La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 7 - 2 aprile 1922

Storico Settima:ci.o.1e di ~o1itica -==========,,,,.,,,,=======,ir==============~================= Anno I. N. 7 2 Aprile 1922 -------- Edita dalla-------- Casa Editrice Energie Nuove fondata e diretta da PIERO GOBETTI TORINO • Via Venti Settembre, n. 60 • TORINO A~~~nAMfNII Per il 1922: L. 20 (pagabilo in due quote • di L. 10) - Abbonamento cumulativo con e IL • BRRETTI• L.32 (pagabile in due quote di L.16) IL BARETTI SUPPLEMENTO L T ERARI OMENSILE Non s1 vende separatamente UN ·NU.M:ERO LIRE (Conto C<n'1'ente Postale)------- O,ffO SOMMARIO: P. GOBETTJ: Storia dei comunisti torinesi, ecritta da un liberale - N. SA.PEGNO: Note di coltura storica. - 1° G. De,Santie,-ANTIGUELFO: Esperienza liberale - (Rivoluzione e disciplina - La tragedia della Polonia - La scuola cattolica - Lo Stato etioo - Liberalismo e operai) - R. GIOTBNALE: Letture di economia - Il critico: Note - Antolou;la, Storia dei comunisti torinesi soritta da un. 1ibera1e 'l'oPino, Rgnelli e il mooimenfo opePaio. Il movimento comunista torinese negli an• ni 1918-r920 si presenta con un'organicità di pensiero e una serietà di intenzioni che suscitano meraviglia e interesse anche in un &vversario. Vi è una rigidezza che, per l'intransigenza, è diventata quasi un mito nel pensiero di chi l'b.a considerata da lontano. In realtà dall'esperienza politica torinese è n.ato il Partito Comunista e se ne possono rintracciare i documenti di tre anni almeno r.ntecedenti alla costituzione ufficiale. Ragioni storiche compl~e hanno fis~at_oal mo- \n-1t1entoooeraio tonnese cairattenstiche onginalissime con conseguenze di importanza storica eccezionale. Per gli sforzi operosi di un nucleo intelligente di capitani d'industria (i s'?li che ab1:>Janodiritto- a chi.amarsi borghesi nel senso economico della parola) allo scoppiare della •·ueiTa europea c'era a Torino, almeno ini- ~ialmente una vera industria moderna. La guerra i~tensific? il lavoro:. per opera di Giovanni Agnelli, un sohtano eroe del ca.. pitalismo moderno, si venne cr~ndo una del- -le più solide forre mdustnah del nostro .Paese : le officine Fiat-Centro da cui l'attività cittadina ritrasse nuova fisonomia. • Si tratta - per dirla con uno scrittore comunista - di un gigantesco apparato mdustriale che corrisponde a un piccolo stato capitalista, che è un piccolo stato capit::i,lista e imperialista, perchè detta legge all'rndu• stria meccanica torinese, perchè tende, con la sua produttività eccezionale, _a prost~are e ad assorbire tutti i concorrenti : un p1ccolo • stato asso)u,to che ha il suo autocrate•. L'importanza delle officine Fiat-Ce_ntro trascen .. deva la mera importanza tecmca ed economica che avevano, a mo' d'esempio, gli stabilimenti Ansaldo o Ilva, per produrre e affermare una situazione specificamente politica. L'industria moderna per eccellenza, l'industria modello si sviluppava in una città e creava una nuova psicologia del cittadino. Torino diventò negli anni di guerra la città per eccellenza dell'industria: di un'industria. aristocratica accentrata, attraverso una formidabile ~elezione di spiriti e capacità, nelle mani di pochi uomini ~eniali, di un:;ndustri_a specializzata sino a diventar~ funz10ne '.nd1spensabile e prima c~llula _di un orgamsmo economico che amphandos1 a tutta la nazione doveva darle la sua personalità di Stato moderno. (L'antitesi con Milano non _poteva essere più netta: Milano co:nmeraale di fronte a Torino industriale, Milano hberisticamente frammentaria di fronte a Torine.,, organismo iniziale). L'accentramento industriale creò l'accentrapiento operaio. La selezione dègli spiriti direttivi promosse e determinò la selezione delle intelligenze operaie, la specializzazione della mano d'opera .. Questa cooperazione tecnica non doveva creare illusioni nel giudizio delle conseguen .. ze p:>litiche. Il capitalismo organizzandosi secondo la sua estrema logica ideale - con un processo che poteva infine, apparentemente, dar ragione a Marx -. costr:ingeva il movimento operaio a raccogliersi _mtor1;10_alle sue premesse ideali, a organ1zzars1 mtorno al suo centro pratico e _lo ai~ta_va direttamente ad esprimere la logica d1. se stesso. . . . I vecchi miti della socialdemocrar,.ia italiana 0 straniera le formule intellettualisticamente dedotte dai C apitade o dagli altri testi socialisti (fragili conseguenze astrattamente rivoluzionarie o riformiste a seconda dei temperamenti che le rivivevano) caddero di fronte alla moderna esperienza. Alla visione politica di chi li accettavta restò il dilemma tra la. confusa agitazione demagogica (Bombacci) o il pauroso ripiegamento retrivo del riformismo (Treves, Modiglian~). Chi presentì invece le nuove esigenze e si avvicinò alle classi popolari per studiarle, ne avvertì la struttura essenzialmente mutata. S'affermavano ormai., qua e là, vigorose minoranze operaie che, conquistata una coscienza di classe, ne deducevano con logica sicura. b propria posizione pratica di lotta. L'ideale di una classe operaia aristocratica, conscia della sua forza, capace di rinnovare con sè stessa il mondo - quale era balenato a.lla lucida visione storica di Marx e di Sorel e che a.l disopra. delle equivoche costruzioni pseudo-economiche costituiva il loro pensiero più profondo - trovava il pU11.toconcreto in cui inserirsi fecondamente per lo svilu;>P" della vita italiana. La specializzazione quasi tayloristica del lavoro dava all'operaio la coscienza della sua necessità. Contro il piatto ideale pseudoamericano di un lavoro ridotto a meccanica, complesse esigenze di produzione, facendo partecipare un nucleo sempre più numeroso di eletti al segreto e alla difficoltà del La- ,,oro creativo, generavano nel salariato una oscura coscienza di aristocraticità e di idealismo che si traduceva.nÒ in un bisogno di potere. Così si incontravano i due momenti della civiltà moderna nel culmine più perfetto del loro tormentoso ascendere. Intorno a queste eroiche figure dì dominatori (operai, industri,ali, intraprenditori) si raccoglieva la massa e dava alimento e universalità al cozzo fecondo. La città divenuta· centro delle aspirazioni e della ·Vitache la circondano obbliga gli immigrati (operai manuali, piccoli borghesi commercianti) ad accettare il loro posto di combattimento tra le opposte esigenze che si contrastano e di cui solo i migliori hanno la direzione e la· conoscenza. , Di fronte all'Italia, indifferente a questo processo tocbinoso e troppo celere, pare che a Torino debba incombere un'altra volta il compito di riconquistare la penisola. La teoria di questa nuova realtà economica e ideale fu tentata da un gruppo di giovani oscuri che l'Italia ufficiale non ha conosciuto e non conosce. Ess.i elaborarono dall' esperienza politica a cui assistevano l'idea di un organismo che sistemasse tutti gli sforzi produttivi legittimi, che aderisse plasticamente alla realtà delle forze storiche ordinandole liberamente in una gerarchia di funzioni, di valori, di necessità. Il consiglio di fabbrica, nel quale le esigenze del risparmio, dell'intrapresa, dell'opera esecutrice, si or ganizzano secondo le .attività che ciascuna riesce a risvegliare, fu la loro idea nuova ed operosa, intorno a cui cercarono di raccogliere il movimento operaio e di dargli una personalità. Accanto e contro la loro caratteristica esperienza torinese si determinava intanto nna nuova situazione internazionale che svegliava altri ideali, altre