,. . LARIVISTAPOPOLARE POLITICA- ECONOMICAS-CIENTIFIC-ALETTERARIA-ARTISTICA ANNO I. 15 Ottobre 1893 FASC. VH. O LA PROPAGANDAO I PROPRICOMODI Ho letto, qualche te111po fa, d'una visita che fece a Tolstoi, celebre ro1nanziere, uno scrittore americano, K.ennan, divenuto celebre anche lui dopo il suo viaggio di due anni in Siberia, frutto del quale viaggio fu la narrazione spaventosa, dal vero, con no1ni e cognomi, luoghi, particolari grandi e piccoli, degli inenarrabili 111artir1cui il Governo dello czar condanna i ribelli alla sua tirannide. Ed era detto, nel giornale o nel libro dov' io leggevo, che Tolstoi, nella mania di evangelica mansuetudine da .cui è preso, a tutto quanto di più triste e crudele gli veniva esponendo l'americano, seguitava a rispondere che non la violenza occorre a disarmare la violenza, ma la dolcezza, la rassegnazione, la bontà, il perdono, sempre, niun caso eccettuato. L'altro insisteva, parlando anco di persone già un tempo care al Tolstoi. Ma l'evangelico non si dava vinto· per questo. • - Un padre, disse il Kennan, mentre era trascinato con la figlia, di cui gli si era per grazia accordata la compagnia, sull' intern1inabile via che conduce all'esilio, aveva visto gli· aguzzini violare i1npune1nente sotto i suoi occhi la giovane creatura, la quale si era uccisa per la vergogna e il dolore. - .A.h ! non continuate, esclamò Tolstoi, 111si i spezza il cuore .... . - E voi credete, replicò inesorabile l'americano, che anche quel padre non avrebbe dovuto ricorrere alla v10lenza e alla vendetta, se ne avesse avuto il mezzo? .J Bfblioteca Git10 Bianco
1 94 LA RIVISTA POPOLARE Tolstoi si cacciò la testa fra le inani, e il petto gli s1 sollevò sotto la spinta del singhiozzo. Il suo interlocutore aspettava una parola. Non veniva. - Dunque, nemn1eno in quel caso? Nuovo silenzio, seguìto da nuova domanda. - Ebbene, no, no, proruppe alla fine il russo, continuando a singhiozzare. No, la violenza 111ai. * * * Ora, io non so per quale bizzarra successione d'idee, a n1e viene in n1ente questo aneddoto n1entre voglio dire, ai repubblicani che leggono, qualche cosa che, senza essere un richiamo alla .vioL~nza, suona in qualche modo tutto l'opposto del sentimento di Tolstoi. Io fo il giornalista. Non è la prima volta, nè sarà l'ultima, che questa profes-sione viene paragonata a quella del prete, tant'è che anch'egli, il giornalista, si chiama sacerdote. E il paragone può andare tant' oltre, che si trova come il giornalista faccia spesso il confessore, nel senso più usuale della parola - il confessore, voglio dire, di molti del partito : ne conosce di necessità certi peccati, perchè glieli narrano. Ed egli non li dice ad ani1na viva, quando sa farè il n1estier suo. I quali peccati, se sono di quelli che si confessano, sono - si sa bene - tutti di debolezza. Ah ! quante lettere riceviamo noi con l'eterno ritornello: - Per a111or del cielo, badate a non compromettermi : nol sappia nen1n1eno l'aria! Ce ne va del 111ioimpiego e della 111iapace in famiglia o della carriera di mio figlio o dell'elezione di mio fratello o della prosperità di mio cognato, di 111ia sorella, della mia parentela, de' 111ieiamici. Nessuno forse, che non faccia lo stesso n1estiere mio, può sapere fino a che punto giungano queste debolezze, quanti aspetti, quante forme piglino, a quali eccessi si . spingano. Or dove si va? Che cosa vogliamo fare di un partito di ribelli, che hanno a loro dispqsizione centomila ragioni - dico ragioni, non pretesti - per non ribellarsi? È egli BibliotecaGiho Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 195 possibile fare qualche cosa nel senso che noi voglia1no, se nessuno è disposto a sacrificarsi ? - Ma sono le proprie fan1iglie che ~i sacrificano, 1ni sento rispondere: sono delle povere donne, dei figli innocenti che si condannano all'inedia. È lo squallore quello cui si va incontro, perchè le viltà si con1plicano: non v'è _ soltanto chi è vile per non esporre sè al sacrificio ; v' è, e spessissimo, chi alla lunga fugge dal sacrificato perchè diventa molesto, o perchè fa rnale al cuore il non poter sovvenire chi è in bisogno .... Qui è dove, per contrasto d'idee, 111' è venuto in mente l'aneddoto di Tolstoi·- insien1e con uno n1io particolare. * * * In una città affatto secolidaria d'Italia io ho un amico, repubblicano di vecchio stampo, nel senso più nobile e puro della parola, che fa il professore regio. Egli non vive che fra i su~i libri e la sua piccola famiglia - studioso, parco, sereno, intero. Non perde un'ora delle lezioni dovute ai suoi scolari, e per le quali è sì magra1nente pagato. Co' suoi colleghi non parla di politica, perchè è solo, molto ·solo, di opinioni. Non ne parla neanche agli scolari, ma certo egli non infonde loro che senti1nenti virili; non è da lui eh' essi possono udire una sola delle tante menzogne convenzionali di cui è tessuta la recente storia d'Italia - la storia r .... - Comunque, e forse per questo, colleghi e scolari lo rispettano. Però da qualche tempo ei n1i viene scrivendo delle \ torture a cui lo si va man mano sottoponendo. Una volta, se anche passaya il r"e dalla stazione, ci andava - insieme con lè autorità - a complimentarlo od ossequiarlo, come dicono · con stile ,austriaco, il preside dell'istituto, e bastava. Oggi, anche senza bisog;no che passi il re, pur che arrivi o passi un qualunque sottosegretario di Stato, il preside non va più solo : domanda che tutti i professori l'accompagnino. L'amico mio s'è schivato, una, due, tre volte, scusandosi .. Ma alla fine sono venute le osser- .. ,, Biblioteea Gfr:t-9 Bipnca ,. r,
LA RIVISTA POPOLARE . . vaz10111 pri111a, del preside, poi del .provveditore agli studi. - Insomn1a, gli dicono, è una dimostrazione politica bell' e buona quella che ella fa._ - Nessuna din1ostrazione, risponde il professore. Sol- - tanto, io n1i sento disadatto a questo genere di cerimon1e .... - Ma non c' è bisogno che ella faccia cerin1onie, dicono gli altri. L'atto di presenza basta. E insistono prin1a dolcen1ente, poi dolcemente insinuano che essi non hanno solo la responsabilità dell' istruzione nell'istituto, ma insomrna c' è anche il suo po' di polizia - e a buon intenditor poche parole. - Che fare? chiede l'amico mio . . - Di' che tu fai il tuo dovere in scuola, e ti basta d'essere uomo dabbene fuori. Non occorre che tu sia altro. E se mi mandano in Sicilia? Vai. È un disastro. Lo stipendio basta a n1ala pena per la famiglia. Qui ho qualcosetta del 1nio. Di laggiù non ci posso attendere. E poi, alla mia età, can1biar clima, costumi, abitudini - è la mia rovina. Vai. Mi ci ammalerò. Vai. Ci n1orrò. Vai. Vai! vai l io gli dissi e gli scrissi - e glielo tornai a scrivere quando m' informò che vol_evano farlo firmare nella sottoscrizione in occasione delle Nozze d'Argento. E n1i pare che così inesorabiln1ente dovre1nmo dire tutti, in casi simili, e sopratutto fare - affrontando tutto quel che ci sia da affrontare. Questo nostro voler andare verso un ideale di libertà e di giustizia senza scosse, senza sofferenze, senza pericoli, senza guai, con tutti i comodi possibili, non movendo un passo se il terreno non è ben ferino, non confidando nella nostra energia, nella sorte, nella bontà della nostra causa, è veramente qualche BibliotecaGino Bianco
