La Rivista Popolare - anno I - n. 1 - 15 luglio 1893

' ' LARIVISTAPOPOLARE POLITICA-ECONOMICAS-CIENTIFIC-ALETTERARIAA- RTISTICA ANNO I. 15 Luglio 1893 FASC. I. UNSALUTOEUNAPPELLO Volgemmo già agli an1ici una parola intorno al nostro periodico, ed essi con fraterna cortesia ci risposero, approvando gl' intenti di questa piccola Rivista che or vede la luce. Cortesemente. ci rispos.ero pure gl' illustri scrittori che ella osò chiamare a raccolta, e che nelle brevi sue pagine ' si alterneranno per diffondere la buona parola fra le classi popolari e la luce del pensiero italico in armonia col pensiero universale. Il n1ondo ha sete di tanta unità. I miseri stessi, con1e han bisogno di cose necessarie od utili, sentono pure desiderio di cose belle ed alte. Non formule vuote, non sistemi che l'esercito scindono in isquadre, non irose polemiche, non fiere grida. Fra le arridenti speranze di battaglie sante, è pur degna cosa aguzzare il pensiero, scrutando la ragione de' fatti politici e sociali. La politica è l'occupazione de' più grandi spiriti, dice il Macaulay; e perchè, noi chiedia1no, non dev'essere l'occupazione di un gran popolo? Quando essa non sia scala a godere e spadroneggiare, quando non sia banco di volgari mercatanti, è palestra nobilissi1na per gli intelletti e i cuori. La de1nocrazia deve studiare profondamente le possibili riforme del don1ani, sia questo più o n1en vicino, da tradursi in realtà quand'essa abbia con1battute e vinte le. prove per la conquista de' pubblici poBiblioteca Gino Sia co

2 LA RIVISTA POPOLARE . . teri. E il nu1nero de' combattenti auinenta ogni giorno. L'esempio d'altre nazioni invita, eccita, trascina. Cento e cento problen1i chiedono alla scienza adatte e opportune soluzioni. Innumerevoli dolori, indescrivibili inali chiedono ri1nedi pronti ed efficaci. La gran questione sociale giganteggia vieppit1 ogni giorno. L'annunziano e gemiti e canti. L'annunziano studi coscienziosi di dotti. Ad essa gli scrittori della Rivista consacreranno sovente buon nun1ero di pagine. Tutti conosciamo e sentian10 le strette e dolorose necessità della povera vita che i più come catena pesante trascinano. Fra le bellezze della natura e dell'arte, fra i n1ille incanti del l.:el paese, stentano la vita n1orale e n1ateriale fra i pian ti pallide torn1e di lavoratori e 1nuoiono lasciando sovente per sola eredità l'odio. Per tanti dolori infiniti, per tante vittime fondian10 una gran fainiglia di coscienze buone e volenti, a1norevoli ed energiche, sì che germogli davvero una grande scuola sociale italiana, repubblicana anzitutto, che que' problemi studi senza esitanza~ raccogliendo i responsi e le teorie de' riforn1atori, senza chiudersi entro le cellule di un dato siste1na, senza che una formula o un don1n1a leghi la mente desiosa di conoscere e di avanzare. A..llaccia1no il pensiero italico al pensiero europeo n1oderno; e risponda sempre all'eterna voce della umana natura la Yoce della . scienza. Sarebbe fatale o vano, in tanto alitar di vita noYa, ritirarci in un chiostro di idee ed esser vincolati alla parola di un siste1na come i protestanti alla Bibbia. Lo spirito solo vivifica. E la civiltà ogni giorno fa una tappa. Scan1bieremo idee, ci consultere1no a vicenda tutti, nel grande camp0 della den1ocrazia, fraternamente: è delitto polen1izzare inordendo. Rispetteremo anche i più fieri dei BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 3 nostri avversari onesti. Ardenti an1atori della libertà, non l'a1neremo solo con dichiarazioni platoniche. E nelle questioni 1norali, alle quali la nostra Rivista si dedicherà in gran parte, però che fondamento degli Stati sia ]a virtù civile, e nella scienza, nell'arte, in tutti i rami del sapere cercheren10 di portare la stessa nota, alta e progressiva, aborrenti dall' i1nn1obilità e insieme dal vago babelico eclettismo. Ci aiutino gli a1nici e ci consiglino. Cerchino di diffondere da per tutto la Rivista. L'atnino come s'ama un caro vess.illo. S'ella è piccola, mercè loro aumenterà. Se ella cadrà in errore, mercè loro ripiglierà la retta via. Diverrà, mercè loro, autorevole. Meglio esser piccini e 1nodesti, poi col tempo a 111anoa n1ano ingrandire, di qnello che apparir grandi al prin10 vagito, e poi dopo pochi 1nesi intisichire, agonizzare e 1norire. Noi raccomandia1no la neonata agli amici. Ch'ella possa viver degnamente, e possa davvero riassumere il fiore del pensiero italiano che non conosce equivoci o teorie n1iste, e alle antiche tradizioni popolari, che la luce della gloria inargenta, unisca la parola de' filosofi, dei poeti, de' tribuni, degli scienziati che vedon già l'aurora dell'età nuova, e per la civiltà lavori e combatta, e l'u1nanità sovra la stessa patria serva ed a111il LA DIREZIONE. BibliotecaGinoBianco

4 LA RIVISTA POPOLARE IL PROGRAMMDAI UN SECOLO* I. Ideologo, dunque, decisamente. Così decretarono due presidenti de' ministri innanzi alla Camera eletti va. L'onorevole Crispi disse: « Napoleone il grande odiava gl' ideologi » • Risposi che ebbe a pentirsene. L'onorevole Giolitti disse che il mio era programma di un secolo ! Mi manca forse qualunque notizia de' tempi; Quelli che lessero l'opuscolo Uonzini e te11zpi, pubblicato nel r 87 8, poco dopo ch'io entrai nella Camera, mi concessero qualche notizia delle cose e degli uo1nini contemporanei. Vi leggono anche oggi preveduta la liquidazione de' vecchi partiti, il trasfonnismo, l'avvenimento del partito sociale, la necessità di contemperare le questioni sociali con le politiche. Indicai più tardi i pericoli di una Roma grossa - feconda di fallimenti - invece di una Roma grande; i pericoli di una espansione coloniale quando non appare esuberanza; l'agitarsi, in Italia più che ·altrove, di una· questione universitaria, l' inconciliabilità tra la Chiesa e lo Stato: tra l'Italia e l'Austria. Questa gran letizia della nazione, questa rara felicità de' municipi, delle regioni, della capitale, questa gloria no- * L'illustre nostro amico, mandandoci questo suo scritto, ci prega di avvertire che non si tratta, a suo avviso, di un articolo, ma di poche parole di proemio al programma eh' egli già delineò alla Camera nella discussione del bilancio degli interni e che ci manderà per il prossimo numero. (N. d. D.) BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 5 stra che batte le ali per terra e per mare, qnesta floridezza de' campi, de' 1nonti, delle famiglie, de' sodalizi operai, tutte qneste grazie e bellezze vengono ogni giorno più testimoniando quanto effettuale e pratica sia la saviezza di coloro che al programma di un secolo oppongono il programn1a di un n1inuto. Bello davvero questo progran1n1a, e tutto prefinito e detern1inato come il 1ninuto in che nasce e quello a cui serve. Ma il n1inuto dopo conviene mutarlo; e dopo, n1utarlo ancora; mutarlo se così piace alla maggioranza, ad un framn1ento della maggioranza, ad un aton10 della 1naggioranza; mutarlo innanzi ad una esplosione, ad una minaccia, ad una oscillazione della n1inoranza; mutarlo innanzi alle sorprese di un fatto non registrato ne' soliti elenchi di previsione, innanzi al sopracciglio di un capoparte; e sopra tutto n1utarlo al prin10 soffio di retroscena, o degli ambulatorì o della Corte. Il programma dov'è? Non vedo che le anella di un lombrico terrestre, che si allunga strisciando. Dicono, che questa appunto è la politica. Ah no: la politica è una dottrina e si studia ne' sistemi, è una pratica e si studia nelle istorie e nella vita reale de' popoli e degli Stati. Dalla dottrina e dalla pratica si verrà a sapere che altro è l'espediente, altro il programma; altro è l' elasticità di una funzione politica, altro la funzione in sè. E di espedienti gonfiano lo Stato, e li chiamano progra1nmi, e si affaticano a distinguerli tra destra e sinistra, e non sanno in quali catacombe andarle più a cercare. Tutto ciò che va al disopra dell'espediente diventa, .agli ·occhi loro, programn1a di un secolo I Non si tratta nemmeno del carpe diem, ma addirittura del carpe punctum ! Dove sogliono andare gli Stati abb,andonati alla balìa dell'espediente, specialmente se è uno Stato che trae dalla sua origine una missione più civihnente determinata? • Biblioteca Gino Bianco (

6 LA RIVISTA POPOLARE Ma che preme. . . il n1inuto è tutto I Mentre scrivo mi si legge la conclusione di un articolo dell'Adriatico contro me. Ricorda il motto di Federico il Grande che per punire una provincia avrebbe n1andato un :filosofo a governarla. Ma che :filosofo ! Avvocati hanno ad essere a governare gli Stati. Le pandette sono l'universo. Quattro pandettisti, in fatti, piegavano l'Italia ad un altro Federico, mentre i :filosofi hanno avuto sempre la n1elanconia di liberarla t Ma che cosa dice poi questo programma di un secolo? Vedia1nolo. GIOVANNI Bovio. ME PCENITET ! Il giorno 20 dicen1bre 1892 il Parlamento italiano offriva lo spettacolo interessante delle grandi occasioni. L'aspetto dell'aula di Montecitorio appena aperta la seduta era solenne. Nun1erosissin1i - oltre quattrocento: cifra vera1nente, eccezionaln1ente insolita - erano i deputati presenti; e nervosi, agitati, impazienti, ru1norosi 1nentre si leggeva il processo verbale della seduta precedente, n1entre parlava il primo oratore iscritto sulla quistione all'ordine del giorno: la doinanda di proroga per tre mesi del diritto di en1issione alle Banche che già la esercitavano. Quando il presidente, on. Zanardelli, venuto il mio turno, pronunziò la solita fornn1la: La parola è all'onorevole Colajanni Napoleone, per alcuni minuti successe uno strano rumorìo fatto da gente che si affrettava a prendere BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 7 febbrilmente il proprio posto o a disputarne uno a n1e vicino e da zittìi ripetuti ed insistenti che provenivano da ogni parte. Una vera folla di deputati circondò il s~condo banco del settore dell' estrema sinistra da dove dovevo parlare ed occupò l'e1niciclo e le due gradinate laterali, 1nentre gli altri protendevano il corpo dietro al proprio banco per n1eglio ascoltare. Poscia successe un silenzio sepolcrale, che consentiva il potere avvertire ogni 1nini1norumore, soltanto interrotto da involontari colpi di tosse con ogni studio repressi. Dai deputati e dal pubblico straordinariamente accalcatosi in tutte le tribune non fu perduta una sola inia parola, nonostante che la n1ia voce fosse rauca e debole. Ebbi quasi paura di quel silenzio e di quella attenzione; e certo ricevetti un' in1pressione in quel momento, che non si cancellerà n1ai dalla mia n1ente. Se ricordo tutto ciò lo faccio perchè - come si vedrà - non posso trarne argon1ento ad inorgoglirn1i e a vederne lusingata la vanità, che può allignare nell' anin10 n1io, come in quello di ogni altro uo1no. Infatti in quel silenzio, in quella attenzione, in quella solennità la mia persona no11 ci entrava che per pochissimo ; anzi per nulla. Io non era e non sono un uon10 di Stato; non un grande oratore, anzi non sono çhe un medioérissin10, disadorno e talvolta sgra1n1naticato ragionatore alla buona; non il leader, n1a l' un1ile gregario di un partito - del partito repubblicano socialista - a cui 111ionoro di appartenere dai n1iei primi anni. Il silenzio, l'attenzione, la so- 'iennità erano per le cose che si sapeva vagamente dai giornali nostrani e stranieri che io doveva dire e che 111ei rano state confidate; e al successo - n1i si consenta la_parola del gergo teatrale - della seduta parlamentare la mia persona noti contribuì che con1e uno strum~nto materialey quaS1 come un semplice e modesto portavoce. Biblioteca Gino Bianco

