RE NUDO - Anno X - n. 81 - novembre 1979
me «caso». In questo processo l'osservatore è separato da ciò che osserva, non c'è interdipendenza, è come se l'oggetto dell'osservazione potesse avere un'esi– stenza autonoma. Una domanda posta al mondo secondo questo modello di pensiero comporta un punto di vista parziale, già limitato e pregiudica– to. Quello che è scartato come « caso » può inve– ce proprio rivelare l'interdipendenza di certi « fat– ti » tra di loro e in rapporto al soggetto. Nei tarocchi, nell'I Ching e in analoghe tecniche di « divinazione » il momento osservato, il mo– mento presente contiene l'insieme di tutti gli in– gredienti: tutti gli elementi dispersi della realtà vengono immessi all'interno di un fenomeno lo– calizzato - lo svolgersi concreto del gioco - ca– lamitati dall'energia analogica addensata nelle carte. I tarocchi ci inducono a proiettare i pensieri non ancora realizzati nel loro simbolismo, un simbo– lismo che affonda le sue radici nel profondo di noi stessi e parla ai nostri strati più inconsci. Essi rappresentano un invito a scrutare i propri moti– vi, le proprie abitudini, i propri desideri, i pro– ori fantasmi. Con l'irruzione di elementi abitualmente conside– rati casuali, provocata dalla regola di ogni gioco, dalla sua struttura, dalla verità e dall'apparente arbitrarietà e incoerenza dei simboli che compaio– no a illustrare determinate posizioni, il singolo diventa parte di un tutto, macrocosmo e microco– smo si sovrappongono. I tarocchi sono il gioco del mondo: ma ciascuno di noi è il Mondo, anche se non è consapevole. Ciascuno di noi è Dio, un Dio che ancora deve risvegliarsi a se stesso dal suo sonno. Questa è la sola partita da vincere. « :È la percezione che, rimpiazzando la me– moria, ha aperto il cammino della ria– bilitazione per l'immaginazione ... L'intui– zionismo ha messo da canto l'associa– zionismo. L'animai rationable si è con– vertito in animai symbolicum, l'homo sapiens si è scoperto homo poeticus ». Gilbert Durand :È l'intuizione il mezzo che permette una lettura meditativa del tarocco. Non la conoscenza, perché essa viene dal passa– to - e il passato non esiste. Il passato fa parte del tempo e si accumula - fino ad uccidere. Esso è fuga dal presente - mentre l'intuizione è vera e profonda proprio perché sboccia dalla rugiada del qui-ed-ora. Non la conoscenza, il cui metodo è l'analisi, che aggredisce e scompone l'oggetto, che è bisturi e stupro, ma l'intuizione, che è amore dell'oggetto, comunione di soggetto e oggetto. Conoscenza, analisi, confronto, descrizione, storia riducono il loro oggetto in elementi sempre già noti, condannati a girargli intorno senza fine, a tessere una rappresentazione che rimane sempre incompiuta. Solo l'intuizione attinge all'assoluto, l'esperienza in cui ciò che è è perfetto perché è perfettamente ciò che è; la fame saziata. Chiave di volta della conoscenza intuitiva è i/ siin– bolo. Simbolica è un'immagine quando rimanda al di là del suo significato ovvio e immediato: es– sa possiede un aspetto che non è mai spiegabile, definibile completamente, un aspetto « inconscio ». Esplorando il simbolo siamo immessi in un cam– po che sta al di là delle ordinarie possibilità della nostra ragione: i simboli - diceva Osvald Wirth - sono finestre aperte sull'infinito. Ci muoviamo all'interno del paesaggio di pietra dei codici stratificati: quella che chiamiamo « real– tà » non è che l'apparenza prodotta dall'esterio– rizzazione del codice su cui siamo stati program– mati: non è che la lingua del potere del senso mor– to fattasi cosa. Così solo qualcosa di altro dal linguaggio e dalla parola poteva trasmettere all'uomo ciò che è inac– cessibile alla sua ragione: al fondo di tutto quella legge dell'unità presente nella diversità che è in– concepibile sperimentare all'ordinaria coscienza soggettiva, a cui il mondo appare frantumato in fenomeni separati, senza legame, o uniforme nel– l'uniforme grigiore delle ideologie e dei sistemi filosofici. Dietro le quinte dei deliri e dei sogni, in cui il sim– bolo è di casa, c'è la nostra sete di vita totale. Ma il simbolo è vivo solo quando non riporta sem– plicemente a un'altra formulazione, quando non è il segno convenzionale per qualcosa di già noto. :È un paradosso rispetto alla mentalità corrente, che subordina il significato ai fatti. « Un simbolo è vivo - dice Cari Gustav Jung - solo quando è, anche per chi osserva, l'espressione migliore e pit1 alta possibile di qualcosa di presentito e non an– cora conosciuto ». I simboli sono punti di energia polivalenti, che si puntualizzano in modo diverso per ciascuna per– sona: nell'esprimere la legge dell'unità nella diver– sità essi possiedono infiniti aspetti sotto i quali possono essere esaminati, e quindi la capacità in chi li esamina di vederli da vari punti di vista. Essi assumono un significato solo nel momento e nel modo in cui entrano in rapporto con noi. Se l'ego tende a identificarsi con l'un polo o l'al– tro di un'opposizione, perché la ragione che esso rappresenta non è in grado di accettare la con– traddizione, e quindi di accogliere totalmente la vita, che è contraddittoria, il simbolo è ciò che conduce oltre gli opposti, ciò che è in grado d. racchiudere in sè odio e amore, dolore e piacere, sensualità e spiritualità. Il simbolo non solo immagine, ma anche affetti– vità: è attraverso di essa che l'immagine è connes– sa con l'individuo. Il simbolo è perciò una macchi– na che trasforma l'energia razionale in energia in– tuitiva, analogica. La sua vitalità sta proprio neHa sua mobilità e indefinibilità. Esso presuppone l'e– sp rienza: è uno stimolante nei confronti della con– sapevolezza: nessuno può dare a nessun altro quel– lo che già non possedeva, ma potrà stimolarlo a lavorare. Da « Il tarocco intuitivo», Ed. Re Nud
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy