LA.RIVISTPAOPOLARE POLITICAE- CONOMICASC- IENTIFICAL-ETTERARIA-ARTISTICA ANNO I. _-15 Dicen1bre 1893 FASC. XI. PER IL NUOVO ANNO Prima che albeggi il '94 dobbiam,o ringraziar gli amz'ci, e special11unte i nostri collaboratori, per l'affettuosa fiduda cJu ci dimostrarono, sostenendo questo umz'leperz'odico, e augurare che anche nel!' anno nascituro non ce la tolgano mai. iVoi tenteremo di farlo più ancora vario e ùiteressante. La Rivista, causa le condizioni della democrazia, è una voce intermittente, e non potrà far ·molto in queste povere ore sì confuse e tristi. M\ pure risonerà sempre come squillo di araldo. 1 E non si arretrerà dinanzi agli studii e alle discussioni de' più ardui problemi della vita. Il '93 tramonta fra bagliori sanguigni, e d'intorno si addensano nuvole nere. Ne' cupi momenti anche una debole luce può esser di utile grande. Anche una sola e misera guida alpina può condu":re su per l'erta, dirittamente, intt!re compagni'e di viaggiatori incerti e sniarriti fra) ghiacci. Se v'è manìa di dividersi in fazioni, n_oicercheremo ,avidamente la concorde fraternità degli animi. Dice una vecchia sentenza chinese: Quando molti son d'accordo sopra un punto, anche se abbiano poca forza, possono far grandi cose. Molte formiche uccisero un leone. - Se v' ha titubanza intorno alle imperiose qÙestioni del!'avvenire, noi con ardimento le affronteremo, fidi ai sommi concetti che già la democrazia repubblz'cana incarnò. Se altri assume a divisa un lembo della bandiera sociale, noi l'agt'teremo intera. Se nascessero, a quest'ora, nuove illusioni quali muschi o fungaie sul tronco del fradicio albero alla cui onzbra intristisce la patria, come sotto un manzanillo immenso, le sfronderemo senza posa: non più una sola illusione I Chi non è pusillo sa quale sia l'alto fine verso cui tende un popolo che abbia dignità e cons~ienza di tanta sua miseri·a morale e sociale. Non più tregue BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE di Dio: anche nelle pagine de' periodici si affrettano le prove attese, e si può dare indirizzo anipio, uniforme, sicuro alle meteore clte precedono le tempeste. Una democrazia cui scintilli innanzi a sè un alto fine e che tenda alla rigenerazione morale e sociale delle 11ioltitudini, deve grandemente amar la coltura. Un'arma, carabina o .spada, serve per l'estremo momento: la coltura è la genitrice delle vere rivoluzioni che non siano 1tieri atti di vendetta, ed è il succo vitale delle repubbliche. Chiesto giorni fa al socialista Mollarmi che ne pensasse dell'orrendo attentato alla Camera francese, ri'spose: Nrn conosco altra bomba fuori del libro. Rz'spettare il fiore delle tradizioni e i grandi principiz' che anclze da remoti secoli' ci vennero, ma tener conto de' mutamenti' ne' costumi e nelle abitudini clze tanto influsso hanno sulle forme politiche e civili, avere zn sè .!' alta mz'sura e il tipo, sempre presente, di quel clt' è vero e giusto, senza renderlo imnzobz'le, esser tra i prùni a gustar l'aura clze vz'en di fuori· e da lontano (tutto tende oggz' a universalizzarsi), presentire possibilmente le z'nnovazz"onifeconde, quelle clte domani diverranno fatti' accettati' dai più, corri'sponder con quanto vive e ascende e s'agita e si rinnova, dirlo con facile stile, ecco il còmpito vasto, che, almeno in parte, tenteremo di realz'zzare. Unia11ioci, al di sopra de' sistemi, per la comune civiltà. Al di sopra de' limiti della patria (che pure amiamo tanto e sarebbe indegno che alcuna teoria potesse menomare l'amore alla gran madre tra tante rovine d'ideali), nel nome dell'umanità, constellazione delle patrie, dell'umanità, patria universale, uniamoci! Sz'amo davvero fratelli: lungi da noi le stolte ire e le piccole gare: tutti·, bene augurando, diamoci la mano, per il pensz'ero repubblicano, per i sofferenti, e sono lividt· schz'ere infinite, per le vittime di tante sociali iniquità. LA DIREZIONE. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 339 RICORDIAMO I Leggo un articolo di Napoleone Colajanni intorno alla tendenza ideale della mia filosofia e gli sono grato non solo perchè mi dà modo di chiarir~ qualche mio pensierò, . . ma anche perchè mi distrae per un'ora da questo ingrato lavoro bancario, che tanto utile vorrei desse al paese quanto odio frutterà agli autori. Se veramente tutta ideale sia questa filosofia o abbia un fondan1ento naturale si vedrà tra poco tempo. Certo è che egli nota nel mio indirizzo politico un senso pr~- tico che ai meno avveduti sfugge. Ed io dico che tra questo senso della realtà e il mio pensiero filosofico intercede un ~esso che\ sarà giustificato più tardi. ·I fatti sono il solo documento della difesa. Da quel pensiero io derivava, nella pratica, la connessione tra la quistione politica e la sociale. ~entivo che troppo si disputava di.fanne costituzionali e di successione di ·partiti al potere .senza nessun riguardo verso la gente per la quale i governi sono fatti e presentivo ~a giusta reazione de' lavoratori, · che ora poco vogliono sentire di -" governi e niente di politica. È spiega~ile, ma è durevole? Da che e' è regno d'Italia nessuna ora è stata più (osc.a della presente, e se il paese avesse oggi un uomo 1 Cogliamo quest'occasione per pregare le Direzioni dei giornali che per ventura riproducano gli articoli della nostra Rivista, a volere essere sì cortesi di citarne la fonte. (N. d. D.) · Biblioteca Gino Bianco .