8 LA RIVISTA POPOLARE ì\tla quel che dissi valeva la pena di quel silenzio, di quella attenzione, di quella solennità? Certamente che la valeva, se devo giudicarne dalla grande e diversa in1pressione fatta dalle inie rivelazioni e nell'ambiente di Montecitorio e in Italia e fuori. Dissi che c'era una Banca, la Ro11zana, ch'era un vero covo di ladri; dissi che c'era un potente e ricco uon10, che invece di entrare tra i senatori nell' aula di Palazzo Mada1na doveva entrare nelle prigioni di Regina Coeli; dissi che il neo-senatore aveva complici non pochi nelle alte classi della società ; dissi che da quella Banca si 111ettevano in circolazione biglietti falsi e che falsi vi erano i conti e vuota la cassa; dissi che, forti dell'appoggio di certe sfere governative o inette o colpevoli, quei 111alfattori si credevano sicuri della impunità: tanto sicuri, che due o tre giorni innanzi avevano lanciata una vera sfida alla pubblica opinione, che da più tempo li accusava; dissi infine ch'era necessaria una grande Inclziesta parlamentare che facesse la luce ed evitasse lo scandalo inaudito dato dai ladri in guanti gialli, che rubando n1ilioni prendevano le comn1ende ~ passavano al Senato, mentre i disgraziati poverelli che per fame rubavano un pane entravano nelle tetre prigioni ..... La i1npressione di tali rivelazioni fu profonda. Erano esse credibili ? Tali le rendevano agli occhi miei gli accenni vaghi 111ainsistenti fattivi in precedenti discussioni dagli onorevoli Diligenti, Branca, Nicotera e Imbriani; tali ,,. le ritenni perchè tratte da una copia della relazione del senatore Alvisi sulla inchiesta bancaria ordinata dal Ministero Crispi nel r 8 89; tali le ritenni per la discussione avvenuta in Senato il 30 giugno r 891 tra l' on. Alvisi: e il ministro Luzzatti. La precisione delle date, delle cifre e delle circostanze resero credibili le mie rivelazioni nel Biblioteca Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 9 pubblico,· nel giornalisn10, tra i deputati. Tra questi, però, non 1nancarono gl' increduli: primo e più sicuro tra tutti, perchè conoscitore di casa Tanlongo, l' on. Fortis, che non mancò di deridermi e di assicurarn1i che come reazione il mondo finanziario non avrebbe n1ancato di salutare le inie calunnie con rialzo delle azioni della Banca Ro1nana. Altri più prudenti si limitarono a deplorare le rivelazioni perchè dannose al credito pubblico ..... Ma coloro che potevano e dovevano dare gli opportuni chiarimenti per confennare o per disingannare 1ne e quanti avevano prestato fede nelle n1ie parole, erano i n1inistri, che avevano ordinato l'inchiesta Alvisi. Ed erano presenti alla seduta tanto l'ex ministro dell'agricoltura, on. Miceli, quanto l'ex ministro del Tesoro, on. Giolitti, divenuto presidente del Consiglio. Parlarono en tra1nbi per dichiarare : il primo che le mie calunnie erano state raccolte nei trivì ; il secondo che le n1ie erano conseguenza del vento di diffa1nazione che spirava da oltre le Alpi. Era il ten1po dello scandalo del Pa11avza. Nelle loro denegazioni, però, furono fra1nmischiate tali particolarità che tolsero ad esse ogni valore. L'onorevole Miceli disse che 1' ispettore Biagini - indicatogli dall'on. Giolitti con1e persona abilissima ed onestissima - veramente aveva ritrovate 1nolte irregolarità nella Banca Romana, ma che dopo tre giorni si era ricreduto. L'onorevole Giolitti, pii.Lfurbo, con non poca meraviglia di coloro che l'ascoltavano, annunziò che ignorava la esistenza della relazione Alvisi, che fondavasi sui risultati della ispezione Biagini. E poscia fu assodato, che egli diceva cosa non vera, perchè della relazione, se pur non l'aveva materialmente letta, ne conosceva il contenuto. Ad ogni modo, mentre il Popolo Roma1w, organo ufficioso del Presidente del Consiglio, minac_ciavami la galera BibliotecaG'no s·anco

IO LA RIVISTA POPOLA RE per le inaudite inie diffan1azioni, il Ministero era costretto a tenerle in qualche conto ordinando una nuova ispezione a1n1ninistrativa sotto la direzione del senatore Finali, da fare le veci della Inchiesta parla11zentare da 1ne do1nandata, e sospese la discussione del disegno di legge col quale si prolungava per sei anni, sulle basi dello statu quo, il privilegio della en1issione ai sei Istituti che la esercitavano. Ciò che avvenne dopo è noto. Vennero arrestati il neo-senatore Tanlongo, i Lazzaroni e il Monzilli, perchè si riconobbe che le n1ie di.ffa11zazioni erano n1olto al disotto del]a dolorosa realtà. Lo riconobbe Costanzo Chauvet, l'amico dell'on. Giolitti, nel Popolo Ro11zanr,; ed è tutto dire. Ebèene ! si crede forse che io sia sinceran1ente contento del dovere di cittadino e di deputato onestan1ente compiuto? No! on lo sono; e lo confessai rudemente a sei n1esi circa di distanza in pieno Parlamento. E sono sinceramente pentito di avere denunziato i ladri della Banca R01nana per le ragioni esposte in Parlan1ento e che adesso riassu1no. Senza le n1ie rivelazioni lo statu quo bancario avrebbe continuato a sussistere per sei anni in forza della legge presentata il 6 dicembre 1891 dai n1inistri Lacava e Grin1aldi. Ora, nonostante i quaranta 11zilioni di carta falsa, che la Banca Romana teneva pronti per n1etterli in circolazione, i danni morali ed ec~non1ici che all' Italia potevano venire da quel disegno di legge, che accorda va la proroga di sei anni ad Istituti che non la 1neritavano, erano e sono n1olto n1inori di quelli che le verranno dalla nuova legge, che accorda per venti anni il privilegio della emissione alla Banca d'Italia, al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia. An1ara1nente 1ni pento di quello che feci, perchè dal lato tnorale è gravissin10 il danno che deriverà al paese BibliotecaGinoBianco

LA RIVISTA POPOLARE I I dal vedere assicurata la impunità ai maggiori responsabili; dall'apprendere che il Parlan1ento disprezza il n1onito severo di un suo Comitato inquirente e passa a votare una legge in 1nezzo ai più gravi sospetti, che an1111orbanol'a1nbiente; dal riflettere che vengono condannate a scon1parire le due Banche Toscane, le sole che dall'inchiesta Finali vengono di1nostrate finanziarian1ente e morahnente corrette, o aln1eno le meno biasimevoli, e vederle inghiotti te da un altro Istituto, che invece di essere 1nesso in liquidazione, a' sensi di legge, in pre1nio della violazione di tutte le leggi riceve per venti anni il son1n10 privilegio della emissione. Dal lato economico è incomn1ensurabile il danno che verrà al paese da una legge, che accordando il privilegio dell'en1issione alla Banca d'Italia Io condannerà per venti anni al corso forzoso; ed ogni insistenza per dimostrare la gravità di questo lato sarebbe del tutto superflua. Ecco perchè non potrò n1ai abbastanza pentirn1i, in non1e dell'interesse pubblico, di avere distrutto una vera fucina di delitti; ecco perchè dissi in Parlan1ento e ripeto fuori : me p~nitet ! Roma, 5 luglio 1893. D.1" NAPOLEONE CoLAJANNr. Biblioteca Gino Bianco

12 .. LA RIVISTA POPOLARE DALL'ATLANTIDE* Togli all' opra dei ca,npi e all' ofjicùze I tuoi giovani figli, Italia accorta, E di schioppi, di daghe e di spalline_ Nel guerriero fulgore il sen conforta; Funzin le icnusie steppe e le pontine Di miseria e di morbi, a te che ùnporta? Sol dalle salutari arti di guerra Ricchezza, libertà, gloria ha la terra! Fugge, è ver, le tue case e i lidi cari Tanta parte de' tuoi vtaledicendo, E per terre incle1nentie vacui nzari Erra le trafficate ossa spargendo: Meglio la sferza di padroni avari E le imnzani foreste e il 11zareorrendo, Che sotto zl tuo bel ciel veder le gra11ze Spose e i figliuoli svtaniar di fame! Che ti fa? Pii't gioconda e più secura La grifagna genia truffa e banclzetta, E stretta ora coi despoti in congiura Ree leghe ordisce e leggi inique affretta; * Le ottave che pubblichiamo appartengono al canto secondo del Poema Atlantide eh' è in corso di stampa e uscirà in luce fra qualche mese a Catania, editore il Giannotta. Noi siamo lietissimi di offrirne ai nostri lettori questa primizia inviataci con grande cortesia dall' illustre poeta. (.V. : d. D.) BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA PQPOLARE Di pietà tnascherando or la paura, Con l' abborrito popolo civetta, E, ad ingannarlo e a soffocarlo intenta, Pace eterna pruvzette ed armi ostenta. Garibaldi, ove sei l Qui, dove or ora Lampeggiò la tua fronte e la tua spada,· Dove l' anùna tua palpita ancora, Viver si attenta una sì rea vzasnada ? Viver, che dico :J È forte ella, è signora, È regina di questa orba contrada; Di potere ubbriaca urla ed esulta, E all'ossa tue cancaneggiando insulta! Io .fiamma esser vorrei! Tra le mie spire Soffocherei questa 11zalnataschiatta, Che vivere non sa nè sa morire, Solo alle frodi e alle lascivie adatta; Vile negli od.J,per.fida nell''ire, Anche ne' viz.J·neghittosa e sciatta, Insidiosa, torpida, maligna, Che alla virtù, che all' I deal sogghigna. Ed io vivo? E son qui? Ben la mia vita Rinvigorir ne' tuoi ricordi io sento, Ma se a questa mi volgo orda abborrita, È peggior d'ogni morte il mio tormento. Trammi da r;uestagora all' in.finita Luce, a cui sempre zl mio pensiero è intento, Tu cittadino d'un aereo regno Me d'altra gente e d'.altri tempi degno! MARIO RAPISARDI. Biblioteca·GinoBianco 13