antinomie e li costringeva alla risoluzione di nuovi problemi di tattica, di teoria, di psicologia popolare. Contemporanea con la situazione rivoluzionaria torinese insomma (ma per nulla coincidente con essa) si rivelava una situazione rivoluzionaria internazionale, fatta di aspira.7..ioni 10ecag1nob1neo messianiche insòddisfatte, di miseria e di impotenza. Questi astrattismi e queste illusioni appunto prevalsero nella maggioranza dei proletari italiani. Il mito dei teorici del consiglio di fabbrica torinese si spezzò perchè essi non seppero risolvere il problema politico delle relazioni tra il loro movimento rivoluzionario concreto e la confusa incertezza degli impulsi nascosti dominanti le altre masse po]X>lari della nazione. GPalflsei e "Il GPi<lodel Popolo,,. Se si vuole penetrare nelle intime caratteristiche di cultura e di psicologia della minoranza direttrice dei comU11isti torinesi bisogna risalire alla storia del giorna,lismo socialista di qualche anno addietro. Allo scoppio della guerra europea il socialismo torinese appariva piatto e grossolano, come nelle molte altre città provinciali. Invece di u.na politica idealistica, capace di esercitare una qualche influenza educatrice sulle masse, invece di organizzare le idee, alla peggio, intorno all'astratta ma pur sempre generosa bandiera dell' internazionalismo, i più professavano, prendendolo a pre-, stito dai giolittiani un gretto neutralismo, arido, senza motivi spirituali, utilitarista, p'ù o meno eiustificabile in una mentalità di governo, ma ripugnante in un partito di masse. La mancanza di idealità corrispondeva alla mancanza di un nucleo di dirigenti colti e operosi. In mezzo a quest'inerzia di pensiero fu notato un giovane solitario, Antonio Gramsci, il quale già mentre compiva i suoi studi letterari all'Università, si era iscritto al Partito Socialista, forse più per ragioni umanitarie, maturate nella sua pessimistica solitudine di sardo emigrato, che per una netta concez.ione rivoluziona.ria. Il Gramsci non tardò tutta.via a formarsi una cultura politica e, nonostante la sua riluttanza e timidezza, Serrati, con notevole perspicacia, lo volle collaboratore e corrispondente politico del!' A vanti I da Torino. Più tardi, nella pagina del giornale dedicata alla vita torinese, il Gramsci si affermò come forn1idabile polemista di argomenti sociali e letterari ; ebbe uno stile suo, feroce, incalzante, serenamente distruttore, di una dialettica rudezza cni il giornale socialista non era uso. Molti tra i suoi scrittei:elli Sotto la Mole, e alcune recensioni teatrali dello stesso tempo meriterebbero di essere raccolti e ne verrebbe un libro originale che nella letteratura .moderna italiana, così povera di opere polemiche di stile, definirebbe UJJa nuova personalità di scrittore. Ma Gramsci ha dimenticato questi scritti antichi e sorriderebbe sentendoli ricordare. La sua nuova attività di teorico della rivoluzione comincia con la sua opera nell Grido del Popolo. Il modesto giornaletto di propaganda di partito diventò per lui una rivista di cultura e di pensiero. Vi pubblicò le prime traduzioni degli scritti rivoluzionari russi. Si propose l'esegesi politica. dell'azione dei bolscevichi. A capo di quest'opera, benchè direttore apparente fosse altri, si sente il cervello di Gramsci. La figura di Lenin gli appariva come una volontà eroica di liberazione : i motivi ideali che formavano il mito bolscevico, nascostamente fervidi nella psicologia popolare, dovevano costituire non ii modello di una rivoluzione italiana, ma l'incitamento a una libera iniziativa operante dal basso. Le esigenze antibnrocratiche della rivoluzione italiana erano già state avvertite dal Gramsci sin dal 19r7 quando il suo pensiero autonomista 5i concretò in uu numero unico La Città futu.ra, pubblicato come modello e annuncio di u.n futuro giornale di cultura politica operaia. h'Op<fine Nuooo. _La Città futura diventò, nel r919, L'Ordine Nuovo~ il solo documento di giornalismo nvoluz1onano e marxista che sia apparso (con qualche serietà ideale) in Italia. N_ell'Ordine Nuovo il tragico dissidio di ogni azione politica italiana - ineluttabilmente incerta tra una tendenza autonom:- 5!a e una tradizione riformista (Mazzini e Cavour) - s1 avvertì sin dai primi numeri. Gramsci non era più solo. Dei tre condirettori: . Tasca, Togliatti e Terracini, questi ult1m1 non avevano ancora un pensiero rivoluz10nano preòso e si decisero poi. (Il tempe_ramento di Terracini è di politico pi:ì che di teonco. Non l'interessa l'elaborazione della teoria se non come interessa a Lenin (strumento di azione). Decise qua-ndo l'ora fu matura, serenamente, e l'essersi schierato col Gramsci, l'aver combattuto Serrati, dimostr<l: quanto lucidamente egli ve- ?es~e, da _prati~o, la que~tione de) socialismo 1tahano. E antJdemagog1co per sistema ari- • stocratico, contrario alle violenze oratorie ragionatore dialett_ico, sottile, implacabile'. fatto per la P?leil1Ica e per l'azione perchè trovando 11 ~to. n~lla realtà non si preoccupa. tanto di chrnnrlo quanto di adeguarlo alle _sue intenzioni. Certo non vo,rremmo che c, _s1n~ondessero i pericoli di questo machiaivelhsmo. Togliatti non ha avuto ancora responsabilità direttive nell'azione è tratto alla politica da una solida prepara;ione ma si trova in lui una inquietudine talvolt; addiri~tn:ra ~'_irrequietezza che pare einismo ed e 10decis1one, dalla quale ci si devono aspettare forse molte sorprese e che ad ogni modo deve mdurre a una certa sospensiooe di giudizio). Il dissidio scoppiò tra il Gramsci e il Tasca e port~ il Gramsci a una posizione dommante, nvelando in lni il solo uomo maturo per i nuovi problemi. Angelo Tasca che ora è segretario del!' Alleanza Cooperati'. va tonnese, posto di fiducia che egli solo può mantenere perchè è il solo comunista che. n?n ab?ia l'odio intransigente dei SO• ciahstJ! 'V'eruvaal movimento politico da una educazione prevalentemente letteraria e con mentalità di propagandista di coltu'ra edi apostolo democratico. Amico del Grams6 egli no'7 ne a:veva seguito l'evoluzione spe'. c_1ficad1 pensiero. Collaboratore per simpatJ~ e per ~dare di propagandista, pensa.va L Ordine Nuovo come una rivista di idee che ripren?endo Antonio Labriola si riproponesse 11problema storico della revisione del marxismo e la storia del movimento intellettuale italiano. Cominciò con una serie di studi su Louis Blanc; e volse il suo interesse al problema della piccola proprietà con atteggiamenti senti1:11entaliquasi piccolo-borg_hes1: qualcosa d1 turatiano, di patriarca.le nma.neva nel suo pensiero. Socialismo di un lettera~, di un messianico che concepiva la redenz10ne delle masse come palingenesi il, luministica e alla civiltà moderna sovrappon~va un suo sogno angusto di virtù operaia piccolo-borghese, che nascesse e si alimentass~ ,di abitudini patriarcali, di u.na tranquilhta raccolta nella ca.sa-giardino. È notevole il fatto che egli sia riuscito a liberarsi poi da queste ideologie e nel suo fervore e nella sua letteratura abbia saputo ritrovare una forte capacità tecnica di azione pratica e amministrativa: criticando il suo tempera.mento politico bisogna rendergli questa giustizia. Dopo i primi mesi durante i quali L'Ordine Nuovo visse una vita esteriore e sterile (le sole cose vive erano akU11e brillanti cronache colturali dovute al Togliatti) il Gramsci impose la sua originalità di teorico richiamand_o l'att~ni:i~ dei compagni al problema dei Consigli eh fabbrica.