34° LA RIVISTA POPOLARE per forza d'intelletto e di cuore parato a tutto, vedrebbe che quel solo potrebbe trarsi migliaia alle spalle e basterebbe a mandare via gli altri col cenno della mano. Neppure l'esercito, forse, gli trarrebbe addosso. Manca quel1' uomo, perchè mai:ica maturità ~l moto ; n1a certo, se qualcuno osasse, i politicanti non avrebbero a doler~i di lui. Hanno scherzato troppo e di troppe cose: non intel• letto de' fini d' uno Stato nuovo, nè conoscenza dell'Italia e de' paesi contermini, nè fiducia nel popolo, nè carità dove· la fan1e e l'irrequietezza crescevano, e invece tranelli, recriminazioni, gravezze ..... E proprio per questo occorreva parlare di statuto, di comizii, e di Roma? Era prevedibile questo affasciarsi di operai che di fuori prendono la pietra focaia e in casa trovano l'esca. Ed è pur naturale che chiunque si presenti a parlar loro di politica debba sembrare se non un nemico almeno un risusci-:- tato con le fibbie di argento alle scarpe e il codino alle spalle. È spiegabile, dico, ma è durevole? No. - Le quistioni nuove sono seducenti e prevalenti, e se hanno tendenze filantropiche, attraggono subito le classi più governate dal sentimento, cioè i ·popolani, i giovani, le donne, gli artisti ; disdegnano ed espellono tutte le altre quistioni; si fanno esclusive. Arrivano ad assumere rigidezza dommatica, e scomunicano i dissidenti. Papeggiano. Più tardi le leggi di affinità selettiva le piegano a contemperarsi con altri elementi congeneri, che nelle soci~tà umane sono essenziali e tradizionali, e cominciano a cer- ~arsi quella fonna di essere che n1eglio garantisce ed esplica la loro funzione. Torna allora la quistione di forma, tollerata prima, poi richiesta, finalmente necessaria, e questa o quella che sia la forma, la sua riapparizione ha significato politico. Biblioteca Gino Bianco
LA RIVISTA PO POLARE 34 1 Così accadde al fristianesimo, così vien già accadendo al socialismo, e ciascuna scuola tenterà incarnarlo nella forma più rispondente al proprio modo d'intenderlo. Gli anarchici diranno essere preferibile un quasi ritorno allo stato di natura, tanto poeticamente descritto da tre pensatori artisti, da Girola1no Vid~ di fronte alla rea- . zione tridentina, da Rousseau innanzi alla decadenza regia, e da Tolstoi innanzi alla decadenza borghese. Così gli ~narchici, c,he pur vengono dipinti con capelli a chelidri, vagheggiano l'idillio più ideale della vita. La soavità del fine dovrebbe temperare la ferocia de' mezzi. • I collettivisti diranno valer meglio impadronirsi dello Stato e farne il gran dispensiere ·della comune fortuna. I Ed io dico che per qualunque ·via si riesca a prendere lo Statoi se ne farà una repubblica sociale. E, dato . . questo battesimo alla cosa, il dissidio tra' grandi problemi sparisce. I) repubblicani nel 1 860 si accorsero di aver lavorato per la monarchia, e· tra pochi anni i socialisti si accorgeranno ·di aver lavorato per la repubblica. L'esempio di Francia non mi .sgomenta: o quella repubblica dovrà socializzarsi, o sparirà contro la reazione per rinascere nella forma più vera. Si facciano, dunque, fasci nel mezzogiorno d'Italia e I scuole nel settentrione, uno è il fine, ed è quell'uno verso cui gravita tutta l'Europa, dove le dinastie degenerano e la borghesia invecchia. Ma giunti che sarete, o socialisti, al gran fine, non dovete dimenticare quelli che guardarono il vostro moto con occhio presago, nè quanta parte di sè diè Mazzini alla redenzione· dell'operaio ··e della donna. Ad. un uomo grande il cui ideale sorpassò i contemp9ranei non può mancare la posterità. Se questa è la ~erza Roma che appunto per non erigergli un monun1ento lo fece votare dalla , · Bibtioteca Gino Biancò •
• 342 LA RIVISTA POPOLARE Can1era, se questa delle alleanze dinastiche invece de' popoli federati è la giovine Europa~ se questa è la terra che egli voleva restituire ai lavoratori, Giuseppe Mazzini è morto per se1npre. Pure io mi ostino a credere che, sfrondato delle parti teologiche, resta il tronco mazziniano e che il giorno in cui i fasci de' lavoratori diverranno fascio di popoli sentiranno che il più vero conternporaneo loro . è colui al quale i contemporanei suoi non furono giusti. ·Penetrare in tutte le leggi del capitale e del lavoro, in tutte le forme onde la ricchezza e la terra si socializzano e tutte le classi sono equamente chiamate agli ufficii della vita collettiva, vuol dire perfezionare, non d_imenticare. E tra pochi anni, appena si riprenderà a parlare di repubblica sociale, si vedrà una rifioritura letteraria intorno ai libri di Mazzini. Sarà un merito allora essersi sempre trovato al proprio posto. Così vedo e credo. I O dicembre I 893. Grov ANNI Bovio. L'IMPOSTAPROGRESSIVA I. Nelle storie parlamentari delle varie nazioni non v' ha un solo esempio, che anche da lontano rassomigli alla caduta del ministero Giolitti. Moraln1ente essa avvenne la sera del 2 3 novembre 1893 in seguito alla lettura della Relazione del Comitato parlamentare composto in maggioranza - quattro contro tre - di amici del Ministero: lettura che per il crescente interesse degli uditori, per l' impazienza e l' eccitamento dell~ tribune e .dei deputati, per Biblioteca Gino Bianco •
LA RIVISTA POPOLARE la con1plicità del presidente della Camera col presidente, del Consiglio (che si rivelò con la fuga di quello per impedire che una condanna immediata e severa colpisse i rei). fu veramente. drammatica.. E legalmentè fu GOnstatata il dì appresso in una seduta non meno tempestosa della precedente. · · · Il ministero Giolitti, come gli fu detto in piena Camera, cadde nel fango sotto il peso delle accuse principali: 1° di aver mentito coscientemente innanzi al Parlaniento ed al paese sulle condizioni della Banca Romana; 2 ° di avere nominato senatore un delinquente volgare, pur sapendolo .tale ; 3° di aver sottratto documenti nell'incarto del processo Tanlongo; 4 ° <li aver preso illecitamente denaro da una Banca di truffatori; 5 °· di avere consigliato n1odificazioni alla relazione Finali nell'intento di attenua~·e le colpe altrui e ingannare il Parlamento per fargli votare la disastrosa e <liso- -nesta legge bancaria. Quali saranno nel paese e nel Parlamento le conseguenze di siffatte constatazioni e se rimarranno del tutto . impuniti gli autori di tali reati e di tali indelicatezze, ancora non può .dirsi con sicurezza e precisione. Quali sfa.no per essere gli effetti degli ultinu avvenimenti, di cui non intendo ora occuparmi, rilevo che in n1ezzo a tanti tristi e dolorosi ricordi del ministero Giolitti uno ne rimarrà, che, sebbene in piccola parte, potrà fargli onore: quello di avere proposto e presentato · in extr.emis il disegno di legge sullà ùnposta progressiva. Ai caduti più c}:le agli altri è doveroso render giustizia: perciò si deve rammentare, ora più che mai, che l'idea dell'imposta progressiva non balenò alla mente·d~ll'_on. Giolitti come un semplice espediente atto a riparare alle deficienze del bilancio; ei la enunciò da deputato, e correttamente. Nel discorso pronunziato alla ·Camera il 16 marzo ·1892 egli disse: « Sommando insiet?Je tutte le. nostre imposte e guardando il comple~so · del nostro sistema tributario, è eviBiblioteca Gino .Bianco