14 LA RIVISTA POPOLARE IL TESTAMENTODI PADREGIACINTO Chi non ricorda il run1ore che menò per il n1ondo la predicazione del celebre Padre Giacinto? La sua eloquenza conquistava gli animi, il suo stile era arnmirabile. Ora è stata pubblicata da uno dei primi giornali di Parigi una sua pagina inedita, cioè del signor Giacinto Loyson, di colui che fu già il grande oratore ribelle alle pretese e ai dogn1i del Vaticano. E in quella pagina è il suo Testamento, scritto or sono due mesi, che fa parte di un volume in preparazione. Noi non pensiamo certan1ente come la pensa il Padre Giacinto, che, sebbene disgustato e disilluso dalle menzogne, dalle bassezze, dalle simonie della Chiesa, pure col pensiero ritorna a Cristo, vorrebte vivere e vuole che altri viva nella cerchia del Cristianesin10, e fuori di questa cerchia non v'è nè salvezza, nè grazia, nè speranza. L'umanità, secondo lui, ha camminato invano; ed egli vorrebbe, co1ne i riformatori che non liberano dagli antichi lacci la mente, chiudersi nelle pagine del Vangelo, meraviglioso libro di bontà, sirr1ile più o meno ad altri antichi codici e bibbie che riassunsero il pensiero religioso e morale dell'epoca. Ma la gran profezia di Giovanni Apostolo si avvera: lo spirito di verità assume non da una fonte sola le dolci linfe· che l'animo ristorano. E l'età dei dogn1i tramonta: ha fatto bene Padre Giacinto a ricordare le parole profetiche di Hugo: « Nel ventesi1no secolo non vi saranno più nè dogmi, nè frontiere » • Un gran pensiero co1nune, un sentimento elevatissimo tutto spirituale, si chiami o no religione naturale o religione civile, senza templi nè riti, unirà nel concetto e nel moto sociale tutte le genti della terra. E i maestri e Biblioteca Gino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE gli apostoli della verità progressiva saranno tutti amati, come chi cerca il vero e chi con1pie il bene, a prezzo di sacrifici, ma non si abbandonerà l' un1anità per seguire un uomo fosse egli cento volte più savio di Platone e più buono di Cristo. Il testan1ento di Padre Giacinto è commoventissimo. Egli descrive con1e a 4 2 anni, dopo n1olte illusioni sincere n1a funeste, spezzò, 1nentre la gloria ne portava alto il nome, la sua carriera di predicatore, e volontariamente scese dalla cattedra di Nostra Donna per combattere a viso aperto il peggiore dei cesarismi, quello del Papa, la peggiore delle illusioni, quella della perfezione monacale. E andò sino alla so1nma delle sante rivendicazioni della libertà cristiana, e tre anni dopo essere stato sco1nunicato egli si a1n1nogliò pur ri1nanendo prete. « Io compii, » egli dice, « in quel giorno, l' att9 più logico, più coraggioso, e q1:1asisarei per dire più cristiano di n1ia vita » . E appresso comincia la sua dichiazione di fede. Egli an1a la sua patria in quest'Europa di cui ella è una provincia, co1ne l'Europa è una provincia del mondo. Egli è cosmopolita. Attacca gli uon1ini di Stato che gettarono nel disastro nazionale del '7 o la patria sua. Attacca, in genere, tutti gli uomini di Stato attuali. « Sono davvero i grandi colpevoli que11i che han condotta l' Europa, metropoli tuttora del cristianesimo e della civiltà, nell'abisso della ruina di cui, un secolo e mezzo fa, la minacciava Montesquieu: " l' Europa perirà grazie agli uomini di guerra ". Guerra fra le nazioni e guerra fra le classi, militarismo e socialismo ad oltranza, doppia barbarie presso la qµale quella del quinto secolo era quasi un idillio e da cui un miracolo di saviezza e di valor morale può solo preservard ». Padre Giacinto, nonostante la sua fierezza di contro al Vaticano, è sempre il sacerdote timido quando parla dei partiti socialisti. Egli confonde chi vuol ricreare e rigenerare i popoli con i pochi che tutto vorrebbero travolto nel caos e che usano mezzi indegni per una causa, se co1nbattuta con virtù e scienza, altamente d~gna. Egli è repubblicano, ma vorrebbe che questa nobile forma di governo fosse meglio applicata _esvolta di quello BibliotecaGino Branco

LA RIVISTA POPOLARE che ora in Francia. E. ne ha ancor 111enofiducia dopo che il Papa si è alleato con la Repubblica Francese. « Il Papa e lo Czar non saprebbero supplire alla coscienza e a Dio » . Ed esclama: « Avrebbe dunque (la Francia) il destino del Reno che, dopo essere stato un 111agnificofiume, finisce in un padule? » . Poi attacca la Chiesa. Essa non ha cessato mai di sognare il potere temporale e le reazioni clericali, co1npresa quella eh' ella dissin1ula poco astuta1nente, ora, sotto la 1naschera della Repubblica cattolica e del sociali sino cristiano. Ella all'adorazione del vero ha sostituito « pratiche puerili, leggende grottesche, e pellegrinaggi tanto più popolari, ahi1nè ! quanto più pagani » . Così essa genera il fanatismo e l'irreligione. E Padre Giacinto sogna un Papa non intransigente come Pio IX, nè opportunista co1ne Leone XIII, che sia riformator vero, che trasformi la Chiesa, che prepari l' èra de' nuovi tempi. E dice che se venisse un tal papa, il inondo non avrebbe 1nai visto sì grand' uomo dal tempo dei profeti e degli apostoli si110 ad oggi! Egli è sempre avvolto nella candida nebbia de' sogni d'altra età, dell'età individualista; egli non sente r associazione un1ana, non sente il papa-collettivo che a mano a 1nano si avanza, co1ne si avanza il re-collettivo. Codeste lusinghe sono fatali ed effimere nello stesso tempo. E quindi cerca di provare come il Cristianesimo non sia di ostacolo ai progressi sociali, anzi di questi abbia il germe in sè medesi1no. E cita in proposito Giovanni Apostolo, Paolo, Agostino. E tenta di conciliare la scienza con la teologia. ,, La teologia » egli dice ,, non cesserà dall' insegnare la creazione dell'uomo e del mondo, dogma fondamentale fra tutti, ma ess:::. cesserà di assegnarne la data, come lo fanno le nostre storie sante e il grande Bossuet stesso, nell'anno 4004 avanti Cristo I Essa non contraddirà piÌl, in ciò eh' esse hanno avverato, le cronologie dell'Oriente, nè sovra tutto le scoperte della geologia, che ci han fatto toccare negli strati del terreno quaternario, a miriadi di secoli addietro, i primi avanzi della nostra razza. Essa non temerà di lasciare la porta aperta alle ipotesi grandiose di Darwin, ipotesi che la scienza non ha confermate, ma ch'essa non ha certo smentite; e pur continuando a mostrarci, con la Bibbia, dall'origine della specie, la polvere della terra, l'ortodossia BibliòtecaGino Bianco