biu 26 I quali dovevano essel'e nel suo pensiero i quadri del nuovo Sta,to operaio, e nel periodo di lotta violenta i quadri dell'esercito rivoluzionario: alle astratte propagande si trattava di sostituire un' àZione concreta : gli, opera.i dovevano abituarsi a una reale disciplina e a un cosciente esercizio d'autorità, dovevano acquistare, a contatto coi loro organismi di lavoro, una mentalità di produttori e di dasse dirigente. Se ne\1a fabbrica si svolge la vita operaia, nella fabbrica si devono organizza.re gli operai per resistere di fronte agli industrìaii. Il nuovo Stato che •on sorge più in nome degli astratti diritti e doveri del cittadino, ma secondo l'operosità dei lavqratori, deve aderire plasticamente .~gli organismi ìn cui la loro attività si svolge e di qui attingere la conoscenza dei loro bisogni, l'esame dei loro problemi. Comunque si debba giudicare della validità pratica di tali formule, questa era finalmente una concezione rivoluzionaria, di fronte a cui tutto il bagaglio di astrattismo e di riformismo doveva cadere. Il sindacalismo di Tasca, che accettava i Consigli per attribuirvi lo stesso valore dei Sindacati, si rivelava inadeguato alla nuova coscienza operaia che bisognava instaurare. Tasca trionfò, per un istante e per un equivoco, nel consiglio camerale, ma dovette lasciare L'Ordine Nuovo e rimanere estraneo a.i nuovi esperimenti di lotta di classe. La rivista diventò il centro a cui affluirono i nuclei più coscienti dei proletari, che ne attesero la parola d'ordine nelle lotte più gravi, nel momenti più incerti. L'occupazione delle fabbriche e la campagna elettorale per la conquista del comune furono gli episodi culminanti : ma contro l'azione della nuova aristocrazia stava il peso morto delt'eredità socialista, l'incapacità dei dirigenti ·confederali, gli ideali utilitaristi delle mases, lo spirito reazionario (riformista) dei contadini venuti al partito, la vigliaccheria degli ur:ivisti : e in questo dissidio, che è assai degno di essere studiato più profondamente. 1i movimento si confuse sino a perdere la sua capacità risolutrice. Il Consiglio di fahhriea. Per tutto l'anno 1920 il Consiglio di Fabbrica fu il centro dell'attività rivoluzionaria, il problema intorno a cui si distinsern le varie sfumature del movimento operaio, l'organo della lotta contro le organizzazioni industriali. Mentre queste, seguendo esigenze locali si mostravano fortemente battagliere e si ~ntivano moralmente e intellettualmente alla testa del movimento industriale della nazione, gli scrittori dell'Ordine Niw·vo capivano di non JX)ter resistere coi vecchi prin· cipi di comuni discussioni sindacali, di non poter aderire alla tattica meramente economica della. Confederazione generale del Lavoro quando il movimento impegnava la personalità degli interessati integralmente : la lotta generale doveva avvenire su. un fronte unico di azione. Come questo pensiero s1 elaborasse come si svolgessero le discussioni prelim-i~ tra fautori e aw,ersari dei Consigli di fabbrica, il lettore può vedere 111 un_libro di M. Guarnieri: I Consigli di Fabbrica, (Il Solco, Città di Castello, 1921). (Il Guarnieri h.a tendenze riformiste e per conservare un attego-iamento di imparzialità si appaga di un eclettismo alquanto confuso. Chi n;m abbia seguito il movimento a Tonno ~ giornali locali non può attingere dal libro un criterio che rechi luce sulle sfumatw:e della lotta e ne indichi i punti culminanti. La c-Oinpilazioneè tuttavia interessante perchè raccoglie alcuni documenti notevoli). Il dissidio teorico e pratico ha, come avvmimmo, caratteristiche schiettamente torinesi e corrisponde a condizioni di più raffinato progresso tecnico e di più viva comprensione dei rapporti politici. delle classi sul terreno della produzione. Nell'agosto del 1919, quando già il G:ramsci ~v~va pos~ chiaramente la sua tes,1 nella nV1Sta settimanale Ordine Nuovo, alcuni gruppi di operai della Fiat-Centro, coi quali il movimento intellettuale comunista era in intimo rapporto di discussione e di collaborazione, pensarono di creare i nuovi organismi di lotta e di organizzazione proletaria moven<lo da nn'istitu.zione preesistente: le Commissioni interne. Queste, sorte da parecchi anni a Torino senza notevoli opposizioni da parte degli i;dm,i:riali, erano destinate secondo il pacifico Colombina a costituire un.a nuova specie di scuola d'arti e mestieri e nel segreto pensiero del Buozzi avrebbero perfino potuto recare incremento alla produzione. Si trattava ora di rinunciare ai limiti dell'organizzazione economica, di affermare le Commissioni interne come organismi politici di far riconoscere loro un potere accanto e c~tro il potere padronale, di estenderle fino a farle diventare veri e proprii Consigli di Fabbrica che imponessero agli operai la loro disciplina e li organizzassero secondo la naturale gerarchia <li produzione. L'esperienza insegnò subito che le C. I. potevan() essere per le psicologie individuali un buon punto di partenza : ma le funzioni del nuovo a l,; LA RIVOLUZIONE LIBERALE Consiglio dovevano rimanere d.istinte dalle antiche della Commissione e si crearono per c:gni reparto i nuovi t.ommissari con funzioni direttive del mav:imento operaio. . L'Ordine Nuovo (aiutato dall'edizione tot rinese del!' Avanti! diretta dal Pastore che accettava il pensiero del Gramsci) si assunse coraggiosamente la direzione e la preparazione dell'ap<>...reaconomica e politica: dimostrò l'originalità del movimento dei Consigli e la necessità di tenerli ben distinti dall'azione s.indaicale. Il sindacato è organo di resistenza, non di iniziativa, tende a dare ali' operaio la sua coscienza di salariato, non a; produttore-: lo accetta nella sua condizione cl' schiavo e lavora per elevarlo senza rinnovarlo, in un campo puramente riformistico di utilitarismo. Nel Consiglio l'operaio sente la su:a dignità e indispensabilità di elemento della vita moderna, si mette in comunicazione coi tecnici, cogli intellettuali, con gli intraprenditori, colloca al centro delle sue aspirazioni non il pensiero del proprio utile, ma un ideale di progresso tecnico, che gli ptrmetta di realizzare sempre meglio le sue capacità, e l'esigenza di un'organizzazione pratica che gli dia il potere. Lo schema di azione non era più grossolanamente democratico : la nuova società da instaurare non sarebbe stata l'indistinta s,o. cietà <lei proletariato c001emassa. Si trattava di preparare la nuova gerarchia corrispon- <le11teal valore di ognuno : e il governo doveva essere un'aristocrazia venuta dal basso, capa:ce di. affermare la sua coscienza politica 'è di ricevere l'eredità della classe di1igente esausta. Nonchè organo di col-laborazione, il Consiglio si presentava da un lato come la ce!· 1ula della futura organizzazione economica e politica, dall'altro come l'esercito del fronte unico di lotta nel periodo preparatorio. Accanto all'Ordine Nuovo sor;se un. nucleo di operai che si dimostrarono ca.paci di comprendere la nuova situazione (specialmente i commissari della Fiat)_ E poichè le masse non potevano intendere e partecipare volontariamente alle nuove idee, essi si assunsero il compito di guidarle, dove quelle non sapevano vedere, di farle trovare di fronte ad avvenimenti che le determinassero, coscienti o no, ad una azione precisa. Cosl riuscirono ad organizzare e ad im'{X>rreper dieci giorni a Torino nell'aprile del 1920 uno sciopero generale che non si proponeva le solite rivendica:cioni di salario, ma uno scopo nettamente ideale : il mantenimento dei Consigli. Lo -sciopero fallì perchè il movimento si cii-- coscrisse a Torino (cosl volle il-Consiglio Nazionale del Partito Socialista) e gli industriali guidati intelligentemente dall'Olivetti (che aveva studiato con cura il pensiero dei nuovi rivoluzionari e ne ayeva penetrato lo spirito) si opposero con tutte le forze. Ma la sconfitta i::ecò i suoi ammaestramenti. Non infranse la disciplina operaia e provò una specifica capacità di sacrificio. Dimostrò l"incapacità del Partito Socialista ad ogni azione diretta : pose l' esigen2;2 di dare al movimento una nuova organizzazione politica nazionale, capace di lanciare a tutti gli operai la parola d'ordine necessaria per la difesa dei gruppi più progrediti, che &i trovano all'avanguardia del movimento rivoluzion:ario. Il dissidio tra l'Ordine N,ta~•o e Serrati era questo sostanzialmente : il front~ unico cjell'azione proletaria doveva essere per i primi nelle trincee più avanzate; per il secondo alla retroguardia. Se1Tati pensava l'occupazione del potere come coronamento dell'elevazione generale delle masse (quando?), Gramsci pensava l'elevamento delle masse attraverso l'occupazione del potere. Serrati era democratico, Gramsci marxista Risale propriamente all'aprile del 1920 la separazione decisiva dei torinesi dal Partito Socialista e la costituzione virtuale di un Partito Comunista. Il battesimo del nuovo partito fu l'occupazione delle fabbriche del settembre : la rivincita dell'aprile, la prova del fuoco della maturità degli operai torinesi. Ma la vittoria segnò insieme la conclusione e la decadenza. perchè dimostrò l'impossibilità di estendere il movimento all'Italia, sia per gli ostacoli economici, sia per l'inesistenza, fuo. ri di Torino, di una classe dirigente operaia matura. Di fronte al grandioso movimento dei Consigli un liberale non può assumere la posizione meramente negatrice di L. Einaudi o di E. Giretti. Il liberale ha dinanzi uno <lei più caratteristici fe11001enischiettamente au. tonom.isti, che siano sorti nelL'Italia mo· derna. Chi, fuori di ogni pregiudizio <li partito, pensoso della crisi presente che è crisi di volontà, di coerenza, di Libertà, spera in una ripresa del movimento rivoluzionario del Risorgimento, che entri alfine nello spir:to delle masse popolari e le faccia aderire creativamente a uno Stato, a buon diritto ha potuto credere per un momento che la nuova forza politica <licui l'Italia ha bisogno sarebbe sorta da queste aspirazioni e da questi sentimenti. I comunisti torinesi avevano superato la fraseologia libertaria e clemagogica e si proponeva.no problemi concreti. Contro la burocrazia sindacale affermavano k: !>bere iniziativ'e locali. Movendo dalla fabbrica si assumevano l'eredità specifica pella tradimone borghese e s,i proponevano non già cli creare dal nulla una nuova economia, ma di continuare i progressi della tecnica della; produzione raggiunta dagli industriali. Contro le astrattev.te dei programmi di socializzazione sapevano quale importanza dovesse attribuirsi al problema del risparmio nella industri·a, quale parte spettasse nella produzione agli intraprenditori. Il Consiglio cli Fabbrica doveva soddisfare anche alle esigenze degli impiegati, non in quanto p:iccoli borghesi, ma in quanto impiegati ossia elementi di produzione. Le esperienze concrete dell'azione politica insomma avevano liberato quasi completamente i giovani comunisti torinesi dal bagaglio dei luoghi c001uni del socialismo e dell'internazionalismo. Essi sentivano il movimento operaio nel suo valore nazionale e liberistico. Il loro eroico esperimento fallito è uno dei più nobili sforzi che si siano fatti per <lare un fondamento ideale alla vita della· nazione. Il Partilo Comunista. La resistenza e l' orgauizzazione dei vinti è rimasto il compito dei condottieri della lotta : le masse riconobbero nel sogno infranto del Gramsci il loro ideale eroico d'azione e ·vollero l'ispiratore della sconfitta a dirigere l'Ord-ine Nuovo diventato quotidiano attraverso le rovine di un organismo. Gli esperimenti torinesi e il fallimento i11 cui si coronò la prima vittoria furono gli elementi concreti che prepararono la fondazione del nuovo Partito Comunista. I veri rivoluzionari italiani non potevano più aver -fede nel Partito Socialista, diventato pa1i:ito di maggioranza, incapace d'azione per l'elefantiasi burocratica del suo ordinamento, per il pregiudizio dell'unità, per le inizfali responsabilità di governo : era evidente che i! Partito doveva a poco a poco adeguars~ eITJIJ.):iricame.n t al veochio Stato, diventare conservatore, senza introdurre nella vita sociale nè un'idea -nè una. forza nuova, continuando il rifotmismo giohttiano. Se Serrati fosse stato un grande uomo politica la battaglia per l'unità avrebbe potuto assumere un carattere più educati<VP:e ·sarebbe stato più fecondo lo sforzo di daa:-eall'unico movimento una direzione operosa e indipendente che stimolasse le forze popolari invece di attenderle, e che al partito imponesse il pe!]S[ero della minoranza più attiva, più coerente, più rivoluzionaria. L'unità di Serrati invece, come già abbiamo notato, era democraticain.ente intesa.. Nel partito di Se,rrati, p><=lar gene.rica· propaganda messianica, erano entrati a poco a poco elementi p.1ccolo-borghesi e contadini, desiderosi di miglioramenti soltanto individuali, privi di preparazione politica, limitati ad una genetica negazione anarchica dello Stato per ragioni di utilitarismo, ostacolo insuperabile ad una netta differenziazione politica. Sistemi democratici erano destinati a porta,re alla direzione del movimento proprio queste masse impreparate che, iillCapacidi co11trol.Joe di iniziativa, avrebbero poi seguito.condottieri demagQgici. Al pari di Serrati, ma meno responsabili e meno colpevoli di lui anche i comunisti erano privi cli questa gigantesca capacità di diplomiatici e di dittatori (1) (uomini come Leu.in r. Trozchi appaiono una volta ogni secolo purtroppo!) e parve più adeguata ai loro spiriti una modesta questione. cli sincerità : cosl la separazione divenne inevitabile. La questione della disciplina a Mosca fu la mera occasione per il· conJlitto dei due sistemi : e venne accettata volentieri da i riformisti che, per collaborare al Governo, dovevano farsi perdonare parecchi peccati di internaziorualismo. Nel Pa,rtito ComuniSlta accanto al gruppo torinese (e alle minoranze che altrove ne seguivano le direttive) si trovarono alcuni messianici della rivoluzione come Bombacci e Mi. siano (i decorativi dell'Estrema, i Luzzatti del Comunismo), akuni teorici del marxismo come Graziadei, la vecchia frazione astensionista del Bordiga. Tra Bo,.-diga e GralihSCi (i due veri leaders del Partito, le arrrime del CotL5igliodirettivo, benchè Gramsci non sia uso a manifestazioni ufficiali del suo pensiero e preferisca ispirare il Terracini, il Togli:ttti o altri) vi sono indubbiamente dif. ferenze notevoli di pensiero, che all'ora della organizzazione positi•v>adeterminerebbero due diverse correnti di idee : ma li unisce una visione comune della presente situazione italian.a. Si tratta per ttitti e due cli proporre il problema della conquista del potere e di prepararvi le masse: il Partito, Socialista è fallito perchè all'ora dell'azione non aveva or- (1) Parve che l'avessero conquistata a Torino quando riuscirono nelle elezioni amministrative ad escludere Ca.salini e i riformisti ottenendo tuttavia l'adesione generale delle classi operaie. ganismi éhe aderissero agli strati della produzione e potessero costituire l'impalcatu:t'a <lei nuovo Stato; ha dovuto, per a vere almeno l'apparenza della popofarità, ri~ercare un numero esuberante di aderenti non spiritualmente preparati. Il nuovo Partito Comunista deve or'gan.iware l'=nguardia del movimento con unà rigida disciplina interiore : deve essere una minoranza direttrice, intorno alla quale la massa amorfa popolare si ordina e ne sente la superiorità e ne accetta la inJluenza. Solo questa concezione unitaria e aristocratica può dare un'anima e un carattere ideale agli operai. Tutto il primo anno di vita del Partito si ~ esaurito in questo problema di tattica che per molto. tempo aurora sarà la preoccu,pa., zione cenrtrale perchè la disoccupazione ha sconvolto le file dell'esercito proletario : sono scomparsi i consentimenti pratici e ideali che animavano i combattenti nella crisi immediatamente post-bellica, ogpi pensiero s.i perde nella frammentarietà e nell'individualismo. In queste condizioni conservare una organizzazione è veram:ente un problema centrale e l'averlo inteso prova la maturità degli uomini che studiamo: d'altra parte propro il tentativo di soddisfare questa esigenza trasporta gli attori in un ambiente artificia.ie e crea quella solitudine e quella anemia di schematismo che fu in altri tempi fatale ai miazfilniani. Per tutto un anno di fronte al fascismo L'Ordine Nuovo quotidiano è riu.scito a da.re la parola d'ordine di coraggiosa resistenz1 e controffensiva alle classi operaie che dal titolo stesso, come da simbolo, incominciava.no ad apprendere la disciplina e l'autorità. Di fronte a queste lotte fratricide il criterio di giudizio nostro non può es.sere nè quello dellia lotta di classe, nè quello della pace sociale : siamo in una crisi inevitabile attraverso la quale il nostro popolo tempra la sua volontà e si educa. a un esercizio di libertà. La violenza, sopra i sentimentalismi ed i danni contin-genti, dimostra fermenti vitali, energie decise, pensieri maturi. L'unità dei comunisti è stata raggiunta nella tattica di opposizione e cli conquista del potere : il programma positivo latente era quello dei Consigli - invero poco caro al Bordiga che volentieri si ferma alla fase mitica della rivoluzione. L'elaborazione delle idee pratiche è rimasta alquanto nebulosa e coutradditoria; essenzialmente perchè un partito d'opposizione deve avqe due programmi pa:-atici: uno mitico che offra la palingenesi agli stanchi combattenti di oggi, i quali anche dopo il _tramonto d@l cristianesimo, sospirano messianicam.ente il reguo della pace (pur negandola coll'azione), un altro politico che s'esprimerà solo nel!' ora della vittoria. Questa curiosa ironia è latente nel movimento rivoluzionario : l'ora risclutiv>a determina la negazione dei programmi che l'hanno preparata, i rivoluzionari si trovano a lotta.re per primi contro se stessi. Del resto, questo processo di realismo storico è perfettamente inteso dai capi anche se nessuno di essi può proporsi specificamente l'esame <lei rapporti che connetteranno il mito con l'azione pratica (questo è problema di liberali, non di comunisti, di storici, non di attori). Le declamazioni contro lo Stato sono sempre state intese dagli scrittori dell'Ordine Nuovo come declamazioni contro lo Stato burocratico : essi manifestano il proposito concreto di ere.are uno Sta.to che sappia risolvere la crisi borghese ed ereditare i problemi del Risorgimento non risolti : ammettono che la rivoluzione sia la conclusione del liberalismo rivoluzionario dell'Soo; la professione di internazionalismo è una vera e propria politica e!>'tera contrapposta alla politica della quadruplice (oltre che tlil fecondo mito); là lotta contro i capitalisti tende a sostituire un'autorità e una disciplina che i capitalisti non sanno più esercitare e che è necessaria alla Società. Tutti questi propositi, per chi abbia saputo indagarli, sono schietta;Ilente liberali e autonomisti. Non bisogna chiedere a questi uomini d'azione maggior coscienza 1iflessa cli quella che è concessa ai combattenti. Ma nel primo anno di vita L'O·rdine Nuovo è stato decisamente un giornale di pensiero, singolarissimo in Italia, con.scio dell'importanza dei problemi nazionali, preoccupato di fondare una coscienza politica nuova e di ascoltare le esigenze culturali del mondo moderno. Il movimento in.somma ebbe una sua serietà ideale, non si prestò ad arrivismi nè ad atteggiamenti demagogici, prosegui con coerenza un proposito organico di rinnovazione. Valutando gli ultimi mesi dell'attività purtroppo, più non oseremmo ripetere questi ottimistici giudizi. È vero che accanto all'Ordine Nuovo sono sorti I! Comunista e il Lavoratore Comunista, meno importanti e meno originali, ma segno di un'attività più sicura e ampia, e l'uno e l'altro sono diretti da amici o discepoli (iu teoria) del Gramsci ; <la giovani che hanno partecipato alle esperienze torinesi : a Trieste è il Pastore, il Togliatti e il Terracini sono a Roma. È vero che s,i sta elaborando una casa editrire

