. 4 - 90 - 2- - 100 21 - 21 - 13 2 28 5 67 La tabella precedente ci dice come l'albumina sotto la piu digeribile forma di carne, latticinii, pesce e salumi sia cibo raro per tutti i nostri proletari, i quali princi1 Annali di statistica, sene vol. VIII, I 879. Biblioteca Gtno· Biçtnco \
74 LA RIVISTA POPOLARE palmente, e spesso esclusivan1ente, si nutrono di soli vegetali. E di questi fanno un uso nettamente diverso nelle varie regioni d' Italia. Cioè il n1ais nelle su~ varie forme è il precipuo alimento di tutto il proletariato, eccetto nella ultima parte meridionale e nelle isole, dove il cibo prevalente è fatto da grano, erbaggi, frutta e legu1ni. E per quanto incredibile, per altrettanto è vero che popolazioni umane, specialmente nell'Italia centrale, spartono coi n1aiali il cibo di ghiande. E sebbene sia così estesa la coltura della vite, pure son molti, in certe regioni circa la n1età, i co1nuni dove l'acqua soltanto è il ristoro della fatica estenuante sotto la sferza del nostro sole. Si aggiunga che la povera gente del valore nutritivo dei diversi cibi non sa nulla, e, fra tante cose inutili, nulla le se n'insegna a scuola; lo rnisura quindi dal peso e dal volume; onde le dilatazioni e gli altri malanni che vengono alle pareti dello stomaco e dell' intestino, e le conseguenti malattie della digestione che in tanta miseria non si sa come curare e rendono quindi anche più difficile, e pit1 scarso, l'assorbimento delle già non bastevoli sostanze nutrfrive. E ·si aggiunga che la preparazione del vitto, la quale può così bene migliorarne la digeribilità, vien fatta con la ignoranza che non sa trar profitto da quello che è concesso n1angiare, e con tutte le strettezze che talvolta negano e sovente dànno in iscarsa misura anche il sale, un condimeqto che natt1ra offre gratuito e il fisco usurpa con la più iniqua delle tasse, la quale peggio colpisce i miserabili che, nutrendosi a preferenza di cibi vegetali, hanno per legge fisiologica più bisogno di ingerire del sale. Quanto alla divisione dei pasti, l'operaio medio del Voit n1angia a n1ezzodì solo la metà circa di tutto il vitto BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 75 giornaliero, mentre, secondo il Manfredi, il povero di Napoli in una volta ne n1angia la massima parte. Difatti nel pasto principale si rinviene: Nell'operaio medio normale. Nel proletario napoletano . albumina grasso gr. 59 34 55 2I amilacei 160 277 Cosicchè in quest'ultimo diseredato lo stomaco si deve abituare a lunghe, giornaliere astinenze. E in rapporto con la qualità e la quantità di alimenti, dei quali il nostro proletario si nutre, deve esser messo anche il prezzo che egli è obbligato a pagarli. Confrontiamo, sotto questo punto di vista, due cucine popolari con una di quelle bettole dove d1ordinario va la povera gente. Ebbene~ si può avere: per L. 0.55 0.65 0.50 Albumina . 70 gr. 105 106,5 Grasso . . 32 )) 53 65 Carboidrati . 369 )) 517 538 in cucine popolari in una bettola di Napoli cosicchè, mentre in cucine popolari ben ordinate per 11 o 13 soldi si può avere una razione giornaliera quasi completa, il povero invece di Napoli per quasi altrettanto prezzo paga ben caro il suo scarso cibo; e siccome è questa purtroppo la dura sorte di tanti altri proletari, così ques_ti, per triste ironia, vengono a pagare comparativamente più caro dei ricchi il poco che mangiano. * * * Sui r.imedi di tanti mali, sui mezzi di sciogliere l'eterna e finora, per tanti prÒletari, insoluta questione del pane quotidiano, è stata scritta anche in Italia una biblioteca, ed anche riassumendo succintamente si potrebbe scrivere un libro, del quale i principali capitoli, salendo ~Biblioteca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE dal meno al più, dal palliativo al sostanziale, dal provvisorio al definitivo, sarebbero, press'a poco, i seguenti: 1 ° Cooperative di consumo, per la vendita dei migliori generi alimentari senza intermediario e al minor prezzo possibile ; 2° Forni cooperativi, per esempio, sul tipo di quelli con tanto successo impiantati dall'abate Anelli in Lo1nbardia, dove cioè coll'arte della panificazione si può ricavare il miglior prodotto anche da generi di qualità scadente; 3° Cucine popolari, un' istituzione ormai a tutti nota che in quasi un secolo di vita (la prima di queste cucine fu impiantata a lV.Ionacodi Baviera nel 1797 dal celebre fisico