• LA RIVISTA POPOLARE deff avvenire 1 ci lascerà la libertà di pensare che1 per arrivare fino al primo Adamo, l'argilla ha attraversato sotto il soffio di Dio che crea per i secoli, e, secondo il progresso, tutte le trasformazioni del mondo inorganico e del mondo organico ». •E prevede il rinnovarsi del Cristianesimo, realizzando l'ardito presentin1ento di Giuseppe De Maistre. Vede l'unione della scienza con la religione, non di una religione nuova, come tanti più liberi e arditi rifonnatori vaticinano, 111aal piì1 « la rivelazione della rivelazione » . Il Vangelo, secondo lui, diverrà una realtà sociale ; i inalati guariranno, i n1orti resusciteranno, la buona noYella sarà finaln1ente annunziata ai poveri. Nienten1eno ! In questo egli sorpassa col volo dell'ansiosa fantasia ogni sogno di utopista. Poi volge miti e dolci consigli ai cattolici, che però non li leggeranno, aborrenti da quanto puzzi d'eresia. E canta con la parola inspirata d'Israello, canta l'aYYento del nuovo millennio, da sì gran tempo atteso. Questo per lui è il vero socialisn10. Un socialis1no tutto amore, un socialismo degno di essere descritto e propagato da un De A1nicis cristiano, mite, buono, dolce, con la fen1inea fisionomia di Giovanni Apostolo e la soavità di Amos profeta. <~ Bisogna strappare la Francia » , secondo lui, <, alle superstizioni che la falsificano, alle consorterie che la sbranano, ai cleri e ai goYerni che l'asservono e la sfr_uttano >,. Se noi fossimo persone degne di far testamenti politici, vorremn10 scrivere sì belle parole prin1a di morire, e lasciarle come umil retaggio di consiglio ai figli nostri e ai nipoti. E Yerso la fine del lungo e profondo testan1ento egli . scnve: « Io vorrei riassumere tutto ciò ch'io credo, tutto ciò eh' io spero, tutto ciò che m' ha dato la gioia di vivere e mi darà la forza di 1nonre. << Io lo lego a mio figlio che sarà, lo spero, il figlio della mia anima piì1 che del mio sangue. Oh ! me beato, se resti qualcuno d1 mia razza per vedere la beltà di Gerusalemme! « Io lo lego a mia moglie che è stata, ed io ne la ringrazio, la compagna del mio apostolato piì1 ancora che della mia vita terrestre ». Y. 81btioteca Gino BianGo

LA RIVISTA POPOLARE RICCA D'AMORE RACCONTO. • Un ritratto di donna ne1la breve cornice cli una nqvella dovrebbe essere una miniatura. E una fine miniatura è spesso la sintesi di un gran romanzo. Un sorriso mesto rivela sovente una storia di profondi dolori. Una ruga nascente in una bianca fronte di giovine donna è il segno inciso dalla sventura. Quanto mistero talora in un gemito represso o nel silenzio di un'anima abbandonata! Molti conoscono la leggiadra fanciulla che passa talora per le vie di Roma, e pare sola tra 1a folla, semplicemente vestita, e che un anno fa viveva in uno dei più superbi palazzi, ammirala come una piccola dea. Ella ha le gentili forme dell' Ebe del Canova. Ell'era buonissima quando viveva fra le ricchezze, ed è buonissima or~. Quelli che idolatrano l'oro non la virt1\ splendida gemma, non 1a bontà, perla dell' anima, non l'amore nella sua idea} grandezza e modestia, vero fior del cielo, ammiravano in lei non l'anima, ad essi ignota, ma il bel profilo che pareva un rilievo di Mino <la Fiesole, e la voce soavemente 111usicale e le gentili maniere e le vesti elegantissime. Ammiravano quel che è esteriore. Chi mai cerca l'anima in mezzo a tutte queste basse materialità della vita? chi ascende alle sublimi vette del1' ideale? Nessuno conosceva intimamente le vicende oncl' ella era passata, imagine pallida del dolore, fra il pianto. Quante volte in mezzo alle apparenti gioie del mondo, allo scintillìo de' candelabri nelle auree stanze, agl' inchini di stolidi ammiratori che contano i gradi di nobiltà e pregiano il valor de' gioielli e delle stoffe, ella ha sofferto, ricca di tanta affettuosità profonda, senza corrispondenza di alcun senso d'amore! Ella, povero angelo, ell' era nata fuori della legge. Suo padre pareva l'ombra di un uomo. Alto, stecchito, incartocciato, fu fatto senatore per intrigo di alcune gentildonne, in fascio con molti altri, all'epoca delle ultime elezioni. Egli non parlava mai, e i pit1 sussurravano: BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE « Forse in quell'abisso di mente è il germe di un uomo di Stato! » Gli idioti ciò ripetevano seriamente. Altri soggiungevano: « E un uomo di Stato in ritardo ». Ma pure quanti inchini dinanzi a quella semo• ' vente antenna, temp~stata di croci come un cimitero! E quante croci per una coscienza morta! E la pbvera fanciulla più di una volta udì il sordo brontolìo e gli amari rimproveri di suo padre, rimproveri ingiusti che le laceravano l'animo. ]\1a ella non se ne lagnava mai. E quella folla di signori dalle pieghevoli reni lo diceva un gran gentiluomo, dai modi distintissimi! Mattina, il noto sarto della capitale, lo vesti va maravigliosamente. E la mamma, cioè sua moglie, o, meglio, la sua concubina, unita a lui dal solo rito religioso, era in casa la vera padrona, l'imperatrice. Dinanzi a lei egli era zero. Egli che assumeva la posa di un piccolo sovrano quando si trovava dinanzi a gentiluomini, a cavali~ri, a deputati della maggioranza ed anche a qualche monsignore, pareva un coniglio dinanzi a quella virago, che la maledizione aveva gittata come un bolide nel suo palazzo. Imagina, o lettor mio, (se già non la conosci) una donna sulla cinquantina, che crede di saper tutto e di poter tutto, che scrive un romanzo ogni anno e ne fa uno ogni mese, che quando parla sentenzia e quando sentenzia uccide una riputazione, che ha sulle labbra il miele e il fiele nell'animo, e pure è tutta rosea, grassa, obesa, vasta, allettatrice or cortese or grossolana, che parla col tumulto di un torrente, che cammina dondolando come un'anitra, che con la stessa devozione va in Vaticano e al Quirinale, che, a · sentirla, ha la fiducia di principi e sa i misteri della diplomazia, che mentre osa parlare di cose sociali e spropositar di teorie diverse atteggiandosi a liberalissima, esclama spesso: « Oh, com'era bello il medio evo! Oh, che gran marchesana io sarei stata! » E poi, se per caso parla a qualcuno dell'estrema Sinistra, o si trovi fra i popolani, esclama con solenne tono profetico: « L'avvenire è delle nuove idee! » E loda Gladstone, e dice un mondo di bene su Bebel. Mentr' ella una sera parlava in tal guisa nelle sale del Quirinale, la regina si avvicinò, ed ella subito: ,, Io rispetto Gladstone e rispetto anche Bebel, ma non divido punto le idee nè dell'uno nè dell'altro; a me piacciono fibre come quelle di Bismarck e menti acute, come occhi di falco, quale è quella del venerato nostro Santo Padre ». Questa gran politicante, che si frammette in tutte le cose della politica spicciola e negli affari anche loschi, ha l'animo di una gran BibliotecaGino Bianoo