344 LA RIVISTA POPOLARE dente il fenomeno che pagando i ricchi con1e i poveri un testatico e pagando i ricchi un'imposta proporzionata alla loro ricchezza, ne viene questa conseguenza: che il complesso del nostro sistema tributario rappresenta un siste,na progressivo a rovescio, così che le ultime classi sociali pagano una percentuale progressi,·a d'imposta maggiore di quella che pagano le grandi fortune » • L'affermazione corrisponde perfettamente alla realtà, e v' è solo a deplorare che nell' on. Giolitti il pensiero del deputato non si sia i1nmediata1nente risvegliato nel ministro. Il ministro forse ebbe paura della ripugnanza che l'imposta progressiva desta nelle classi dirigenti; perciò tacque da principio e cercò rimedì al deficit del bilancio in altra direzione. Poscia, quando fu per annunziare che sarebbe venuto meno alla promessa di ottenere il pareggio senza nuove imposte, ritornò alla primitiva idea per non suscitare soverchia opposizione nelle classi popolari. Che l'on. Giolitti abbia avuto da ministro l'intenzione di metterla a dormire, si rileva dalla opposizione fatta alla mozione deìl' on. Guelpa, svolta nella seduta della Camera del 2 febbraio 1893 : 1nozione anodina che si limitava alla proposta della nomina di una Commissione parlamentare allo scopo di studiare quale fra i diversi sistemi d'imposta progressiva, sin qui proposti o già applicati, fosse il più adatto all' indole politico-sociale dell'Italia, quale fosse il minimum necessario alla vita da esentarsi e sino a qual punto fosse riducibile l' imposta indiretta. Che l' on. ministro del tesoro e delle finanze nella seduta del 4 febbraio abbia con1battuta la mozione Guelpa fece tanto più impressione, in quanto che rammentò di avere egli stesso sostenuto il principio della progressività nella relazione sul disegno di legge relativo alla tassa sugli affari e sulle successioni presentato nel febbraio del 1889. Se nel 1893 non volle più nen1meno consentire la nomina di una Commissione allo scopo di studiare (mentre è noto che si fa incredibile abuso di nomine di tali Commissioni e della promessa di studiare, che si è ridotta a sinonimo di canzonare, come disse il ministro Martini in piena Camera) segno è che nelle sfere ministeriali si era rinunziato al1' ùnposta progressiva. Biblioteca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 345 Se rigern1ogliò dopo breve tempo la proposta, si deve alle circostanze imperiose che s'imposero in Italia ora, come s'imposero sempre e dappertutto; a quelle circostanze, çhe spesso non permettono la scelta tra la ùnposta proporzionale o la progressiva, tra le imposte dirette e le indirette. È innegabile eh~ la opportunità in questa scelta fa tutto; e faceva già dire al Gladstone, ad esempio, che i contribuenti diretti ed indiretti sono fratellj, l'uno bruno e l'altro biondo, non si rassomigliano, ma che un accorto ministro delle finanzé deve ugualmente amare. Le opportunità politiche parlamentari potranno consigliare al ministro o al deputato di suggerire, di abbandonare o di riproporre l' imposta progressiva sotto l' impellenza dei bisogni del fisco; il popolo con altri e più generali intendi1nenti deve riprendere l'idea, vagliarla, fecondarla, e, se essa risponde a particolari esigenze, se essa è ad un tempo utile e giusta dal punto di vista politico e sociale, tradurla in fatto. IL Lo studio sulla imposta progressiva viene di molto facilitato da alcune nozioni sulla imposta in generale: sulla sua definizione,· sull'impiego del suo prodotto, sulla legittimità del limite in cui dev'essere mantenuta. Queste nozioni spianano il terreno alla sua giustificazione piena ed intera. Della impo'sta, come di ogni altra cosa, sono innumerevoli le definizioni, per lo più incomplete perchè la considerano da un solo punto di vista. Si metta da parte quella paradossale del Mac-Culloch, che la considera come il migliore stimolante del risparmio ·e della produzione. Questo concetto forse generò la frase del Luzzatti sulla virtù educatrice del deficit, che già destò uno scettico sorriso nella Camera italiana. Non si riesce a definirla esattamente quando si parte dall'idea che essa è il correspettivo dei servizi, che lo Stato rende al contribuente; questa può adattarsi solamente ai liberisti logici e rigorosi, che vogliono· strettamente limi- ' · Biblioteca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE tare le funzioni dello Stato. Infatti oggi l'imposta serve a pagare, oltre il servizio di sicurezza, alcuni altri servizi generali resi alla con1unità dagli agenti dell'autorità più vantaggiosa1nente che dai privati. Più accettabile è il concetto sen1plicissin10 di Menier, secondo il quale « l'imposta rappresenta i 1nezzi e le spese generali per adoperare e sfruttare il capitale. nazionale » • Ma tra tutte le definizioni, quantunque venga dagli ortodossi, mi sembra preferibile quella che si trova nel Dictionnaire des Finances di Léon Say: « L' ùnposta è ù preleva1nento effettuato in no1ne della collettività (Stato, provincia, con1une, ecc.) per provvedere alle spese e/te es(re l'interesse comune » . Da ciò si dedvce che l'imposta è una necessità di tutte le civilizzazioni, di tutti i teinpi, di tutti i regi1ni; che ha la sua ragione d'essere e la sua legittimità dal punto di vista econo1nico e scientifico nella sua partecipazione diretta o indiretta all'opera della produzione della ricchezza e trova la sua limitazione nella 1nisura stessa di questa partecipazione. È preferibile l'esposta definizione, perchè essa si adatta alle varie fasi che ha subìto e subirà l'organizzazione politica e sociale; poichè l'interesse co1nune, che autorizza l' imposta, varia secondo il variare _del n1odo d' intendere la funzione dello Stato, della provincia, del comune, ecc. Questo interesse con1une viene ridotto al 11zinùnum dagli individualisti, al 11zaximu1n dai socialisti. Perciò le in1poste dovrebbero elevarsi sensibilmente in uno Stato socialista. Queste mutabilità sul modo d'intendere l'interesse della collettività, e quindi le funzioni dello Stato, rende inesatto il criterio che fa ritenere· doversi din1inuire le imposte di uno Stato man mano che aun1enta la sua popolazione, perchè si divide fra un maggior numero di persone l'obbligo di provvedere; ciò si potrebbe vèrificare soltanto in uno Stato stazionario, in cui la n1isura dei bisogni collettivi non variasse e in cui non fosse progresso alcuno. La legitti1nità dell' i1nposta, poi, in linea generale, anche dal punto di vista della presente orgànizzazione politicosociale, e senza fare entrare in can1po il principio elevato della solidarietà, va giudicata dall'impiego del danaro che BibliotecaGino Bian·co
