RE NUDO - Anno XI - n. 83 - gennaio 1980

l'entrata. Tutti sanno cos'è il Cinema, in galleria, c'è gente che limona, pomeggia, coppie che s'intestano, grattuggiano, sal– tano, gemono, vagiscono, chi fiorisce, stormisce ecc., sollevano le mani, le ci– glia, le sopracciglia, s'inseguono, cerca– no di afferrarsi. Vedevo tutto questo e morivo dalla voglia, qualunque cosa, lo giuro, ma soprattutto avrei voluto ba– ciarla. E qui era il pericolo, il povero Marco portava i segni dei denti nella guancia e a Piero mancava il naso, ad Antonio un orecchio, ed erano solo i casi conosciuti, tra colleghi e amici. A me forse poteva capitare peggio, gli occhi, la lingua, tremavo a quest'idea intanto che venivo attratto da quelle labbra. Mi avvi– cinavo lentamente, impercettibile, come un uccello al serpente, giungevo fino ai pressi della spalla e di colpo mi ritraevo, così per tutto il tempo. Nell'intervallo pensai di raccontarle una storiella per ve– dere di scioglierla, almeno un poco, alle donne piace l'uomo allegro, dalla battu– ta facile, e che racconta buone barzellet– te, al caso. Le raccontai quella del pesce che cammina, una storiella classica, mi aveva detto di non conoscerla. Un uomo vede un pesce che cammina per via Man- RE NUD0/36 zoni, venendo da piazza Cavour verso piazza della Scala. Faticava molto non avendo le gambe e dovendo spostarsi con le pinne, e inoltre gli mancava l'acqua e boccheggiava, l'uomo non potè fare a meno di scoppiare a ridere, ma tanto e così forte che i denti gli ballarono in boc– ca, gli uscirono dalle gengive e gli cadde– ro in gola tutt'insieme e nello stesso istante e morì soffocato. Il pesce che pas– sava accanto si volse a guardarlo e in quella Rosa, una bionda dagli occhi az– zurri e il seno importante, che tutti co– noscevano in quei dintorni, e camminava con scarpe dai tacchi a spillo, lo calpestò e lo trafisse al cuore col tacco sottilissi– mo. Teresa serissima non accennò neanche un sorriso, tanto per convenien– za, si voltò a guardarmi coi freddi occhi che sembr~vano acqua gelata qi una poz– zanghera e disse - E tutto? - Trascorsi il tempo in un continuo tormento. Era il pensiero di quei denti lunghissimi che si scoprivano ogni tanto, di quella tremen– da intricata agitata capigliatura, chi: avrebbe potuto strangolarmi, e cti Rena– to senza il labbro inferiore, e a un altro, di cui non ricordo il nome, aveva pucato la guancja, lasciando un foro tondo tutio dentellato. Lasciandola sentii il bisogno di uno sfogo e mi diressi verso una specie di parco storico, un antico giardino gen– tilizio. Da tempo ormai cresce la mia in– clinazione verso gli esseri più belli ed ele– vati, gli alberi. Non ho ancora trovato il modo di amare quelli grandi, le querce, i pini, i pioppi, ma sono riuscito facilmen– te e con delizia ad amare i piccoli arbusti, nascenti ed esili, ricchi di foglie e di ra– metti. A volte il signor Teto usciva a cercarli nei giorni di vento e immergeva il sesso nudo nel tenero viluppo che fremeva e si agitava, accarezzandolo delicato, fino al pieno possesso. li pensiero di ;reresa l'ossessionava lo stesso, ricordava le gambe snelle affusolate, il biforcarsi am– pio e armonioso alle radici della schiena, nel buio i suoi occhi che diventavano li– quidi, scintillanti, tendevano a scorrere per le guance, come lava. Prese a pic– chiare con la testa dei grossi chiodi nel muro quando gli scappò la mano e ne cacciò uno in pancia, poco sopra l'ombe– lico. Era tempo che aveva preso gusto a conficcare chiodi con la testa, con la fronte, tanto che aveva una zona della sua camera, un grande rettangolo, pun– teggiata fittamente. Quando accadde nemmeno se n'accorse poi subito vide il chiodo infilato, faceva caldo e si era messo nudo, quindi avverti una certa tra– fittura, una sensazione pungente, non in– sopportabile. Era evidente che non dove– va aver toccato nessun nervo altrimenti sarebbe stata altra la sofferenza ma era terrorizzato, la ferita era grave, proba– bilmente mortale. Al minimo movimen– to il ferro ?.vrebbe lacerato, sarebbe sgorgato sangue, una inarrestabile emor– ragia. Tratteneva il respiro ne si azzarda– va a chiamare,"abitava solo, pensava di prolung~re al massimo la vita che gli re– stava, gli pari:va che, fino a quel momen– to, intestini e organismo non avessero reagito, quasi non si fossero accorti. Sperava di poter continuare cosi almeno un poco, non credeva che vi fosse ormai da sceglii:re o da decidere, l'importante era vivere intensamente quei rari attimi, sciogliere quello che nella mente, per tut– ta la vita, non aveva risolto. Aveva strappato il vestito a Paola, le aveva tira– to un oreccpio, il vigilelo aveva sgridato, Paoja tutta piangente, il vento le toglieva la sottoveste, e il cielo plumbeo e il sole appena appena e la gente intorno, che os– servava. Non riµsciva ·a trovare il senso. Era up periodo nero, incominciava a piantar chiodi con la testa, camminava all'indietro, saliva le scale sulle mani, quajche volta abbaiava, nel buio. Era andato fuori in campagna, una specie di boscq, ricordava, la scusa era di pescare, i pesci veqivano fino a riva, appoggiati ai gomiti, si limitava a guardare. C'erano iilti alberi, grandi pere troneggiavano co– me massi, gli aranci rotolavano dal pen– dio, il sole fra i rami. Usciva presto al– i' alba, nell'aria ricca di clorofilla, rac-

RkJQdWJsaXNoZXIy