. .,. LA RIVISTA POPOLARE 197 cosa di così destituito di virtù civile, che non c' è da costruirvi sopra nulla. * * * U ri'a signora straniera, che adora l'Italia, dove vive da molti anni, mi diceva un giorno: - Conosco ben pochi fra voi repubblicani che, a parer mio, 110~1sarebbero disposti a dare la vita per l'idea, sol che l'occasione si presentasse; ma altrettanto pochi ne conosco che sarebbero disposti a sacrificare per essa un impiego, anche un piccolo in1piego. Io feci osservare a quella signora che gli in1pieghi in Italia sono numerosissimi, tre volte almeno più del necessario, se si parla di aziende pubbliche, ma gli aspiranti sono ancor di più, sono innumerevoli. E quindi, guai se uno perde il posto suo. Ci sono cento subito pronti a buttarvisi sopra. Senza contare che se lo perde per repubblicanisn10 egli diviene la pecora segnata: non trova più requie nè mercè altrove. Ma così dicendo, lo sentivo dentro 1ne stesso, io giravo la domanda, non rispondevo. Volendo essere sincero, avrei dovuto dire che pur troppo è così con1e la signora diceva . . Avrei dovuto aggiungere che c' è di peggio~ che ci sono dei ricchi, i quali l' hanno già esposta la vita per un'idea, e la esporrebbero ancora, 1na non esporrebbero la centesima parte dei loro averi. Avrei dovuto rilevare che non si tratta solo di i1npieghi indispensabili per vivere, a cui si sacrificano le proprie idee, l'azione propria, ma anche di co1nodità, godimenti niente affatto necessari. · Avrei dovuto dire che la viltà generale dell' a~biente, creata sapientemente, pel suo interesse, dalla m ........ , ha intaccato noi, tal quale come tutti gli altri. Abbiamo paura di tutto, e non ci traversa mai un pensiero forte e generoso il petto che nol segua un altro codardo, al quale fa da copertina la comoda leggenda, nata da qualche anno, anch'essa nella viltà: - che i martiri inutili sono anche ridicoli. Biblioteca Gino Bianc~} .,
198 LA RIVISTA POPOLARE Il soffrire per un'idea, che sia una buona. idea, non è mai inutile, e tanto 1neno ridicolo. Tutta la storia degli uomini è là a provarlo. Quello che raro avviene è che la sofferenza, il sacrificio, sieno compensati. Ma questo è appunto ciò che crea l'ordine altamente morale delle cose. . E poi il sacrificio è educazione, _rinvigorimento, fierezza, fibra, ese1npio. Senza di esso nulla di elevato si regge a questo inondo, nulla trova il suo posto al sole, nulla vi è di provata1nente sincero. C'era una volta, in una città d'Italia, un'associazione che s'era proposta di tener uniti, su un terreno comune di aspirazioni, operai e borghesi, poveri e ricchi. Le cose an<larono bene per un po'. Il sodalizio anzi impegnò una lotta elettorale, che fu ben co1nbattuta. Ma un bel giorno venne in cui l'edifizio si sgretolò. E si disse allora che ciò dipendeva da netta divisione di idee fra una parte e l'altra dell'associazione, fra borghesi e non borghesi. Sarà stato benissimo così. Ma un'altra divisione io aveva constatato, mentre ancora l'associazione si reggeva bene in piedi, e questa era di indole tutta di versa. Dopo la lotta elettorale cui ho accennato, venne il Consiglio direttivo davanti all'assemblea a far sapere che vi erano per settecento lire di debiti da pagare. Con1e si fa? Molti soci sono poveri, si disse, e hanno già fatto quel poco che potevano : bisognerà mettere una tassa minima mensile, colla quale man mano estinguere il debito .. Ma a ciò si opponevano altre circostanze. E éosì s1 cont1nuava ~ ventilare la questione. Io, che era nell' assen1blea, dissi: - Sentite, amici: ecco una occasione per vedere se questa nostra alleanza fra più o meno agiati e poveri è sincera sì o no. Ho sott'occhio la lista dei co1nponenti l'associazione. Ci sono, a dir poco, più di çento fra possidenti, professionisti, impiegati, negozianti. O questi si quotizzano un po' per ciascuno, e pagano il debito, che, diviso fra più di cento, taluni dei quali possono dare le 5-0, l_e 2 o e le 1 o lire, diventa poca cosa; - e questo sarà segno che credian10 quello che diciamo, di voler esser an1ici dei poveri, loro fratelli di propaganda e di BibliotecaGino Bianco I
LA RIVISTA POPOLARE 199 fede. O non saltano fuori le 7oo lire, e cari n1iei - qui siamo nel falso, nell'equivoco, nel sentimentalismo e niente altro. La sottoscrizione fu aperta. Alcuni anzi si mostrarono generosi. Ma non fruttò più di 2 oo lire. Qualche mese dopo l'associazione era finita. E si disse fosse il collettivis1no la causa del dissenso. Infatti era così. . Il collezionare in quell'an1biente era straordinarian1ente difficile. Bisogna decidersi. Assai fu tenuto a bada il popolo con grandi discorsi, dietro ai quali non c'era che egoismo personale. Assai gli apostoli si contentarono di esporre un giorno, venti giorni la vita, salvo serbarla poi un gran pezzo alla ricompensa, dimenticando che essa deve essere spesa· tutta pei propri simili. Assai durò quèst' èra nuova di apatia, di ignavia, di viltà, di sofferenza imbelle di ogni torto, di ogni insulto, di ogni tradimento. O ci sentiamo spirito di sacrificio, o smettiamo di chiamarci a1nici del popolo. Mi sta in testa che tutte le scuole den1ocratiche sieno buone a qualche cosa, tranne quella del conciliare la propaganda coi· propri comodi. DARIO PAPA. ILCONGRESSDOI BOLOGNA Siamo nel secolo degli _operai. Il moto ascend_ente delle loro classi è il gran carattere dell'epoca ed è la sua gloria migliore. La loro parola, che non è più un' umil preghiera, è ascoltata dagli uni con an1ore, dagli altri con spavento. Essi a falangi serrate s'inoltrano. La rivoluzione li accoglie; la reazione li combatte. Ogni passo che fanno sulla via della propria eguaglianza è un passo verso l'unità morale umana. Ogni fronte curBi lloteca Gino B~anco r
