RE NUDO - Anno XI - n. 86 - aprile 1980
violenza politica non è mal consi– derata Immorale da chi la pratica: c'è una minoranza che 11 con– trappone allo Stato, ergendosi a Stato essa stessa, dandosi pro– prie leggi e propri tribunali, sem– pre convinta di agire per Il bene delle "masse". Colui che appar– tiene a questa minoranza e che commette quello che dagli altri è definito un crimine, sente di ese– guire una condanna emessa dallo Stato nel quale si riconosce. Condannare moralmente Il terro– rismo vuol dire condannare que– sto metodo con cui cl si arroga Il diritto di togliere la vita ad altri. Sei d'accordo? R. Qui secondo me c'è un no– do... Ciò che emerge è che c'è un gruppo, fortemente minoritario, che tenta di sconfiggere la mag– gioranza della popolazione, fa– cendo della violenza un fine. Vo– glio dire che non c'è una violenza che risponde alla violenza dello Stato. D. Questo però è molto sog– gettivo. Cl sono delle aree di emarginazione, per esempio quella da cui proveniva Zlcchitel– la, che subiscono una violenza diffusa nella società. R. Possiamo ragionare su que– sto, sugli emarginati. sugli omicidi bianchi. Tutto questo c'è, però ... D. Scusa, ma voglio dire che oggi ci sono delle frange di popo– lazione, abbastanza numerose anche se minoritarie, che non si sentono rappresentate in questo Stato. Si può discutere da un punto di vista sociologico sul perché avvenga questo. Possia– mo chiamare paranoica la loro analisi politica. Resta Il fatto però che queste persone si sentono oppresse In maniera violenta e si sentono giustificate a rispondere con la violenza. Allora, o tu con– danni Il metodo di cui parlavo pri– ma - ma allora non condanni solo Il terrorismo - oppure nel confronti di questa violenza esprimi un dissenso politico. Se– condo me è necessario fare chia– rezza. Qui ci sono due aspetti; primo: è necessaria una battaglia politica contro il terrorismo, contro i suoi obiettivi, le sue analisi, la lettura dogmatica che fa del marxismo, anche per sconfiggere l'idea di un terrorismo frutto solamente dell'emarginazione giovanile. Se– condo: oggi c'è un problema mo– rale. lo ritengo che in uno Stato a democrazia sviluppata - è un giudizio politico anche questo na– turalmente, ma un giudizio che si basa su prove concrete - la vio– lenza sia da condannare in asso– luto. Oggi bisogna rileggere il "Trattato sulla tolleranza". E' ne– cessaria una rivolta morale contro la violenza, oltre che una battaglia politica, per affermare l'esigenza che un uomo non opprima più un altro uomo in nessuna forma. sia questa lo sfruttamento, sia questa la negazione del diritto alla vita che fa il terrorismo. D. Ml sembra però che questa negazione non sia propria soltan– to del terrorismo. li metodo di cui parlavamo prima, per cui una mi– noranza decide sul diritto alla vita di altre persone, è stato fatto pro– prio anche dal leninismo e se– condo me è uno del fattori che hanno portato al crimini di Stalin, alle fucilazioni degli anarchici In Spagna, al "tratti di llllberallSl'('IO" dell'Unione Sovietica. Condan– nare la violenza non basta se non si fanno I conti con la propria sto– ria,con la storia di tutta la sinistra. R. Continuiamo a fare un ra– gionamento su un doppio binario. Se noi affermassimo che la vio– lenza è da negare in assoluto, al– lora sarebbe da negare tutto lo sviluppo dell'uomo nella storia dei secoli. Anche la rivoluzione bor– ghese passò attraverso violenze inaudite. Il punto è che allora la società era organizzata in modo tale da non permettere la libera circolazione delle idee e del con– fronto. D. Ml sembra che anche nel caso del terrorismo si possano ri– conoscere delle motivazioni so– ciali. Pecchloll ha detto (Intervista del N. 8 dell"'Espresso") che Il terrorismo ha "radici profonde nella nostra società" L'Unità del 20 febbraio scriveva: "Combatte– re Il terrorismo ogni significa so– prattuttogarantire una risposta al problemi della crisi: quelli del la– voro, del giovani, del Mezzogior– no; quelli della efficienza e della piena democratizzazione degli apparati dello Stato". Anche il terrorismo dunque ha delle moti– vazioni sociali. Perché allora in questo caso si può parlare di "In– fame crimine" e "atto di bestiale ferocia" (Berlinguer a proposito dell'assassinio di Bachelet)? R. Tu come lo chiameresti? D. lo lo chiamo così. Ma chia– mo "infame crimine" anche i pro– cessi stalinisti. R. Noi li abbiamo condannati con grande violenza. D. Non ml sembra con lo stes– so tipo di durezza. Soprattutto non mi sembra che nella sinistra - e non parlo solo del PCI, perché nel leninismo e nello sta– linismo si sono riconosciuti an– che settori ampli della nuova si– nistra, -11 tema della violenza sia affrontato con sufficiente