20 LA RIVISTA POPOLARE cortigiana. Si crede bellissima, e sente la gelosia come puntura di vipera. Si crede un genio, e invidia malignamente i buoni e i dotti, ferendo con lo stilo avvelenato della calunnia. E con la propria iniquità sfacciata si vendica della bontà, dell' onestà, del pudore altrui. Ben lo sa la fanciulla eh' ella osava chiamar col nome di figlia. Un dì a questa sorrise con onesto sguardo e parlò con parola onesta un giovine che, sceso d'alto lignaggio, porla un nome caro alla storia del patriottismo italiano. Egli non era bello, non educato leggermente secondo il costume di molti patrizi d'oggi, che del passato han solo il vano nome, che nel presente cercano solo le gioie fugaci e le vie del vizio, che del futuro non hanno neppure un vago presentimento. Non bello, ma pieno di vita; non vestito all'ultima moda, ma semplice in questo come in tutto e dolcemente austero, aborrente dal linguaggio convenzionale; studiosissimo, operoso, credente nell'intimo sublime senso della parola. Gli occhi azzurrini della fanciulla comunicarono cogli occhi nerissimi del giovine: si conobbero, si sentirono, si intesero. Ella mai non aveva guardato così in volto ad alcun giovine signore, egli mai così ad una fanciulla. D'allora in poi, per due _anni, ne germogliò un amore che parve tessuto dalle mani di angeli invisibili; ed ogni dì, ogni ora si aggiungeva un anello a quella spiritual catena di fiori. :Ma la mamma, cioè la matrigna, tentava di spezzarla. Impossibile descrivere, in due o tre pagine, la scellerata trama. Vorrei essere un romanziere per dirne tutta l'iniquità. Ella adduceva il pretesto della povertà del giovine. « L'ingegno non basta, diceva, nè lo studio, nè il lavoro ... ci vogliono dei boni da mille! Ecco il vero ·ideale! Io debbo, io voglio assicurare la felicità alla mia figliuola! » ~ . E intanto, con tutte le più sottili arti di Taide, tentava, in mille modi, di togliere a quella eh' essa chiamava figliuola il fidanzato, cioè l'avvenire, la speranza, la vita, l'essenza dell'anima sua. Egli però aveva promesso a sè medesimo, alla memoria de' suoi cari estinti, al cielo, che sarebbe stato soltanto di quella bianca esile creatura, di quel buonissimo unico angelo, che pareva un essere smarrito e straniero in mezzo alla società falsa e bugiarda. E la matrigna continuava l'opera sua di malizie e di malìe: tentare di sedurre il giovine, e rubarlo ai rosei sogni della buona fanciulla, ecco il perfido intento. Gli diceva spesso: « Codesta sua modestia, codesto suo pudore sono veli e maschere della virtù finta, della virtt1 forse già offesa ». E quel gagliardo si ribellava all'insinuazione calunniosa, sebbene, ingenuo, non credesse BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 2 I alla scelleraggine della matrigna. Ma non cedè mai anche al più semplice del suoi inviti, nemmeno col pensiero, anzi ne sentiva umiliazione ed aborrimento, come di viltà o di delitto. Col dolore nell'anima, improvvisamente, per incarico di una gran Casa industriale, fu costretto di recarsi a Londra. E prima di partire potè appena salutare la fidanzata dell'anima sua. Ma in quel saluto era una santa promessa. rel non breve periodo della sua assenza ella subì ogni specie di tortura, e in un orribile dì fu cacciata di casa come una rea, come un'infame. Ella se n'andò esule, colla fronte china, senza aver commessa la minima colpa. Quanta pietà destava quella fanciulla nella miseria, rifugiata in un' U·· mile casupola isolata in mezzo all'arida campagna, nel silenzio continuo, al conspetto di Roma, che di là pareva ancora più antica e desolata! Al suo fianco era una vecchia gentildonna, povera essa pure, che la confortava. Ma la fa11ciulla no11 malediceva alct1no. Il s110 a11imo cercava ansiosamente un essere solo, lontano. Lo chiamava nel silenzio, con amoroso ritmo, interrogando il cielo. « Tutto mi manca, diceva, ma pure sono ricca di tutto, poichè ho l'amor suo e sento la grandezza del mio amore ». Così diceva, e scriveva belle e spontanee poesie che parevano gorgheggi; ma tale era la sua modestia eh' ella non permetteva ad alcuno di leggerle. E non era egoista. Sentiva nella loro profondità i dolori sociali : vissuta in seno alla ricchezza ella non aveva sdegnato di scendere nei tuguri a interrogar le smorte labbra de' fanciulli febbricitanti. In lei non alcuna traccia di odio. Ella viveva nel modo piÌl semplice. Andava vestita di mussolina. Pranzava con poche erbe, con poche frutta e con un po' di pane. Scrivendo al suo fidanzato, si firmava: la tua piccola trappista. La sua matrigna le negava anche una tenue somma per vivere. Già invano le aveva fatto promettere di ripigliarla se rinunziava alle nozze con quel disperato. E la fanciulla, nel ricamo valentissima, viveva lavorando. Ella diceva alla vecchia sua compagna: « Verranno i giorni lieti, i bei giorni di primavera! Verrà la libertà! Meglio viver qui sola con te che nelle stanze dorate di un palazzo, come una schiava sprezzata! Meglio questo tranquillo esilio I La vera ricchezza io la posseggo nell'anima: sento che sono buona e sento che amo immensamente. Ecco la grande, la sola, la vera ricchezza mia ! » E ricercava l'amato, chiamandolo come in soave delirio: « Perchè, fratel mio, hai tanta tristezza negli occhi profondi? Cerchi tu forse la BibliotecaGino Bianco