che sarà diretta dal Sanna, ossia da uIJ uo1:1° che ~a comuu~ con, il Gramsci le preocc1:-p:iz1omd1 realismo politico apprese alla pm fec~mda scuola politica che l'Italia abbia a~to m questo scorcio di secolo: L'Unilà di Gaetano Salvemini. Ma la caratteristica del movimento (la co· sc1~1Jza<;heesso ha saputo formarsi dei birogm te.cmct della IJOstra industria e della fun- :.1ione degli operai nella fabbrica) è andata perduta. Perchè? Si soIJo iIJariditi il cervello e l'atti,viità dell'uomo che ha interpretato e creato il movimento, approfittando è vero, di condizioni storiche oggi atteIJuotesi, ma vigorosamente rinnovandole e coIJcretandole Certo l'inerzia del Gra=i e la separazione, colla maucan7.,adi collegamento, tra gli elementi più attivi: Gramsci, Togliatti, Terracin.i, (data la povertà di dirigenti che travaglia ogru teIJtativb politico italiano) è non una causa, ma UIJsintomo e UIJ'occasioIJe 1.x:ricolos.a.Al disopra delle persOIJenoi crediamo tuttavia che il vecchio problema (posto dall'Ordine Nuovo come problema dello Stat~ opernio e di autodisciplina popolare che sureali=. nel Governo) fatto dimeIJticare da un anno di disoccupazioIJe e di iIJcertezze t?rne~à fondameIJ:'3-lee ineluttabile appella I Italia s1 :ntrovera al suo compito di IJazione moderna. E allora l'adesione di un.a aristocrazia poNote di cultura storica GAETANO DE-SANCTIS Chi volesse provarsi a definire il significato dell'opera di G. De Sanctis, mettendone in luce l'ambiente spirituale, mostrando le direttive che egli persegue, delimitando le rispettive influenze che ognuna delle scuole contemporanee ebbe ad esercitare sulla sua mente aperta e sempre tesa a raccogliere le nuove voci cli verità, - cercando insomma di scoprire quella filosofia, o quella fede, che deve pur essere intrinseca ai suoi studi e dirigere e spiegare ogni suo atteggiamento, ~ si troverebe, a dire il vero, imbarazzato. Il professor De Sanctis non fu positivista, sebbene del positivismo rimangano in lui traccie indubbie, e più generalmente, ne11a posizione che egli assume di fronte-, per esempio, ai fatti artistici e religiosi, e più particolarmente, nella concezione medesima eh 'egli professò della storia, come sdenza che procede dagli effetti alle cause, al modo stesso delle scienze fisiche, ma con minore sicurezza., per l'incapacità sua a riprodurre sperimentalmente i fenomeni (clr. Per la scieiz11 dtll'antichità, Torino 1909, p. 277). E come non fu positivista, cosi neppure può <lirsj seguace del marxismo o dello storicismo idealistico: per quanto non sia difficile scoprire, e nella Storia de-i Romani e nella Storia de!/.a ·repubblica ate1iiese, le influenze non piccole che .eserdtò sul· suo spirito, pur attraverso ]a polemica, il materialismo storico; e sebbene d'essersi nutrito di filosofia hegeliana confessi egli stesso, ed evidente sja in lui ]O studio sempre ntaggiore e sempre più proficuo dei sistemi idealistici moderni, e in specie della storiografia cr<>- òana. Tuttavia nè ~•t111anè l'altra di queste due correnti intellettuali, che cc.si fortemente hanno impregnato di sè, promovendoli in vario modo, gli studi storici moderni, rappresenta il centro ideale del suo lavoro: così il ma.r:x.ismocome l'idealismo non diventano in lui fede, che accentri in un unico problema tutte Je sue ,ricerche, ma rima11gono, per così dire, elementi di twa cultura. complessa, aceettati in quanto esprimono 11na coscienza diffusa e una direzione importante .del m_oyjmento scientifico: non gerarchicamente ordinati, lJla giustapposti; non conquiste nuove di verità, ma sussidi metodologici di maggiore o minore utilità offerti al bisogno degli studiosi; cognizioni, non passione; tutti svuotati, come se un'ombra cli scetticismo li avvolgesse, alterandone il contenuto interiore, senza scomporre la superficie immobile. Venuto agli studi storici non daÌla politica, ma dalle ricerche filologjche, G. De Sanctis accarezzò sempre un ideale d'illuminata filologia, che, senza abbandonarsi a qnell 'eccesso cli critica che tocca la sofisticheria, tuttavia non perda mai di vista le tradizioni e i documenti, nè d'altronde dimentichi mai la realtà della vita, o meglio, più che dalla vita, delle varie vicende dei dibattiti teoriò e filosofici e politici: una storia insomma, per adoperare quasi le sue stesse parole, che non sia opera nè di puri grammatici, nè di ciar- .latani o dilettanti (cfr. ibid. passim, e pagine 330-331, V • IX). Ideale che abbiamo cltiamato di filologia, più che di storia, perciò che s'accentra in un problema di metodo, inteso non crocianamente come filosofia, bensl come sistema de11ecognizioni che si richiedono praticamente per lo storico, doYe la filosofia occupa un posto anch'essa, non centi·.ale tuttavia, ma particolare, accanto ali 'epigrafia ed alla psicologia, all'archeologia ed alla scienw economica. Da questo punto di vista, che potrei definire astrattamente formale o formaliLA RIVOLUZIONE LIBERALE litica libèraJe (quella che noi vorremmo creare) al rrwvimeIJto sorto dal basso potrebbe farlo trionfare e BIVViarlodecisameIJte secondo la s,u.a logica autonomista e storica. PIERO GOBETTI. .NoTA. - Il precedente studio rivela del mo- :,-1me11U? c~uuista ~tti che osiamo dire 1~norat1. Ciò che si vede nel processo di Turino m confronto a questa realtà è UIJ fatto superficiale, inveralo e giustificato dal tormento ideale che gli fu contemporaneo come le mteml)el"anz_egiacobine sono giustificate e fatte ?unenticare dal valore storico della R1voluz1oue francese. Certo i vinti non ha:nn? que:'to diritto: ma il processo storico che a1 fatti esaminati si connette è ancora IJel suo divenire. Il presente studio sarà continuato e rifatto: chi scrive è forse il solo liber~le 7he_abbia seguito e vissutoCOIJanimo cri. hco 11smgolare movimento e pensa di essere moralmente tenuto a tracciarne la storia comp'.eta, . documentata. Questa prima appross1maz101Jeè dUIJque essenzialmente lllla g1u:511ficazioneteorica <le! Manifesto, necessana di fronte alle critiche del!' amico Ansaldo: a.ll'autore, che l'aveva scritta con uno scopo divulgativo e informativo non è stato possibi'.e per ragioni empiriche 'trasfon:n.a,.rla subito m UIJancerca completa di valore conclusivo e ha pensato che non fosse inutile pubblicarla qual'è. stico, positivismo marxismo idealismo non valgono per il contenuto vivo e operante, non si impongono allo spirito dello studioso, nè riescono a padroneggiarlo, raccogliendone tutti i p'i·oblemi mtorno a un nucleo centrale, che determini alla ncerca storica il suo indirizzo, ma piuttosto rimangono estra,nei alla mente dello scienziato. Del quale tuttavia sarebbe inesatto dire che si esamini solo superficialmente e imperfettamente, potchè è vero anzi il contrario. Il De Sanctis studia amorosamente le moderne correnti intellettuali, bensi wn un interesse che non tocca, per cosi dire, la materia dei problemi fil~sofici e politici, e si rivolge ad essi, e li ama, e h studia solo in quanto sono scienza, esperienze nuove, opera cli studiosi seri e aristocratici : si potrebbe dire, se in queste parole non fosse conte~uta un_asfun_w-tur~d'ironia, e forse di spregio, eh esula 1l1 ventà dal nostro pensiero che i sisteini e le teorie lo interessano, più ~he per il loro valore di vita, per