La Rivoluzione liberale - anno I - n. 10 - 23 aprile 1922

~ivist:a St:o:rioo Sett:i.ma:n..ale di :Politica =======-=----""'"=-=-=---=-=======m====,,,;_=-=---=-==== ===================== Anno I. - N. 10 23 Aprile 1922 -------- Edita dalla -------- Casa Editrice Energie Nuove AHH~nAMinII Per il 1922: L. 20 (pagabile in due quote • di L. 10) - Abbonamento cumulativo con <IL • BRRETTI• L. 32 (pagabile in due quote di L.16 IL BARETTI SUPPLEMENTO L T ERARIO MENSILE Non s1 vende separatamente fondata e diretta da PIERO GOBETTI TORINO • Via Venti Settembre, N. 60 • TORINO UN NON.CERO LIRE 0,30 ------- (Conto _Co1Tente Postale) SOJIIJ!IIARIO: P. GODETTI: Il liberalismo di L. Einaudi. - D. GIOVENALE: L'agricoltura piemon'tese,V. -· A-NTIGUEL}'O: Esperienza liberale (Propaganda ed eeame dj coscienza• Femminismo Comunista). - D. Il Problema del latifondo. - Il Critico: - Uomini e idee. Il liberalismo di L. Einaudi li pensiero di Luigi Einaudi si viene fonnando in anni torbidi per l'Italia; durante una crisi che ha estenuato tutte le nostre. capacità creative e in cui la reazione dominante pare un'espressa rinuncia del popolo al suo compito europeo. La lotta politica si semplifica necessariamente intorno allo schem~ conservatori-progressisti. Il liberalismo più coerente alla tradiz;one di autonomia - preclusa la strada ad ogni azione positiva - deve limitarsi a postulare il rico- :soscimento della libertà come condizione e premessa necessaria e su questa via s'incontra e si confonde con il pensiero radicale e ~ialista. Einaudi collabora alla Critica Sociale. Ma la transazione pratica non importa confusioni ideali in chi ha coscienza storica della crisi. Nel 1900 in fatti vien pubblicato Un principe mercante : studio sul!' espansione coloniale italiana, primo documento del1'attività pratico-economica dell'Einaudi, solidissima prova di una cultura politica superiore. Vi si ritrovano affermazioni che sint-etizzano tutto il pensiero degli anni successivi e sull~ quali si può costruire un sistema organico di politica. « Il nostro paese ha bisogno che i possessori del capitale non oziino contenti del quattro per cento fornito dai titoli di consolidato o dai fitti terrieri, .ma si avventmino in intraprese utili a loro e alla nazione intera. Il paese ha bisogno che le classi dirigenti non continuino ad avviare i loro figli alle carriere professionali e burocratiche già ingombre di· aspiranti insoddisfatti, ma li avTiino alla fortuna sulla via delle industrie e dei co=erci » (pagina 19}. Qui c'è già il caratteristico stile dell'Einaudi, il suo modo di considerare le leggi economiche con rigorismo etico, di attribuire una validità educativa alla vita politica; l'ampia coerenza delle. formule e dell'azione, l'identità del suo pensiero di scienziato e di individuo. L' uomo, appena conosciuto, ispira solida fiducia. Spoglio di• qualità decorative, libero dagli atteggiamenti falsi - enfatici o conciliativi - che la società convenzionale impone a chi se ne lasci dominare. Esercita, senza teorizzarla, U11amorale di austerità antica di elementare semplicità. La sua vi-· sione etica comincia secondo un processo quasi primitivo, s'organizza intorno all'affermazione dei valori della famiglia, intesa come centro di uomini di caratteri e di indefessa operosità, si pro!unga ne!La patria organo di valori spirituali e di azione economica. Più che una teoria l'Einaudi ha un sentimento della patria, la vede come esercizio di vita degli i'ndividui : attraverso la tradizione essa gli attesta la continuità dei nostri sforzi, il permanere della personalità dei singoli, la coerenza vitale degli affetti. Visione patriarcale e ristretta, ma assai feconda finchè resti entro i limiti della vita . sentimentale. .. Di qui senza angustie accademiche l'àmore per l'operosità lo conduce a una visione nitidissima delle figure dello scienziato e dell'uomo pratico : non come distinti schenii, ma come classici ideali di vitaJ.ità umana. Nell'uno e nell'altro vuole la franca semplicità e il sereno sacrificio che soli possono fondare una responsabilità sociale. Esempi concreti la devozione con cui esercita la sua missione di mll:estro e 1a preoccupazione assidua dello sc1enz1ato per i pratici interessi e per l'attività dello Stato. L' esperienza della Scuola lo ha condotto ad un esame del problema che bene si conforma con le sue generali convinzioni. Dall'Einaudi la Scuola è afl'ermata come liberistico contatto di idee da cui scaturis0e 1 lo sviluppo della scienza. Questo è il sostanziale valore educativo della Scuola, questa la sua utilità vera, corris,pondente ad una necessità intrinseca. La scuola utilitaria non è scuola ed è economicamente, un pessimo affare : su questa identità di morale e di economia l'Einaudi rivolgerà ancora più profondamente la sua riflessione. Le professioni non si studiano astrattamente, ma si imparano mentre si esercitano. La scienza deve valere come esperienza interiore che t'-mpra le capacità e i caratteri. Le premesse dell'empirismo, rettamente intese conducono a idealistiche conseguenze. Il problema suscita anche nella pratica valori liberali. Non spetta allo Stato la costituzione di scuole per un'etica necessità, non deve l'attività generale sostituirsi all'iniziafiva dei- singoli. La scuola, come scuola etica, è organo di Stato : ma la sua eticità non scaturisce dal mero fatto della sua esistenza; è invece frutto dello sforzo creati,vo con cui la vogliQno gli individui poichè ogni risultato vale per la fermezza e la serietà con cui ognuno lo ricerca. Perciò Einaudi crede a una scuola di Stato creata direttamente dal concorso economico di chi la frequenta ·(Gli ideali d.iun economista, Firenze« La Voce• 1921). Storia e liberismo. Come vede la scuola così vede lo Stato: dialettico risultato di singole volontà liberamente operanti; ma la complessità di questa funzione sociale sfugge talvolta alla sua teoria, ed è intesa limitatamente secondo parziali elementi empirici. Le ragioni dell'inadeguatezza della sua visione generale si devono ricercare nei limiti della formazione della sua cultura. Confessa l'Einaudi di essere stato nella giovinezza « lettore appassionato, quasi monomaniaco di libri inglesi» (op. cit. p. 153). Una misura a questa intemperanza gli è venuta soltanto dall'amore per la pratica che già nel Principe Mercante corregge con una diretta esperienza le astratte formule apprese. Infatti il centro fecondo del pensiero einaudiano che gli permette di superare agevolmente gli schematismi teorici consiste in un intimo scetticismo verso tutte le formtùe (anche le proprie) e in una fiducia assoluta nella inesauribile attività degli uomini. I fatti superano le idee, nella praxis c'è la verità. Questo concetto, frutto naturale dell'esperienza dell'industrialismo inglese, non è accettato semplicisticamente a mo' dei pragmatisti, non è elevato a canone di interpretazione filosofica, ma resta verità aderente all'individuo che l'ha pensata, nei limiti delle esperienze che l'hanno generata, reazione alle pretese degli intellettualisti nel mondo