200 LA RIVISTA POPOLARE vata al suolo che si levi al cielo, è una conquista civile. Ogni coscienza redenta è un progresso. Ma non bastano le sole aspirazioni fluttuanti e vaghe. È necessità riordinare le file; l'esercito dev' esser co111patto e serrato, o altritnenti si lasci a sè rotto e disperso in bande a far la guerriglia 1ninuta, alla cosacca, ciò che sarebbe fatale. Furon con1rr1essierrori? Si provveda, viriln1ente si provveda, invece di perdersi in continui la1nenti e alterchi. Si ritiene funesta o vana l'opera di tanti che non sono operai veri, nello stretto senso della parola? In tal caso si lascino essi soli, gli operai, a studiare i n1ali che li torturano e l'intin1a e vera virtù dei rimedi che da ogni lato la scienza suggensce. Si fu pigri, lenti, talora platonici adoratori di un ideale più raggiante e più grande del sole? Ebbene, si scuota l'inerzia, si ro1npa ogni vincolo che vi lega i polsi, si bandisca ogni tin1ore. Non doubian10 noi imporre programmi e teorie e ancor n1eno limiti al pensiero; hanno coscienza ed esperienza sufficiente gli operai d'Italia ed essi sovra tutti, se non essi solamente, debbono conoscere i loro bisogni e i rin1edi adatti. Non sceglieraTuno certo l'assurdo ; non vogheranno certo verso le isole dell'utopia, non imn1agineranno per l' imn1ediato do1nani una società di angeli e di san ti. Ricordiamo i vari Congressi operai dal '7 r in poi, quando si parlava appena di questioni di carattere econo1nico e sociale. Ricordian10 il gruppo di a1nici convenuti al Padiglione di Flora in Ron1a. Era già molto in allora il radunare i rappresentanti di alcune Società operaie; tante fra esse erano ancora sotto la tutela del principe A. o del del 1narchese B. S' iniziò allora il risveglio; un'altissima n1ente, in 1nezzo al sonno dei più, vegliava. Ci pareva di BibliotecaGino Bianco
,. LA RIVISTA POPOLARE 201 vedere l'alba del novissimo giorno! Quante speranze fiorivano! D'allora in poi molti abbandonarono il campo e li accolse la reggia, albergo di coscienze perdute. ·Ma pure il - lavoro proseguì. E assistemmo dipoi a Congressi veramente importanti, dove furon trattate le più alte ed ardue questioni politiche e sociali. Si discusse tant0 de' mezzi transitorì quanto delle ultime soluzioni de' vari problemi; del domani in1n1ediato e del do1nani mediato. Ma se si discuteva di cooperazione o di colonizzazione, ci si diceva: è ben poco ! E se discutevasi intorno all'età in cui la gran fa1niglia de' lavoratori, liberi ed eguali, avrà per sè le terre e i capitali d'Italia, e ognun d'essi godrà tutto il prodotto de' propri sforzi, ci si diceva: non siete pratici. È difficile aver ragione quando si è giudicati dalla passione di parte. Ma i Congressi continuarono; non discussero invano; non trascurarono nessuna questione; si occuparono talora di cose che riguardivano popoli lontani, la Polonia o la Grecia, con1e se si trattasse di intima cosa propria. Studiarono il lavoro delle donne, il lavoro de' carcerati; la questione agraria, l'e1nigrazione e tanti altri problemi. Non digrignarono i denti contro la borghesia ad ogni momento, ma sentirono orrore per le tante iniquità sociali e pietà peti tanti dolori del proletariato. Talvolta n1ancò non la buona volontà, ma l'ardire, al cospetto delle molte intricate e oscure questioni che apparivano alla fantasia o alla mente degli anelanti al vero in modo confuso, ora corne Eumenidi coi cap·pelli irti, ora come arcangeli recanti il verbo della sociale equità e di un'èra in cui fosse ignoto il doI-ore e il pianto. - In alcuni Congressi si pensò anzi tutto alla propaganda . ~ e all'organizzazione; in altri a discutere profondi e i1npor-:- tanti argomenti d'ordine generale. Fu questo un, errore? Biblioteca GinoBìanco
- 202 LA RIVISTA POPOLARE Non credo. Povero e destinato a perire il partito che non affronta lo studio delle gravi questioni e che non -sa pensarne e sceglierne le opportune soluzioni possibili ! Non si dica che l'operaio ri1nane estraneo a sin1ili discussioni scientifiche. Domani gli parranno facili. Chi scrive fu uno ·de' proponenti, vari anni fa al Congresso di Firenze, il quesito sulla nazionalizzazione della terra, e non se ne pentì. Nel Congresso di Napoli la questione fu ampiamente discussa, e quella discussione bellissima e in1portantissima è di onore per le nostre Associazioni. Esse provarono che non è vero che vivano solo per qualche fissa dimostrazjone politica che annualmente si ripeta. T'utti que' borghesi da molti anni (e sarebbe colpa ignorarlo) trattarono, ad esernpio, in senso an1plissimo della cooperazione, quanto possono trattarla e applicarla i Fasci di Sicilia, i quali anzi al Congresso di Palermo furono accolti per mezzo de' loro rappresentanti, con1e in famiglia, fraternan1en te. Que' borghesi non sdegnarono l'intervento de' socialisti. Que' borghesi con1batterono il cottimo, consigliarono le Società ·di resistenza, e anche trattarono della riduzione delle ore di lavoro, precorrendo il pensiero e l'opera d'altri. E da queste e da n1olte altre questioni ascesero alle massime, sino alla Costituente, sino alla legislazione internazionale del lavoro. Nel gran n1oto sociale l'opera de' nostri Congressi non fu ce~to inutile. Fu ten1po in cui rispetto alle varie 1nanifestazioni e lotte della vita pubblica si fu esclusivi, o almeno si proclan1ò che le nostre associazioni avrebbero lottato, con1e enti collettivi, solo dopo la proclamazione d~lla Costituente. Ma poi anche i più intransigenti acclamarono la piena libertà del 1netodo. Fu tempo in· cui l'organizzazione si chiudeva entro l'àmbito di una scuol~. Or.a non più. Il ·pensiero del fonBibliotecaGino Bianco
• LA RIVISTA POPOLARE 203 datore di questa nostra Federazione fu larghissimo. Egli voleva costituire il gran fascio degli operai d'Italia: il popolo novo,· nel suo formarsi, in embrione. _Fu tempo in cui sarebbe parsa una trasgressione a' prin- .cip1 l'accogliere un' adesione di socialista. Al Congres;;o di Napoli, invece, quando Benedetto Malon telegrafò l'adesione del Comitato franco-italiano di Parigi, l'acclamazione al suo non1e e al Comitato fu unanin1e. Così, per vari segni, l'indirizzo fu più aperto, più lato; più libero. L'organizzazione dei lavoratori non dev' essere infatti nè partjto nè fazione. Nè deve adottare uno speciale sistema in poli_tica, nè in economia, nè in amministrazione. Se si potesse riassumere in un motto la coscienza dell'avanguardia ' di un popolo, quello sarebb~ la sola divisa. Ma noi più che consigliare ascolteremo i consigli. E dopo il Congresso esprimeremo senza passione il nostro umile parere. Ora non vogliamo che sperare e confidare. Vediamo già pronti molti alla discussione, ed è bene : ciò che gela e spegne ogni iniziativa_ è l' indifferenza. Ma le discussioni tendano ad un altissimo fine. La discordia sarebbe un brutto esempio e un delitto, di fronte alle condizioni del paese, di fronte alla lunga aspettazione degli . operai. Sarebbe delitto l'isolarsi sdegnosamente e superban1ente. Il Congresso di Bologna non seguirà l'esempio del Congresso di Reggio, che addolorò coloro che ritengono funeste le divisioni fra i p~rtiti dinanzi ai quali scintilla lo stesso ideale. Il Congresso di Bologna può e deve rialzare l'antico nome onorato della parte repubblicana, può ad essa ridare nuova vita non per sè n1a per il paese, non per una special teoria ma per ih bene de' lavoratori e per la stessa civiltà. Kon sono pochi quelli che non vogli<?nochiudersi Biblioteça Gino Bianco-