LA RIVISTA POPOLARE 347. se ne ricava. Su che bene a proposito l' on. Guelpa ricordò, svolgendo l'accennata mozione, ciò che disse nel Parlamento subalpino del '48 il conte Michelini, esa1ninando la prop'osta del deputato Pescatore di applicare il sisten1a dell' itnposta progressiva al prestito forzoso. Egli così esprimevasi: « Noi sappiamo che nella i1nposizione non vuolsi tanto considerare l'an1montare dell'imposizione stessa, quanto l'impiego, eh~ si fa, dei danari che si riscuotono; imperocchè se tali danari sono impiegati_ in modo che tornino a vantaggio dell'universale, non può ravvisarsi gravosa una imposizione, quantunque grande ne sia l'an1montare. Se al contrario l' in1posizione, per piccola che sia, è impiegata a pagare cortigiani e in al tre opere che non tornano a pubblica utilità e, peggi,1, se tornano a pubblico danno, allora vuolsi considerare tale imposizione con1e gravosa, ed allora, con1e tale, la si vuole condannare. Se ci sono spese, le quali non tornino utili che ad una classe di cittadini, tali spese non dovrebbero, per il 1notivo testè accennato, gravitare su tutti i cittadini » • Sulla legittimità della imposta, infine, deve osservarsi che essa dev'essere consentita e votata da coloro che de- _vono pagarla. In· teoria tale n1assin1a è stata riconosciuta da gran te1npo. Filippo di Con11nines, n1inistro di Luigi XI, dichiarò « che non c' è nè re, nè signore che abbia il potere d'imporre con danaro sui suoi ·soggetti,. senza il consentimento di coloro che devqno pagarlo, altrimenti c'è tirannia e violenza » . Una dichiarazione analoga nel I 483 fece la reggente Anna di Beaujeu e nel I 5 96 la ripetè Enrico IV all'Assemblea dei notabili di Rouen. E da una quistione d' in1posta germogliò in Inghilterra la rivoluzione del I 64 7 i che condusse Carlo I sul palco, come da una quistione perfettamente analoga prese le mosse la rivoluzione an1ericana, che sottrasse gli Stati Uniti del Nord al domini dell'Inghilterra. Tali dichiarazioni _sono state frequentemente fatte; tna sono rin1aste teoriche e sono state violate necessariamente ovunque non esiste suffragio universale. La violazione è tanto più patente .in quanto che negli Stati .moq.erni le ùnposte indirette fonnano uno dei cespiti principali del. bi- ·Biblioteca Gino Bianco \
LA RIVISTA POPOLARE I lancio e le pagano di preferenza le masse che non hanno voto. A torto, quindi, si sono scandalizzati quei conservatori che avrebLero voluto negare il suffragio politico o amministrativo alle classi inferiori allegando a pretesto che non era giusto far disporre dei danari dello Stato a coloro che non pagano imposte. Perchè essi avessero ragione, a parte la quistione dell'incidenza, i conservatori avrebbero dovuto esentare dalle imposte indirette i lavoratori, che in pari tempo avrebbero voluto privare del voto. Aµplicando questi principì generali all'Italia attuale, si può conchiudere che tra noi le i1nposte sono gravosissime ; e che il loro prodotto è impiegato di preferenza a vantaggio di alcune classi e non vengono votate da coloro che le pagano. E queste condizioni di fatto rendono necessaria ed urgente la riforma del regime tributario, che deve assidersi sovra una base equa e razionale. D.r NAPOLEONE CoLAJANNI. PANAMAE PANAMINO L'amico nostro Napoleone Colajanni nella dedica a G. Rouanet del suo importantissimo libro: Banche e Parla,nento dichiara che non fa confronti. tra gli scandali fran-:- cesi e gl' italiani per non destare le ire e i risentimenti dei bigotti del patriottis1no, sì numerosi e in Italia e in Francia. Questo prudente avviso non è stato quello di un giornale rispettato e rispettabile, la vecchia Gazzetta del Popolo di Torino, che ha voluto fare i confronti e ne ha concluso che· si sta meglio tra noi che al di là delle Alpi, aln1eno sotto certi aspetti. E dicia1no sotto certi aspetti, poichè il giornale del signor Bottero non si nasconde che gli scandali nostri da qualche lato, cioè da quello politico-nazionale, sono più gravi e più pericolosi di quelli del Panama; e gli diamo lode .altresì per il biasimo inflitto a quella indecente teoria Biblioteca Gino Bianco
I LA RIVISTA POPOLARE 349 sqstenuta ancora in Italia (a questi chiari di luna!) secondo la quale si dovrebbe tacere su tutte le ruberie grandi e piccine, per amor di patria. Scrive la Gazzetta: Non sono mancati giornali all'estero al cui parere il Panami no italiano è stato peggiore del Panama francese. Siam tutt'altro che teneri pel Panamino, questa vergogna inconce- · pibile; ma un _piccolo confronto particolareggiato basterà a dimostrare quanta ingiustizia, anzi quanta ridicolaggine, sia in quella asserzione dei nostri nemici. L'unico punto su cui l'Italia, a tale riguardo, ha innegabile inferiorità è circa l'autore primo dello scandalo. Ferdinando e Carlo Lesseps e gli altri promotori del Panama francese avevano almeno dei titoli gloriosi che spiegavano la fiducia che la ·Francia poneva in essi. Il Tanlongo nel suo passato nulla aveva, nulla assolutamente, che rendesse ragione del suo innalzamento a un posto che l'ha fatto quasi l'arbitro delle sorti italiane. Cuciniello al confronto era un colosso! Fatta questa imparziale concessione, il resto torna a scapito del Panama francese. Il Panamino infatti ebbe bensì un De Zerbi, che s' è sottratto a tempo al Comitato dei sette; ma il Panama francese ha vantato un Reinach, un Arton e un Cornelius Herz, triade di bricconi che non ha esempio. Il Panamino italiano ha messo in scena pochi deputati, e un numero di persone officiali che non raggiunge le due dozzine ; il Panama francese ne ha gettato un sacc·o di conosciuti e, per non produrne ton"nellate addirittura, han fatto fuggire Arton, sozzo depositario di un mucchio di rimasti sconosciuti. Che più? Il Panama francese costò il capitombolo di tre Ministeri; il Panamino italiano finora è stato pago d'atterrarne uno. Il Panama francese ha tuttora lo stra~cico di Cornelius Herz, e la lista ddl' Arton sospesa sovra il_mondo politico come la spada di Damocle. Il Panamino italiano non ha dietro le quinte che i molti o pochi documenti che diconsi sottratti dal Ministero dimissionario, il quale nega naturalmente, benchè pochi gli credano. Quando pertanto qualche straniero, dal paragone di questi due scandali, vuole trarre argomento a dimostrare la maggior corruzione ·del1' Italia rispetto alla Francia, fa atto inescusabile d'insigne malafede. In ~erità non sapremmo capacitarci di questo giudizio se non sapessimo che il pregiudizio del patriottismo, nel senso spenceriano, acceca ed -è capace di questo e di altro. Ora noi in nome del sano e vero amor di patria, che n.on deve , nascondere le piaghe ma guarirle, vogliamo fare poché osservazioni. BibliotecaGino Bianco
35° LA RIVISTA POPOLARE Argomentare dell'intensità dei due mali, dal numero delle persone che ne sono affette, e ritenere che il numero degli an1n1alati italiani sia quello rivelato dal discreto Co• mitato dei sette è un errore imperdonabile, e se non fosse per rispetto al Bottero, lo direm1no una puerilità. Il numero dei nostri uo1nini politici intaccato dovrebbe stabilirsi prendendo a guida l'ordinanza della Camera di Consiglio, facendo una seria inchiesta sulla Banca Nazionale e sui Banchi meridionali. Qualche cosa potremn10 dire sulle marachelle non vedute in questi ultimi; ma vogl ia1no rilevarne una venuta in luce per opera dello stesso Comitato dei sette: la cambiale Crispi nella Banca Nazionale. Premettiamo che questa can1biale di L. 242,000, di qualsiasi grado sia il torto di chi la sottoscrisse, sfuggì all'occhio linceo del con1m. Orsini, che eseguì la ispezione riportata nella relazione Finali. Come la conobbe il Co1nitato dei sette? Per 1nezzo dell' on. Giolitti, che per vendetta politica gliela denunziò. Ma questo fatto non costituisce la prova n1igliore che i sette draghi videro e scoprirono nella Banca Nazionale soltanto ciò che volle loro far vedere e scoprire il comn1. Grillo, quello che prestò. i r 3 milioni alla Banca Romana nel I 8 89 ? E basti di ciò. C' è di peggio. La Gazzetta del Pupolo trova da rallegrarsi per la circostanza che il Panama liquidò tre Ministeri e il Panamino appena uno. Santi numi! Ma non è questa la prova lampante che nella Ca1nera italiana il senso 1norale è ottuso e gravissimamente obliterato? In Francia appena si accenna alla 1ninima responsabilità del Bourgeois, questi scende fieramente dal suo scanno di 1ninistro e nobilmente si difende. In Italia invece si può din1ostrare il 1nendacio continuato e sisten1atico del presidente del Consiglio e la Camera lo applaude con entusiasmo ; il Co1nitato dei sette può deplorare la condotta di pa_recchi deputati e questi rin1angono imperterriti al loro posto! E dal silenzio attendono la loro riabilitazione, con1e dalla vile jgnavia degli elettori. In Francia il corpo elettorale respinge due gladiatori di primissimo ordine, Floq net e Clemenceau, solo perchè sospettati di complicità nel Panama; in Italia si rendono BibliotecaGino Bianco .,
LA RIVISTA POPOLARE 351 co1nbatte nel suo nome, . . onoranze solenni a De Zerbi, si si dedicano a lui le scuole e le lergli erigere un monumento. E piazze e s1 accenna a voTaciamo, perchè se dovessimo ren1mo di essere italiani ... * * * il caso San Donato? ... continuare ci vergogneNe convenga l'egregio Bottero: due grandi differenze ci sono tra il .Panama e il Panamino, oltre quelle da lui accennate: una economica e l'altra politica. Le proporzioni del Panama sono più colossali di quelle del Panan1ino, perchè in Francia c'· è ricchezza e in Italia c' è miseria. In Francia, quando fu scoperto il ,Vilsonismo, Camera e paese costrinsero con mezzi pacifici e con una dignità men1orabile il signor Grévy a dimettersi dalla presidenza della repubblica; in Italia non si è riesci ti a mandar via .un in1piegato di casa reale, e se volessimo curare il male dalle radici dovremmo fare le barricate. E questo perchè? Perch~ in Francia c'è la repubblica, se anche non è quale si imagina ne' voti comuni, e in Italia . . . c' è qualcosa di diverso. Y. COLLETTIVISEMLOIBERTÀ Le polemiche sull'argomento minacciano di divenire etern~, e me ne duole. Oggi, più che di vivaci polemiche, vi sarebbe necessità di spontanee e serene intelligenze. Queste su tutto sono vitali e feconde di bene. I giorni delle prove si avvicinano, e allora davvero le polemiche debbono esser chiuse .. Secondo il mio povero avviso, lo scrissi già, il Patto è larghissimo. Non si chiamano tutti gli operai di buona volontà, liberi dai monarchici lacci, a federarsi, per dire poi ad essi: se non inten'dete la libertà come io Minuti od altri l' intende, fuori dal tempio tutti, o. profani I \ BibliotecaGino Bianco
352 LA RIVISTA POPOLARE E Mazzini faceva un appello a tutti loro1 nè so che abbia mai detto fuori ad alcuno. Nè può averlo detto chi intendeva ad una sola grande democrazia. 11 Minuti nel suo opuscolo, scritto 1n modo cortese e spec10so, dice: - Vi possono essere Stati collettiyisti con a capo un Cesare o dominati da oligarchie, ecc. 1 ecc. - Ecco: siamo d'accordo se c'entra un Cesare. Ma1 almeno in casa nostra, di cotesta stirpe che vuole un Cesare col contorno collettivistico sinora, per ventura, non si hanno rampolli. Il Minuti ricorda il Congresso di Reggio, e cita il Mendola e il De Marinis: quello come condannatore fiero della repubblica, questi due come antichi· compagni che hanno abbandonato il campo. Deplorammo già il fatto, specialmente per il prof. De Marinis, e lo chiamammo errore. Ma pensiamo che non ripudiò Marx la repubblica, non la ripudia Engels 1 non la ripudiano i collettivisti tedeschi e francesi, nè altri d' altre nazioni. Il Minuti cita (non so quanto a proposito) un brano degli scritti di Mazzini, nel quale si eccitano gli oper8:i a iniziar l'avvenire, a non scendere a liquidazioni sociali, a mutarsi da salariati in lavoratori liberi, indipendenti dall'arbitrio altrui. Come gli equivoci si diradano .studiando e discutendo! Testè 1 nella .1.VuovaAntologia, il dottissimo prof. Ricca Salerno, in un suo articolo sulla nazionalizzazione della terra (essi, gli avversari, discutono già tutti il problema, e non angustamente) diceva con precisione di linguaggio che i collettivisti si differenziano o per la prevalenza che alcuni di essi dànno al potere collettivo o per la prevalenza che altri dànno alle associazioni private (ben s'intende, libere) per l'attuazione del-comune ideale. Tendono i secondi, o s' immedesimano, al concetto delle libere . . . assoc1az10m. ' E ben naturale che gli uni e gli altri, come tutti noi, combattano perchè cotesta nuova foggia di schiavitù, il salario, scompaia. Il Ricca Salerno di Cesare non fa mai cenno. E il toro del Minuti ha sempre la testa attaccata al collo. Un importante scritto dello Schaeffle, pubblicato di recente nella Revue sodale et politz'que, tende a provare che nel collettivismo la libertà economica non è abolita, è resa semplicemente utile. II J'ournal des Econonzistes del novembre ne fa una recensione non isfavorevole, e i suoi redattori sono liberisti purissimi. JVIa tutto è relativo. Un anarchico sosterrebbe che la libertà voluta dal Minuti e da noi, se anche vi sia differenza, è una vera tiI BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 353 rannide. Cotesta armonia