20 LA RIVISTA POPOLARE più, chi meno possedevano, emigrarono o vivacchiarono alla meglio con delle esig~e sommerelle, frutto di sudori e di risparmi di anni precedenti. Ma dei giornalieri, pochi possedevano _tali t~sori, ~ c?n le loro mercedi non erano giunti che a sfamare le rispettive famiglie. Che cosa rimaneva loro se non impegnare quei pochi cenci che possedevano se li possedevano? ... Tuttora il delirio della fame di questi infelicissimi paria dell'industria agricola, risuona tristemente alle orec- . chie degli uomini di cuore, e dico tuttora, perchè ancora non se ne son rimosse le cause, nè curati i terribili effetti. Triste il dirlo - le mercedi odierne dei giornalieri oscillano tra un minimo di due « tarì » (L. 0.85) magari di I4 soldi ed un massimo di quattro « tarì » (L. I. 70) al giorno. Ed è poi raccapricciante il pensare che nulla più si dà a questi poveri infelici - nè pane, nè vino, e spesso nemmeno una fossa ove riposare la notte le loro stanche membra: quei miseri contadini perduti fra l'immensità degli « exfeudi » e lavorando, come di sovente, in zone di terreno molto lontane da case coloniche - quando esistono - sono costretti tornare la sera fra le squallide mura delle loro stamberghe, percorrendo così pare·cchi chilometri, per poi l'indomani tornare sugli stessi loro passi, e così di seguito. Il massimo della mercede giornaliera non viene raggiunto che al1'epoca dei grandi lavori estivi, cioè nei cosidetti « mesi lunghi » - giugno e luglio - mentre la mercede ordinaria si mantiene con una certa costanza intorno la lira una, anzi intorho i due « tarì ». Ma il contadino percepisce sempre questa mercede? Lavora egli quando non viene « allogato >, lavora egli, nei giorni piovosi, nei giorni di festa? Se lo spazio me lo consentisse potrei mostrare come il giornaliero siciliano - lavori o no - non guadagni in media che undici soldi al g10rno - e la cifra è un po' al disopra del vero, come potrei provare. Vivere - in media - con undici soldi al giorno - mantenere con tale elemosina, moglie, figli e magari dei vecchi genitori e qualche sorella - lavorare per dodici ore al dì e talvolta anche per sedici, e di un lavoro che abbrutisce ed annienta per poi non vedersi concesso nemmeno un misero giaciglio su cui riposare le membra esauste - arrivare all'alba sul luogo del lavoro, per poi ripartirne la sera onde ritornare in una squallida casipola -- quivi giungere affranto da una fatica peggiq che da bestia da soma e dopo una giornata di esaurimento e di disperazione, sentirsi amareggiare l'animo dal pianto dei figliuoletti che invano hanno chiesto e invano gli chiedono del pane - vedere i suoi bimbi dal volto pallido e malaticcio, dalle membra rachitiche, dai fragili petti affannati dall'asma - vedere la moglie con le rughe dell'affanno profondamente scolpite sulla fronte e con una non comune espressione di sconforto e di ansietà per il pane della sera, per il pane del domani - sentire l'ultima minaccia dell'esattore che vuol privarlo del suo unico tesoro: della casupola se la possiede, od invece sentire una nuova minaccia del padrone che vuol buttargli sulla strada quei pochi cenci che ha, solo perchè egli non ha ancora pagato la pigione - vedere e soffrire, pensare e diBibliotecaGino Bianco
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