LA RIVISTA POPOLARE entro la cinta di un dato siste1na socialista e che fanno proprie le grandi questioni della patria e dell'umanità, insieme conserte, e che interrogano ogni dì con ansia i responsi della scienza, e che aspirano alla redenzione_ completa degli operai sotto una bandiera sociale che scende dai Con1uni d'Italia e che supera ogni lin1ite di sistema, di classe, di parte e di patria, e che non può spiegarsi sotto governi che non siano di popolo, e che ha in sè eterno il genne della ribellione e il germe dell'umano progresso ; ebbene, tutti coloro che pur non rinnegando i concetti fondamentali e gli scopi supremi della loro scuola e dell' antica alleanza repubblicana bandita da Mazzini e insien1e da Marx, e da altri ora dimenticata, tutti coloro vogliono vivere e con1battere ·cogli operai d'Italia e per essi, con1e con essi 1nolti fra loro combatterono in nome della patria che invano oggi si tenta negare, vogliono vivere e lottar con essi per tutto quanto l'umana fantasia possa ·i<leare o la scienza edificare, purchè si uniformi alla storia e alla comune coscienza, purchè non rechi odi e ruine fra le genti, ma giustizia e an1ore, purchè non sia sogno vano, ma possa esser domani, mercè lò spontaneo associarsi dei lavoratori e dei popoli, una realtà folgoreggiante di luce. ANTONIO FRATTI. SAGGAI MMONIMENTI (A PROPOSITO DEL CONGRESSO DI ZURIGO) Dopo aver dato il nostro modesto n1a sincero giudizio sul Congresso di Zurigo, abbiamo voluto seguire con attenzione ciò che se n'è detto nelle più autorevoli ti viste BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 205 di Europa e con gran compiacimento abbian10 potuto ·scorgere che la maggior parte di esse lo ha apprezzato al giusto, discostandosi poco dalle nostre v_edute. Confessiamo, però, che un articolo fra tutti ci ha colpito, per l'autore e per la rivi~ta che lo ha pubblicato. È quello del De Molinari pubblicato nel Journal des Economistes (septembre 1893); e ci ha colpito perchè contiene apprezzamenti e constatazioni importanti veramente caratteristici, qtiando si riflètte che vengono da uno dei più illustri avversari del socialis1no e vedono la luce nella più autorevole rivista della scuola economica ortodossa. Giudichiamo opportuno riprodurne n1olti brani con commenti brevi e chiari, che si riferiscono e alle speciali questioni e alla situazione generale. Il De Molinari cornincia dal dichiarare che « il Congresso di Zurigo ha avuto una i111portanza che sarebbè puerile e pericoloso il contestare. Non siamo più all 1 epoca in cui uno dei focosi apologisti del colpo di Stato del 2 dicembre gridava: Non si discute col socialismo, lo si sopprime comt la falce sopprime il lo~lio. Questa rettorica . mancava d'altronde di esattezza, perchè la falce ha un bel lavorare nel mietere gli steli, ma essa lascia le radici intatte· e il loglio rigermoglia. Il loglio socialista è rigermogliato, esso cresce e vegeta oggi in tutto il inondo civilizzato, ~ si è potuto riconoscere, particolarmente ih Germania, dove la falce era maneggiata da Bis.mark, ·terribile mietitore, l'inefficacia manifesta di questo strumento agricolo » • • Se r onorevole Giolitti leggesse e . n1editasse su tali parole, penserebbe egli stoltamente a falciare i Fasci dei lavoratori della. Sicilia? « Noi siamo obbligati. a constatare - continua il De Molinari - che il socialismo sta per -conquistare lo spirito delle masse operai~ e che le sue 111anifestazioniprovocano _ le simpatie entusiastiche di una folla, che la politica lascia sempre più indifferente ». Fatta la descrizione della grandiosa festa inaugurale, egli si oc~upa e della quistione delle otto ore e del· minimum del salario, che stima, come noi, ancora intempeBiqlioteca Gino Bianco·
206 LA RIVISTA POPOLARE stiva, e dell'altra della guerra. Riproduce a grandi tratti il discorso del Domela Nieuwenhuis, sul quale anche noi torniàmo a.d intrattenerci perchè ne vale la pena. L' eloquente ed intransigente oratore olandese infatti, prendendo argomento dai discorsi altra volta tenuti da Bebel al Reichstag e dalle dichiarazioni di Plekanoff in senso nazionalista, 1nestamente escla1nò: Grattate l'internazionalista e voi troverete il patriota. E il Domela in tale convinzione a maggior ragione dovrebbe riconfennarsi oggi dopo le adesioni dei socialisti francesi alle accoglienze da farsi alla flotta russa, che rimangono in grande prevalenza non ostante lo scisma del Vaillant. Il Do1nela dal suo punto di vista aveva ogni buon motivo di rammaricarsi per quella che egli giudica contraddizione in termini; non noi, che sinceramente crediamo .conciliabili i termini di patria e di organismo internazionale. E i nostri socialisti intransigenti non farebbero male a prendere nota della prevalenza o almeno della coesistenza del senti1nento nazionale nei socialisti tedeschi e francesi. Non al.Jbian10 tanta fretta a rinnegare la patria italiana! * * * Lo scrittore francese non crede impossibile che i socialisti afferrii:io il potere, pur pensando che essi non riuscirebbero a mantenere tutte le promesse fatte e invece sarebb,ero costretti a fare dell'opportunismo. Intanto si allarn1a e si spaventa riflettendo i danni enon11i, che gli Stati civili risente1ebbero da questo tentativo, da questa orgia, da questo n1artedì grasso socialista, co1ne lo chiamava il Proudhon, e cosi testualmente conchiude: « Durante l'orgia socialista la nazione avrebbe ricevuto negli elen1enti stessi della sua vitalità un colpo da cui non si potrebbe riavere che lentamente. Non dimentichian10 ciò che costò alla Francia la rivo]uzione politica che ha fatto cadere il suo governo dalle inani della nobiltà in quelle della borghesia, senza