RE NUDO - Anno XI - n. 91 - ottobre 1980

RE NUD0/18 ENZO JANNACCI Cl vuole orecchio Ricordi Grande ritorno alle origini per il dottor Enzo Jannacci. Chiusa con "Foto Ricordo" l'esperienza alternativa de l'Ultima Spiaggia con molta mestizia dentro ed ironia fuori, ecco l'album del grande rientro del figliol prodigo nella casa che lo ha cresciuto e lanciato, la Ricordi di via Berchet. Perdippiù si è anche ricosti– tuito il sodalizio originario con Nanni Ricordi, il talent scout che nelle nebbie dei sessanta lanciò la scuola dei cantautori spiritosi (Jannacci, Gaber, Fo ecc.) proprio nella nascente etichetta nata all'ombra del Duomo. Da allora tanto tempo è passato, Nanni Ricordi è di– ventato direttore artistico e Jannacci dottore, anzichè or– chestrale di cabaret. Però lo spirito è lo stesso, e, se possi– bile la vena stralunata assai vi– cina alla musica leggera nelle sonorità, completamente stra– volta nel senso e cambiata nei connotati, si è.accentuata. Au– mentata anche la socialità del– lo Jannacci animale solitario, sulla scia di un nuovo cammino intrapreso nel passato album: anche qui infatti c'è una can– zone di Paolo Conte dal titolo "La sporca vita" ("Se non avessi questa vita morirei, ogni mattinll presto il sole non avrei. ..", un'altra scritta insie– me a Cochi Ponzoni Renato Pozzetto "Silvano", canzone dichiaratamente erotica: "Prendimi, con le tue labbra caressami... e sfiondami, spo– stami tutte le efelidi, aprimi, picchiami solo negli angoli, oh jeah ... Brivido, no non distin– guo più i datteri", che mi senti– rei di proporre all'attenzione cortese della signorina Rettore e delle sue Pornomelodierock (sic!) per vedere come se la caverebbe nell 'interpretazio– ne. Giacomo Mazzone STEPHANE GRAPPELLI, PHI– LIP CATHERINE, LARRY CO– RYWELL, NIELS ORSTED PE– DERSEN "Young Django" (MPS) Non c'è bisogno di essere nostalgici per apprezzare un gioiellino di jazz tradizionale scolpito da tre fuoriclasse e da un leggendario settantunenne (!!!) in forma adolescenziale. Stephane Grappe/li avrà forse l'artrite alla schiena ma non certo alle dita, scattanti e tziga– ne come il troppo decantato Jean-Luc Ponty non riuscireb– be mai ad avere. Se forse il violino vi sembra d'altri tempi, le chitarre di Co– rye/1 e Catherine (al quarto LP in coppia) vi riporteranno coi piedi al suolo; una volta atterrati, vi accorgerete che i due non era– no così lucidi da parecchio tempo, specialmente il belga che dà tanto con l'acustica quanto spreca con l'elettrica. L'eleganza dei temi di Django Reinhardt è viva e pulsante an– che dopo mezzo secolo di vita e ricorda (a chi lo avesse dimen– ticato) che lo tzigano fu un grandissimo innovatore non solo della tecnica chitarristica, ma anche delle strutture jazzi– stiche; ancora oggi molti stru– mentisti attingono idee dai suoi assoli. Il tentativo di filtrare l'avven– turoso jazz anni '30 con i Pola– roid di esperienza attuale è riu– scito perfettamente: per qua– ranta magici minuti si fluttua in un allettante limbo· fuori dal tempo. E' come affidare a Stanley Kubrick il remake di una commedia di Clarke Gable: si finisce per avere nostalgia del futuro. Massimo Bracco ... XTC "Black sea" (Virgin) Gli XTC sembrano essere giunti al perfetto dominio dei moduli espressivi. "Black sea" è il re-make intuitivo di tutto quello che avete già ascoltato e che non avete mai voluto sinte– tizzare. Vocine in stile fifties, parole megafonate come ne traboccava il sergente Pepe di– ventato qui "Sergent rock", rit– mi subdolamente afro-cubani in "living in anotherCube", il beat della swinging era torturato in "Towers of London". Ma il gio– co dei riferimenti non resta un ironico deja-vu: è il modo di esprimerli crudo, sfrontato, ta– gliente a dare spessore a im– pulsi così differenti. Partrige è più che mai il folletto dalle mille risorse che filtra e amalgama combinazioni azzardate con mano sicura: degna mente di un gruppo che è giunto al suo standard massimo. Nato pro– babilmente con tutt'altri inten– dimenti, "Black sea" pare de– stinato a una indiscriminata fa– gocitazione commerciale, clas– sico boomerang per la folle dit– ta Partrige & Co. che di questa impossibilità di essere catturati e inscatolati ha sempre fatto la propria bandiera. Ma si sa, chi di spada ferisce ... Francesco Pacella THE HUMAN LEAGUE Travelogue Virgin Anche se Travelogue