Rumford) ha reso tanti vantaggi, e più ne dovrà e potrà rendere, sia per la qualità, sia per la preparazione, sia pel prezzo del cibo, quando più che ora sarà, come si inerita, posta in opera; 4 ° Locande sanitarie, dove, sul genere di quanto si fa con tanto vantaggio contro la pellagra nel Bergamasco, i proletari malati di questa o di altra malattia della nutrizione, le povere madri che allattano, e i bambini denutriti possono a minimo prezzo o gratuitamente ricevere in uno o due pasti un vitto appositamente preparato; 5° Trattorie e caffè popolari, co1ne ce ne sono all'estero, specialn1ente nell' Inghilterra e in Germania, e dove si può egregiamente far la guerra all'ubbriachezza e all'alcoolismo, che son vizi frequenti del proletario e preparano una generazione fisicamente e moraln1ente peggiore della nostra; 6 ° Insegnamenti popolari di propaganda per mezzo della scuola, nelle classi ultin1e femminili, e per n1ezzo di libriccini, foglietti, almanacchi per togliere tanti pregiudizi contro cibi buoni 1na disprezzati (carni di cavallo o di coBibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 77 niglio, polveri di carne, latte .... ) e per insegnare come si preparano i cibi nel modo più digeribile. Tale propaganda si fa nell' Inghilterra, specialmente da associazioni di <lonne; 7 ° Progressi industriali sia nella conservazione di tanti alimenti (carni, latte, ecc.) che ora si sprecano, sia nella preparazione ed estrazione di sostanze nutritive; basti a quest'ulti1no proposito ricordare che dalla crusca, finora alimento degli animali, si può trarre una eccellente farina albuminoide~ la quale se disgraziata1nente non fosse finora un segreto, potrebbe già dare ai nostri proletari una buona parte di quell'albun1ìna di cui soffrono l' ~nedia; come pure basti ricordare i vantaggi dell'essiccazione artificiale del granturco nella lotta contro la più volte menzionata malattia della miseria, eh' è la pellagra; 8° Aumento e miglioramento della produzione di buone · sostanze alimentari, per n1ezzo di bonifiche dei terreni malarici, cqlture di terreni incolti, au1nento della coltivazione dei legumi, che a ragione furon detti la carne del povero, limitando, a profitto dei cereali, la coltura del mais~ e così via; 9° Riforme dei contratti agrari, togliendo ogni intermediario fra capitale e lavoro, e sbranando i latifondi, che oggi, co1ne sempre, son la rovina d' Italia; 1 o 0 Riforme tributarie· che abbassino il costo del sale al mini1no prezzo di prodùzione e sgravino i consumi di prima necessità come Ie farine ed il pane, tolgano ogni dazio d' introduzione dei cereali, e in compenso con limitazioni ed imposte progressive sull'eredità, con tasse sulla rendita e sul reddito infruttifero, facciano pagare ai ricchi quel che finora i poveri han pagato di più; 11° Riforme radicali politiche, le quali conducano a un equo ordinamento sociale, in éui: $i liotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE a) ognuno perchè nato e quindi avente diritto a vivere abbia assicurata, lavorando, la razione alin1entare 1n1n1ma, assolutamente necessaria; b) al di sopra di questo minirno indispensabile, la razione alimentare sia proporzionata ai vari gradi di lavoro. La fisiologia, com' ho detto in principio, ha già fissati da un pezzo questi limiti naturali. L'igiene sociale li ha gelosan1ente raccolti e li ha trasn1essi alla sociologia; e il n1oderno socialismo scientifico se n' è fatta una base granitica, din1ostrando ancora una volta che gl' ideali della scienza sono le più oneste e liete speral'lze dell'umanità. A. CELLI. POLITICEAGIUSTIZIMAILITARE Nell' ultin10 fascicolo scrivendo brevi parole sui tribunali militari, 1 conclusi, a proposito dell'arresto dei redattori del Siciliano, che ove la spada imperi, questo ed altro avverrà. Fui facilmente indovino. D'allora in poi en1anaronsi in seguito a larve d'istruttoria e ad affrettati dibattimenti condanne enorn1i, contro cui subito reagì il sentimento dei cittadini onesti che non hanno smarrito il senno e la coscienza clel giusto, eh' è su tutte cose. E la santa reazione, in no1ne della libertà troppo offesa, non sorge solo dal petto affranto degli umili che vivono nelle buie sta1nberghe, ma dalla coscienza stessa di professori e di studenti, e perfino di patrizi e di se1 Vedi l'articolo Libertà e reazione nel num. precedente. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 79 natori. Anche gli addormentati e gli incadaveriti, anche alcune fra le stesse creature del re protestano contro a cotesti arbitrii d'ogni giorno che si perpetrano in fretta, e che superano di molto le avvenute violenze; protestano anche uomini paurosi di tutto, anche conservatori che non interrogano alcun responso di moderno scienziato, che gittano a terra i libri eretici non appena ne abbiano letto il titolo, come faceva il leggendario principe indiano, e non odono i ge1niti dell'oscuro esercito dei lavoratori. Protestano i professori di diritto pubblico che sanno interpretare statuti e leggi. Dimostrano agevolmente che non si deve derogare dall'organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge e che niuno deve essere distolto da' suoi giudici naturali. Coteste sono le .stesse parole dello Statuto. Ma qual' è il ministro che non. gli ha dato uno strappo? Di1nostrano che altre volte non si osò tanto, che nel '5 2 si concentrarono i poteri nelle mani del Rattazzi e del Pernati, ma non si violarono nè si sospesero le guarentigie costituzionali, che non si ha per legge il potere di applicare a ribellioni armate lo stato di guerra, che, anche ne' casi estremi; sarebbe dovere per il Governo convocare il Parlamento. Ho letto sull'argomento uno scritto del prof. Pantaleoni, e due articoli del senatore prof. Pierantoni, e già gemono i torchi, per maggiori scritti sulla materia. È bello e degno cotesto culto delle libertà civili, anche se profèssato da noti avversari. Così dovrebbe esser sempre la solidarietà fra' cittadini; si tempererebbero le ire e gli odii; vi sarebbe un comune campo aperto ove darsi la mano. Ma· non bas\a far questioni di diritto costituzionale. / Se domani, per caso, vi fosse una legge apposita per lo stato d'assedio, se quindi la sua applicazione fosse rego- . ' Bibliot~ca Gino.~ianco I • ..
'I 80 LA RIVISTA POPOLA RE lare, ~acerebbero essi i professori? La questione è assai più alta, più an1pia e più complessa. Se all'avv. Molinari, ad ese1npio, fosse stata inflitta la orribile pena di 2 3 anni di reclusione, con lo stato d'assedio e i relativi tribunali straordinari, i1npiantati con regolare e precisa costituzionalità, il giudizio su quella condaqna sarebbe stato eguale. Eguale sarebbe stato il giudizio sulla condanna a poco n1eno di quattr'anni di reclusione inflitti di recente dal 'fribunale n1ilitare di Palern10 a quel povero can1eriere, condannato per favoreggia1nento, e che di certo fu 1nosso da ·pietà per tre giovani ricercati accanitan1ente dalle improvvisate autorità. Condanna iniqua pure cotesta: il giurista è forzato a ravvisare un delitto anche nel favoreggiatore di un innocente,. n1a, chiede il Carrara, chi vorrà poi applicare una pena? Chi? O illustre maestro, i giudici in uniforme! Non badano essi a simili an11ninicoli, non si trattengono per si1nili inezie, condannano. Il favoreggiatore fu punibile sempre, in tutti i codici del n1ondo, assai n1eno dell'autore del reato; nel caso attuale potrebbe accadere lo strano fatto che il favoreggiatore fosse punito assai più, ed anzi probabilmente questi sì e quegli no. . Dove la spada in1peri, questo ed altro avverrà. In genere, la giustizia un1ana è iniqua. Ma cotesta, in si1nili forn1e rozze e dure, am1ninistrata da chi non può conoscere le leggi, nè sa che sia critica crin1inale, senza seria garanzia della difesa de' prevenuti, cotesta è orribile. Essa esorbita dal proprio ufficio, si assu1ne una coinpetenza che non le spetta, e si ribellerebbe anche alla stessa suprema autorità giudiziaria. È davvero orribile. Leggevo ieri che i tribunali militari di Sicilia debbono giudicare più di settecento contravventori al decreto del disarmo. Leggevo pure che il 2 o corrente a Massa si discuterà il processo· di r 04 imputati: "discuteranno alla cieca, BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 81 n fretta, come chi ferisce fuggendo, e· i difensori potrebbero anzi risparmiarsi le arringhe. Potrebbero pure sopprimersi le prove a difesa: basta un qualsiasi rapporto di polizia. Nulla di più eloquente. È sì naturale ed evidentissimo che chi è arrestato è anarchico, e chi è anarchico deve esser condannato. Anche se 1nanchino le prove. Il pietoso caso del povero Lombardino, che piange nella sua cella dicendosi fedele al suo re, inforn1i. Ma il dittatore di via Gregoriana opina e vuole che· si continui. Bisogna assicurare ferreamente la pace. Un po' di terrore non fa n1ale, anzi è co1ne un tonico: plaude la folla dei servi ad ogni atto energico, e non sente che ad ogni ora si addensano per l' aria propositi di Yendette e odii, non sa che la libertà schiacciata è come Anteo, non ode che 1nentre tutto sen1bra rientrato nel silenzio ·111olte voci sdegnose s'interrogano e chiedono: quando? Oh bei tempi albeggianti qui in Roma or son nove lustri; come ridenti speranze fra le vocali rovine, con1e in1n1ortal monumento d'an1ore fra le vestigia della potenza antica, no, meglio non ricordarvi più fino ai tempi in cui non ritorni a rosseggiar sui can1pi non deserti della patria una be11 altra aurora! Allora, in que' giorni di tante speranze, governavano qui un1ilmente e modestamente, senza vani vanti e iattanze, senza ferocia, pochi an1ici delle plebi, governa vano essi con eroismo e senno, poveri idealisti, nel nome ora sì schernito della libertà repubblicana! L'ora presente è più che triste. Quando per l'aria echeg• giano i gemiti de' poverj e le maledizioni dei buoni, non vi può essere maggiore tristezza. I partiti sono scissi; le · ire fra gli stessi amici della libertà si acuiscono; mille voci incomposte da per tutto e mille intenti di~ersi. È triste. Sembra di veder l'immobile immagine della patria in lutto. I BibliotecaGino Bianco
82 LA RIVISTA POPOLARE Così gli arbitrii si perpetreranno ancora per n1olto tempo, e dalla con1une acquiescenza il Governo trarrà pretesto e forza a continuare nel suo metodo illegale e delittuoso. Ma, con1e dicemmo, non noi soli pensian10 così. Si sa bene che noi sian10, a giudizio degli avversari, esagerati se non pure folli. Ma il nostro giudizio è confern1ato aa quello d'uomini te1nperati e di giornali n1oderatissimi. Ma ogni dì leggiamo proteste solenni, da quelle generose del1' Ordine degli Avvocati di Palermo a quelle pur generose degli studenti di Niessina per l'arrestato lor fratello Lo Sardo. Noi v~diamo che anche, sebbene un po' tardi, e sebbene tuttora i1npacciati da pregiudizi sociali, uomini della ricca borghesia di Sicilia si destano (sebbene alcuni solo a proporre la diffusione del catechismo); e ieri l'altro a Catania il barone Spitalieri, in un'adunanza di altri baroni e di con1mendatori e cavalieri, lamentò che per trent'anni consecutivi tutti i Governi hanno danneggiato gli interessi siciliani. Ora, per epilogo, dopo le repressioni sanguinose le condanne feroci. Un altro decreto, dopo quello che ha soppresso tutte le associazioni (perfino i 1nagazzini cooperativi di consutno ), salvo i clubs dei nobili, vere bische da giuoco, dopo quello che ha soppresso il Siciliano, sopprime l'innocuo Aniico del Popolo. A che coteste soppressioni graduali? Non è, non è neppur degno di n1ilitari; si sopprima tutta la stampa I Po_co fa ho udito un energico cittadino che diceva esser troppo debole il sotto-dittatore Morra: si sopprima tutto, fuorchè chi' grida viva a Crispi. E anche una parte di cotestoro; non gridavano viva Crispi e il re ed anche la regina molti di quelli che furon trucidati? Il senatore Pierantoni scrive nella Nuova Rassegna: « • • . • ma lo scempio della giustizia non otterrà perBibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE dono avanti il tribunale della storia » . Domani il Governo avrà un bili d'indennità; ma (lasciando a parte ora la storia) lo avrà dal paese? Se apparentemente oggi l'abbia, l'avrà don1ani? Non lo crediamo, anche se lo scetticismo ci agghiacci come in questi giorni ne' quali l'ipocrisia ha gittato la rnaschera, e n1olti liberali di ieri sono oggi audaci fautori della reazione. Ci ritorna alla 1nente una forte poesia dello Shelley, e il finale appello al leone dormente nelle catene. Ma, dicesi, coteste fiere repressioni sono passeggere. Don1ani vi sarà il perdono del re, sotto la forma dell'amnistia. E, dicesi pure, la Cassazione provvederà. Provvederà davvero? Ne dubitiamo. Dubitian10 che essa segua l'esempio della Cassazione di Francia ai 29 giugno 1832, la quale giudicò solennemente che il Governo non aveva il potere di distrarre gl' insorti non n1ilitari dai giudici naturali per gli articoli 53 e 54 della Costituzione, eh' era simile alla nostra, e cassò tutte le sentenze dei giudici pretoriani. Non credo a simili riparazioni; ad una sola credo, in una sola spero. Un'altra n1orale, un'altra politica, un altro diritto, un'altra giustizia, o la 1norte della coscienza nazionale, che un dì, con1e vergine illusa e sedotta, si diede a perfidi an1atori, credette esser libera e tuttora non sente davvero che fu ed è tradita e serva. ANTONIO FRATTI. BibliotecaGinoBianco
LA RIVIS'l~A POPOLARE GLIUSICIVICI E LA CASSAZIONE DI ROMA ' V' hanno sentenze che confortano e fanno dimenticare, leggendole, nella triste ora presente, i n1alvagi egoismi degli avari e le stolte trepidazioni·de' conservatori. Quando, come oggi, le menti si affaticano intorno ai problen1i sociali, e il sentin1ento delle giuste rivendicazioni fa nascere il sospetto che le antiche usurpazioni indegna1nente a cuor leggiero si sanzionino, e il povero e industre agricoltore sia sottomesso alle prepotenze de' signori, le quali sotto diverse forme rinnovansi, è davvero confortante leggere decisioni con1e quella cui accennian10. 1 La giustissi1na sentenza, inspirata a' criteri 1noderni, interpreta con serenità e lin1pidezza il diritto nella storia, e risolve una grave questione, con1e dice la bella e chiara nota che a quella sentenza appone il valentissin10 direttore dell'accennata Rivista. Egli affenna che par di leggere una sentenza rotale dettata da quegli antichi giuristi sereni e profondi, che in ten1pi di servaggio tutelavano il diritto de' poveri agricoltori, senza servile e improvvido riguardo a caste, a classi, a casati. Ma da que' te1npi ad oggi 1nutò l'indirizzo della giurisprudenza. Si trascurò lo studio del diritto intermedio, e i pregiudizi della scuola classica econo1nica prevalsero. I conservatori o i pseudo-liberali invasero coi loro vecchi dogmi anche le cattedre e le curie, e si chiusero ne' limiti dell'antico diritto romano, senza darsi alcun pensiero 1 Vedi nella Rivista universale di giurisprudenza e dottrina, Anno VIII, fascicolo I, Roma, gennaio I 894, l'accennata sentenza della Cassazione di Roma, 10 luglio 1893, GIUDICE, presìdente; ToMMASI, estensore: Comune di Montelibretti contro la Banca Nazionale e Barberini Colonna di Sciarra. BibliotecaGino Bianco
• LA RIVISTA POPOLARE 85 de' nuovi rapporti giuridici, s6rti da Giustiniano in poi, e delle origini, dell'indole e delle necessità che li crearono . Onde un errato o incerto e fluttuante indirizzo nelle sentenze delle Giunte d'arbitri, de1 Tribunali, delle Preture. Spesso si chiede, ad esempio, la prova piena derivata da titoli certi e solenni per dichiarar l' esistenza di usi civici su terre già feudali, o pure, anche a fronte di titoli certi, si dichiarano prescritti quegli usi civici se gli utenti non fornirono la prova diretta di un esercizio manifesto e costante sino ad oggi, o a priori si rifiuta lo sperimento della prova orale che tende a stabilire il possesso immen1orabile, presupponendo che i testin1oni, anche se alla controversia estranei, vengano a dire il falso. E chi su terre già feudali fa legna è condannato, senza esitanza, co1ne ladro. Non si suppone neppure, o non si vuol riconoscere un uso civico secolare; nè si vuole attendere lo sperimento dell, azione civile. È un funesto empirismo che deriva dal vecchio concetto assoluto della proprietà, come dai tempi antichi ci venne. Ma le leggi non costituiscono nè costitufr debbono che la pratica applicazione dei principii dominanti in una data epoca e la manifestazione dei bisogni attuali alla vita di un popolo. Ond' è che diversamente dai parrucconi che non vogliono sapere de' progressi n1oderni e di storia del diritto, vi sono magistrati che hanno seguito con attenta cura e con ani1110 francheggiato da pregiudizi le vicende dei tempi e non sono rimasti imn1oti e con gli occhi chiusi in mezzo alla luce venutaci- dal genio innovatore dei più illustri economisti, dal Sum1ner Mayne al De Laveleye, dal Nasse Ueber al Roscher. All'importantissima relazione dell'on. Tittoni intorno alla nota questione dei dominii collettivi negli ex-Stati pontifici - relazione che fra giorni sarà distribuita ai deput~ti e sarà lettcl:, se non erro, il 2 I corrente alla Can1era - è aggiunta una lunga nota degli autori moderni che studiarono la grande questione politico-giuridico-economica delle servitù di diritto c1v1co e de' residui delle iotecaGino Bianco