chia– rezza. R. Non vorrei essere frainteso. Ci sono certamente anche feno– meni sociali alla base del consen– so che il terrorismo trova in alcuni settori. Questo consenso però trova sbocco in una precisa pro– posta politica -e sottolineo il fat– to che ci sia una proposta politica del terrorismo _, Ma io ripenso adesso alle lettere dei condannati a morte della Resistenza e cioè di antifascisti che combattevano il fascismo con le armi. In quelle lettere c'è una rivolta morale .con– tro la violenza e l'assassinio. Gramsci al figlio: "Tu devi stu– diare la storia perché la storia la fanno gli uomini. Dobbiamo aver fiducia negli uomini". Un altro di– ceva: "lo perdono i miei assassini; loro non sanno, ma io so che vivrò". La scritta sui muri a San Salvador: "Tu non sai perché mi uccidi, ma io so perché muoio". In tutto ciò si fa la scelta della vio– lenza come necessità storica e contemporaneamente, anche se pare una contraddizione, c'è una rivolta morale contro la violenza che costringe a praticare la vio– lenza. Questo è un punto, poi c'è un altro punto che riguarda le ori– gini politiche e culturali dei feno- meni di terrorismo. D. Non vorrei sembrarti provo– catorio, ma quello che hai detto ml fa venire In mente l'Intervista a un terrorista anonimo (N. 11 dell'Espresso). Alla domanda se provarimorso risponde di provare " ... schifo per essere costretto a lare cose che non ho scelto di la– re... costretto a fare·qualcosa che vorrei non fosse necessario fare ... costretto, sì, ma senza virgolette, a sparare su un uomo disarmato ma colpevole, Inerme ma respon– sabile per la sua parte, della mia disumanità e di quella a cui sono spinti coloro che si ribellano...". R. Questa è una giustificazione ideologica... Ma l'assassinio del poliziotto davanti all'ambasciata che giustificazione politica ha? D. Forse a questo punto è me– glio vedere un po' Il senso di questo discorso sulla morale. lo ml chiedo: qual è oggi la strategia che sembra prevalere, per risol– vere le tensioni sociali laceranti di cui Il terrorismo è un effetto. Ml sembra che sia In atto Il tentativo di porre le aree di dissenso che non riescono a riconoscersi In nessuno degli attuali canali Isti– tuzionali di fronte a una scelta drammatica: "criminalizzarsi" o scomparire. SI tenta persino di criminalizzare quelle aree che vorrebbero cambiare, non le isti– tuzioni, ma Il modo di gestirle (vedi ad esempio gli attacchi a Magistratura Democratica). Se questo disegno andasse in porto si otterrebbe una grande sempli– ficazione: da una parte un dis– senso ormai criminale da repri– mere con gli unici mezzi che a quel punti rimarrebbero: la re– pressione militare. Dall'altra un dissenso messo nelle condizioni di non contare più nulla. In tal ca– so forse avremmo di nuovo la pa– ce sociale, ma non certo la de– mocrazia. Ml sembra che le ese– crazioni della violenza diventino pura retorica In mancanza di chiarezza, e contribuiscano così a creare quel clima di confusione di cui la strategia di cui dicevo ha bisogno per ricevere consenso. Che senso ha Isolare l'Autono– mia, che non è solo "estremismo armato", ma un fenomeno sociale e politico, se non quello di fare un regalo enorme al terrorismo e In– serirsi, In fin dei conti, nella stra– tegia di cui parlavo prima? R. Non mi sembra che il nostro scopo sia quello di spingere le frange più disperate verso il terro– rismo. Anzi, dobbiamo fare il con– trario. Dobbiamo condurre una battaglia politica per conquistare al metodo democratico le spinte le proteste, la rabbia dei giovani. D. TI sembra che Il PCI si muo– va su questa linea? La cronaca falsa che l'Unità ha fatto degli scontri avvenuti dopo Il funerale di Valerlo Verbano tanto per fare un esempio, non ml sembra In accordo col tentativo di conqui– stare questi settori. R. Il punto è come farlo. Se questo vuol dire venire meno alla difesa della democrazia e del di– ritto alla libertà della maggioranza dei cittadini non sono più d'ac– cordo. D. La libertà anche per gli au– tonomi di lare un funerale. Ml sembra che finché non sparano o non commettono crimini, sono cittadini come gli aHrl... R. Peccato però che portino in giro i bazooka! D. Perché secondo te si è arri– vati a questa situazione? Che co– sa è stato fatto per Impedirlo? R. Noi potevamo solamente lottare; forse non abbiamo lottato a sufficienza per far emergere i bisogni giovanili, i loro problemi, le loro tematiche. Questo ha per– messo il diffondersi dell'idea per cui la lotta democratica non paga; il diffondersi del soggettivismo assoluto, della lettura dogmatica del marxismo; ha permesso il ve– nir meno de/l'analisi dello Stato come complesso di interazioni dei rapporti fra gli individui; tutto que– sto ha favorito un disegno