parlare dello spaventevole consumo di uomini e di capitali, che hanno costato l' anarchia e la guerra civile e straniera: e non passarono qua, rant'anni incirca prin1a che il com1nercio della Francia BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 207 tornasse alla cifra che aveva raggiunto nel r 789 ? E intanto, la classe alla quale la rivoluzione aveva conferito la · potenza politica e i cui rappresentanti co1nponevano la n1aggioranza delle assemblee rivoluzionarie, era incomparabil1nente più illuminata 'che non lo siano oggi le masse popolari che rappresenta o pretende rappresentare il partito operaio. È dunque permesso di te1nere che una rivoluzione socialista riesca assai pit1 costosa e disastrosa che non sia stata la rivoluzione borglzese del 1789; e che riesca tale, anche, che la nazione non possa risollevarsene nè dopo quaranta anni, nè dopo un secolo. « Se negli anni che hanno preceduto la rivoluzione del I 789, la classe dirigente avesse potuto prevedere la catastrofe, di cui era presso ad esser vittima, certamente rssa non avrebbe indietreggiato dinanzi ai sacrifici necessari per prevenirla. Avrebbe preso essa stessa la iniziati va delle riparazioni e delle ricostruzioni che esigeva l'edificio. tarlato dell'antica rnonarchia. Essa avrebbe sostenuto Turgot invece di rovesciarlo e avrebbe procurato alla Francia l'economia di una rivoluzione. Ma è quasi senza esempio c/1e una classe in possesso del potere riconosca i vizi del suo governo e pensi risolutamente a correggerli. Essa è soddisfatta della propria situazione e i1nmagina volontieri che tutto il n1ondo debba dividere la propria soddisfazione. Quan~ Auguste avait bu, la Pologne était ivre. « Ai suoi occhi, i malco_ntenti sono degli spiriti infermi, dei faziosi, degli invidiosi o degli utopisti, e basta una bùorra polizia, un esercito fedele con l'aiuto _di una legislazione reprimente· gli abusi della parola e della sta1npa ·per preservare la società, cioè _coloro che la governano, da ogni pericolo di spossessamento o di sovversione. Se qualche volta questa quiete è turbata, se qualche punto nero appare sull'orizzonte, ci si contenta a dire: Après • nous, le déluge ! · « Si era a tale punto alla fine dell'antico regime e .noi potrem1no essere allo stesso punto oggigiorno. La nostra cl?sse dirigente, ad esempio di quella che la precedette, s'immagina volentieri che la propria gestione governativà è tanto perfetta quanto è possibile. !~tanto essa BibliotecaGino -Branco I
208 LA RIVISTA POPOLARE non avrebbe proprio nulla da rimproverarsi se essa facesse seriamen te il proprio esame di coscienza? Le spese pubbliche che non sorpassa vano 83 5 milioni nel primo anno di questo secolo, si elevano attualmente a più di quattro n1iliardi e l'interesse del debito, di cui la legge del 9 vendem1niario anno VI aveva fissato la cifra a 40,216,000 · franchi di rendita, rappresentanti al più il capitale di un miliardo, assorbe adesso annualmente 1286 milioni e rappresenta un capitale di 3o rniliardi. In meno di un secolo, dunque, le spese si sono più che quadruplicate e il debito si è trentuplicato, quantunque la popolazione non si sia aumentata di un quarto (da 2 7 a 38 milioni). Per provvedere a questo accrescime!1to continuo delle spese, si au-_ mentarono e moltiplicarono le imposte, e per conseguenza gli impedimenti e le pastoie rese necessarie dalla loro percezione e che costituiscono tanti ostacoli allo sviluppo dell' industria coll' ingrandi1nento del mercato del lavoro. Si ricorse di preferenza alle imposte indirette che il contribuente non vede, ma rli cui non sente 1neno il peso crescente. Infine, all'imposta destinata a fornire un reddito allo Stato, si è aggiunta un'altra in1posta, detta di protezione, destinata ad elevare le rendite dei proprietari e i profitti degli industriali, senza parlare dell' in1posta del sangue arrivata oggi al sùo massimo possibile. In breve, il peso del governo non ha cessato di crescere, e questo peso schiaccia precisamente le spalle meno robuste. Chi oserebbe affennare che i servizi del governo si siano migliorati in proporzione? Che · la giustizia sia meno lenta e meno costosa di quello eh' era altra ·volta e l' am1ninistrazione sia più atti va e meno molesta? Che lrt libertà in tutte le branche dell'attività umana - libertà del la- .voro, libertà dell'associazione, libertà degli scambi - sia più estesa e n1eglio garentita? Se è incontestabile che i" servizi del governo sono divenuti più cari, si può sostenere. che la qualità n'è migliore? < Disgraziatan1ente, c'è molto da ten1ere che la classe dirigente di oggi sia disposta a fare il suo esa1ne di coscienza più della classe che la precedette sotto l' ancitn régimt, e tutto fa temere ·che un nuovo Turgot se si preBibliotecaGino Binnco
LA RIVISTA POPOLARE 209 sentasse con un progran1ma di riforme economiche e di governo a buon mercato, sarebbe l'oggetto delle risate dei politicanti e dei loro eletto1:i influenti. Bisogna prendere una decisione, intantq; e poichè nessuna riforn1a è possibile, bisogna rassegnarsi di buona grazia a lasciar fare il socialisn10 e a lasciar passare la rivoluzione ) . * * * A parte il criterio esclusivo, che guida il De Molinari nelle indicazioni dei rin1edi e dei preventivi - poichè egli da buon economista ortodosso non vede legalità che nel governo a buon mercato e nel liberismo economico - noi sottoscriviamo alle sue osservazioni ed alle sue n1elanconiche riflessioni. Le sottoscriviamo perchè siamo sin - ceramente convinti che nell'opera di trasformazione sociale il processo evolutivo sia da preferirsi sen1pre; e siamo convinti del pari, specialmente in vista della cecità e della ignoranza delle classi dirigenti d'Italia, che poco, anzi nulla ci sia da sperare nel ravvedimento e nella resipiscenza di coloro che hanno in n1ano le sorti dei popoli. Pur troppo l'odio alle riforn1e è tale nei governanti, che essi pazza1nente preparano ed accelerano le rivoluzioni. Ebbene: ricada' la responsabilità dei possibili dolorosi eventi su coloro che li avranno vo_luti,e prepariamoci ad accogliere bene la rivoluzione ed a far sì che ~ssa arre- •chi il minor male ed il maggior bene possibile. X. LAFAMIGLIA NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA Non parlo, in questo momento, in nome di nessuna scuola. Non intendo sciorinare alle turbe questo o quel vangelo di ·sociologia. Non fo che modesti appunti. Se le mie conclusioni giungeranno là dove sono giunte le scuole piì1 avanzate, tanto meglio per me che, movendo BibliotecaGino Bianco ... ..
