RE NUDO - Anno XI - n. 87 - maggio 1980

F inalmente una sc'tiiarita nel nebbioso panorama del folksong nostrano! Stiamo parlando, è chiaro, di quel piccolo miracolo discografico che è O al governo o all'opposizione, la prima opera di una prestigiosa accoppiata poetico musi– cale: Giancarlo Pajetta e Antonello Trom– badori. Per trovare precedenti, bisogna senz'al– tro riandare alla collaborazione tra Lucio Dalla e Roberto Roversi, se non, su un altro piano, addirittura al sodalizio Mitchell/Min– gus. Ma l'unione di due personaggi tanto prestigiosi nel nostro panorama culturale merita una minima retrospettiva. r protagoalstr Giorgio Amandola: il manager. Uno dei migliori talent-scout viventi, soprannomina– to "IL Malcom McLaren dell'eurocomuni– smo". Ha scoperto e lanciato sia Pajetta che Trombadori fin dai remoti anni '40. Nei decenni successivi si è segnalato organiz.– zando una lunga ed articolata serie di festi– val ("dell'Unità"), ha riscoperto il liscio e portato in Italia Santiago Carrillo e Patti Smith. Enrico Berlinguer: il produttore. Esordì giovanissimo, insieme al cugino Giovanni, nel gruppo di cantori proletari galluresi Berlinguer Family. Diventato poi produttore ed organizzatore in proprio, ha portato la sua organizzazione a notevoli successi ita– liani ed esteri (pur con qualche perplessità in USA). Tra le sue produzioni più riuscite,./ canti delle Giunte Rosse (1977), Larga Coalizione (1977) e gli ultimi due governi Andreotti. Giancarlo Pajetta: il folksinger. Figlio di conti stornellatori toscani, ha esordito con O cittadini della capitale, che guadagnò la recensione entusiastica di Sandro Pertini. Celebre soprattutto per le sue esibizioni a Montecitorio, dove è considerato il miglior show-man dopo Pannella. Antonello Trombadori: il poesta. Apprez– zato per i suoi sonetti in romanesco. I suoi impegni musicali sono iniziati collaborando con il re della sceneggiata napoletana, Giovanni Leone, che poi abbandonò du– rante la registrazione di Lockeed Sympho– ny per problemi di finanziamento. Il gene– rale Dalla Chiesa ha detto di lui: "I suoi so– netti sono più potenti dei miei lacrimoge– ni!". La musica E veniamo all'album. Inutile dire che la limpidezza e l'essenzialità del sound sono tutte da ascriversi a quell'impeccabìle pro– ducer che è Enrico Berlinguer (pare sia sua la stessa idea base del disco). Nella migliore tradizione westcoastiana, l'album è diviso in un lato acustico ed uno elettrico. Nell'a– coustic side, inutile dirlo, trionfa la chitarra di Pajetta, agile ed aggressiva senza virtuo– sismi, con il solo ausilio di Trombadori al Tamburello e Anatolij Suslov alla balalaika. Le canzoni sono nostalgiche e sognanti: Gramsci, Togliatti e Berlinguer, Tambroni go home, Giugno 1976, Zaccagnini Blues, si snodano lungo un filo malinconico, ri– percorrendo attraverso il filtro della memo– ria gli awenimenti degli ultimi vent'anni. Ma se questo è il preludio, l'apice è rag– giunto nell'electric side. Al duo si aggiun– gono session-men del calibro di Tullto de Piscopo (batteria), Ares Tavolazzi (basso), Silverio Corvisieri (slide guitar), Armando Cossutta (tastiere). La ritmica è travolgente: dal blues fiammeggiante di E' ora, è ora, è ora di cambiare, al rock deciso di FGCI e Come on, Bettino, fino all'incredibile bai/ad che dà il titolo all'album. L'ultimo pezzo, in particolare, ha tutti i crismi per salire nell'Olimpo del nostro rock, valorizzato tra l'altro da ospiti di tutto ri– guardo come Giovanni Leone (mandolino elettrico), Pietro "Big Fat" Longo (armoni– ca), Marco Pannella (digiuni) e Lucio Magri (bella presenza); per non dire del contributo essenziale del coro dell'Armata Rossa. Una manciata di musica ribelle L'uscita di un disco di questo calibro non poteva passare inosservata. Non staremo a contare i tentativi d'Imitazione (pare, tra l'altro, che Piccoli voglia incidere il preambolo Donat-Cattin su extended-play, e che Andreotti stia preparando la versione rock del Rigoletto). Ci !Imitiamo qui ad una breve panoramica delle reazioni della stampa specia- lizzata. I "Forte, asciutto e vigoroso. Come un barolo " ... riproposizione di forme chiuse /c~m- d'annata". piute, nel loro calligrafico paternali~mo, là Giuseppe Saragat, Avvenire dove il fremito creativo si muove verso l'alea " ... stacchi di chitarre, guizzi di basso, trine acustiche di impalpabile sottigliezza. Un pianeta da esplorare, presto, prima che si perda il gusto dell'assoluto vocale e dell'antico duello voce/chitarra. Memorie di un Dylan men che ventenne e di ham– burgers sulla piazza rossa ... e quel Trom– badori, netto e tagliente come una lama di coltello!" Riccardo Bertoncelli, Musica 80 "Se sperano di recuperare l'elettorato gio– vanile con questi mezzucci; sbagliano di grosso". Bettino Craxi, L'Avanti! "La radice, solida e quadrata, della canzo– ne popolare, è la base, la struttura portante del