della proprietà sociale coll' individuale, come noi dimostriamo, dev'essere orrenda agli occhi de' liberisti assoluti che s1 chiudono come sensitive al solo tocco dell'autorità. Ma, dice il Minuti, Aurelio Saffi scrisse << contro le utopie collettiviste e le tendenze men sane del socialismo odierno », e pure voi, Fratti (mi si perdoni o si perdoni al Minuti se ha osato mettermi dappresso a quell' illustre), diceste al Congresso di Firenze, nel I 886, che nessuno de' suoi componenti negava il diritto di proprietà come Mazzini lo dimostrò. Gli strumenti del lavoro agli operai, le associazioni col capitale inalienabile e perpetuo, la prùprietà dei- frutt~ del lavoro, ecc., non è così che l' intendeva Mazzini? Non fu egli davvero il precursore, che, secondo .i tempi, iniziò il moto sociale? Dunque, ov' è la contraddizione? Ma il Fratti, egli dice, ha detto che sarebbe ingiusto e dannoso che lo Stato fosse l'amministratòre e il tutore della proprietà nazionale. E lo ripeto. Ma questo sarebbe il comunismo: ecco l'errore! Le communisme tst la mise en comm.un des forces productives et des produits sous la gestion de t Etat. 1 E i colletti visti, i più fra loro, vogliono, al più, la direzione non l'amniinistrazione da parte dello Stato. Il collettivismo enfiteutico vuole le associazioni libere. Il collettivismo industriale vuole substituer graduellement le travail associé au travail salarié. Così il collettivismo di Colins, e quello di De Paepe, e quello riformista di Malon, e l'agrario, ecc. Al Congresso di Palermo notai le giuste distinzioni. Il Malon dice che non si tratta di cadere negli errori del comunismo utopistico, ma di combinare la necessità del concorso per la produzione con la giustizia economica e LE GIUSTE ESIGENZE DELLA I LIBERTÀ UMANA. Si dirà che v' è il puro e rigido collettivisnio marxista. È vero : ma notiamo che a ragione essi, 1 marxisti, assumono e vogliono il nome di comunisti scientifici. Del collettivismo anarchico, dÌ cm pure parla con prec1s10ne il Malon, noi non facciamo cenno: essi vogliono in terra l'essenza celeste ed eterea della libertà. Ma cotesta libertà, troppo libera, al Minuti certamente non piacerà. Gli equivoci vengono dall'abuso della parola collettivismo, e dai significati diversi che le si dànno. 1 MALON, Le socialisme intég-ral, p. JOI. BibliotecàGir.10Bianco
354 LA RIVISTA POPOLARE Ma egli non si dà per vinto, nè mai lo si darà; anzi ho visto che si è scritto che mi ha confutato in modo esaurùnte. Ed io non avevo detto che due parole! Fui morto dall'amico-avversario prima di mettermi in guardia. Il Patto è anti-collettivista, perchè consiglia le cooperative, ecc.? Non mi pare: i socialisti, in genere, le propagano. Marx le sconsiglia; ma essi badano al maestro sino a un certo punto. Il socialista avv. Di Fratta ed altri,. per la Sicilia e per l'Agro romano, descrivono tipi di cooperative agricole, che potremmo accettare pur noi. Dunque, nel Patto, ci dovrebbe essere posto per tutti. Se non c'è, la colpa è dei nostri vari umori e della nostra rigidità. Nel I 886, al Congresso di Firenze, avevamo tutti, giova dirlo per la verità, un' idea inesatta del collettivismo. Lo si confondeva col comumsmo, e l'errore era facile, perchè molti dissidenti spiegavano, più che altro, le teorie del Marx. E, infatti, io stesso confusi il collettivismo con il sistema che abolisce ogni individuale proprietà. Ma non si desumono le ragioni, nella polemica, dagli errori altrui o da incompleti riassunti. Il Saffi stesso, sì coscienzioso e preciso, cadde nell' inesattezza, ma poi, citando il De Laveleye, critico limpidissimo,' che definì, in genere, il collettivismo come il sistema che sta fra il comunismo e l'anarchia, e tempera l'associazione col razionale concetto della libertà, il Saffi stesso rettificò, o meglio, coll'autorevole parola del professore di Liegi, precisò la definizione. 1 Ed io dichiaro che allora, nel I 886, non interpretai esattamente il concetto del De No bili, e lo giudicai in maniera troppo assoluta ed ingiusta. Ma non per questo nnnego e rinnegherò mai la libera. associazione, intendiamoci bene, non assolutamente libera, senza concetto e vincolo comune, senza quei temperamenti che, come dice lo Schaeffle, la rendono disciplinata, concorde ed utile. L' individualismo universale si è realizzato nell'odioso ciascuno per sè e nella guerra di tutti contro tutti/ nè si dovrà certo, in istituti popolari, rinnovare tanto danno. Mazzini stesso scusa il comunismo 2 come riazione alla libertà sfrenata che si converte in licenza e che è peggiore, in fondo, della tirannide stessa. In ciò, col Minuti, s1amo d'accordo. Ma non bisogna infierire coi sistemi intermedi. 1 SAFFI, Il pensiero politico e sociale di G. JYlazzini. 2 MAZZINI, I sistemi e la democrazia, voi. VII. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 355 Se chi tende alla tutela dei diritti del lavoro libero, può far parte del Patto, ritengo e riterrò sempre che in esso c' è posto per tutti i veri collettivisti. Se essi se ne vanno, sarà per altre ragioni. Nessuno, prima d'ora, sospettò che non ci fosse posto per essi. Tutti noi ed essi ci ribelliamo contro il salariato in nome della libertà. Ma la parola libertà è molto elastica. Louis Blanc l'attaccò con vigore ed eloquenza sublime cotesta libertà che si risolve nell'arbitrio dei 'forti e dei ;i echi, e pensò ad una forma d'organizzazione iniziale :i.ppunto per assicurarla e temperarla, sì che potesse divenire arme e forza a beneficio di tutti. Lo Stato descritto dallo Spencer mi dà pensiero; ma non è quello pensato da molti collettivisti : esso è più che al_tro comunistico. E il giudizio dello _Spencer vecchio contraddice a quello dello Spencer giovine. Bisogna esser cauti nel citare: già lo Spencer, quando non aveva sposate le nuove idee individualistiche, pensava lo Stato solo ed unico proprietario e regolatore della produzione. In ogni modo io posso anche ritenere che una data scuola debba avere un indirizzo solo, e seguirlo anche rigidamente; ma ritengo e riterro sempre che la scuola non è il partito, e che sopra l'una e l'altro vi è la universa federazione operaia che deve e può abbracciare qHanti combattano la ·triplice tirannide attuale, senza che alcuno chieda a chi si_affratelli ·quanto di libertà metta in un piatto della bilancia o quanto di autorità nell'altro. Mazzini stesso conveniva eh' era impossibile mantenere la perfetta armonia de' du'e termini, e si chiedeva verso quale dei due volgerebbe la società futura. Esso ascoltava le pulsazioni diuturne della vita sociale de' popoli. Si tratta di stabilir certi limiti allo Stato e alla società: nè siamo in un chiostro. La Chiesa stessa accoglie nel seno, sotto l'ale del Sillabo e dei dommi, vari ordini di frati. Noi che siam liberi, che non abbiam