politico, contro cui forse non abbiamo combattuto abbastanza fin da/l'i– nizio. Attenzione però, se la lettura è solamente che il terrorismo è il frutto dell'emarginazione sociale, non possiamo più venirne a capo. D. Secondo te, perché la FGCI non ha un grande seguito Ira I giovani che pure si riconoscono a sinistra? R. Noi scontiamo oggi le diffi– coltà del rapporto fra i giovani e la politica. E cioè scontiamo il fatto che in settori ampii di gioventù oggi sta venendo sconfitta l'idea che sia possibile cambiare, che la lotta e la battaglia politica possano costruire una società differente. D. Perché questo? R. I motivi sono diversi, anche di carattere internazionale. Oggi per le nuove generazioni sono ve– nuti meno i punti di riferimento in– ternazionale. Nel '68 ad esempio c'era la Cina. D. Questo è un fattore senz'altro Importante che costi– tuisce lo sfondo di questo mo– mentodi crisi. Però cl sono anche altri motivi. R. Un altro aspetto collegato a questo è il venir meno dell'idea di socialismo fra i giovani, che per una forza di sinistra come la no– stra che vuole il socialismo non è un fatto secondario. C'è infine an– che una crisi che avanza e a cui è difficile rispondere. E' una crisi che investe vari settori: crisi eco– nomica, di valori, della convivenza civile. Siamo sotto i colpi del ter– rorismo, che schiaccia il processo interno di trasformazione dello Stato contro la difesa dello Stato cosi com'è. Tutti questi sono ele– menti che pesano in maniera ne– gativa. Infine ci sono anche diffi– coltà più dirette nostre, che metto volutamente in fondo perché mi pare che non sia nostra la re– sponsabilità maggiore. Penso co– munque alla fase dell'unità nazio– nale, a come ci siamo mossi ri– spetto ai giovani, le nostre diffi– . coltà a comprendere le loro ri– chieste di autonomia. Su questo siamo arrivati in ritardo, a mio pa– rere. D. Perché? R. Talvolta i perché sono nei ri– tardi stessi. Non c'è stata una analisi sufficiente della questione giovanile, e questo ha portato a una chiusura culturale del partito verso alcuni fenomeni e verso i problemi estranei alla nostra tra– dizione e alla nostra storia che i giovani ponevano. La questione dell'individuo, i problemi del per- RE NUD0/5 sonale, tutti aspetti per molti versi estranei alla tradizione del movi– mento operaio, sono esplosi inve– ce attraverso la realtà dei movi– menti dei giovani e del movimento delle donne. E sono esplosi anche in polemica con noi. Pensiamo al– le critiche che i giovani hanno ri– volto al lavoro, al valore spesso moralista che noi gli davamo. Il partito, almeno nel suo comples– so, non è riuscito a vedere che dentro a quelle critiche c'erano fermenti positivi che dovevano venire ad arricchire la nostra ela– borazione teorica e politica. D. Ml sembra che un altro er– rore-ritardo del Pcl sia stato quel– lo di aver lasciato sopravvivere al suo Interno, e non solo a livello di base, Il mito della lotta armata. R. Tutto questo ci fu nel passa– to. D. Cl fu nel passato e fa parte della storia della sinistra. R. Di una storia però che era legata a fatti concreti. E qui si tratta di dare un giudizio storico: se noi vediamo un collegamento fra Luigi Longo, che è stato in Spagna nel '36 e nella Resistenza in Italia, e Renato "Curcio, perché entrambi hanno usato armi, fac– ciamo un errore storico e anche morale, a mio parere. Storico perché la Spagna del '36 non è l'Italia del/"80; morale perché la pallottola di Longo era la risposta a quella di Franco che attacca va la Repubblica spagnola; quella di Curcio è invece la pallottola con– tro Guido Rossa. D. Sì, però In Spagna cl sono state anche le pallottole contro gli anarchici. R. Questi fatti li abbiamo con– dannati; ci sono pagine nere an– che nella storia del movimento operaio. D. Sì, ml sembra però che que– ste non siano deviazioni casuali, ma aberrazioni a cui può portare un certo metodo di lotta politica. Prendiamo I processi stalinisti, l'assassinio di Trocklj: anche lì chi lo eseguiva non sentiva di commettere un atto arbitrarlo. sentiva probabilmente di eseguire la decisione politica di un'orga– nizzazione nella quale si ricono– sceva. Non si può condannare moralmente Il terrorismo senza condannare nello stesso modo anche questo. R. Si, condanno nello stesso modo anche questo. Anche qui c'è un elemento di barbarie, che può avere una sua giustificazione in quella fase dello sviluppo dell'URSS ... D. Con le giustificazioni ml sembra che bisogna stare attenti. Anche In Italia cl sono fenomeni d'emarginazione drammatica. R. Si, dal punto di vista morale secondo me le purghe staliniane sono da condannare altrettanto a fondo. Intervista raccolta da Paolo Paoloni
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