dell'economia, necessaria premessa di un libero esame dei fenomeni sociali. Pieni di interesse sono gli sviluppi che l'Einaudi ne ha tentato nelle sue indagini storiche - Gli studi sulla formaz1one dell'impero britannico sono, per così dire, il prolungamento ideale di una professione di fede. :Nellà franca coscienza di una giustizia immanente ineluttabile, la vitalità dell'Inghilterra può essere pensata solo in rapporto ad una funzione di necessità che essa abbia nella vita internazionale. Einaudi (educatore) considera il contenuto ideale del mito Inghilterra in relazione alle esigenze degli Italiani. In un'Italia di letteratura e di accademia, ingenuamente sprezzante i valori dell'economia in nome di non so quali disinteressate funzioni dello spirito, egli dimostra la grandezza ideale dell'utilitarismo inglese che, assumendosi per tutti i popoli la funzione del risparmio con uno sforzo che ~ sacrificio ed eroismo, ha accumulato riecù.ezze per virtù di infinita intraprendenza e operosità. E alle meccaniche concezioni dei nostri indastriali, ·protezionisti perchè provinciali, oppone l'esperienza storica la quale prova che nulla importano le fortune materiali, le dotazioni naturali di materie prime. • Non c'è nessuna industria che sia veramente indispensabile alla vita di un paese. La sociétà deve seguire i tempi e mutare continuamente, cosicchè l'industria « indispensabile » di un periodo può scendere senza danno ad un grado affatto secondario di importanza e forse scomparire del tutto, lasciando il luogo ad altre industrie « indispensabili» (op. cit. pag. 81). Ossia - per tradurre in linguaggio teoricamente valido queste affermazioni - la pratica si crea gli ideali e le formule di cui ha bisogno e li sostituisce e li distrugge : la serietà dell'uomo di azione consiste nel franco riconoscimento del valore ideale che è intrinseco a tutti i fatti. Da questa psicologia è nato l'impero inglese. Rovinarono tutti gli imperi coloniali costruiti in nome di una legge di dominio, di egoismo, di intolleranza (Portogallo, Spagna, Francia., Olanda). Cadde il primo impero inglese, sorto per l'ideale di uno Stato mondiale di nazioni protezionisticamente le- «ate da vincoli politici ed economici. Ma con- ·'"tro Cllamberiain trionfarono Cobden e Bright. L'impero britannico per una curiosa i-ronia - poichè la storia non si fa con le parole e coi discorsi ma con gli atti e coi fatti (pag. 85) - è nato in nome di una politica nemica dell'imperialismo e della conquista. L'unità dell'impero britannico è valida e operosa anche ora in quanto le varie colonie sono rimaste libere e padrone di sè; hanno potuto trovare con autonoma iniziati,va la loro via e la loro legittima funzione storica nella dialettica delle forze moderne. L'impero inglese è sorto senza una teorùi (pag. 103), per caso, opera d'avventura e di iniziativa continuata instancabilmente attraverso numerose generazioni che hanno realizzato un superiore organismo cli vita non per la forza delle leggi e delle anni, ma per il sentimento di una unità imperiale. E qui anche nell'incerto linguaggio di chi muove dall'osservazione economica s'avverte un poderoso pensiero filosofico. L'empirismo nella sua stessa capacità di sussiistere e di continuarsi è superiore a se stesso : al disopra degli eventi di ogni giorno l'Einaudi scopre la gran trama della storia. Appassionatamente desideroso di indagare gli intimi ri- ~ultati dell'azione, la psicologia sociale sotto le -formule, l'Einaudi riesce a un insegnamento di profondo immanentismo. Nell'attività, nell'individuo operante, nella sponta- , neità già esiste inizialmente un'idea, una teoria ; alla relazione tra iniziati va e risu 1tato l'Einaudi guarda con una coscienza di eticità quasi solenne e nella sua ammirazione e' è qualcosa di religioso. La storia insegna, perennemente la fecondità del sacrificio, celebra il trionfo della spiritualità, si serve di tutti gli egoismi per affermare una integrità sociale. La formula dell'imperialismo inglese supera la contingente politica provvisoria di un gabinetto ed ha la sua validità nel suo significato antiutilitarista. « La madre patria deve tutto alle colonie, le colonie non devono essere obbligate a dar nulla alla madre patria ». S" questa formula può parere idealistica ai nazionalisti dei sacri egoismi è invero la sola prat-ica, la sola che possa definire una linea d'azione essenzialmente nazionale; i popoli sono grandi in quanto hanno grandi responsabilità, in quanto vivono e lavorano per chi non lavora, soffrono per chi si accontenta. delìa pace e della mediocrità, si stancano per imprimere un riuovo indirizzo alle cose, per arricchire la società dei loro sforzi. A questi ideali realisticamente, l'Einaudi vuol informata la nostra politica di grande nazione, la nostra politica coloniale. I valori morali della religiosità, dell'autonomia, della dignità non valgono solo nel mondo dell'individuo. Einaudi li sa cogliere con tatto squisito nel loro significato sociale e nazionale; sa che i grandi popoli li rispettano anche nei selvaggi. Socialismo e iniziativa. Questa fede liberistica, la quale modestamente preferisce rimanere la descrizione o l'autobiografia di un'esperienza psicologica che irrigidirsi in una teoria, è, per logica conseguenza, schiettamente antisocialista e antidemagogica. Repugna all'Einaudi il retorico abuso che tutti gli scribi, ignoranti di ogni savia esperienza economica e tecnica, fanno delle frasi già costrutte, delle magiche parole libertà, progresso, democrazia. Tanto gli repugua che si rifiuta di indagare sotto quelle frasi fatte un senso qualunque e ne contesta ogni spiegazione o giustifica:aione. Critica e ironia perfette in uno stile preciso e penetrante di grande scrittore (leggere l'artieolo Il governo delle cose) si ritrovano nell'esame del socialismo di stato e del colletti visino, dove l'odio per le vuotezze declamatorie lo conduce addirittura ad un vizio di unilateralità e di esclusivismo. Marx resta pur sempre per l'Ei.naudi soltanto il tipo del cattivo ricercatore, il negligente raccoglitore di dati che generalizza senza sufficenti basi analitiche, l'economista o ingenuo o in malafede che si è fermato alla formula semplicistica e delllilgogica del plus val.ore : un movimento politico ispirato a una figura di cattivo- scienziato suscit<1,nel nostro una meditata diffidenza. Nè dal punto di vista economico noi sappiamo dargli torto o se con il suo anti-marxismo l'Einau- -di intende offrire qualche buona lezione di scienza economica ai saccenti apostoli di nuove pseudo-teorie che in nome di Marx sacrificano Smith e Ricardo, il progresso industriale e il buon senso, siamo volentieri con lui. Ma forse il suo torto sta nell'aver secondato i pregiudizi di falsifica:J,i seguaci e nell'av~r guardato a Marx . "me a ec0nomista mentre egli è filosofo, storico, profeta, agitatore politico, ma ,non può essere economista, perchè l'economia si fa sul terreno della realtà e del passato, è l'arte dei governi - ed è ignorata inizialmente dai grandi movimenti che sorgono in nome di un imperioso