86 LA RIVISTA POPOLARE antiche collettività. È in1portante e opportunissimo darsi a cotesti nuovi studi. L'illustre Stuart Mill, dopo la nota opera del De Laveleye De la propriété et des ses formes primitives, modificò i suoi antichi concetti liberisti. La Con1missione parlan1entare nel presentare alla Camera il disegno della legge 2 4 giugno 188 8 sugli usi civici, già riassunse in una pregevole relazione le origini e la storia di quegli usi. Molti riconobbero allora, allora soltanto, che non potevano dirsi ladri i raccogli tori di legna o di castagne o di ghiande, o i sorpresi a pascolare le proprie bestie nelle terre che già furono feudali. Molti solo allora cominciarono a conoscere come esista un diritto intermedio, che non proviene da sen1plice concessione o tolleranza di proprietari, n1a che più sovente è affermato dai residui dell'antico condo1ninio o è l'effetto di rivendite fatte dal sovrano che aveva avocati a sè quei beni. Il gran Cattaneo scriveva così intorno agli usi civici: « Questi usi non sono abusi, non sono privilegi, non sono usurpazioni. È un altro modo di possedere, un'altra legislazione, un altro ordine sociale che inosservato discese da remotissimi secoli fino a noi » • Il supremo Collegio, nell'accennata sentenza, sentenza mirabile_ sotto ogni rapporto, scritta da uno de' più dotti giureconsulti ,della nostra Cassazione, proclama che gli usi civici costituiscono un jus singulare, e quindi non soggiacciono alle nonne del diritto comune. Nella pratica dei foro è ben vero che tali usi appellansi servitù, ma erra chi li confonda con le servitù prediali o con le personali del dir'itto romano o del moderno. I dottori e la giurisprudenza rotale le chiamarono servitù miste, che si debbono dalla cosa alle persone, cioè che costituivano un servaggio che il fondo prestava agli utenti. Si tratta quindi di un vero e proprio condominio, e si disorienta colui che non ne giud.ichi secondo i principii dominanti nell'età in cui si concretarono quei nuovi rapporti giuridici. Questi debbono sempre definirsi e risolversi con la legge del tempo in cui formaronsi. Nel regime feudale le popolazioni serbarono come propri gli usi CIVICI BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE sui fondi del feudo, sì che non si può concepir feudo senza usi civici. Tale rapporto era insito nelle condizioni sociali del medio evo, come la Cassazione ha profondamen te nell'accennata sentenza affermato. E quegli usi, consacrati alla vita d'intere popolazioni e quindi sottratti perfino alla disponibilità del principe, non potevano esser colpiti da veruna prescrizione. La Cassazione quindi afferma eh' è inapplicabile ad essi il diritto comune, e che essi sono fuori di comn1ercio e quindi inalienabili ed imprescrittibili. l dottori li avevano già chiamati immutabili ed eterni, il Laurent li disse perpetui. E la Cassazione ha inoltre aggiunto che la prova della loro esistenza può desun1ersi da qualsiasi elen1ento o dalla pubblica fama, e quando le dispute di fatto ris0lvonsi in base a principii <li diritto erronei e non applicabili alla 1nateria in contesa, non può dubitarsi del diritto a provocare la censura della Cassazione. ' Mercè la sentenza della Corte suprema cadono tutte le dogmatiche ed inscienti presunzioni di assoluta libertà dei latifondi e delle terre ex-feudali, presunzioni che spesso hanno scusato o protetto ingiuste spogliazioni e legalizzate delle grandi iniquità. È davvero sentenza, non rivoluzionaria, ma semplicemente giusta e dottissin1a che onora altamente il supremo co~legio. Da ogni libera coscienza non impacciata tla sociali pregiudizi partirà una fervida approvazione al magistrato; partirà un plauso da ogni terra, da ogni villa, ove la povera gente da vario tempo, mentre vieppiù si parla di civiltà e di socialismo, è scacciata dai boschi e dai can1pi ove sempre, anche nella notte del medio evo, ha tratto modo di vivere, mentre ora perfino per pochi centesimi di legne secche o di scorie è trattata e condannata iniquamente come ladra. TÉSSALO. · · Bib1ioteca Gino Bianco