il loro valore d'accademia. Con ciò si potrebbe credere (ed è pure in qualche modo vero) che in fondo l'atteggiamento del De Sanctis sia_ tutto impreguato di scetticismo, se pur non c1 fosse, implicito in esso, un amore e una fede: l'amore vivo e costante per la scienza come scienza, che è fede tenace nel suo sviluppo progressivo. Problema di metodo, amore della sc~enza : in queste formule pare a noi si possa raccogliere in un certo senso tutta la lunga operosità del nostro storico, e - pronunciandole - rievochiamo a noi la figura simpatica dello studioso, con quel che è in essa di a~demico, e non dispiace, come un simbolo di aristocrazia mentale che va scompru·endo; e ripensiamo il suo dolore franco e l'ingenuo stupore che lascia trasparire ogniqualvolta nel mondo della scienza gli tocca d'imbattersi nella leggerezza d'un dilettante o nel cieco furore d'un avversario, che la polemica - distraendo l'interesse della disciplina in misere beghe personali - porta a disconoscere l'esatta realtà; e l'ideale eh 'egli accarezza in cuore d'una repubblica delle lettere dove tutti gli scienziati sian provvisti cli quella dignità e cortesia che nasce dalla lunga consuetudine degli studi ; e ci ritornano alla mente le pagine sue cli po1emica che sembrano attuare quell'ideale, franche e piene cli vivacità battagliera come esse sono, ma nellO stesso tempo garbate, e elevate di tono, e impregnate cli quel rispetto alla scienza, che ci fa dimenticare ogni motivo puramente egoistico. E amore della scienza sarebbe tutto, se molto più altro non ci fosse, ch'è impossibile' formulare, e si può soltanto accennare: la ricchezza. della sua coltura; la limpidezza e la dignità dell'espressione, l'acutezw dell'indagine sgombra da pregiudizi, e aliena da ogni mera ingegnosità, cosi come dalle sintesi affrettate e superficiali; e sopratutto l'attitudine spontanea alla riflessione psicologica arguta e commossa e la tendenza all'analisi minuta degli eventi e delle loro cause più che non alla costruzione organica del periodo storico, caratteristiche che ci fanno rip~11sase talora alle opere storiche del Manzoni. Chi vuol riconoscere tutte queste ed altre qualit.ì che non si possono dire, e che fan cli lui una delle figure più notevoli del movimento cli studi contemporaneo, deve andare a leggere, o rileggere', I~ pagine che il De Sanctis ba dedicate alla costituzione ed alla riforma de.i comizi in Roma, alla democrazia e all 'i1nperialismo ateniese e - specialmente notevoli - quelle relative all;ortlinamento dello stato cartaginese; e le parole incisive e precise con cui scolpisce le figure dei principali uomini dell'antichità: Solone e Clistene, Temistocle e Pericle, Agatocle e Ierone, l1 ppio Claudio Ceco e Caio Flaminio, Q. Fabio Massimo, Scipione e Annibale. .Dei diietti poi e dei limiti, che più sopra abbiamo scoperto nello spirito del nostro autore, appaiono chiare le conseguen,.e nei s-uoi libri di storia, a chi ne osservi l'intima frammentarietà di concezione. I diversi problemi politici, economici, religiosi, filosofici, artistici, sociali; stanno ciascuno per sè, senza che nessuno mai soverchi sugli altri e tenda a risolverli in sè stesso costituendosi come centro ideale dello svolgimen'. lo. Ad ognuno di essi il De Sanctis s'appressa mootranclod sempre le sue doti di acuto indagatore e filologo, di penetrante osservatore di anime, di uomo coscienzioso e geniale; in ciascuno porta il suo animo comm0S60 e riverente sia pel piacere che deriva dall'indagine stessa i~ atto, sia pe.r la grandiosità e la potenza dei fatti so. cui l'indagine si esercita. Par tuttavia a chi legge che qu.alcosa dell'anima di lui resti fuori del su_osc_ritto, e non qualcosa di secondario, ma propno c1ò che v'è di più importanté, la sua filesofia, la sua fede: onde ne rimane nell'animo del lettore, insieme colla gioia della lettura ;nteressante e piacevole, un senso doloroso d'inscxlclisfazione. G. De Sanctis è cattolico, e più volte nei suoi libri e nelle sue polemiche gli piace di ricordarlo: il che gli ba sollevato contro critiche malevoli e sciocche, non degne di ricordo. Tuttavia questo suo cattolicismo non apparirebbe mai dalle sue opere storiche, s'egli stesso non venisse talora a ricordarcelo. Quella fede che potrebbe offrirgli un principio unificatore dell'universo spirituale, un criterio di giudizio cosi potente, ·pur nella sua rigidezza morale e nel suo intellettualismo, riwaue estrinseca e sovrapposta. Cosi che da un lato, il giudizio si stacca dall'analisi del fatto che sta a sè (come qualcosa cli compiuto in sè), onde nel lettore profano e ignaro di sottili questioni filologiche nasce il desiderio cli voltare in fretta le pagjne di minuta ricerca cronologica e correr subito alle osservazioni finali; d'altra parte lo stesso giudizio storico, pur cosi largo e comprensi voJ lasda un'impressione di vuoto, che ci fa quasi desiderare la rigida e coerente concezione cattolica del Manzoni, quale traspare dalle sue opere storiche. Nel grande prosatore lombardo una ferma fede costringe tutti i problemi intorno a nn nucleo centrale, li lega per cosi dire in un formidabile organismo logico, dove la coerenza interiore limita la larghezw e l'ogget· tività del giudizio, così da spingerlo a negare persino il valore della rivoluzione francese: lo storicismo che pervade tutta la vita intellettuale moderna ha insegnato al De Sanctis che ogni istante del progresso storico ha il suo significato e il suo merito, che nulla si può negare di ciò che è accaduto, ed ogni cc.sa è obbligo cli comprendere ; ma glie! 'ha insegnato per cosi dire in un modo estrinseco che non coglie la sostanza, ma solo la superficie dei fatti, e al suo storicismo c:he gli viene daHa nuova educazione, e che rimane in lui ma svuotato della fede nel suo valore assoluto ed eterno, quasi ci vien fatto di preferire l 'intransigenw lineare del Manzoni. Vorremmo insomma che, più jntimamente compenetrata con la narrazione delle alterne vicende partecipasse al dramma storico quella Provvi <lenza, che l'autore invoca terminando il secondo volume della sua Storia dei Ronumi: poichè, come osserva acutamente il Croce recensendo l 'opera del De Sanctis nella Critica (VI, 390), , questa forza spirituale, intesa in modo affatto immanente, e il progresso che ne è la manifestazione, bisogna farli apparire nel racconto stesso <. non gjà introdurli alla fine mediante una for'. mula che rimane astratta». Pur tuttavia di questi limiti della sua attività ha coscienw in qualche ,modo il De Sanctis stesso, nel quale, accanto all'amore della scienza che lo apparta in una solitudine austera ma povera di contenuto umano, noi sentiamo sempre più farsi luce un. desiderio trepido d'affacciarsi alla vita, cii superare i primi confini troppo angusti della cultura universitaria; desiderio che ha in