210 LA RIVISTA POPOLARE con mente· .libera e serena, diritto al mio fine, mi troverò, con buoni amici, agli avamposti anzi che alla retroguardia. Parlo in nome di quella onesta· lavoratrice borghesia, cresciuta su dalle ceneri fumanti della Rivoluzione, insolentita da coloro che o per cecità filosofica o per particolari interessi, confondendo .Ebrei e Samaritani, colpiscono la classe intiera invece delle sotto-classi. Perchè, a mo' cl' esempio, erano borghesi, qui, in Roma, quei malfattori della calce che, azzannata l'offa bancaria, erigevan sul vuoto case cli cartapesta e, rubando, arricchivano. Erano e sono borghesi i vampiri che vedremo, lordi di fango bancariq, alle Assise con le stimmate in fronte di Bonturo. 1 Parlo in nome di quella borghesia onesta e lavoratrice cui non resterà, andando di questo passo, nemmeno il manto per ricoprire le proprie nudità, di quella· borghesia onesta e lavoratrice che invisa agli ultimi strati sociali ha tutti i danni e le beffe dell'esser proprio e vede sulla sua testa accumulati gli ocl1 vec·chi e nuovi delle scuole rivoluzionarie. Io penso alla borghesia ~he studia, che lavora, che ne' lavacri di sangue,' purificò, appena nata, se stessa, che divinata dal pensiero degli Endclopedisti e dal genio di Voltaire, si affermav_a di fronte ai Borboni di Francia e dilagava ricca d'idee, di tenacia e cli forza sulla fradicia Europa. A questa borghesia io penso, non a quella che è recluta o avanzo cl' ergastolo. Ed è doloroso il vedere uomini valenti, di parte sinceramente democratica, scagliarsi anch'essi contro tutta la borghesia. E son frasi d'uso queste: « panciuti borghesi, borghesi affamatori », e da quando Pietro Ellero uscì con la tirannz'de borghese, chi pit1 ne ha piìt ne mette. Ma quali e quanti i « panciuti »? quali e quanti gli « affamatori » e i « tiranni » ? O si parla a vanvera, o la democrazia colta intende di portare davvero anche nello studio delle scienze sociali quello .sperimentalismo e quella sapienza d'analisi c·he . tanto hanno spinto innanzi le scienze esatte. In questa seconda ipotesi bisogna pure applicare a questa grande famiglia che si chiama « borghesia » tutte quelle classificazioni che sono necessarie. Ciò vogliono la verità, la · giustizia, l'equità. * * * La Natura ha detto « ama » all' Essere. Ha detto « procrea ». Ha detto « non estinguerti ». « O a traversò le lacrime e i dolori della vita, o in mezzo alle agiatezze, prosegui la specie. O Creso o paria, 1 Barattiere ricordato da Dante. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 211 o tzar o minatore, o re o lombrico, popola di creature la terra, e, me invocate, o nati o nascituri, me suprema regina, me Natura » •. La famiglia! E Giuseppe .Mazzini scriveva: La famiglia è la patria del cuore. Quale patria, o filosofo, o grande? Le legislazioni si affaticarono nel tutelarla questa famiglia, la morale ne gittò le basi, le religioni la riscaldarono d'un soffio mistico d' ideale, le filosofie la discussero, le società, modificandola, la perpetuarono nei secoli. Chiare 1e ragioni : morale, religioni, filosofia, società, ubbidivano ed obbediscono a un sentimento naturale nell'uomo. Perchè la casa senza la famiglia è una tomba ; l'uomo senza figliuoli è il fantasma di se stesso, quando, soggetto patologico, non trascini con sè, per lungo ordine d'anni, le stimmate indelebili di Venere malata. Perchè, nella famiglia l'uomo ricerca la pace, con la famiglia egli moltiplica le proprie energie, trasfondendo la vita in altri esseri; perchè il celibato è quasi sempre degli asceti, perchè, infine, le maggioranze a dispetto di Schopenhauer e di Hartmann vogliono la famiglia. L' estinzione dell'io ripugna all'uomo. E tutta la storia dell'incivilimento, pure a traverso le stragi e il sangue, è un inno alla vita. Il celibe è l'eterno esule, senza patria, senza finalità. Può essere U!) santo e declamare contro· la famiglia, come san Girolamo, 1 ma è quasi sempre un egoista. Può essere un filosofo, ma è quasi sempre un visionario. Eppure: eccovi' gruppi interi di giovani appartenenti a quella « borghesia » cui accennavo in principio, giovani che non essendo nè asceti, nè egoisfi, nè filosofi, nè visionari, di fronte all' idea della famiglia recedono, e vi rinunciano ora e sempre. Come e perchè? Non è il vizio che li lega al -celibato, non è il desiderio sconfinato di libertà, non è l'egoismo profondo: niente di tutto questo. Eglino vedono e sanno che oggi la famiglia è un onere insopportabile, che le angustie la premono, la straziano, la fanno sanguinare. Vedono e sanno che se la lotta per la vita fu sempre retaggio·dell'Essère, oggi essa ha assunto forme tragiche. Vedono e sanno .che l'onesto e assiduo lavoro . non è pit1 arma bastevole nella quotidiana battaglia. La famiglia, l'amore sono un lusso, e il celibato solitario, forzato, è ancora la miglior via per iscongiurare il pericolo di farsi saltare in .aria le cervella. L'uomo onesto, il borglzese, il professionista, non può permettersi il lusso di sentire il grido della natura, non quello di aspirare 1 San Girolamo, come tanti altri padri della Chiesa, disse corna della famiglia. Ecco un argomento se non nuovo, sempre d'attualità che io suggerisco al mio valoroso e carissimo amico Ghisleri, vero specialista del genere. BibHotecaGino Bianco
212 LA RIVISTA POPOLARE agl' ideali della famiglia e di un nido proprio. La società, com' è oggi costituita, distrugge il sentimento della famiglia. Oh perchè i grandi uomini che dirigono la politica finanziaria degli Stati europei non applicano ai celibi l' aes uxorium 1 dei Romani? C'è da aspettarsi pur questo. In ogni caso, per equità distributiva, si dovrebbe cominciare dal clero, e, occorrendo, da papa Leone. La famiglia per un onesto lavoratore è una cam1c1a di Nesso, e l'ufficiale cli stato civile un famulo del Sant' Uffizio. E se la famiglia è un lusso, se ad essa i buoni rinunciano, si capisce come la corruzione cresca e crescerà, ancora, inevitabilmente. lV.Iercurio lorderà il talamo, la tragedia lo insanguinerà. Cresceranno le famiglie rninate a base di cabala e di corruzione, nelle quali le mogli funzionano da cassieri responsabili, con entrate equivoche,. anzi delittuose. La famiglia diventerà• un'associazione di delinquenti. Guardatevi intorno: ad ogni piè sospinto trovate l'equivoco. Lussi smodati nutriti da cespiti equivoci di rendite; mogli e figliuole prostituite più o meno copertamente; mariti che salgono nella scala sociale sui corpi delle rispettive mogli sbaciucchianti vecchi Epuloni. Tale, o m'inganno, era il mondo romano flagellato da Giovenale. E sono meritevoli di rimprovero coloro che