22 LA RIVISTA POPOLARE pace, cerchi ]a stima del mondo e le effimere sue grandezze? Io ti calunnio, o mio amore! Tu non sei sì credulo, nè avido e vile da correr dietro al mobile giudizio delle folle! Tu non ti curvi ai potenti, tu non ti perderai neppur per un attimo fra il gregge de' servi ! Tu hai l'animo di antico profeta, integro saldo severo, hai l'energia, hai il sangue de' cospiratori che morirono per darci una patria! Tu mai non fosti nè sarai canzonettista d'amore, come tanti poetucoli che d'amor belano in questa età fiacca e volgare! Non sei tu adatto a foggiar l'onesto ingegno secondo il gusto de' trafficanti odierni! Canta ed ama, sorridi alla vita, sorridi di chi ci irride, vivi coi morti illustri, sogna i progressi dell'età ventura, sii anche utopista ma non mai violento, nè mai vecchio anzi tempo o irrigidito conservatore, credi, in mezzo ai crocchi degli scettici stolidi, credi almeno alla vita e all'amor mio, alla nostra comune felicità, e in mezzo alle ste5se strettezze, amando e lavorando con me, vivrai ricco, ricco dell'amor mio, ricco della tua virtù.... ti attendo .... ». Egli era di ritorno : udì le ultime sue parole, e si slanciò fra le sue braccia. Sembravano una sola persona. Udivansi piccole grida tronche, baci e singhiozzi. « Per sempre! sì per sempre! » ripetevano. « Questo sarà il nostro nido, lungi dai rumori. I signori non ci salutano più; non importa. Siamo poveri, e quindi abbandonati. E noi c1 vendicheremo amandoci come forse mai nessuno nel mondo amò, ci vendicheremo adorando la scienza e la poesia, e facendo del bene a chi soffre. Oh, non è bello l'amore quando nasce dalla sventura, e nel dolore si affina, e tende sempre in alto, e crede nella propria immortalità, ed è maestro di nobili sensi e di eroismi? » Ed egli tempestava di mille e mille baci l'alta candida fronte della pallida fanciulla e gli occhi socchiusi e i finissimi capegli. Ell' era la gentilezza, egli la forza. Alla luce dell'eterna poesia s1 realizzava in que' due esseri innamorati la grande armonia umana. ANTONIO FRATTI. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE MESSIDORO Tu, benedetto dal sudor degli umili, Tingi le spighe de' tuoi raggi d'oro, Deponi il bacio sul lucente vomere, Bel messidoro. Nell'amplesso del fulgido leone Col ferreo raggio ti saluta il sacro Che tolse l'uomo alla brutal tenzone Docile aratro. Chè il pruno mietitor, sopra le vergini Terre donate ai figli di Caino, Vide lieto in uman mutarsi il rabido Seme ferino. 1 L'occhio nel cielo che l'amor gli apprende, A' piè il tesoro delle frante zolle, Stassi, e sul mite crine i verdi stende Pampini il colle. Ma a che vagando nei perduti secoli, Pei beati del mondo ultimi varchi, Vagheggia il mio pepsier l'era fantastica Dei patriarchi ? Ahimè ! dalle primeve albe lontane Ei torna mesto fra le stoppie ardenti, Tra le domate sul crescente pane Membra cadenti. Via pei campi talor l'aura dei vesperi, Di candidi fantasmi evocatrice, Un' immagin mi pinge: è Ruth, la semplice Spigolatrice. Ahi ! ma all'agile vol del mio pensiero Nel candor dell'idillio or'ientale, Spettri viventi dell' infausto vero, Tarpate l'ale 1 Le prime coltivazioni furono i primordi della civiltà umana. BibliotecaGino Bianco 23

24 LA RIVISTA POPOLARE Voi, curve mietitrici, a cui nell' anirna, Yinto dal pianto, non sorride amore,· Cui si rapisce in repugnante talamo L'ultimo fiore ; Voi stanchi mietitori, a cui vendemmia ' E di lagrime il dì ; cui sulla sera Muor sul fievole labbro una bestemmia Che par preghiera. Ma d'altre falci il lampo io vedo splendere A' rai del Messidor, chè non lo stelo Sol delle biade ne matura il vigile Occhio del cielo. Semi alla terra il Tempo ognor profonda Di certi eventi, che, crudele o pio, Poi la miete il Destin questa feconda Zolla di Dio. Qual rombo aquilonar, rimugghia il popolo 1 Rapido passa e turbine somiglia .... Ecco : miete vendette intorno ai ruderi Della Bastiglia. E d'arcangelo al pari alta sull'ali, La Francia all'ombra che la cinse insulta, E in solenni d'amor feste augurali Parigi esulta. Sfolgorante sul pian, d'un Dio coll'impeto, 2 Roche il cavallo sui nemici sprona, E d' onte nuove il vinto raggio ottenebra Della corona. E a vendicar la strage cittadina, Mesta fidando nella patria stella, Vien Carlotta Corday, la girondina Vergine bella. Oh, quale, o Messidoro, eroica, fulgida Nella tua luce vis"ion mi appare. Vi fremon terra e cielo ed il purpureo Sonante mare. Ahi! ma l'onta d'Italia, o mar severo, Cela ove il gorgo tuo più s'inabissa; Via lo respingi in Acheronte il nero Flutto di Lissa. 3 I Ai 14 di luglio avvenne la presa della Bastiglia, e tal giorno fu poi consacrato alla festa della Federazione. 2 Nel luglio del '95 il generale Roche sconfisse i realisti a Quiberon e nel luglio del '93 la Corday uccise Marat. 3 Il 20 luglio 1866 avvenne la battaglia di Lissa. BiblioteoaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE 2 5 Canta il giorno che il Duce apprese il fremito Dell' immenso tuo seno, a lui diletto, E Dio gli seminò luce e miracoli Nell'intelletto. Onde rispose d'odi i antichi al lazzo Con squilli di vittoria, e ov' altri pecca, L'onta cancella il trionfa! Milazzo, L'ardua Bezzecca. 1 Gli ero1cL giorni della tua Partenope Canta, o mare, e la dotta Eleonora, Che di sangue immortal dal suo patibolo La terra irrora. 2 Cantali al :Messidoro, e i Masanielli E l'odissea dei martiri Bandiera, Canta la bella d'obliati avelli Canzone austera. 3 Sento i tuoi fasti, o mar: là dai lusiadi Lidi un uom guarda al sol di Messidoro, E mille vede sopra l' onde tremule Fantasmi d'oro. Lontan lo sguardo dalla prora audace, Salda nel pugno la lucente lama, Sempre avanti ..... è laggiù l'India ferace, Vasco di Gama. 4 :Mi giunge un grido pei commossi oceani, Lo rende il mare al popolo giocondo ; E' il peana di ,vashington ... E' libero Il nuovo mondo ! 5 Oh ! se renda alla terra il sole ardente Il bacio, il vale degli spirti aneli, Che a lui mandava, martire morente, Il pio Mameli, 6 1 Il 24 luglio '60 Garibaldi, nato il 4 luglio 1807, vinse a l\Iilazzo e il 21 luglio '66 a Bezzecca. 2 L' 8 luglio 1799 fu suppliziata a Napoli la dotta repubblicana Eleonora Pimentel. 3 Il 7 luglio 1647 Masaniello sollevò Napoli, e i fratelli Bandiera salparono da Corfù per la loro spedizione il 12 luglio 1844. 4 Vasco di Gama salpò in luglio dal Restello per la sua spedizione ne l1' India. - 5 Il 14 luglio 1776 fu dichiarata l'indipendenza degli Stati Uniti d' America. 6 Goffredo i\Iameli morì di ferita riportata alla difesa di Roma il 6 luglio 1849. B blioteca Gino B~anco