dover essere. Il semplicismo di Marx economista favorisce la grandezza di Marx costruttore di miti. E anche volendo condannare il mito si deve capire e ammirare la concretezza operosa in cui egli fissò la via della realizzazione - facendone un problema di volontà e di forza. Non pare all'Einaudi che - a guardare acutamente - una vicinanza ideale (quella che unisce tutti i grandi tentativi eroici della storia) si possa ritrovare tra lo sforzo che conduce, in piena libertà e indipendenza, alla creazione dell'impero britannico e la libera iniziativa da cui sorge il movimento operaio in corrispondenza dei reali bisogni e delle reali, aspirazioni della civiltà moderna, oltre le generiche premesse dogmatiche? E il marxismo non è esso pure, come i1 liberalismo inglese, una fede formale, un'interpretazione del mondo, un metodo che si oppone validamente ai varii comunismi utopistici appunto in quanto ne nega le formule moralistiche? Anche il movimento operaio è un mirabile esempio di liberismo, anch'esso nasce senza una teoria. E noi pensiamo che il non aver riconosciuto questo fatto (non tanto nell' empiria quotidiana quanto nel l'interpretazione storica del mondo moderno) sia il tot1:o essenziale della visione politica di Luigi Einaudi che spesso si è fermato a dare utili consigli 1:ecnici quando si poneva un problema di forza politica e di esperienza popola.re. Non si nega che la sua op-

b 38 posizione sia stata effettivamente più utile ai proletari di molte chiacçhiere ortodosse : e io peuso che pr.oprio per lo stimolo della sua polemica il problema del risparmio e del lavoro tecnico (disprezzati dai vecchi demagoghi del socialismo) .siano diventati preoccupazione e oggetto cli indagine dei comunisti torinesi : ma forse una più francà simpatia avrebbe meglio chiarito, aiutato ad intendere. Ave,1clo identificato il movimento operaio con le sue statiche formule collettivistiche, l'Einaudi lo ha discusso come una forma di socialismo di Stato. Ciò gli poteva essere consentito dall'esame di alcuni risultati empil·ici d'azione socialista, gli era contestato -dallo spirito autonomista e antiburocratico che presiede al risveglio operaio. ; Certo gli ideali del socialismo di stato si possono con molta ragionevolezza definire gli ideali dell'incapacità. Spiacciono all'Einaudi soprattutto i caratteri diseducatori della dottrina : il riformistico e quietis_tico utilitarismo, l'abdicazione allo spirito di responsabilità e ad ogni effettivo differenziarsi e specializzarsi delle energie produttrici. In uno stadio inferiore di vita sociale, ammessa l'incapacità dell'uomo a pensare da sè, può acquista.re un valore pirov,visoriouna pratica di governo che - quasi a preparare u,n modello - costringa le masse ad nu'opera,di previdenza, organizzazione, solidarietà. Ma se si deve porre l'antitesi tra Inghilterra e Ger:~ia, tra iibertà e organizzazione l'Einaudi sta col primo elemento del dilemma. J\[egare che qÙi vi sia.no.i residui di astrattismo del « lettore appassionato quasi monomaniaco cli libri inglesi » non rnrebbe possibile. Poichè appunto in quur:.o l'antitesi è così recisamente pbsta, trattasi più di una questione cli linguaggio che di una questione sociale. Libertà e organizzazione son termini correlativi che non si distruggono, ma reciprcr....a.mentes'invernuo e non si possono ipostatizzare o qt,asi identificare con due diverse nazioni dove la stessa parola ha una diversa storia e i rapporti tra due identiche designazioni sono profondamente diversi. La «libertà» degli inglesi non è sinonimo della « libertà » dei tedeschi; anzi piuttos'to dell' «organizzazione» e vice,rersa. Anche qui la spiegazione della preferenza dell'Einaudi è di natura teorica e si manifesta poco dopo. « La esperienza storica prova essere impossibile governare secondo « ragione » ; ed essere un fatto incontroverso che i sentimenti, le passioni ed anche i pregiudizi degli uomini sono una forza•di valore grandissimo di cui devono tenere assai conto la scienza e l'arte di governo» (op. cit. pagina 212). In questo riconoscimento della praxis consiste dunque sostanzialmente il suo liberismo che è una fede non una dottrina, e perciò intollerante ma non dogmatica. In siffatta concezione il liberismo economico benchè rimanga talora astratto e limitato tende a inverarsi in un superiore liberismo spirituale. • E' preferibile di gran lunga uno stato di libertà di scambi raggiunto in seguito alla esperienza _di errori protezionisti, che non un libero scambio imposto àalla civiltà alla barbarie ». L'intima natura sp-iritualistica del liberismo dell'Einaudi riesce infine a esprimersi in termini teorici precisi e adeguati, superando le difficoltà dei pregiudizi autifilosofìci, nella limpida e vitale professione di fede : Verso la città ideale. Qui al~ l'ordine, all'autorità, alla disciplina, al dogma viene contrapposto il mito della lotta, de! disordine, della disunione degli spiriti. Certi spunti addirittura hegeliaui, indipendenti da Hegel e consci della propria importanza, stupiscono in un empirista. • L'idea nasce dal contrasto. Se nessuno vi dice che avete torto, voi non sapete più di possedere la verità ... Il giorno della vittoria dell'unico '- <leale di vita la lotta ricomincerebbe perchè • è assurdo che gli uomini si contentino del nulla ... La Storia insegna la fine di tutti gli Stati che vollero imporre un unico ideale di vita». E se l'ordine (dogma) potrebbe essere il regno della felicità, l'Einaudi vede nella guerra europea la sua negazione, la sua repugnauza con la concreta responsabilità degli uomini. Perciò «milioni cli uomini morirono per allontanare dall'Europa l'amaro calice della felicità e dell'unità spirituale ». Non si saprebbe trovare altrove una critica più esplicita e più solida a tutti i dogmatismi - dal cattolico al democratico. Lo Stato. Ora si pu.ò esaminare la teoria dello Stato in cui conclude il pensiero di Einaudi. Lo Stato dei moralisti, è negato in nome di una più profonda eticità nazionale. Accetta dal Treitzsche l'esigenza dello Stato-forza e interpreta accuratamente « non forza fisica com.e fine a se stessa: forza per proteggere e promuovere i supremi btui dell'uomo». Critica poi l'assew..a. in Treitzsche di un positivo ideale etico e l'attribuisce alla mancanza di spirito filosofico. Qui la critica è incongruente e la mancanza di spirito filosofico rimproverata è invece la negazione, che LA RIVOLU·ZIONE LIBERALE '.