33° LA RIVISTA POPOLARE UNDRAMMANELL'OCEANO IV. La catastrofe. La notte era cupa e fredda. I marinai sembravano pensosi: il pilota guardava d'intorno. Il capitano chiamò alcuni marinai, e parlò loro all'orecchio, poi ne richiamò altri. Un vecchio barcaiuolo diceva ridendo ad alcune fanciulle liete: - Questa notte si balla! - Tanto meglio, esse risposero, anticipiamo il carnevale. Il vento mandava sibili come fosse una serpe enorme. L'aria pareva d'inchiostro. Cominciava in tutti il brividìo del timor panico, era da per tutto quel cupo silenzio che è come il presentimento della catastrofe. Non c'è cosa più misteriosamente e solennemente orribile che una tempesta di mare. L'ignoto vi sta innanzi nella sua caligine. Poi sopraggiunge il caos degli elementi. Non si possono riprodurre in musica simili strani e spaventosi effetti: le tempeste descritte dal Rossini, dal Verdi, dal vV agner, sono come pallidi episod'i delle grandi epopee del mare. Queste sono la vera tregenda degli elementi, una gazzarra di mostri ciechi. Il Byron, nel suo Don Giovanni, appena appena ne tenta la descrizione. E infatti è -impossibile descrivere una scena che non ha confini, ove milioni di attori ignoti o misteriosi urlano, ove allo schianto del fulmìne si unisce la maledizione del dannato. Il bastimento talora saliva in alto come su una liquida rupe, talora precipitava come in abisso. E quello che pericoloso era, di quando in quando s'avventava ai suoi fianchi una contraria corrente che lo faceva traballare e fremere come fosse schiaffeggiato. I passeggieri erano metà sopra coperta, metà nelle cabine; quelli che eran sopra, se ne stavano legati da cigne di cuoio ai sedili, per non balzar via, e tutti eran coperti di grossi pastrani impermeabili; quelli che se ne stavano di sotto nelle cabine o nelle sale eran presi dal mal di mare e dallo spavento. I marinai attraversavano il bastimento a salti, a slanci, come agili saltatori briachi. Uno di essi andò in mare: BibliotecaGino Bianco
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