LA RIVISTA POPOLARE Le· canti il dì che, pur vinto, il fatidico Grido innalzava il popolo romano, E il latin fascio della sua repubblica Stringeva invano. 1 Fu lungo, Messidor, l'epico canto Del superbo baglior che ti riveste, Di trionfi, di fremiti e di pianto E di tempeste. Avanti, stanchi mietitor, le lucide Falci impugnate, ripigliate il pondo. Oh, quanto, quanto ancor vi resta a mietere Sul vecchio mondo ! E tu, che il giorno all' uom rendi men triste, Tu, che fai dono altrui di spighe d'oro, Avanti, avanti nelle tue conquiste, Bel Messidoro. DEMETRIO ONDEI. NOTE SCIENTif'ICHE LA NUOVA ARTE DEL FUOCO ELETTRICO Le applicazioni della corrente elettrica che nei primi tempi furono tentate ed esperimentate sono certo quelle che facevano presupporre un grande ed immediato beneficio. Così i primi elettricisti volsero il loro ingegno allo studio delle macchine, della trazione, del trasporto di energia ed a quello di produrre luce, ma ]uce, quanto piì1 era possibile, senza calore. E non solo per la luce, ma anche per gli altri sopraddetti problemi era cercato di ridurre ad un minimum la quantità di calore che inevitabilmente veniva a prodursi. Invero, il riscaldamento che eventualmente va a manifestarsi per esempio nelle parti di una macchina elettrica, che deve generare un determinato lavoro, 1 I Francesi entrarono in Roma il 3 luglio 1849, mentre l'Assemblea pro• clamava la costituzione della Repubblica romana. BibliotecaGino Bianco

LA RIVISTA POPOLARE s1 compie a spese del lavoro che deve essere generato, e costituisce perciò una perdita. Questi concetti che informarono i primi studi, fecero sì che manifestazione di calore, in elettricità, si dovesse intendere come perdita di energia, e gettarono un generale discredito su ogni tentativo di quelle speciali industrie che hanno per base di produrre calore mediante la corrente elettrica. Questo discredito non era peraltro seriamente giustificato, giacchè, se per un certo genere di trasformazioni di energia ogni quantità di calore che si produce significa perdita di energia stessa, per la trasformazione particolare dell' ~nergia cinetica in calore, questo, in qualunque modo si manifesti, è sempre uguale alla prima e non esiste perciò perdita alcuna. Si aggiunga che, risoluti o quasi i problemi piti importanti, migliorati i sistemi, aumentato il numero dei cultori nel campo dell'elettrotecnica, anche le minori industrie trovarono modo di svolgersi e perfezionarsi. L'arte del fuoco elettrz'co, ovvero l'arte di sapere opportunamente produrre temperature altissime mediante l'elettricità, si fece strada dapprima nel laboratorio, poi nelle officine e nella vita comune, ed oggigiorno tende a svolgersi in tante svariate maniere che sembra destinata ad avere un'estensione maggiore di ogni altra applicazione de11a elettricità. Infatti, questa nuova arte che nacque dall' idea di William Siemens di fondere i metalli per mezzo dell'arco voltaico, ha dato poi origine alla interessante industria della saldatura elettrica, la quale in America è già largamente adottata, ·ed ha permesso di fabbricare industrialmente l'alluminio, il simpatico metallo dell'avvenire. L'alluminio che fino a qualche anno indietro era considerato come uno dei metalli rari, e costava per oltre duecento lire al chilogramma, oggidì, grazie alla nuova arte del fuoco elettrico, si può estrarre con facilità e sollecitudine dai composti alluminiferi, cosicchè per le sue speciali proprietà di essere più leggero di qualunque altro metallo, inossidabile all' aria come l'oro e l'argento, tenace quanto l'acciaio, meno costoso, proporzionatamente ai volumi, del rame, si trova ad essere sparso per ogni dove. Non tarderà il giorno che noi vedremo sostituite le pesanti chiavi di ferro con altre leggerissime di alluminio, e di alluminio fabbricati i piatti, le posate, gli utensili tutti di cucina, le penne per scrivere, gli orologi, le catene, gli istrumenti per misurazioni, le macchine a vapore, le corazzate, i fucili ed i cannoni, i quali ultimi, . a disonore forse della civiltà umana, sono già stati costruiti in parte col nuovo metallo I B'bliotecaG no Bianco

..... LA RIVISTA POPOLARE Ma l'arte del fuoco elettrico non si ferma qui. In questi giorni il signor l\1oissan al Conservatorio delle arti ed industrie ed alla Scuola Politecnica a Parigi ha svolto un corso di conferenze mostrando il suo forno elettrico, mercè il quale è riuscito ad ottenere dei piccoli cristalli di carbone, ovvero dei piccoli diamanti. Ma oltre questo interessante risultato, che ha, per così dire, una specie di attualità borghese, il sig. Moissan ha raggiunto temperature così elevate da poter ridurre, mediante il carbone, un gran numero di ossidi metallici e preparare in quantità abbastanza considerevole dei metalli che fino ad ora erano stati solo preparati o allo stato di tracce o sotto forma di polvere: il cro1no, il molibdeno, il tungsteno, l'uranio ed il vanadio. Questi procedimenti elettrocalor{/ìci, quando si può disporre di una caduta d'acqua per generare la corrente elettrica, diventano economici, ed applicati nei laboratori chimici allo studio delle reazioni, arricchiranno certo la chimica delle alte temperature di nuove scoperte. Un'altra innovazione che si deve a questa arte moderna dì utilizzare l' energia calorifica in cui si trasforma l' energia elettrica, è la cucina fatta all' elettricità. Fino dal r 882 il rinomato elettricista Lane Fox presentò all'Esposizione di elettricità di Londra al Palazzo di Cristallo alcuni suoi campioni di pentole, di bricchi, di tegami, di utensili in genere di cucina, i quali permettevano la cottura dei cibi per mezzo dell'elettricità. 1\1a un migliore successo questi apparecchi ebbero all'ultima esposizione tenutasi - l' anno scorso - al Palazzo di Cristallo, ove non solo figuravano nelle Yetrine come tanti esemplari, ma erano messi m eserciz10 al pubblico, dinanzi al quale si allestivano in un modo molto sollecito dei pranzi colti all' elettricità. Non starò a rilevare i grandissimi pregi di questo sistema, il quale per sollecitudine, per pulizia e per eleganza si raccomanda da sè ; ma ho pensato di porre la fotografia di uno di questi tegami a riscaldamento elettrico, per togliere ogni falsa idea che uno potrebbe farsi sulla complicazione delle sue diverse parti. L'apparecchio come si vede BibliotecaGino Bianco

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