çr:eitzsche coscientemente instaura, di ogni filosofia dell'essere, d'ogni filosofia non dialettica. L'etièità di Treitzsche è quella stw: sa che altrove professa l'Einaudi, os&ia formale : etica di attività (Kant contro la morale cri'stiaua). Lo Stato cli Einaudi è morale in quanto aderisce alla morale attività dei cittadini e ripudia ogni funzione distinta da quella dei. singoli, ogni astratto compito di elevazione e di illuminismo. Di questa teoria egli scopre soprattutto i motivi polemici e ne mette in chiaro le conseguenze empiriche. Il suo Stato è concepito come « ente il quale assicura agli uomini l'impero della legge ossia di una norma esteriore puramente formale, ali'ombra della quale gli uomini possono sviluppa.re le loro qualità più diverse, possono lottare tra loro per il trionfo degli ideali più diversi» (op. cit. pag. 345). « Noi vogliamo l'unità, ma conquistata vivendo e soffrendo, elevandoci al di sopra della materia, del godimento bruto». Volendo esse- . re anche più espliciti l'unità ·come mito, come idea.le « l'impero della legge come condizione per l'anarchia degli 51)liriti»; la forza nella vita estrinseca; l'unità limitata alle forme e alle condizioni di vita. Posta qu.esta visione dialettica e relativistica il criterio di ogni esame è nell'intima lotta: lo Stato dem,ocratico non si pruò più accettare come governo del numero, delle maggioranze, ma come risultato di un perenne dissidio in cui la maggioranza sussiste in funzione di una minoranza. Così si deve intendere la sua polemica contro ogni forma di ostacolo alla libera discussione, clie giunge anche ad accettare l'ostruzionismo (non per un vuoto libertarismo). I Anglofilismo e tradizione pie~ntese. Spiegata ed esposta organicamente la parte viva dell'anglofilismo di Luigi Einaudi resta - •affinchè la visione sia completa - che se ne caratterizzino i li'miti e se ne indichino i punti debol:i e le contraddizioni. Si trovano le contraddizioni tutte le volte che l'ideale psicologico diventa ideale politico concluso ed esplicito. L'anglofì!ismo ha i suoi torti a p1-iori : per l'arretrata economia italiana una formula di vita inglese, culturalmente accettata e assimilata,. divéuta un ideale trascendente, una norma d'azione non giustificabile in quanto non esistono tra noi quelle forze che la rendono vitale nel suo luogo d'origine. L'aristocrazia tecnico-borghese che governa l'Inghilterra è tra noi in uno stadio appena iniziale : le parole che l'Einaudi rivolge a questo nucleo nascente (trascurando gli altri sforzi moderni) devono tragicamente diventare nella situazione generale italiana prediche senza effettuazione. Pare di sentire talora l'eco del Ferrara. In verità la posizione dell'Einaudi ha storicamente i suoi punti cli coincidenza con la posizione di Ferrara e cli Cavour. Il problema di Ferrara: creare nel piccolo Piemonte la scienza inglese della modernità, è connaturato al progresso della nostra scienza e. della nostra industria: ma nell'Einaudi il lungo studio amoroso della vita economica piemontese (r) e la comprensione ferma dell'opera empirica cavouriaua cercano di dare ai termini teorici dell'.esigeuza una pratica concretezza ad~guata alla nostra tradiz;ione. Volendo chiarire drammaticamente quèste note esegetiche - lottano in Einaudi lo storico e l'economista, il pratico e lo scienziato; insomma due liberismi : Cavour e Ferrara. L'Einaudi supererebbe il dissidio quando nel suo giudizio sulla personalità cavouriana si levasse al disopra delle intenzioni e dei pregiudizi dell'uomo, sino a intenderne in una nuova teoria tutta l'azione reale. Finchè egli valuterà Cavour secondo una visione ferrariana alcuni intimi motivi del Risorgimento Italiano gli sfuggiranno inesorabilmente e il suo tradizionalismo, la sua politica storica che vuol muovere da « concrete e precise esigenze nazionali » saranno soffocate da un astratto auglofilismo. C'è nell'umile realtà del Piemonte dell'Soo (da cui è nata l'Italia) qualcosa che supera gli elementi della cultura inglese. Nell'esame dei grandi problemi internazionali l'Einaudi, accettando l'impostazione inglese, ha dimenticato talvolta, mo·- m.entaneamente, le più care idee della tradizione e persino la più vigorosa : l'idea di una monarchia forte come la sabauda del '600 e del '700. Questi errori sono dovuti al concetto che egli si è fatto della funzione dell'Inghilterra nel mondo moderno. Seguendo il Beer, l'Einaudi è disposto a scorgere nella nazione imperiale la pacifica unificatrice dei popoli, l'annuuziatrice della Società delle Nazioni. Ma l'Inghilterra ha una funzione a patto di esplicarla sempre nuova; è un risultato della storia e avrà il suo valore nella storia futura in relazione alla sua volontà e agli imprevedibili eventi, uou per uno schema metafisico prefisso. Questo noi abbiamo imparato dall'Einaudi: quando egli deprecava un disastro navale dell'Inghilterra come selvaggio delitto, noi avremmo potuto ricordargli, quasi con parole sue, che l'Inghilterra è i=orta!e fin: chè sa esserlo, e non. ha da temere disastri navali fiuchè possiede una funzione nella storia, ma la sua rovina sarebbe indepi:-ecabile quando altri fosse più adatto a soddisfare il suo stesso compito. ' . Le simpatie per il federalismo inglese e p:ei- la Società delle Nazioni, muovono \J.alle stesse premesse della teoria di Normann Auge!. Ma Luigi Einaudi è meno dogmatico e solo raramenfe astrattista. Anche nella sua enunciazione di un pregiudizio si sente lo sforzo di andare oltre, di non irrigidire il pensiero in un luogo comune. Se lo Stato isolato è economicamente impensabile nella società moderna - superato del pari - ne deducevano gli economisti - deve essere ·1•·a11ticoStato sovrano assoluto e indipendente' entro i limiti del proprio territorio. Si sostituiva ad una concreta esperienza politica, ricc~ di una storia, la generalizzazione cli uno schema economico. Il fatto notato per l'economia è vero : e ali' esigenza stanno provvedendo, dovranno prnvvedere i reali fattori tecnici della produzione mondiale. Il liberismo economico è in questo terreno perfettamente valido e sicuro. Ma le conseguenze· politiche che se ne. vogliono trarre definiscono generiche aspirazioni e rettoriche letternrie. L'Einaudi si è sforzato di porre in un organismo politico concreto questi ideali, ma s'è dovuto arrestare a indicazioni di attività, comuhi ad al- ' tri Stati e di indirizzi diplomatici preferibili. Qua.udo ha compreso che la Società delle Nazioni si sfasciava di fronte alle concrete individualità nazionali il teorico dell'Inghilterra ha ceduto il posto allo storico. La Società delle Nazioni è diventata per lui la formula·comprensiva di una politica realistica d.a attuarsi nella relatività della pratica.: riconQscimento della reciproca dipen- ·cleuza delle nazioni nel campo economico, ]iberismo, collaborazione produttiva. L' esperienza di astrattismo prima descritta è nettamente superato e rimau,a; come documento storico di incertezze teoriche. Economia e morale. L'ultima forma di questa sempre identica incertezza (che contribuisce sostanzialmente a caratterizzare l'Einaudi e ne fa uno spirito •inquieto, ricco di problemi complessi, lontano dalle aridezze dei tecnici della economia) esula dal nostro esame specifico .e solo si può bre_vemeute studiare come ri- • tratto del dissidio tra scienziato e politico, tra moralista e osserva.tor-e di fatti economici. La soluzione è data dalla filosofia che definisce scienza e morale come valori di forma, come assoluti che governano il mondo dello spirito e sono anzi propriamente la descrizione del mondo dello spirito e del suo processo e considera la politica e l'empiria come risultati della libera ·operosità degli individui