è la pri– ma loro opera stampata in Italia, gli Human League sono una vecchia conoscenza dell'elet– tronica morbida made in En– gland. Quando ancora Foxx e Numan lavoravano con gruppi di struttura più o meno tradizio– nale, 911 Human League agiva– no già a forza di soli sintetizza– tori (qualcuno li ricorderà come supporter di lggy Pop nei con– certi italiani del maggio '79). "(Travelogue) contiene esclusivamente voci e sintetiz– zatori": ciò precisato, la filoso– fia Human League è esaurien– temente spiegata. Come altri g[uppi elettronici ma soft, man– tengono pressoché inalterata la struttura comune del rock (for– ma-canzone, ritmica etc.), limi– ta(ldosr a rendere elettronica ··tutta la strumentazione. Anzi, rispetto alle scuole di Foxx, è assente anche la volontà di raf– freddare il suono ad ogni costo; il cantato conserva una certa emotività, e qualcosa trapela persino nei synth. Questo Travelogue conferma in pieno la scelta dei League, con tutti i suoi limiti. Troppo squadrati per vendere, troppo facili per i patiti della ricerca, sono fermi al bivio. Per essere convinti (o disillusi), attendiamo una decisione. Paolo Bertrando JAMES CHANCE / CONTORtlONS Live Aux Balns-Douches lnvisible Records Se qualcosa porterà James Chance alla perdizione, sarà l'egocentrismo esasperato. La breve carriera del sassofonista newyorchese è costellata di dissapori e contrasti personali; e i suoi Contortions hanno già subito innumere11oli cambi di formazione. Fino ad arrivare a questa versione, costruita ad hoc per una tournée europea: buoni musicisti, ma ridotti al ruolo di accompagnatori delle gesta sassofonistiche del duro James. Niente più dialettica nei Contortions di oggi, semplice– mente la sferza direttiva di Chance e l'obbligo ferreo di ri– spettare le sue regole. Chance despota indiscusso, con il sax sempre giustamente bisbetico, con la voce velata d'isteria, persino con un assolo d'organo approsimativo quanto affasci– nante. Se questo fosse il suo primo album, sarebbe un asso– luto. Ma si dà il caso che sia il quarto, e che le cose già dette assumano un peso preoccu– pante: la mancanza di dialetti– ca, si sa, genera prima o poi ri– petizione (anche se bisogna ri– conoscere a questi Contortions un maggior desiderio di diver– tirsi e divertire). Così i segmenti più godibili, alla fine, risultano non tanto i pezzi di Chance, quanto due vecchie canzoni di James Brown, I Got You e King Heroin. Quest'ultima soprattutto, ese– guita da un Chance finalmente convinto, che applica alla scansione blues la sua tecnica out of tune in perfetto crescen– do, dà la misura di una perso– nalità davvero non comune. Con appena un po' di modestia in più, chissà dove potrebbe arrivare. Paolo Bertrando · SUPERTRAMP "Parla" A&M Dopo il clamoroso exploit di "Breakfast in America" il grup– po di Hodgson e Davies si è guadagnato un posto di rilievo nelle gerarchie del pop: margi– nali e controcorrente rispetto alle tendenze attuali piacciono lo stesso a molti, per la sicura presa delle loro "songs" e la raffinata cura degli arrangia– menti. Il doppio album dal vivo a Parigi, uscito in questi giorni, è una coerente conferma dei loro pregi e dei loro limiti: da "Drea– mer" a "The logical song", da "A soapbox opera" a "Crime of the century" è una euforica carrellata sulla lunga e fortuna– ta serie di hits. Il suono è im– peccabile e piacevole, l'abilità tecnica indiscutibile ma aldilà di questo le emozioni suscitate non si possono certo definire forti. Consigliabile a chi vuol farsi un idea di che cosa può essere un esempio di easy li– stening di classe. G.A. JAHWOBBLE Jah Wobble Featurlng Blue– berry HIII Virgin Per il transfuga dei Pii, è il secondo disco in tempi brevis– simi messo in vendita dalla Vir– gin a prezzo "popolare" (si fa per dire). Wobble si dedica qui ad esplorazioni più radicali che mai: ·a partire proprio da Blue– berry Hi/1, presente in doppia versione. Se la prima è già asciugata e liberata da ogni emotività, la seconda (Compu– ter Version) è la più intelligente: dell'origine rimangono solo i monotoni accordi di piano, ac– compagnati da sintetizzatori e percussioni. Al confronto, il resto dell'al– bum risente del desiderio di sperimentare-ad-ogni-costo, parola d'ordine del resto già ben nota ai Public lmage. Caso a parte Sea-Side Special, otti– mo esempio di dubbing