restano fuori dell' istit~1to della famiglia? Li chiameremo egoisti, se hanno compreso che due sono le vie aperte: o macchiarsi o soffrire. Sposare una dote? Ma non tutti gli uomini, per buona fortuna, hanno la cerniera alla spina dorsale. La s,)cietà contemporanea distrugge il sentimento della famiglia. Basterebbe a provarlo il bisogno assoluto della limitazione della prole (e la Francia ne sa qualche cosa), quanto dire il bisogno cli non accrescere il numero dei combattitori, che dovranno soccombere inevitabilmente. Ed è chiaro che una famiglia a base di limitazione di prole non può essere una famiglia morale. Le frodi alla natura trovano le loro punizioni nella fisiologia. E l'esercito dei nevrostenici, dei cardialgici, e via dicendo, sarebbe molto meno numeroso, se le basi della famiglia poggiassero non sull'amplesso preventivo, ma sulla riproduzione normale. * * * Ora: chi sente maggiorment~ codeste anormalità? Non le classi inferiori sociali che materialmente procreano senza preoccuparsi molto 1 L'aes uxorium era una multa che colpiva coloro che rimanevano celibi fino alla_ vecchiaia. Fu stabilita l'anno 350 di Roma. BibliotecaGino Bianco
t .. LA RIVISTA POPOLARE 213 della educazione de' figli; non i grandi abbienti, i quali o viziosi altrove e non nella famigli~ cercano i propri conforti, o condannati per legge fatale ·atavica sono poco prolifici ; le sentono, invece, codeste anormalità, le classi intermedie, i famosi Hranni borghesi, i panciuti borghe_sie affamatori! ... Eglino non possono, per condizione sociale, adattarsi alla sola e brutale procreazione. Eglino sentono, soli, i pesi enormi della coltura, della educazione dei figli, e di tutte le esigenze sociali. Ma se il sentimento della famiglia viene dalla natura e non. da umana con·venzione,. una società che questo sentimento affievolisce o distrugge nella parte più eletta di sè - la borghesia che pensa e che lavora - non ha diritto di esistere com' è attualmente. È una socie~à di pervertiti, di decadenti. Essa ha sostituito al monachesimo medievale il célibato aico. È in lotta con la natura. E io credo opera degna di filosofo filantropo e d'uomo d'azione l'affrettare la trasformazione completa di questo corpo sociale col libro, con la polemica, con tutti i mezzi energici che siano necessari. È una società nella quale non sarebbe nemmeno più possibile un poeta come Marziale, nella quale Chattei:ton 1 si ucciderebbe ancora per fame, e i \i\T alpole 2 sono consiglieri di Cesare. ROMOLO PRATI. 1 Tommaso Chatterton grande poeta inglese suicidatosi, per fame, coll 'arsenico a diciassette anni. Giuseppe Mazzini, difendendo l'infelice poeta dalle immonde accuse lanciategli. dal Planche, in una critica contro il dramma del De Vigny, ha scritto su Tommaso Chatterton una delle sue più belle pagine. , 2 Roberto Walpole ministro inglese n. 1676 m. 1745. Mediocre economista ed eloquente oratore, fu imprigionato sotto l'accusa di concussione. Ciò non gli impedì di tornar ministro sotto Giorgio I. BibliotecaGinoBianco
214 LA RIVISTA POPOLARE "ATLANTIDED,, I M.RAPISARDI 1·2 Troppo peseranno sul giudizio di quest'opera la simp.atia o l'antipatia, con le quali è proseguito, oggidì, il suo autore. Chi l'ha giudicata addirittura una sconcezza; non mancheranno quelli che la grideranno un capolavoro. E gli odi ed i litigi, che parevano seccati, rinverdiranno, non senza danno delle lettere, in questo triste periodo di dissoluzione generale. Sia concesso, dunque, ad un ignoto discorrerne libero di ogni passione. Prima di tutto permetta l' illustre autore che io classifichi il suo poema una vendetta e non un'opera d' arte, ·nel senso vero e grande della parola. L'astio ed il livore, che vi circolano dentro, appariscono così prepotenti che non deve far meraviglia se non vi si trovi serenità di concezione e sobrietà di tocco. Forse, non è inutile notarlo, molti di coloro eh' egli raffigura sotto il vela11zedel/i versi strani sono meritevolissimi delle frustate con le quali egli vorrebbe piagarli; nè io mi so scandalizzare, in questo momento che . tutte le fogne si sono spalancate ad impestare il dolce paese, dell'ardire temerario del Rapisardi e della sua licenza di parola: batoste ci vogliono, qualche volta, e non chiacchiere vacanti, e lo sdegno spesso è la catastrofe di una 1 Ed. Giannetta, Catania. 2 Il giovine erudito professore, amico e collaboratore nostro, spontaneamente c'invia questo cenno bibliografico che noi pubblichiamo per intero senza chiedere all'autore alcuna modificazione de' suoi giudizi. Meglio cotesta franca o audace critica di quello che l'adulazione o un riservato giudizio nella tema di dire cosa spiacente al poeta. Il poeta stesso anzi ne dà l'esempio, in mezzo all'età servile, di carattere rigido e diritto, come granitico scoglio in mezzo a torbide onde minacciose. E dato che la critica sia severa, sarà per questo più gradita al poeta, a lui terribile flagellatore d'ogni colpa, a lui sì amico della più sconfinata libertà. Alcuni altri scritti ricevemmo sull'Atlantide, esprimenti giudizi diversi o lodi assolute, ma. fra' t~nti abbiamo prescelto questo, più libero, più ardito, più severo. Rapisardi, artista eccelso e perfetto cesellatore di meravigliose ottave, amico nostro, che abbiamo la gran ventura di aver collaboratore della Rivista, accoglierà serenamente questa critica, quale essa sia, egli che tutti combatte, individui e partiti, salve rare eccezioni, egli che sferza a sangue, senza alcuna misura, sfrenatamente, tutte le colpe, tutte le iniquità e le corruzioni presenti. (N. d. D.) BibliotecaGino B1anco
LA RIVISTA POPOLARE 2r5 lunga e compressa pazienza; ma sia lecito, concedendo al poeta ogni libertà intellettuale e morale, domandargli la satira o la parodia, che egli voglia, della presente società civile. Ora, nel suo poema, nè l'una nè l'altra io trovo: non la satira fine e sottile che suscita il riso pioniere di una nuova civiltà, perchè tutta l' Atlantide è involta da una nebbia così pesante e carica di vapori che sentite pit1 il bisogno di respirare che di ridere. La satira, rammentiamo, dev' essere limpida e trasparente come cristallo di rocca, con qualche goccia di humour, che indichi lo stato psicologico-obiettivo dell'autore ed il suo obliarsi nell'argomento, dalla rappresentazione artistica del quale deve rampollare un ideale qualsiasi, sia anche un ideale negativo di distruzione. Invece il velo, che il Rapisardi getta su i suoi personaggi, è così fitto e. cupo di ombre ed intessuto di vaniloqui che sovente non vi s1 intravedono dietro le persone; così· che vi manca anche la voluttà di saggiare la caricatura. Nè il riso viene a ristorarvi della stanchezza di questo can-can a ritmo affrettato, perchè vi fa difetto l' humour: vi è ira e non sdegno, vi è un Esperio troppo malato di fegato, vi è troppo fine personale.nel poema perchè possa darci le lagrime delle cose. Ma, m questo punto, mi rammento che il poeta medesimo ha dichiaratq di averci imbandita una parodia e non una satira. Vediamo dunque se c' è la parodia. • La parodia è sorellastra della satira; se non possiede i lineamenti gentili di questa ed il costume castigato ed è piL1grossolana e procace, ha lo stesso spirito, però, anzi lo tempra e lo arrota fino a renderlò tagliente con il sarcasm9 e lo scherno: il ridicolo, in ogni modo, .deve sempre scaturirne. Ora il Rapisardi non solo si sfoga contro nemici suoi personali, che non sono aggruppati nemmeno int~rno ad un' idea generale (l' ideale socialistico, stoppa per riempire i vuoti, si vede eh' è un pretesto per conchiudere il poema), ma eziandio non fa la caricatura: cioè la parodia addirittura, perchè egli non prende i caratteri delle persone e me ne scopre il lato ridicolo, ma sul capo di questi o di quegli fulmina una ·scarica elettrica di contumelie ;. o te li atteggia in così pazze pose e movimenti che voi torcete il muso anzichè sorridere: il disgusto, così, sopraffà il godimento estetico. D'altra parte, chi legga senza passioni, .osserverà che il poeta non maneggia lo scudiscio dello scherno, ma fa il molinello con il bastone dell' insolenza: è troppo grossolano, me lo perdoni, troppo sconcio: egli ci affoga nelle cloache e nei cessi, e per un poeta, che pretende cantare la rigenerazione di un popolo, non sono abitazioni condegne BibHoteca6inoBianco
216 LA RIVISTA POPOLARE quelle. Insomma, l'esagerazione della parodia è così grande, in questo poema, che quasi fa parodia a sè stesso. * * * Si è nominato Aristofane. Infatti il Rapisardi pare che voglia riattaccarsi o attaccarsi al terribile ateniese; ma, come ottimamente nota il Borgognoni, non vi è paragone tra le due civiltà: quella di Aristo-. fane e la nostra. E bisogna anche notare, se non m' inganno, che Aristofane fu mosso da nobili intenti civili; ebbe di mira più la società politica del suo tempo e i demagoghi che, malfacendo, vi predominavano che bassi scopi di vendetta personale, o almeno questi innestò su quella. D'altro canto l'originalità del genio aristofanesco è tanta e la sua vena è così diabolica, che non vi dànno tempo d' indugiarvi ai fini morali o politici del poeta: il godimento estetico vi cÒnquista tutto intero. Nel Rapisardi invece, come diremo in seguito, è scarso, al paragone, tutto ciò; e però la sua finalità morale e 1 mezzi eh' egli impiega per raggiungerla vi fermano dippiù. E basta in quanto alla materia, diciamo, del poema; nella sua costruzione letteraria fortunatamente anche poco troviamo da lodare. Meschina l' invenzione, aride le fonti dell'immaginazione, riluttante, addirittura, la fantasia. • Immaginate: si naviga per un oceano indefinito, alla conquista di un' isola vaga nel suo simbolismo (un' isola allegorica perduta in un mare di allegorie) e non si trovano che isole con monti e con tempì (simboli ed allegorie) che si rassomigliano dal pit1 al meno, benchè il poeta sudi a spremere la sua fantasia, che, poveretta, non ne vuol sapere; v' imbattete in bestie e boschi e selve mostruose o scure nel loro indeterminatismo o limacciose di riboboli. N 011 mai una scena, un quadro, un paesaggio (;he vi faccia colpo con la novità dell' invenz10ne, e vi distorni un momento da quella coreografia monotona. O immortale Ariosto, o inesauribile Boiardo, chi ci ridarà la vena larga e fresca della vostra meravigliosa fantasia? Ogni vostro canto diletta ed affascina, cosicchè · noi ci domandiamo: E dopo questo ci sarà ancora del nuovo? E il nuovo zampilla gorgogliando alla pagina appresso. Qui invece, nell'Atlantide, vi è un' ari4ità che vi fa pena, tanto più che il poeta ci mostra quasi l' inarcare dei nervi del suo cervello, che gocciola a mala pena stramberie. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE * * * 217 Ben con gran piacere possiamo dir tutt'altro della forma. La sua ottava, benchè l'abbiamo detta dura come il ferro, non è da spregiare senza discussione. Certo se la mettiamo di fronte a. quella del Poliziano o dell'Ariosto non ci farà la prima figura; ma non bisogna dimenticare che l'ottava con l'Ariosto raggiungeva, ascendendo, la sua perfezione, e che <lessa è oltrepassata à.all' evoluzione che, come in tutte le altre manifestazioni intrinseche t:d estrinseche della vita, si compie anche nella metrica. Senza dubbio il Rc1pisardi avrebbe fatto meglio ad obbedire a questa suprema necessità e ragione delle cose, ed a non cimentarsi con un metro immortalato dal piì1 gran genio poetico del mondo; ma, così come sta il fatto, non si può negare, senza ingiustizia, che i• ottava gli riesce, quasi sempre, con facilità e con scorrevolezza e con nobiltà di forma, rara al tempo nostro che profonde incensi ed osanna a chi ha ridotte la poesia e la sua veste ad un rebus da mettere a tortura il cervello. Forse si potrebbe appuntare l'autore di una tal quale tenerezza per un curioso vocabolario, con il quale, di tratto in tratto, tra i pitt belli esempi di classica italianità, egli si compiace di sbizzarrirsi; _senza forse sarebbe utile conchiudere che tutto ciò che ferma il lettore e lo distoglie dal fantasma poetico, o, al men peggio, glielo ottenebra, sieno preziosità della forma o del pensiero, è studiosamente da evitare; ma, tutto considerato, non si può esser parchi di lodi verso la forma letteraria del Rapisardi, quando si è stati severi di biasimi per altro riguardo. Nè squarci di vera poesia e prove del suo estro mancano nell'Atlantide: l'inno alla natura, nel canto terzo, posso esser creduto, è degno di un gran poeta. V' è ispirazione alle pure sorgenti della scienza moderna, v'è sentimento, v'è freschezza d'immagini e· schiettezza di forma, e vi balena, per entro, un fascio di scintille elettriche, che gitta sprazzi d'idealità feconde nel pensiero commosso. Siamo giusti, se siamo stati rigidi: il Rapisardi, in questo inno ed in altri non pochi gruppi di strofe, può ben pretendere di essere un verace e diritto nipote dei nostri grandi scrittori. Egli è classico, perchè nessuna mistura d'influenze · forestiere o di peregrine raffinatezze impiastra o aduggia, in lui, la bellezza dell'arte italiana; di quell'arte che, avendo ricevuto il battesimo da Dante e la cresima dall'Ariosto e dal Machiavelli, non ha bisogno di ribattezzarsi in nessun Giordano. BibliotecaGino Bianco ..
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