suscitata di momento in momento da tutta una realizzazione storica passata. Le leggi della morale si effettuano nei fatti politici ma non li determinano a priori nel loro con,tenuto. Ha ragione l'Einaudi qua.udo dice che « la scienza. economica è subordinata alla Legge morale e nessun contrasto vi può essere tra quanto l'interesse lungi veggente consiglia agli uomini e quanto ad es-si ordina la coscienza del proprio dovere verso le generazioni future». E certo, senza pretendere di giudicare qui l'attività dell'Einaudi scienziato, tutta la sua importanza nella storia della dottrina consiste essenzialmente nell'a·ver riportato la Scienza delle Finanze dalla molteplicità disorganica della raccolta' di fatti ad un organismo unitario ove sono spiegati i motivi di azione e la genesi della realtà economica secondo un processo aderente alla dialettica della società. Questa considerazione formale dei fatti e- ·conomici è la sola c11epossa giustificare il concetto di una economia scientifica non abbandonata all'arbitrio dell'empiria. Ma se è al disopra dell'empiria questa scienza non la potrà afferrare e prevedere e il giudizio che pretenderà dare a p1·iori del fatto singolo dovrà avere soltanto un valore astratto di esempio; ogni rigorosa deduzione sarebbe ridicola ed erronea; il fatto singolo in quanto s1 deduce da una legge non è più fatto singolo, ma scientifico; il concetto economico che è concetto a patto di non avere contenuto contingente ed intero vale per il singolo ma non è legge sociale penetrabile. La pratica insomma è spiegata, non creata dalla teoria della pratica. L'Einaudi ha visto questo problema più chiaramente cli ogni altro con l'identificazione (fonnale) di economia ed etica (a parte ogni ulteriore distinzione che l'indagine debba introdurvi) : ma non sempre ha abbandonato la pretesa di prevedere la realt:i sociale secondo la sua scienza economica. Onde le prediche e le disillusioni. L'esperienza gli ha dato, quasi tragicamente, il senso del farsi della storia superiore a tutte le leggi, coerente solo a ~ stessa. L'oggetto universale ed esterno della scienza. può consistere soltanto • in questa coerenza. Di qui la sicu,rezza, e la sereni.~ (rara in un economista) con. cui l'Einaudi viène giudicando in questi n1timi anni la realtà e la sua opera stessa. Lo studiare a priori fatti singoli del mondo pratico è ,ancora fatto singolo pratico; lo scienziato diventa e deve diventare uomo, coerente a se steso?◊ : ma tutta 1a sua scienza acquista solo più il valore di espe~euza_ i7:1~i~duale; non · gli si può chiedere 1 mfalhb11ita. La P:axis dell'uomo di scienza parrebbe contra:ddire la sua teoria. La storia soltanto invera i due •momenti, inquadrando quello che era un fatto siuO'olo irrealizzato, non valido che come fatto 0 psi~ologico, nelle leggi di un processo eterno. Di questa coerenza superiore, senza altre intellettualistiche preoccupazioni deve appagarsi il teorico che ha sapnto ascoltare la 1"espousabilità e l'imperativo categorico che lo traeviauo all'azione. Luigi Einaudi ha aiutato tutti gli studiosi alla soluzione del problema, affrontandolo nei suoi termini morali e risolvendolo indipendentemente dalle antinomie filosofi.che. PIERO GoBETTI. UOMIN-1 E IDEE Il giornalismo è un momento della vita ideale da cui una visione dialettica dello spirito non può prescindere. Il giornalista come scrittore che seri ve di ciò che non conosce, che si fa in tre giorni un 'esperienza dove altri elabora la speciaiizzazione di tutta una vita, rappresenta. l'agilità dello spirito che muove alla conquista dell'infinito sapere, che prende coscienzadei modi di attività del pensiero più complessi e diversi. Il giornalismo è dunque il momento della prima effettuazionedella possibilità e la risoluzione della mera potenza in un atto che nella sua imprecisione e complessità è ancora la fotografi.adella potenza. La maturità e l'organicità, dato questo atteggiamento dello spirito, vengono, non per un processo di limitazione, ma attraverso una corsa ali 'approfondimento. Il giornalismo aiuta dunque l'affermarsi di una visione integrale e complessiva della vita, si oppone alla fredda e falsa specializzazione, rappresenta in ogni attimo dello sviluppo la coerenza dell'infinito mondo sto. rico che si deve studiare con la conquistata unità spirituale eia cui lo si considera. * * :j: Accanto a questo giornalismo ideale esiste un giornalismo pratico, di professionisti che ne e la franca· contraddizione. C'è il giornalista ... che nbn cerca gli approfondimenti successivi. Quello che non raggiunge il sistema. Che resta sempre infante, saccente, che non studia più perchè deve scrivere, non pensa perchè deve chiacchierare al caffè, non legge perchè deve fare l 1intervista. Tal quale il professore che non s'affatica il cervello perchè ha già da fare la lezione e non pensa perchè preferisce arrotondare lo stipendio. Che cosa significa per la nostra cultura il fatto che quando si dice professore o giornalista il pubblico pensa soltanto alle due ligure decadenti qui disegn~te? Scrive troppo! eccouna frase con la quale spesso ci si libera dal giudicare seriamente uomini che non riusciremmo a svalutare discutendoli. Arnaldo Fraccaroli resterà pur sempre la figura più caratteristica (e più cara alla maggioranza) della stoltezza giornalistica borghese. Fraccaroli è l'idiota che non s'avvecle cli esserlo e, su tutti i mercati, vende e magnifica c01Ue merce sana la sua dappocaggine. Ma è più plebeo cli un commerciante perchè uon ne ha la disinvoltura e la doppiezza. L'incapacità di ironia verso sè medesimo lo fa goffo : rimane il trastullo sgangherato e grossolano cli chi lo osserva ed è condan~ nato a essere perpetuamente il burattino cli sè stesso, a vedere sempre riflessa in ciò che seri ve e in ciò che lo circonda la propria sciocchezza. Socialmente è la figura del viaggiatore che non si ferma; osservatore impenitente, per il quale il conoscere si confonde col vedere dal finestrino del treno. Il suo libro è la pellicola, il suo pasto il giornaletto umoristico. Se Fraccaroli leggesse Kant. ci ritroverebbe ad ogni riga una freddura : egli non può smentirsi, bisogna che rida ad ogni istante, superficialmente della propria superficialità. La sua 1nateria è internazionale - senza realtà. I fantasmi visti materialmente, cou gli occhi, dal finestrino ciel treno svaniscono quando la fantasia estetica li voglia precisare. Invece di canzon_arequesta sua incapacità cli esprimersi Fraccarnh resta dogmatico, impettito nella sua impotenza, ma tra le risa della pla'tea ci sono pure e ci saranno gli scrosci clell'irouia e della beffa. L'amicizia cli Vittorio Emanuele Orlando cd Ang,:,loMusco: la più sintetica espressione della S1c1'.1acli Nasi nella penisola, i rappresentanti cieli_It;ù1achiacchierona, teatrale, lazzarona, e sentimentale, che conoscono gli stranieri. Il cortigiano e il suo pagliaccio (un Gran Collare e un Gran .Cordone). La lagdmuccia vale la dsata in terra cli mimi: a.i liberti le decorazioni sotto la sacra custoclia delle leggi democratiche. Il critico.