sè la timidità e l 'apprensiorie di chi s'inca1nmi11aversò l'ignoto e, mentre ne assapora la bellezza ,ne t;'".e i pericoli. Ma dell'aver egli saputo superare 1. timore 1mmechatodi questi pericoli, e dell'aver 5:°:tito la necessità di render la sua scienza piU nc1na agli interessi e ai do1ori nostri, senza affog":la nel dilettantismo, noi dobbiamo essergli grati. Una breve esperienza politica (la guale, più che politica in senso 'stretto, è stata opera cli coltura sapiente e oculata, che risente ancb'essa nei suoi momenti migliori 1'influsso dell 'ideaU.smo moderno), la fatica immensa de1la guerra, la sccntentezza presente han recato negli ultimi scritti del De Sanctis un accento di pensosa malinconia, che si fa sentire già nel terzo volume della Storia dei Ra-mani (che è il libro migliore del nostro), e più in un bell'ruticolo sul Dopog1tena antico (pubbl. nella Rivista Atene e Roma, N. S., T 3-14, 13-89), dove nelle vicende e nei problemi della storia romana dopo le guerre puniche ci si fa sentire, con mirabile garbo e sicurezza di misura, l'eco di situazioni più vicine al nostr0 spirito e che ancora dolorosamente ci travagliano. Rimangono bensi, anche in questo sforzo cli approfondimento umano, i difetti che più sopra abbiamo esposti, ma attenuati in qualche modo, e chiari solo a chi, per la lunga esperienza fatta con questo autore, li risenta nell'artificiosa distinzione dei problemi, ciascuno dei quali ha un suo posto a sè, e non riesce a coordinarsi con gli altri in una visione unitaria. Le doti di serietà e d'acutezza, derivanti da un profondo amore della verità e eia una meditazione sottile se pur troppo analitica, insieme con il 27 senso ù'un allontan.am.ento doloroso della persona dello storico, é con la coscienza di questa mancanza ma ancor timida e poco chiara, rimangono mfine le caratteristiche fonda.mentali della simpatica figura cli Gaetano De Sanctis. Nella quale, per concludere con un'osservazione più generale il nostro discorso, si potrebbe per a,venlura riconoscere un atteggjamento assai diffuso dei cattolici nostri verso la coltura moderna : accettarne i dati e le conquiste, non nel loro valore intimo e profondo, ma per cosi dire nella struttura logica che è alla superficie, riuscendo solo in tal modo a conciliarli più o meno bene con la propria fede, che rimane nascosta nell'ombra, o se pur s'intrude improv,;samente nel mondo nuovo, senza una precedente giustificazione, vi si disperde come la risonanza fioca. di un lontano passato. NATALINO SAUGNO. Espetienza liberale Rivoluzionee Disciplina È giustificato il rimprovero che cordialmente ci muove il Murri nell'ultimo Rinascimento o non si deve invece alla fretta con cui il nostro amico ci ba letti, preoccupato cli un'esigenza alquanto schematica di classificazione che non si adattava affatto all'opera nostra? E certi sorrisi quasi scettici e punto coerenti con il suo co_stante atteggiamento cli inquietudine indagatnce non son~ forse da attribuire, per esempio a proposito de1 comunisti torinesi, a una lacuna della sua cultura politica? Siamo sicuri che ne tornerà a giudicare più serenamente, per la sincera simpatia che ci dimostra, il Mnrri stesso. « Immaginate voi che cosa sarebbe una rivoluzione di contadini, in Italia? La rivoluzione è fare invece nei contadini come del resto 1i.e_llamassima parte degli operai; ~elle ]oro U:. SClenze, perchè cli strumenti che sono divengano atton, dt governati governanti, cli servi liberi. . e Volere ad ogni costo inserire questa rivoluz10ne, ~be deve essere cosa interiore e spirituale, nelle vicende esteriori politiche è un metodo alquanto pericoloso. Queste rivoluzioni storiche si compiono talora attraverso una serie più o meno lunga cli crisi, talora si svolgono rapide; ma una basta a caratterizzare un'epoca. • Il guaio dell'Italia è che molti italiani, cli tutte le clas_~i, sono in ritardo sulla rivoluzione politica gta fatta ( ?) ... Il mito di nna rivoluzione politica da. fare è un'illusione sterile, perchè lo Stato, nella sua costruzione ideale, è, od almeno era (:), prima dell'avvento dei popolari, più rivoluz1onario cli tutti i rivolt12ionari d'Italia• ed è un'illusione dannosa, perchè gli amici eh~ si scaldano e si esaltano per un nuovo Stato da fare cli~de~o la conquista di quello che c'è, e con'. tribmscono cosi a peggjorarlo praticamente, senz,t poter superarlo idealmente,. E conclude esor. tandoci a cercar: in noi stessi la disciplina, benchè creda che d1ffic1lmente noi sapremo trO\·arla. Ma che· cosa ha compreso il Murri dei nostri intenti ? Dove è andata a finfre la sua concezione idealistica della storia e della. politica? . E i~tanto: lo Stato è oppure era più rivolu- ~1onano, ecc_, ? E se _ era, ma non è più dopo L avvento dei popolari, come il Murri conclude dove consisteva codesta sua supe.tiore forza idea'. li rivoluzionaria se una questioncella parlamen- :"re_ ~ bast~ta a liquidarla? Oppure il problem,,. e pm amplò e la , questioncella , non è che occasione a un chiarimento della realtà e allora lo Stato non solo non ~, ma non era, non è stato mai più- -rivoluzionario, ecc. ecc. e appena è sentbrato ecc. ecc. Da questa dialettica non ci si pu~ Eberare. Ma ha dimenticato il Murri la nuov; rev1srone della nostra storia cui egli stessa reeò eccellenti contributi, che conclude con il negare che gli italiani siano riusciti a penetrare e a far proprio il valore implicito nel nuovo Stato? Ma La lotta politica cli Oriani è stata per nulla? E com~ si può concepire, separato dalla rivoluzione che ogni gjorno si fa nelle coscienze una ri~oluz-icme politica già fatta f Fatta da chi, per chi? Nonchè dannosa è addirittura inconcepi· bile la conquista dello Stato che c'è, perchè nessun Stato e' è se non lo creiamo concretamente e attualmente in noi : questa conquista s'inserisce iu una tradizione, in un processo storico, ma a. patto che il processo storico novellamente si crei, perchè in sè non esiste è un 'astrattezza comoda per lo storiografo, illusoria nell'azione concreta. Le obbiezioni del Murri sono stranamente anac:onistiche e per giustificarle bisognerebbe aderire a una storiografia onnai superata, quella ·del Laberthonnière, per esempio, non volendo risalire ancora più addietro . .Del resto la scoperta murriana di una disciplina d1strnta dal fervore spirituale che la giustifica e la fa scaturire, di una disciplina antecedente al1'.idea è. addirittura cattolica o almeno prekanttana: ltbertà e autorità, disciplina e rivoluzione non esistono che come correlative e hanno un senso solo a patto di essere l'una implicita nell'altra. Infine non esistono politicamènte interno ed esterno; la rivoluzione nei contadini, negli operai è ancora e immediatrunente rivoluzione dei contadini, degli operai, non essendoci pensiero

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