88 LA RIVISTA POPOLARE UMBRIA VERDE (PER EUGENIO BRIZI) Sono trascorsi pochi anni. In una splendida giornata di magglG: accarezzato da una brezza dolce e profumata, io salivo, in carrozza, la costa meridionale del Subasio, tutto assorto nel ridente e superbo panorama, a cui presiede, signoreggiando, dal poetico monte alla fertilissima valle, la città di Assisi. E attraverso a quel panorama incantevole, quali e quanti ricordi della civiltà italica! Come sempre, io non mi permisi di entrare in città senza soffermarmi un istante a contemplare la basilica di S. Francesco, questo tempio che segna una delle pagine pill notevoli nella storia religiosa dell'umanità. E ancora una volta io non sapevo rassegnarmi a considerare come un asceta il frate memorabile che riposa da 7 secoli al1' ombra di quel tempio. Sarà una mia fissazione, ma guardando la sua tomba attraverso alle tradizioni storiche, letterarie ed artistiche del suo paese natìo, ai capolavori di Giotto e di Cimabue armonizzati in uno dei più splendidi monumenti che l'arte gotica abbia avuto in Italia, le tempeste della sua giovinezza e le idealità della sua canizie si fondano in un insieme indefinibile che colorisce di contorni altamente umani la di lui scarna e rigida figura di frate. Dalla sua giovinezza di soldato pugnante col popolo contro la nobiltà - dai suoi primi atti di frate intesi ad emancipare la plebe dai servigi feudali - dall'amore immenso pei diseredati - dall'ardente desiderio di fraternizzare le classi sociali, dal suo culto pei fiori e pel canto - dalla poesia dell'ospitalità femmi_nile che aleggia intorno alla cella in cui compone il Cantico del Sole - dal senso alto della natura, in cui si effonde il suo sentimento religioso in questo che fu il suo canto del cigno - tutto rivela in lui un animo di artista e di poeta, che ha vissuto, amato, sofferto, che porta con sè sotto la modesta tunica il culto di tutto ciò che è buono e bello. E se, malgrado ciò, egli si condanna al martirio delle privazioni e muore volontariamente nudo sulla nuda pietra di Santa Maria degli Angeli, lo fa, non già per santificare la povertà, imprecando alle BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE dolcezze della vita, ma per additare ai discepoli che il vero, il grande apostolato si pasce soltanto di sacrifici. Pochi momenti dopo, piena ancora la mente di queste impressioni, in una bella sala del palazzo municipale di Assisi, io conversavo fraternamente con una simpatica figura di vegliardo che nel lampo degli occhi e nella calda vigoria della frase rivelava ancora, malgrado il rigore degli anni, la fiamma e il fuoco della giovinezza. Sindaco amato e venerato dalla sua città natìa, Eugenio Brizi, mi parlava di Assisi con amore infinito. Amareggiato dal dissenso privato di alcuni cittadini, come se si trattasse di una discordia nel seno stesso della sua famiglia, mi invit~va a coadiuvarlo nell'opera pacificatrice. Gli dissi scherzando, ma assai commosso: perchè non componete un Cantico della pace e non tentate, come S. Francesco, di comporre le discordie cittadine con la magìa del canto? - Mi rispose sorridendo: Se fossi poeta come il nostro Bini-Cima, vorrei intuonare il Cantico della libertà,- e i suoi occhi accarezzavano involontariamente ma istintivamente, l'anello di hronzo che gli ornava l'anulare della mano destra - dono prezioio e ricordo per lui carissimo di Luigi Pianciani - tratto da una scheggia di bomba scoppiata accanto ai due valorosi il I 849 nella memorabile difesa di Venezia, ove essi portarono, nella causa comune, il palpito, le speranze e la solidarietà della gioventù umbra. Perchè la giovinezza di Eugenio Brizi, come la sua virilità, furono tutte consacrate religiosamente alla redenzione e alla grandezza della patria italiana. E dopo aver fatto quella che Poerio chiamò la cura dd ferro sul campo di battaglia, nell'esilio, nelle prigioni papali, non si credeva ancora in diritto di riposare, spendendo gli ultimi lampi della sua inesauribile energia nel breve cerchio della sua città natìa1 m mezzo ad un popolo che amava e lo ricambiava dell'affetto più VIVO, Sotto una forma mite e gentile, Eugenio Brizi racchiudeva un' anima temprata ai sentimenti della più alta virilità. E, a misura che glì anni lo incalzavano verso la tomba, questa maschia e gentile fierezza circondava d'una speciale aureola la sua veneranda canizie. Quando, la sera, convenuti a fraterno banchetto, io salutai in lui la città di Assisi - in lui, continuatore delle sue più nobili tradizioni - ed egli sorse a parlare in nome della patria sua - l'applauso festoso, caloroso, unanime che l'accolse fece lampeggiare il suo occhio commosso di legittimo orgoglio e mi sembrò in quel .momento che le reBiblioteca Gif>lo Bianco