P~ATI E PASGOlil I. - Dall'annuario del 1864 desumiamo .-:he la superficie di prati naturali e artificiali nell'a,ttuale Piemonte, era pressapoco cli 300.000 ettari; e la produzione compless.iva quasi 10 milioni di quintali di foraggio. Le statistiche recenti (1909-14) dàuno una s.uper:fìcie di pr_ati_naturali, artificiali, e erbaj (questi ultimi occupano un 20.000 ettari in media) di 545 mila ettari con una corrispondente produzione di 27.300 milioni di quintali cli foraggio ragguagliati in fieno normale. Ammess.o, come io ammetto, che le cifre riportate siano confrontabili, non c'è da stupire del grande incremento del prodotto, assai più grande di quello della superficie: quando si pensa alle innovazioni introdotte: rotazioni, di concimazioni, di irrigazione; ai dissodamenti di incolti, alla riduzione della s.uperfie coltivata a cereali, riduzione che io credo avvenuta in base a quello che già dis.s.i addietro parlando del grano. Cause queste, che hanno contribuito all'aumento della s.uperficie e della p:roduzione. Quello che fa meraviglia è il non proporzionale aumento nel bèstiame. La quantità di foraggio indicata nou era sufficiente alla quantità di bestiame esistente in Piemonte nella stessa epoca; invece la quantità prodotta ora, stando alle cifre, sarebbe esuberante pei bisogni del bestiame. La cosa non pare molto credibile, tanto più che non risulta che il bestiame sciamantenuto in maniera opulenta, tutt'altro, ma le cifre son là, io le ripeto come le trovo ; e·per poter dire qualche cosa di chiaro sull'argomento, bisognerebbe avere notizie sicure s.ul commercio interno dei prodotti agricoli. La superficie dei prati inigui, assai importanti in Piemonte, raggiunge i 75.000 ettari. Essi sono - dice il Lissone • la base della proclw.ione foraggera, e rappresentano un cospicuo valore, perchè costituiscono il perno dell'industria zootecnica». In Italia i prati irrigui occupano complessivamente 310.000 ettari: di qui si vede s.ubito il posto principale tenuto dal Piemonte. Ap,punto ~rchè es.s.i costituiscono qui il perno dell'industria zootecnica - scriveva lo stesso autore - al tempo del famigerato decreto 10 maggio 1917 : « Nel Piemonte più che altrove è viva l'opposizione contro il dissodamento dei prati e non si può seriamente sperare di indurre gli agriwltori a rompere i prati stabiliti, senza la promessa di un compenso il quale copra ab;neno in parte la grande differenza del prezzo cht corre tra la s.uperficie prativa e quella arata». E riferendosi ai prati artificiali, aggiunge: « Grave difetto dell'agricoltura piemontese, che si riverbera sulla difficoltà in cui si dibatte l'allevamento del bestiame, e sulla s.tessa scarsità 9-ella produzione cli cereali, è la lamentata deficienza di .prati artificiali, in alcune zone quesi sconosciuti ». « È -perciò saggio e provvido consiglio intensificare la semina del trifoglio nei campi a frumento,. Di questo argomento ho parlato a proposito del grano e quel poco che ho detto là può anche valere qui. Certo è che, rispetto alle altre regioni della pianura padana ;] Piemonte, quanto ai prati artificiali, è mol- .to indietro : • Piemonte ha. 198.000 Lombardia » 355.000 Veneto 248.000 Emilia 432.000 Queste .cifre rappresentano la media del dodicennio 1909-20; ma seguendo, pel Piemonte le cifre dal 1909 al 1920, si può notare il s.uccessivo restringersi della. superficie di prati artificiali : ciò vorrebbe dir~ che durante la guerra fu data ai cereali una ~valenza maggiore di prima, anche o_ttenenclo in complesso una produzione mmore. E benchè non sia diminuita l'area dei prati irrigui è molto scemata in complesso la produzione complessiva (compresa quella degli irrigui medesimi). Infatti comprendendo i pascoli e gli erbaj l'Annuario Stat. It. 1917-18 riporta i seguenti dati di produzione complessiva ragguagliata in fieno normale per il Piemonte : Media quinquenn. 19ro-14 Ql. 32. 198.000 anno 1915 33.089.000 » 1916 » 29.856.000 • 1917 » 29.634.000 1918 » 24.529.000 Se si tien conto che la produzione data dai pascoli e dagli erbaj è calcolata in media 2.500.000 quintali di fieno normale, si può subito vedere la grande diminuzione della pi;oduzione dei pra_ti avvenuta nel periodo bellico. La quale s1 s.pi_egaoltre che per la diminuzione di .superficie, anche per le concimazioni più scarse e la meno accurnta larnrazione a causa delle cir<:ostanze già dette. \ LA RIVOLUZIONE LIBERALE Piemontese Ma è sopratutto nei prati artificiali che la diminuzione è avvenuta, riducendo il prodotto complessi,vo di due quinti . Tuttavia osservando che al 1918 la quantità di bestiame era alquanto superiore a quella del 1908 malgrado la falcidia delle requisizioni militari nel bestiame stesso e nel foraggio prodotto; bisognerebbe concludere, salvo la veridicità delle cifre uflìciaLi, che non si è avuta da lamentare, da parte degli allevatori, una vera scarsità di foraggio. 2. - I pascoli si trovano specialmente nella regione di montagna, a notevoli altitudini, dove salgono dalle valli le mandre a pascolare nella stagione calda. Essi occupano complessivamente in Piemonte un'area da 400 a 450 mila ettari ; e si calcola per essi una. produzione di foraggi che oscilla intorno a due milioni cli quintali in fieno normale. Essi sono, in gran parte, di proprietà pubblica, e tenuti quasi sempre in estremo disordine. Su di· essi la pastura si esercita di solito in modo promiscuo, senza nessuna organizzazione degli abitanti locali; e per conseguenza è facile immaginare quali debbano essere le condizioni di tali terreni, dei quali as.s.ai poco si occupano le pubbliche amn;iinistrazioni e nulla, come è naturale pens.are, i montanari. (1). Questi pascoli sono sorti spesso là dove sempre, data la posizione del terreno, avrebbe dovuto rimanere il bosco e perciò la loro esistenza è stata effimera essendo che le intemperie e i frammenti ne hanno. prodotta la degradazione. Notevoli estensioni di pascolo sono state trasformate in prati falciabili, ai quali si prodigano grandi cure; ma quanto al pascolo rimanente, sia pure di privata