RE NUDO - Anno XI - n. 88 - giugno-luglio 1980

' RENUD0/22 vitabileconseguenza di una situazione anormale. E' stato scritto dei tibetani che "l'essenziale è stato salvato". Po– tremmo dire aUora che in una situa– zione come quella di oggi l'essenziale si è mantenuto? Anche in quest'occi– dentalizzazione del rapporto con il sacro, l'anima dell'esperienza spiri– tuale (o ·culturale, visto che parlando del Tibet culturale e spirituale sono tutt'uno) è stata salvata? Direi senz'altro di s1:Lo possiamo vederesollo diverse olliche. Un Lama darebbel'interpretazione più positiva: secondo un punto di vista streuamente religioso, tulio questo è ser\lito a dif– fondere il buddismo in Occidente. Quindi anche grazie a questa specia– lizzazionee si è potuta ollenere una traduzione del buddismo in termini occidentali: un popolo intero che ha dovuto trasformarsi in questo modo, e snaturare il suo vissuto quotidiano, che in fondo è un accidente cui non bisogna troppo affezionarsi. Si perdo– no delle cose, si va vestiti all'occiden– tale,però in questo modo si salva l'es– senziale, e gli si permei/e anche di re– stare più vivo; lo si diffonde con dei canali diversi, magari meno affasci– nanti, ma forse più utili a tenerlo in vita. Questa è una chiave d'interpreta– zione. Poi ce ne può essere una, più sociologica e meno ollimistica: queste persone devono conciliare le loro cul– ture, e non è facile. Chi non è arrivato alla visione da Bodisha11va la vede come una situazione di conjlillo. Il dover rinunciare all'omogeneità tra spirituale e culturale crea molti pro– blemi ... Le pagine più interessànti, per me, di Tibetani in Svizzera, sono quelle in cui lei traccia un profilo della situa– zione dei giovani. Di persone, cioè, fuggite dal Tibet nel '59, che quindi non l'hanno mai visto in vita loro, non ne banno nemmeno un ricordo defi– nito. Questa, tulio sommato, è la cosa che ha più interessato anche me. Si è creato una situazione per cui, per la gran parte di queste giovani genera– zioni, quello che è tibetano viene a GOStituireun valore che vale per sé, senza che ne siano ben conosciute le componenti. Mi è capitato spesso di fare delle domande specifiche sul · buddismo e di trovare impreparati questi giovani. Però dicevano, "è per questo che vogliamo l'Hlscirci,che vo– iliamo t ovare qualcuno che ce lo spieghi, vogliamo ritrovare la nostra 'identità perduta ... •: Il che è vero, ma fino ad un certo punto: quando si tro– vano, fanno quello che fanno tulli i giovani; non è che esplorino afondo la loro cultura religiosa tradizionale. Con tulio ciò, la cosa ha valore lo stesso: di fronte ad una situazione di quel tipo, poteva anche venir fuori questa coerenza. Perché infondo que– sti giovani sono stati accolti da fami– glie che avevano la volontà di acco– glierli, quindi avrebbero potuto essere completamente assimilati. Invece, ap– pena arrivati all'età in cui tulli ci chiediamo chi siamo, scallava in loro un meccanismo di estraneità alla cul– ·tura in cui erano cresciuti: la cultura buddista, allora diventava per loro un momento importante d'aggregazione, anche se poi non arrivano mai a pos– sederla cqmpletamente. Evidentemen– te c'è qualcosa di particolarmente for– te in questo loro bisogno culturale. Tutti banno chiaro che la vecchia struttura non si ricomporrà mai più anche se gli esuli dovessero rientrare un giorno in Tibet. Però il buddismo rimane un punto termo, per i "pro– gressisti" come per i "conservatori". A me questa situazione ba ricordato alcuni aspetti della situazione irania– na: parlando con alcuni studenti per– siani, anche più occidentalizzati di me, scoprivo che non conoscevano affatto bene l'Islam, ma oscuramente sentivano che era qualcosa all'inter– no del quale potevano trovare una collocazione. Si ritorna un po' all'o11imismo. Questi falli mellono in chiaro che il buddismo non è più una cultura legata alla strullura feudale isolata, dove aveva potuto durarefino a ieri in virtù del suo stesso isolamento. Perché ve– diamo che anche in una situazione completamente diversa il momento di comunicazione, d'identità, di colloca– ::ionedell'individuo in un dato gruppo. passa a11raverso la cultura buddista. Nei suoi libri, lei parla contro quest'immagine del Tibet tanto iso– lato per propria volontà. Semplicemente per dire che s1 e molto schematizzato un fenomeno che è apparso cost'agli occidentali che per primi sono arrivati in Tibet. In realtà, l'impero cinese di allora aveva dell'in– teresse a fare pressioni su questo stato periferico per non facilitare i contali i fra l'Occidente e la Cina