nè dommi nè Sillabi, dovremmo tutti accogliere i credenti nella repubblica avvenire, nella redenzione degli oppressi, anche se vi fosse non lieve varietà di mezzi e di metodi. È sì bella e sì feconda di grandi resultati la varietà nell'unità. E anzi chi tanto adora là libertà dovrebbe permettere che chi per ventura s'accosti a noi fosse .il benvenuto. Che dico permettere? Essi non han d'uopo di concessioni. Il Patto chiede a' suoi adepti la buona volontà e il concetto del fine comune, non altro. Così solo la democrazia sarebbe una sola, · BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE -come il Maestro pensava. Così avrebbe un solo campo d'azione, un solo orifiamma, al disopra delle parziali divise. Co.sì forse ora sarebbe stata pronta ad agire. Ella, nella sua quiete, è la gran colpevole. E perchè di nuovo farmi rimprovero se io dichiarai e dichiaro -che i nostri Congressi debbono discutere sulle più gravi questioni sociali? Non sono forse questi i tempi opportuni? Non lo sarebbero più ancora domani? Dobbiamo limitarci a parlar di cooperative, di banche popolari, di biblioteche circolanti? E chi, se non i Congressi anzi tutto, deve restare addietro nel gran moto sociale? Discutiamo alla stregua delle nostre idee, ma discutiamo. Discuton sempre gli individui, e deve esser negato alle collettività? Che fanno sempre, per esempio in Inghilterra, le positivissime Trade' s Unions? Il Minuti e il De Andreis, nel loro ordine del giorno~ ad esempio, raccomandarono, fra varie altre cose, 11 riscatto graduale delle terre per opera degli enti 1noralz', affi'dandole ad associazioni di lavoratori. II De Andreis già anche a Napoli aveva inalzato, in un ordine del giorno, il grido socialistico: la terra ai lavoratori I E senza gradualità. Ora come avviene la trasformazione della terra? Che dice l'agronomia rispetto alla partizione de' latifondi? Quali le leggi del lavoro? Conviene o no requisirlo il capitale? E per il riscatto è meglio seguire il George o il \Vallace o altri ancor pitt radicali? Meglio la tassa progressiva (ma non per· burla) o l'espropriazione più o men graduale? E conviene l' autistazione, come dicesi, degli attrezzi rurali? E lo Stato indicherà o no il genere di coltura? E cento questioni si fanno innanzi. Non se ne discussero già varie a Firenze e altrove, quando la questione sociale era ancora all'inizio, e la miseria non era sì terribile e straziante ? Se, invece di discutere, si potesse agire, sarebbe meglio assai. Ma, pure ripetendo il motto di Cromwell, vogliamo discutere, svolgendo ampiamente il concetto sociale: la democrazia lo deve. Altri teme, a torto, la confusione. Noi temiamo i troppo cauti ritegni, l'uniformità monotona, l' inerzia, in tutto, anche nel pensiero. Se fatalmente non si risollevi la bandiera del Patto, si risolleverà, vogliamo crederlo, la bandiera del partito repubblicano, che, rinnovellato, deve arditamente procedere, in nobile gara, col partito socialista. ANTONIO FRATTI. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 351 L'ILLUMINAZIONEELETTRICADEITRENI In questi giorni dopo il grave disastro di Limito, la stampa quo-- tidiana ha aperto una campagna per rintracciare a chi ·spetti la responsabilità di quella sventura. · Noi non intendiamo insistere in quel dato senso, ma vogliamo osservare che lo scontro avrebbe avuto conseguenze di gran lunga minori se, per lo scoppio e l'accensione dei serbatoi del gas posti sotto le vetture, non si fossero incendiati i due treni o, altrimenti d~tto, se i due treni fossero stati illuminati elettricamente. Per qual ragione il moderno sistema d'illuminazione non sia stato ancora introdotto nelle vetture delle Compagnie· ferroviarie italiane, non è facile investigare: dipen-- derà da condizioni economiche o burocratiche od a_ffariste ,· certo ciò. che riesce poco spiegabile è l'avere da pochi anni sostituito con grande aggravio dei bilanci l' illuminazione ad olio con quella a gas, mentre i progressi dell'elettrotecnica ci andavano dimostrando la facile· attuazione del sistema elettrico. ll non avere intravveduto a pochi anni d'intervallo la trasformazione che venivano a seguire i mezzi d'illuminazione è poi tanto meno spiegabile, quando si considerj che le nostre ferrovie hanno un corpo di valenti giovani ingegneri. Si potrebbe forse obbiettare che da oltre un anno la nostra Società Mediterranea ha istituito nel direttissimo Roma-Torino degli espe-- rimenti illuminando alcune vetture mercè gli accumulatori elettrici : ma si può rispondere che allo stato attuale dell' elettrotecnica è pressochè ridicolo volere esperimentare un sistema che altrove funziona benissimo e con buon risultato economico. Si aggiunga che oggigiorno, dopo le insistenti richieste del pub-. blico,•\ do,po il funesto avvenimepto. di Limito,,· dopo insomma avere imparat~ a spese nostre, noi~ è pit1 il caso di gingillarsi negli espe-- rimenti : è il caso di operare ed operare bene, facendo tesoro dell' e-- sperienza altrui. In Austria ove il sistema d' illuminazione elettrico delle v~tture di ferrovia non si era ancora esteso, il Governo ha ordinato che entro. tre mesi tutte le vetture illuminate a gas siano illuminate a luce elet-- trica .. Se l'Austria preoccupandosi della sventura nostra emana una disposizione tanto violenta quanto opportuna, perchè non prendere a cuore la quistione noi, noi che siamo stati i colpiti? Per. dare un' idea di quanto hanno fatto gli altri Stati in questo genere di applicazioni, accennerò alla libera Svizzent che, avendo sempre proscritto l'uso del gas per la illuminazione delle vetture di fer-- rovia, fino dai primi del 1892 vi applicò quello dell' elettricità. In, Svizzera l' illuminazione elettrita è fatta mercè delle piccole batteriedi accumulatori, 1 quali sono caricati in apposite officine situate nelle.: . 'Biblioteca Gino Bianco •