LA RIVISTA POPOLARE mm1scenze e le aspirazioni della prima giovinezza gli risalissero con impeto nuovo dal cuore alle labbra, ravvivate di nuova luce. Così vidi Luigi Pianciani ~ Ottavio Coletti, negli ultimi anni di lor vita, svegliarsi come da un assopimento di speranze deluse per riaffacciarsi con novella fiamma dai ricordi del passato alle idealità dell'avvenire : una vera e propria rifioritl:ra della loro anima giovanile. Ora quell'applauso è tramutato nel pianto unanime, nel lutto profondò di tutto un popolo che ne ha circondato la bara e ha dato l'ultimo e riverente saluto al forte e gentile vegliardo. E a me che non fu dato di seguirne la salma, sia concesso di mandargli da lungi il saluto fraterno sotto le fresche zolle della sua Umbria verde, a cui le primavere arridono così nell' ineffabile incanto dei suoi colli ameni con;e nelle più alte idealità dell'arte e del patriottismo. E sia il saluto alla sua bara, il saluto alla città sua, dove appresi ad amarlo e dove, nell'affetto e nella virtù de' suoi concittadini, si accrt bbe ognora più il mio culto per quest' Umbria, che ha oramai tanta parte della mia anima pensosa e memore. Dott. EDOARDO PANTANO. I LIBRI NUOVI Rassegna letteraria della quindicina. III. FERDINANDO FONTANA: iVabuco, I vol. Milano. - YVES GUYOT. La tirannide socialista, traduzione e prefazione di F. Ciotti, I vol. R. Sandron, Palerm9. - F. M. ZANDRINO. Tre poeti, I vol. Ciminago, Genova. Ferdinando Fontana, amico e collaboratore della Rivista popolare, ha pubblicato un poema drammatico, Nabuco, che sarà rappresentato in Milano, credo, fra non molto, dalla compagnia drammatica Filotto e Zaccone. Noi, suoi amici e compagni, gli auguriamo applausi a bizzeffe; li merita il fine umanitario che l'ha ispirato: la propaganda contro la guerra. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE Veramente noi dovremmo lasciare che le altre riviste letterarie discorressero dell'opera del nostro amico·; ma poichè abbiamo la coscienza di aver dato qualche esempio d'imparzialità e forse di severità nel criticare i .lavori di coloro che con noi hanno comunione di idee e di aspirazioni, e ci proponiamo di non deviare, ci assiste la I speranza di non essere dai benevoli appuntati d'indelicatezza. Il Nabuco è, dunque, un poema drammatico. Le mie idee personali, in proposito, m' inducono a ritenere che il poema drammatico non sia pit1 acconcio a ricevere il pensiero moderno. Bisogna pei;suadersi di questa verità, che ogni tempo ha le forme letterarie proprie, e il nostro, raffinato a segno da ritorcersi ad una specie di misticismo scientifico, travagliato da tanti dubbi, affannato da tante cure, perplesso della sua stessa esistenza sociale, non può fare il miracolo di ridar anima e vita alla forma letteraria delle aurore storiche. Noi siamo in un tramonto caliginoso, e la lirica, il romanzo, la comedia, sono l'eco delle voci della natura in quest'ora: ogni altro tentativo nesce uno scavo archeologico. In seconda, io, per disposizione naturale del mio intelletto, penso che una letteratura che si mette a servizio d'intenti sociali, non sia più l'arte, ma il mestiere di lucidare il bene ed il vero, che non hanno che fare col bello artistico, il quale in un certo senso soltanto è la trasfigurazione di quelli; e però provo una ripugnanza istintiva, infrenabile, per le opere che si propongono tutt'altro fine che non sia il puro godimento estetico. La letteratura, così detta, civile, non è altro per me che una schiera di tesi vestite di abiti sfarzosi non tagliati per il loro dosso. Però può darsi che, del resto, io abbia torto. 1 Premesse queste osservazioni, è chiaro, in gran parte, il seguito. Io infatti non sono entusiasta di questo lavoro del Fontana, perchè mi pare ch'egli, volendo fare un'opera d'arte e combattere insieme una battaglia civile, non abbia potuto raggiungere il duplice intento. Però la fama dell'autore non è intaccaia da quest'opera, anzi egli la rafferma. Concepisce arditamente e svolge con la rapidità e la briosità concesse alle menti sicure. Belle scene quella dell'Ebreo e di Nabuco nel secondo atto, quella della torre nel terzo e l'idillio finale. Compiuto carattere quello di Zala, forse un po' arbitrario nello sviluppo psicologico quello di Nabuco. Peccato che l'autore, pensoso del contenuto, non abbia sempre curato la forma! 1 Rispettiamo altamente ma non dividiamo, in questo e in altro, i concetti el valente nostro collaboratore. (N. d. D.) BiblioteeaGino Biancò
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