stessa. E tra Occidente e Cina stava il Tibet, che cosi' è rimasto abbastanza chiuso; chiuso poi fino ad un certo punto, perché è stato l'unico regime religioso, per esempio. ad accordare tanta li– bertà d'azione ai missionari cristiani. Una cosa che colpisce ancora oggi, nei Lama, è l'e trema apertura verso ciò che è diverso. Specialmente que– sto Dalai Lama, che dice che ciascu– no deve trovare nella propria religio- ne, nella propria spiritualità, la ri– sposta ai suoi problemi. A questo proposito, vorrei sapere se, secondo lei, l'interesse di larghe aree culturali dell'Occidente verso il buddismo tibetano ba qualche influs– so positivo anche sui profughi tibeta– · ni. Voglio dire, vedendo questi occi– dentali che aprono comunità, come Pomaia in Italia, i tibetani sj sentono in qualche modo compresi, o la cosa non ba influenza su di loro? Ho sempre trovato una risposta cu– riosa dei tibetani, a proposito di questo problema, una specie di complesso di superiorità. Quasi mai ho trovato del– lo stupore: era dato per scontato che gli occidentali, avendone l'opportu– nità, si interessano al buddismo. Cer– to. dal punto di vis1a,per cosi' dire, materiale, questo interesse li ha aiutati molto, ha permesso loro di continuarP la loro vita comunitaria, ed ha per– messo a certepersone di portare avanti il proprio insegnamento. E' notevole, invece, questo interesse rivolto proprio verso il buddismo tibe– tano. In fondo. noi occidentali po– tremmo accostarci a molte altre espressioni spirituali, anche nell'am– bito del buddismo stesso. Personal– mente, posso spiegare perché mi sono interessato di questo problema in mo– ' do ilOnesclusivamente antropologico, ma partecipato: è che il buddismo ti– betano è un 'esperienza collelliva, che non pub prescindere dall'esperienza dell'altro. Consiglia due cose che per noi sono inconciliabili: raggiungere una elevazione assoluta in astrazione dai propri condizionamenti esterni, e nello stesso tempo doverlofare sempre in comunicazione con l'altro. Questa è la chiave, secondo me, del nostro interesse per il buddismo, que– sto unire l'ascetismo con l'impegno nella vita. E questa è la ragione per cui tanti, oltre a leggere dei libri, hanno voluto farsi discepoli, entrare in una comunità, a volte anche con delle in– g'enuità notevoli. C'è da chiedersi, però, come mai una religione tutto sommato tradi– zionale come il buddismo tibetano ba attirato in Occidente soprattutto l'attenzione dei dissenzienti, di per– sone come Orlowski o Ginsberg. Per lo zen c'era stata un'infatuazione di uomini come Watts, che ci vedevano una specie di pensiero anarchico orientale. Ma per il buddismo un equivoco 1mcbe iniziale, come que– sto, è impossibile. Può darsi che sia parte di un pro– cesso evolutivo dell'esperienz~. A eco– starsi ad una disciplina cosi' tale, che comporta sia una disciplina mentale che una disciplina di vita, non è una cosa che si possafare in modo sponta– neistico, immediato. Quindi, forse l'Occidente, dopo tanti tentativi a de– stra e a sinistra, sbagliati e parziali, ha trovato un termine della sua ricerca in questo pensiero. Per concludere, come vede lei que– sti tentativi occidentali di creare una comunità articolata, come Pomaia o come il Majusbi lnstitute in Inghil– terra?Comevedeil futurodi queste situazioni in Europa? Si ripeterà quello che è successo in America do– po il boom d_eglianni '67-73, cioè ri– marrà un'area d'interesse verso il buddismo? Non è facile rispondere. Da una parte dipenderà da quello che succe– derà in Tibet. Se ci sarà una norma– lizzazione del Tibet, i tibetani tende– ranno a ricostruire le loro comunità e la loro cultura nel loro territorio. Quindi ci sarà una minore presenza dei Lama in Occidente. Ma credo che non andrebbé comunque perduto il si– gnificato della loro esperienza occi– dentale, che credo sia stata una grossa tappa per lo stesso buddismo, che io vedo oggi molto vitale. Quindi, anche se il centro dell'esperienza buddista tornerà in Tibet, non andranno per– duti i contai/i che hanno ridato al buddismo molta della sua linfa vitale. Questo dal punto di vista tibetano. Per quanto riguarda l'Europa.forse il tessuto americano è più ricellivo verso le cose che vengono dall'esterno: c'è più spazio.fisico e mentale, in Ameri– ca. Ma penso che neanche da noi queste esperienze potranno atrofiz– zarsi e morire. Ormai l'interesse par– tecipato, voglio dire non da occiden– tale colto, è destinato a rimanere. E carauerizzerà la vita di molti, oltre a tuuo un tipo di studi. Piero Verni

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