LA RIVISTA POPOLARE stazioni ferroviarie. Anche in Francia si adoprano su vasta scala gli accumulatori per illuminazione dei treni; ma più interessante a conoscersi è fin dove è giunto lo spirito intraprendente in Inghilterra, ove fino da diverso tempo l' illuminazione elettrica dei treni divenne una buona operazione commerciale. Infatti fu costituita una Società per vendere luce elettrica a quei viaggiatori che avessero voluto, durante il percorso ferroviario, leggere e scrivere pit1 comodamente; a guisa di quella Società esistente da noi, che d8. a nolo i guanciali lungo il viaggio. Fu allora fissato un contralto tra la Railway Electric Reading Lamp Co. e la il1etropolitan District Railway Co. per installare I 0 1000 lampadine ad incandescenza. Il meccanismo che dà la luce è racchiuso in una piccola cassetta, che ha dimensioni di pochi centimetri. Introducendo un penny (Io centesimi) nell'apertura della cassetta e premendo un bottone si accende una lampada che abbrucia per mezz'ora, e dopo questo tempo si spegne, e può riaccendersi mercè l' introduzione di un altro penny. La luce è concentrata eh un riflettore che può disporsi nella posizione che meglio conviene a chi legge. L'apparecchio è fatto in modo che, in caso la lampada non funzionasse, la moneta viene restituita; così pure se una irregolarità si produce nel meccanismo, una soneria elettrica ne dà avviso al capotreno. Tutte le lampade di un vagone sono alimentate da accumulatori disposti sotto i sedili. Anche in Irlanda le vetture di ferrovia sono illuminate elettricamente adoprando un~ disposizione molto ingegnosa, che vogliamo qui descrivere. Una batteria di 2 5 accumulatori, posta nel bagagliaio, può fornire la corrente a tutte le lampade di un treno per tre ore continue; nel bagagliaio stesso è collocata una dinamo che viene mossa dall'asse della vettura. Mentre il treno rimane in stazione, la corrente è fornita interamente dagli accumulatori; ma appena la vettura raggiunge la velocità di 50 chilometri all'ora, la dinamo viene automaticamente messa in circuito e mentre carica gli accumulatori fornisce ~nche direttamente la luce al treno. Negli Stati Uniti l'elettricità nelle vetture dei treni ha avuto duplice applicazione: essa serve non solo per illuminare, ma anche per ventilare l'ambiente interno. Per esempio un treno composto di 6 vetture Pullmann contiene 98 lampade ad incandescenza da I 6 candele, 78 da 8 candele e 7 ventilatori. La corrente è fornita da una piccola dinamo accoppiata direttamente ad un motorino a vapore situati nella parte anteriore del bagagliaio ; gli accumulatori che sono disposti in ogni vettura non intervengono che nel caso di un guasto o della dinamo o della r,onduttura. · Se dunque tutte queste disposizioni ed altre, su cui non crediamo insistere, furono già impiegate negli altri paesi, perchè da noi si è fatto tanto poco? J--1: sì che gl' incitamenti per parte della stampa tecnica non sono stati scarsi. Possiamo citare l' Elettridsta di Roma, che è una diffusa rivista di elettrotecnica, la quale ha tenuto sempre al corrente di quanto si faceva all'estero ed ha taur~lta consigliato quello che sarebbesi dovuto fare in Italia. Ma già io ricorderò sempre un giornale del mattino che circa un BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 359 anno fa riferendo di alcuni esperimenti istituiti su una nostra rete ferrvviaria per illuminare elettricamente le vetture, raccontava che vi aveva preso parte nientemeno S. E. il Ministro dei lavori pubblici, il quale, buon per lui, sarebbe rimasto attonito nel conoscere da vicino il funzionamento delle lampadine ad incandescenza! Di tutto ciò non v' è da stupirsi, pensando che gli studi di quel dotto Ministro erano tutt'altro che rivolti all'ingegneria. Ma, via, aspettare a meravigliarsi tanto, quasi alla scadenza dei brevetti, di tutte quelle invenzioni, quando cioè alla privativa industriale è sostituito il dominio pubblico, se non qualche cosa di peggio significa per lo meno che da tempo in Italia l'elemento tecnico è stato sopraffatto dal burocratico, e perciò noi vediamo nessuna moderna industria qui sorgere e fiorire. MACCHIETTBEUROCRATICHE Era pel giorno I 5 che si doveva presentare. La lettera di partecipazione lo diceva chiaramente: « Ella si presenterà a questo dicastero, il giorno I S del corrente mese, per assumervi, sotto la dipendenza del signor cav. Serafini, le mansioni di cui sopra, ecc. ". Quante volte il pover'uomo leggesse quella lettera, non è da credersi, ed alla Bita, la vecchia fantesca, che lo stava lì a guardare ingrullita anche lei per l'inattesa fortuna, non si saziava mai di ripetere: 7 5 lire, Bita . . . 7S lire non compresi gli straordinari. Certo non era un gran che queil' impiego di scrivano ottenuto al Ministero di agricoltura e commercio, ma c' era da rimettersi un poco dopo le tante batoste avute. La moglie morta dopo una lunga ma- ' lattia che gli era costata un occhio, la figliuolina di I 5 _mesi che aveva dovuto ritirare da balia e poi, ad un tratto, per far traboccare la bilancia, il fallimento della fabbrica di seterie dove da dieci anni era impi~gato ! Con. 7 5 lire, almeno poteva comprar tutti i giorni del pane da sfamare sè, la vecchia Bita e la p1ccma. E già Saverio fantasticava, creandosi il bilancio avvenire. - Tu dici Bita che ci vorranno le scarpettine per Lilì ? - Diavolo! se non vuole che vada scalza ... * - E ci vorrà anche un vestiarib nuovo ? - $icuro, ormai all'inverno ci siamo. · BibliotecaGino B'ian_cò
LA RIVISTA POPOLARE E tutti e due, coi gomiti appoggiati sul tavolino, nella luce torbida di una modesta lucerna, si perdevano nella gioia dei calcoli e dei progetti, tante volte già fatti senza la prospettiva di poterli realizzare. * * * Alla fine, dopo una settimana d' ansie e di tormenti, . il I 5 del . ' mese arnvo. Alle 8 di mattina Saverio era bell' e pronto; lu'strato, strigliato e col viso composto ad una cert' aria di circostanza studiata fino dal giorno precedente. l\1entre sorbiva una problematica tazza di caffè e la Bita con la spazzola gli dava gli ultimi tocchi, ei pensava: Certo alla mia nomina non è del tutto estranea la politica del Gabinetto. Il l\1inistero sente il bisogno di consolidarsi e lascia che si facciano aumenti nel personale per soddisfare e mantenersi ligia la Camera. Ciò mi dà a sperar bene ; io entro in servizio sotto buoni auspici e a furia di zelo e di buon volere potrò fare un po' di carriera. Quella piccina di Lilì avrà almeno l'avvenire assicurato e qnesta povera vecchia un po' di pace. E tutto pieno di cotali pensieri, con l'aria grave di un uomo che ha conseguito un'ardua mèta, si avviò al Ministero. Però, giù nella via, una grossa sorpresa l'aspettava. I venditori di giornali strillavano: La caduta del lltfinistero I La faccenda dunque si complica, pensò Saverio; ma se la situa2ione politica si fa piìt difficile non mi riguarda; ho ben la mia brava lettera io, e, macchinalmente, si frugò la tasca del soprabito per assicurarsi di non aver dimenticato il prezioso documento. ·* * * Al Ministero trovò che il cavaliere Serafini era occupato e gli convenne di fare un'ora buona di anticamera in un vasto corridoio, sotto gli occhi di quattro uscieri che pareva volessero frugarlo sotto la pelle tanto lo studiavano con aria impertinente. Ma alla fine fu ricevuto. Il cav. Serafini, seminascosto dietro due grossi mucchi di carte manoscritte, lo squadrò da capo a piedi anche lui, con un'occhiata fredda e penetrante. Saverio non riuscì a spiccicare neppure una sillaba del bell' esordio che aveva preparato da più giorni e non potè che esibire la sua lettera. Il cavaliere allora fu terribilmente laconico: Biblioteca Gino Bianco
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