proprietà, bisogna dire che in generale, o per il sovraccarico cleU'Alpe, con quantità di bestiame superiore a quella che il pascolo di una certa località può alimentare, o per la trascuranza di quegli elementari precetti che i pastori dovrebbero seguire per la conservazione o la ricostituzione dei pa1coli stessi : esso è lontano da.I dare in modo pieno quei vantaggi che l'allevamento del bestiame potrebbe ritrarre dall'alpeggio. « Prati e pascoli sono generalmente scaglionati a diverse altitt1dini Ja.] fondo del:a vallata all'alto pascolo alpino, alla malgu, che si spinge oltre il limite superiore deì bosco. Il bestiame, migrando dalla valle al monte, segue il successivo inizio della vegetazione alle varie altitudini, per migrare poi dinuovo dal monte alla valle, dalle sedi estive a quelle invernali. Di qui la moltiplicità delle abitazioni e dei ricoveri, scaglionati alle varie altitudini; di qui anche la frammentazione in più appezzamenti della proprietà di ciascuno : frammentazione la quale doVllta anche. a consuetudini ereditarie, va poi spesso molto più oltre di quanto le ragioni della diversa stagione vegetativa, in rapporto alle altitudini, richiederebbero». (Serpier·i). La mancanza di p-roporzione tra il prodotto degli alti pascoli e quello dei prati a piè del monte, fa sì che non di rado il bestiame deve trasmigrare verso la pianura. Così si vedono mandre e greggi che tendono a svernare al piano; la pratica tuttavia, nota il Serpier-i, è in decadenza e non abbiamo a dolercene. Perchè i mandriani non dimostrano poi uno zelo ecoessivo a trattenere sulle strade le bestie che hanno in loro custodia, senza che facciano incursioni nei terreni coltivati che le strade attraversano; e la cosa non deve far molto piacere ai contadini danneggiati. Tanto più che non di rado avvengono vere e furtive invasioni in campi e prati. In conclusione c'è da augurarsi che si faccia Ji tutto perchè ai pascoli siano pres.tate più cure che ora non si faccia, scia dal lato della colti<vazione che da quello dello sfruttamento , il quale, là dove si esercita in comune su proprietà pubblica, dovrebbe essere fatto da consorzii di comunisti che provvedano ancbe al miglioramento, nonchè alla conservazione del pascolo che loro serve. 13ESTIA1Y.[E r. - In epoche diverse, la quantità di bestiame esistente in Piemonte è rappresentata dalìe seguenti cifre : 1876-81 1908 1914 1918 Cavalli 339n 6oo44 51039 Asini 29626 14739 n5000 15922 Mtùi e bard. 24176 26749 18447 Bovini 842940 961436 1076000 10o8143 Bufali n3 20 43 Suini 85301 186137 215000 146489 Ovini 365354 252745 255814 Caprini . 141473 149716 188640 (2) ., L'allevamento degli equini ha quasi nessuna impo1ianza. « Considerando che nel Piemonte la proprietà è molto frazionata e che i la!Voriagricoli si compiono mediante i bovini s.i comprenderà facilmente come questa non sia regione dove l'allevamento degli equini possa esercitarsi su vasta scala, opponendosi l'agricoltura intensiva ed il maggior tornaconto dei coltivatori-allevatori di curare il bestiame bovino che riesce più rimunerativo• (3). Quanto ai suini l'allevamento è più esteso, ma non come nelle altre regioni dell'Italia settentrionale nella Toscana e nella Campania, regioni dove l'allevamento stesso ha un indirizzo uniforme e si sviluppa attorno a pregevoli razze locali. Durante la guerra la produzione è assai discesa per il difetto di adeguati mezzi cli alimentazione (4) ma ha fortemente ripreso in questi ultimi tre anni, dopo il censimento: molti improvvisati allevatori si sono dati a questa industria., con nessuna preparazione, per l'attrattiva dei prezzi elevati; ma non so se l'attuale voga possa consolidarsi e mantenersi. Certo è che nella nostra regione esistono le condizioni d'ambiente per una vas.ta suinicoltura, tanto più se saranno s.eguìti i nuovi metodi cli allevamento all'aperto, ma si richiede anche una certa istnizione tecnica in coloro che vi si dedicano, istruzione che pochi hanno. In generale la popolazione ovina piemontese è molto degenerata e ben poco conserva della faina che già ebbe in altre epoche. Fa eccezione soltanto .la razza Biellese non molto dissimile dalla pregevole razza Bergamasca; è una discreta produttrice di carne e latte, ma la lana che rende è di qualità scadente. Un importantissimo posto occupa invece l'allevamento dei bovini, e a questo riguardo si può dire che il Piemonte, sia per le sue razze che per il numero dei suoi capi (per questo viene dopo la Lombardia e l'Emilia ma a piccola distanza, dopo L'ultimo censimento) è una delle prime regioni dell'Italia. Sulla distribuzione topografica delle varie razze scrive il Couin : « Nous pouvons nous figu1-er le Piémont camme constitué par un croissant de montagnes entourant une vallée centrale qu'arrose le Po. En descendant des cimes où ils prennent nais.sance !es nombreau..-xaffluents. du fleuve creusent des. vallées dans chacune 'des quelles vit une famille bovine, plus ou moins distincte, qui· va en s'améliorant au fur et à mesun: que le niveau s'abaisse, et vient fusionner avec la race améliorée qui occupe un, grand cerck limité par Chivasso, au nord, Vigoue à l'ouest, Fossario au sud, Bra à l'est, et, au centre, Carmagnole dont elle à pris le nom » (5). Fra le razze bovine allevate in Piemonte, scrive il Vezzani, la più notevole e più diffusa è la razza piemontese della pianura che si suddivide da alcuni in varietà scelta della f>ianura o varietà di Carmagnola, che e appunto quella testè indicata, ed in varietà ordinaria della pianura., che vive nelle: valli della provincia cli Cuneo specialmente. Le razze piemontesi hanno in generale attitudini per il lavoro e la produzione di carne e' latte. Dato l'allevamento ancora non molto intenso del bestiame in Piemonte, questa triplice attitudine si adatta bene alla struttura agraria della regione. Ma l'una o l'altra ha la prevalenza a seconda delle forme e dei bisogni dell'agricoltura nelle varie località; e la tendenza alla specializzazione diventa sempre più notevole, orientandosi verso la. produzione di lavoro in provincia