RE NUDO - Anno X - n. 81 - novembre 1979

fornisce una falsa motivazione, che in superficie però sembra assolutamente vera, autentica. E questo suc– cede non solo tra padre e figlio, ti;-a madre e bam– bino, ma anche tra la società nel suo insieme e tutti i bambini, tutti coloro che si sono smarriti. Per que– sto esistono le prigioni, per questo esiste la legge - e ,ma rivincita che si prende la società, è una ven– detta. La società non può tollerare che qualcuno diventi un ribelle, perché il ribelle distrugge l(intera struttura sociale. E il ri chio è che il ribelle può avere una ragione. Atene non poté tollerare Socrate, non perché Socrate avesse torto, ma perché aveva ragione! Se avesse tollerato un uomo come Socrate, tutta la strut– tura sociale ateniese sarebbe andata in pezzi. Così Socrate dovette essere sacrificato in nome della so– cietà. E Gesù fu crocefisso, ma non perché quello che dice– va fosse sbagliato - mai sulla terra sono state pro– nunciate parole più vere. Gesù fu sacrificato in no– me della società, perché quello che diceva e il modo in cui si comportava mettevano a repentaglio la strut– tura stessa della società. La società non può tollerare che siate ribelli, per que– sto vi punisce. Ma trova poi delle razionalizzazioni: che la punizione erve solo a redimervi, che tutto è fatto per il vostro bene. Ma nessuno si preoccupa poi di vedere se la punizione ha ortito l'effetto sperato oppure no. Per migliaia di anni abbiamo punito i cri– minali, ma nessuno si è mai preoccupato di andare a vedere se i criminali sono stati effettivamente trasfor– mati dalla nostra punizione. La criminalità è in con– tinuo aumento: più aumentano le prigioni, più aumen– tano i carceri; più leggi ci sono, più criminali; più tribunali ci sono, più condanne. Il risultato è total– mente assurdo: la punizione erve ad aumentare la criminalità. Qual'è il problema? Anche il criminale i può rendere conto delle vostre razionalizzazioni, e può sentire che non è stato condannato perché ha fatto qualcosa di male, questa è solo una razionalizzazione: è stato con– dannato solo perché si è fatto acchiappare. Anche lui ha un suo modo di razionalizzare la cosa: si ripro– mette di essere più furbo la prossima volta, ecco tut– to. Questa volta è stato preso perché non è stato ab– bastanza furbo, non perché ha fatto qualcosa di male. La società si è dimostrata più furba di lui, quindi la pros ima volta dovrà stare più attento: dovrà essere più furbo, più intelligente e non si farà prendere. Ogni carcerato, ogni criminale, pensa di essere con– dannato non per la cosa che ha fatto, ma -010 perché ~i è fatto prendere dalla polizia. Quindi in prigione imparerà solo che non deve farsi più prendere. Quando un detenuto esce di prigione è un criminale perfetto: in prigione ha vissuto con degli esperti, gen– te più avanti di lui, arrestata e condannata tante vol– te, gente che ha sofferto molto, gente che conosce ogni tipo di imbroglio, grandi esperti del crimine. Vivendo insieme a loro, ervendoli, diventando loro discepolo, il detenuto impara: impara dall'esperien– za a non farsi catturare la prossima volta. Quando esce di galera è un criminale più esperto. essuno smette di fare il delinquente solo perché è -tato in prigione, eppure la ocietà continua a pen– sare che ia giusto mettere in prigione la gente per arrestare la criminalità. Hanno torto tutti e due ia i criminali che la società; la società si vuole vendi~are dei criminali, è questa la vera ragione della condan– na, e il criminale lo capisce perfettamente perché l'ego capisce il linguaggio dell'ego, per quanto in– conscio possa essere. E così anche il criminale pensa: « Va bene, appena ne avrò l''"lccasione mi vendicherò a mia volta ». r:. un conflitto tra l'ego della ocietà e RE NUD0/9 l'ego del criminale. Credete che Dio si comporti nello stesso modo? Cre– dete che Dio sia come un giudice, un magistrato, un padre, un padrone? Credete che Dio sia crudele co– me la società? Egoista quanto lo siamo noi? Che si vendicherà se disubbidite? Che vi punirà? Se fosse co ì non sarebbe più il Divino, ma un uomo comune, un uomo come noi. Questo è uno dei problemi fondamentali: come si comporta Dio con un p ccatore che si è smarrito? Sarà buono con lui? E poi: se Dio vuole essere giu– sto, non può avere compassione perché la giustizia e la compassione non possono esistere insieme. Aver compassione significa saper perdonare senza condi– zioni, e questo non ha niente a che vedere con la giustizia. Un santo prega per tutta la vita senza far mai nulla di male: ha sempre paura di oltrepassare il confine, rimane limitato, vive in una prigione. Non fa mai niente di sbagliato, rimane un esempio di virtù e au– sterità per tutta la vita, non si abbandona mai al piacere dei sensi, è sempre austero. Un'altra persona invece, vive, indulge in tutto quello che le piace, fa tutto quello che le viene in mente, segue i sensi ovun– que la conducano, si gode tutto quello che il mondo può offrire, fa ogni tipo d'esperienza, commette ogni sorta di peccato. E alla fine è possibile che entram– be queste persone raggiungano il Divino, il mondo di Dio. Che cosa succederà allora? Dio è ingiusto se non pre– mia il santo e non punisce il peccatore. Ma non è giu– sto nemmeno premiare tutti e due perché allora il santo penserà: « Ma come? Ho vissuto una vita vir– tuosa, e Dio non mi dà niente di speciale in premio?» Se il peccatore viene premiato come il santo, a che cosa serve essere santi? Diventa inutile. In questo caso Dio avrebbe compassione, ma non sarebbe più giusto. Se Egli fosse giusto, allora il calcolo sarebbe sempli– ce: il peccatore deve essere punito, il santo deve es– sere premiato. Ma se così fosse, Dio non potrebbe avere compassione perché per es ere giusti, bisogna es ere crudeli, altrimenti non si può fare giustizia. Un uomo giusto deve vivere nella testa, non può vi-

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