disco. Ma nella realizzazione; chiara è l'influenza del pensiero gramsciano; ed è impossibile non accorgersi della derivazio– ne tutta togliattiana dell'impianto". Giorgio Napolitano, Rinascita " ... n~ila ~!gliore tradizione del rock de– menziale .... Beppe Videtti, Popster "Quite unbelievable!" Lester Bangs, Musician "Un ignobile libello messo in musica. Un'altra pietra della penetrazione bolscevi– ca in Italia. Dove sono finiti i bei tempi dell'Aida?'' Indro Montanelli, Il Giornale Nuovo e l'espansione illimitata. Che direbbe Ant– hony Braxton ..." Franco Bolelli, Almanacco Musica 1980 ttesti I Basterebbe il tessuto musicale a valoriz– zare il vinile di O al governo. Ma non bisb– gna trascurare le liriche di Trombadoh, poeta versatile, capace di passare con di– sinvoltura dai romanesco all'inglese, dal sardo all'italiano, sempre alla ricerca della massima espressività. Come ben ha rilevato Umberto Eco a proposito di Gramsci, To– gliatti e Berlinguer: "Siamo finalmente in presenza di una riscoperta del fonematico popolare, che sussunto da più consapevqle sensibilità linguistica, supera d'un balzo/le ristrettezze del sottosistema semantico". E non possiamo assolutamente dargli tortd; basti pensare alla scansione ed alla struttu– ra impeccabile di Zaccagnini Blues, con te– sto degno del miglior Muddy Waters: be, ... yes l'm wand'ring in \he EUR, ba– l'm the secr'tary no more. But I ain't going to Fanfani, no, I prefer to pray the Lord. Cosa rimane da dire, di fronte a tanta in– cisività? E' un album inarrivabile. Ha già vinto un disco d'oro, e mira a vincere anche le elezioni anticipate. Non perdetelo. Paolo Bertrando I RE NUD0/21 CONCER lggy PopGroup T he Pop Group. Nuova definizione di musica "popolare" che ingloba diverse esperienze, procedendo alla .lusione per mezzo di arditi accosta– menti, di frequentazioni senza preconcetti: free jazz, rock, funky, musica tribale. Il pro– cesso si assemblaggio è realizzato attra– verso successive framme!)tazioni del ritmo, ricomposizioni e citaziol)i alla ricerca di una completezza espressiva, mantenendo il più possibile lo spazio per forme musicali aper– te. Musicisti "sui generis" nel panorama in– glese, uniscono a questa progettualità in– novativa un impegno politico senza mezzi termini. Esemplificativo, a questo proposito, 1 è il manifesto, contenuto nel loro primo al– bum "Y", che rappresenta scene di massa– cri compiuti nel. terzo mondo: immaginii violentissime, commentate nei testi senza alcuna mediazione. Dal vivo il Pop Group possiede un carisma insospettabile, i musi– cisti so·notesi come una corda di violino alla ricerca della giusta comunicazione. Ab– bandonata la danza totemica "Y", investo– no il pubblico con una energia e una rabbia h:itta tesa all'evocazione di immagini del mondo esterno e di "simboli inconsci": là "White Light" dei Velvet diventa con il Pop Group . "White Noise", rumore bianco. Il canto di Mark Stewart sembra riportare in vita la vocalità "tout court" del Tim Buckley di "Starsailor": l'urlo espande il significato, è momento fondamentale dell'espressione. Dopo una caricatissima versione di "We are time", il pubblico, invitato dagli stessi musi– cisti, esplode in una frenetica "modem dance" sul palco. Il concerto si chiude con il ritmo selvaggio e le frasi taglienti di "We are all prostitute": "Il capitalismo è la più barbara delle religioni. I nostri bambini si rivolteranno contro di noi, perché siamo gli unici da biasimare. Noi siamo tutti prostitu– te". Francesco Pacella Seidomande al POPGROOP . Che differenze ci sono tra il Pop Group degli Inizi e quello di oggi? Sai, è cambiato tutto; o meglio, siamo cambiati noi: avevamo sedici, diciassette anni, quando abbiamo cominciato. Adesso ne abbiamo venti, e le cose le vediamo in tutt'altro modo. Anche la situazione è un 'altra: pensa che nel '77, a Bristol, che è la nostra città, non lasciavano suonare i gruppi punk, e noi dovevamo farci passare per cabarettisti ... Ma oggi non è rimasto proprio niente del punk? Non per noi. I grandi nomi del primo punk sono tutti sputtanati. Guarda i Clash: ormai non sono niente di diverso dai Rolling Sto– nes! E della nuova ondata Mod che ne dite? E' più che altro folklore ... cioè, una volta voleva dire qualcosa, negli anni '60, ma adesso è un fenomeno vuoto. Gli Skin– heads, invece di rompersi la testa con i rockers, dovrebbero prendersela con i re– sponsabili veri della loro situazione. Che gruppi vi piace ascoltare In questo momento? Di cose interessanti ce ne sono, come le Slits. Ma forse il gruppo che, oggi, fa la ri– cerca più nuova sono i Throbbing Gristle. Come vi è sembrata l'Italia? Non pensavamo che la situazione fosse cosi ... chiusa. Tutti quei poliziotti col mitra ... non sembra che ve la passiate molto bene. Come definireste Jean-Paul Sartre? Funky. Paolo Bertrando,

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