di Alessandria e intensificandosi verso la produzione lattifera nelle rimanenti province. Quest'ultima specializzazione ha contribuito a rendere più acuta la crisi della carne manifestatasi ed accentuatasi nell'ultimo decennio, e r...r questo motivo non incontra grande favore presso una grande classe di consumatori, e presso gli studiosi che si preoccupano degli interessi di costoro e delle diminuite esportazioni e delle aumentate importazioni di animali. Lo svilupparsi e l'estendersi del caseificio « la crescente rjchiesta dei prodotti di questo, non ha tardato ad indirizzare l'allevatore su cli una via più sicura e più lucrosa, quella della produzione del latte. Ed oggi, infatti, in molte parti dell'Italia settentrionale non solo non s.i ingrassano più bovini, ma a centinaia i giovani vitelli, prima ancora che raggiungano un certo sviluppo vengono sacrificati al macello» (6). . Così si è scritto e non senza ragione. Ma il fatto non si è sempre considerato colla dovuta obbiettività; e le critiche si sono fatte in opposto senso, senza avere una esatta conoscenza del problema. Intanto sarebbe assurdo voler pretendere che gli allevatori non s.i disfacessero dei vitelli che per la loro cattiva conformazione non sarebbero suscettibili· di proficuo sviluppo, oppure, nelle annate che il foraggio è caro per la sua scarsità, essi si sobbarcas3t sera gravi spese per mantenere, senza convenienza la vita ai nuovi nati. Poi < in prossimità dei maggiori centri è certo che la domanda delle così dette carni bianche si accentua assai e l'agricoltura deve soddisfarla, come farebbe qualsiasi altro produttore, mentre d'altra parte i prezzi ivi acquisiti dal latte in natura sono tali da consigliarne il minor consumo possibile pei bisogni della stalla•. In altri luoghi, dove tali circostanze non esistono, l'agricoltura seguirà indirizzi diversi : o trasformerà il latte in latticini, o alleverà i vitelli in maggior numero seguendo s.empre strettamente il suo tornaconto. Non v'è nulla di strano in tutto ciò. Molto si è già fatto negli ultimi tempi per il miglioramento dei bovini piemontesi, se pure non sempre con ottimi risultati. Da tempo si introducono in Piemonte razze estere specializzate per la produzione del latte; s.opratutto nelle aziende del Novarese e nelle vaccherie attorno alle grandi città s'importano e si allevano di preferenza vacche Schwiz, e in parte olaBdesi. Per il miglioramento dei bovini piemontesi di piano e di qualche razza montanina, gli allevatori piemontesi perseverano nella via della selezione; i bovini dell' Ossola si vanno invece migliorando mediante importazione cli s.celti riproduttori di raz-ba bruna alpina, mentre per altre raz-.te cli montagna della provincia cli Toriuo si importano riproduttori Tarini e Simmental. Altre razze estere pure importate in Piemonte, in piccola scala, furono la Durhann, la Brettone e la Charolaise. In Piemonte si può contare una media 34,8 bovini per Kmq. cifra inferiore cli molto ai 50,3 della Lombardia e 51,9 dell'Emilia. Già ho accennato alla causa di tale inferiorità e ai modi della sua rimozione. Ma a comporre questa media concorrono cifre assai diverse a seconda dei luoghi : in taluni l'allevamento ha raggiunto un alto grado cli sviluppo, in altri si svolge in condizioni arretrate. Altro è l'alleva.mento della pianura irrigata, altro è quello dalla pianura ~sciutta, della collina, e della montagna. Il Piemonte, delle regioni dell'Italia settentrionale è 011ellache meno s'accosta colla media per Ku{q. alle cifre dei paesi più progrediti; e tuttavia in esse l'industria zoote<:- nica ha pur sempre larghe possibilità di sicuro sviluppo. Il quale, però, non credo che sarà tanto presto raggiunto. Scriveva recentemente lo. Zannoni che nell'allevamento del bestiame « purtroppo persiste una deplorevole stasi, una neghittosità ed una trascuratezza delle nonne igieniche e tecniche le quali, eccezione fatta per alcune località, sono davvero impresionanti ». Egli scrivendo queste parole si riferiva in modo speciale alla provincia di Alessandria, ma anche nelle altre province le condizioni non sono di gran lunga migliori. Tuttavia sarebbe ingiusto di non riconoscere che la buona volontà di avviarsi su migliiori cammini c'è: quello che manca è un'uniformità di criterii, una guida s.icura di norme razionali, una cooperazione efficace, fra gli allevatori; difetti questi che come vedremo s.ono difficili da eliminare più di quanto non sembri. BERNARDO GIOVENALE. (r) Per n1agg10n notizie, SERPIERI: La Montagna, i boschi e i pascoli; L'Italia Agricola. ed il su.o air"enire, fase. 2.; e il bellissimo libro del compianto VoGLIN0: Boschi e pascoli alpestri - Casale, 1912. (2) Cfr. VEZZANI: Industria zootecnica. Produzi.one, connnercio, regi?ne doganale. - Roma, 1918 - Pagg. 24, 26, 30, 31, 32, 33. - Annuario statistico italiano - 1917-18. Pagg. 177-178. (3) Cfr. AI.BERTI : Il bestiame e l'agrico . ura in fta.lia - Milano, 19()6, pagina 25. (4) Cfr. PIR0CCHI: Il patrimonio zootecnico italiano e i suoi pi?.t u.rgenti probl-enii. - Bologna, 1919, pag-. 25. (5) Cfr. Les bo-v-inesdu Piémont in L' Agricult·ure en ltat-te, estr. della Vie Apicale et rurale. - Paris, r920. (6) Cfr. GIULIANI: La cris'.idella carne in Ital'ia. - Catania, 1911, pagina 15. Ognuno dei libri sottonotati (in buone condizioni-) si spedisce senza aumento di prezzo a chi manderà una ca1tolina vaglia alla nostra ammi• uistrazione (Via XX Settembre, 6o). Per la raccomandazione aggiungere L. r. EwERS : Il raccapriccio (in tonso: invece di L. 6,6o) L. 5. VERGA: I mala-voglia (in tonso : invece di L. 9,90) L. 7. > E·ua (invece di L. 7) L. 4. PREZZ0LINI: Vittorio Veneto (in tonso: invece di lire 3) L. 2. BRACCO: Tra le arti e gl-i artisti (invece di lire 8,80) L. 6. DEGAS(16 opere , La Voce,) in tonso: invece di lire 5,50) L. 4· ROUSSEAU(12 opere , La Voce») (in tonso·: invece di L. 5,50) L. 4. O. NIGR0: Jns primae noctis (invece di lire 7,70) lire 4. i\1oRIKE: No-ve/le (in tonso: inYece di L. 7,70) lire 6.

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