bianco, dove Jah Wobble fa risentire il suo famoso, monocorde basso. La pecca più vistosa di Wob– ble è proprio la sua incapacità (o perlomeno difficoltà) di fon– dere le due matrici, quella post-rock e quella reggae, che lo ha portato a brani spesso prossimi alla noia. Forse aver abbandonato il duo Lydon/Le– vine, dotato di idee senz'altro chiare, non è stata la mossa migliore; anche se lo stile di la– voro di Wobble, il suo desiderio di fondere quant'è possibile non poteva essere realizzato in altro modo. Paolo Bertrando DIXIEDREGS "Dregs of the earth" (Arista) Se leggete interviste di musi– cisti Americani, vi accorgerete che otto su dieci citano fra i loro dischi preferiti i Dixie Dregs. Chi sono questi maghi che affasci– nano i loro colleghi e converto– no in blocco i critici d'Oltreo– ceano? Sono cinque ragazzi di Atlanta, che fondarono il grup– po nel 1975 riunendo le espe– rienze più diverse: il violinista Allen S/oan militava nell'Orche– stra Filarmonica di Miami, il batterista Rod Morgenstein si era carburato nei localini jazz di New York, il bassista Andy West e il chitarrista Steve Morse ave– vano masticato rock adole– scente. Questo è il quarto album dei Dixie (e il secondo pubblicato in Italia) smagliante e solido come i precedenti. I Dregs riescono a fondere in un crogiolo attuale gli ori della musica strumentale gloriosamente passata. Maha– vishnu, funky, bluegrass, Ali– man Brothers e Kansas sono solo alcuni riferimenti di un suono sfaccettato, dinamico e personalissimo. La perfezione jazzistica di esecuzione dei riff velocissimi si rimpingua con un calore tipicamente rock. Steve Morse ha composto tutti i brani e brilla. per l'instancabile tessi– tura ritmica, ma tutti e cinque sono a livelli eccellenti. Se credete che vi siano truc– chi di incisione o ritocchi di mi– xaggio, ascoltate il precedente lp "Night of the living Dregs" e assaggerete l'energia live nei concerti dei Dixie. Finalmente un po' di ossige– no frizzante nei polmoni asma– tici del jazz-rock Americano. Massimo Bracco THE PASSIONS Mlchael & Miranda Fiction Records Anche l'ascoltatore frettolo– so non faticherà a riconoscere in questo gruppo misto (due uomini e due donne) tracce delle sonorità Cure. E' chiara la linea morbida, suono rarefatto, essenziale, prevalentemente chitarristico, che sostiene le voci della bassista Claire Bid– well e della chitarrista Barbara Gogan; voci sottili, di scarsa consistenza tecnica, diranno i puristi: ma di squisita presa emotiva. Non è il caso di pensare alla solita new wave ammorbidita: innanzitutto mancano i riferi– menti reggae, pressoché obbli– gati per qualsiasi gruppo che rifiuti l'approccio duro. In se– condo luogo, c'è la volontà di cercare tessiture diverse. di rincorrere suoni un po' distanti dall'orecchio comune, lo testi– monia lo stesso impianto voca– le. Ma anche il preg.evole lavoro di Clive Timperley, chitarrista di buona vena polistrumentale. Quanto ai pezzi, sono ancora acerbi, rivelano più che altro delle possibilità (e un sicuro gusto ritmico). Ma cose come Pedal Fury o Obsession sono già da ora qualcosa di più che una promessa. ,. MOTELS "Careful" (Capito/) Paolo Bertrando Non sappiamo se Martha Da– vies si sia sposata e abbia get– tato l'agenda dei suoi amanti, o se guardandosi allo specchio abbia deciso di infelinirsi anco– ra di più. Fatto sta che la sua gola sembra meno perversa e più da pop-star: ma si tratta di sfumature, non aspettatevi cambi clamorosi. Nel primo Lp Martha compo– neva tutti i brani, qui ne gesti– sce solo metà lasciando il resto agli efficientissimi compagni di gruppo. Alle chitarre è suben– trato Tim Mc Govern (al posto di Jourard) in modo del tutto indolore: il sound è sempre il loro tipico, con qualche spazio in più per le tastiere. Bisogna anche precisare che la conti uità con l'album di esordio è dovuta al fatto che alcuni brani erano già collau– dati sul palco prima ancora di avere un contratto discografi– co (come "Peop/e, places, things" e "Careful") e quindi non saranno novità per chi li aveva visti in concerto l'anno scorso. Il segreto dei Motels resta il fascino discreto della semplicità ingegnosa. Indubbiamente ancora un punto in favore delle donne, autentiche padrone dei punti strategici nel bunker musicale anni '80. Massimo Bracco

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