RE NUDO - Anno X - n. 80 - settembre-ottobre 1979

14/RE NUDO volo degli uccelli che quella ter– ra hanno già attraversato; per non perderci nella follia. Voi, cie– chi aggrappati alle vostre pove– re sicurezze che ci accusate di fuggire, ricordate, non chi vola fugge, ma chi come lo struzzo di– sperato, nasconde ancora la testa tra le illusioni di fare ripetitivo. E' tempo di essere responsabili anche di ciò che non sappiamo. E' tempo di arrivare a suicidare l'ego, prima che ancora una vol– ta, i più generosi e coerenti di noi, arrivino a scambiare il sui– cidio del corpo come estrema ra– tio dell'essere rivoluzionario. Bhagwan ha detto: « O l'uomo si spingerà al suicidio o dovrà tra– sformare la sua energia». Non è il corpo da suicidare. Non c'è nulla di solenne nel ve– nire meno alla vita. Il corpo è da amare, sentire, e toccare. Da suicidare è l'identificazione. Quel processo quotidiano, mo– struoso e frenetico che ci porta a dire io sono quello faccio. Que– sto è da suicidare. E' vero, l'esistenza è separata. Ma questa verità relativa al nostro vivere illusorio, non ci deve impe– dire di agire perché cessi di es– sere vero. E per sempre. « Io non posso esperimentare la vostra esperienza e voi non pote– te esperimentare la mia » ha det– to Laing. Agli uomini del gregge dev'essere chiaro: non ci sono più pastori. Il nostro rapporto appartiene al– l'immaginario. Ciò che entra in rapporto tra noi e l'altro è la no– stra immagine con l'immagine dell'altro. Ciò che vedete di me è ciò che io vi vedo. Ciò che io vedo di voi è ciò che voi mi vedete. Ma noi in realtà siamo invisibili gli uni agli altri. Ognuno dunque inizi a diventare pastore di se stesso, ché non è più tempo di uomini gregari ma è tempo di uomini autonomi. L'io è diviso ma troppo spesso l'io è anche condiviso. Essere in– dulgenti con se stessi oggi è cri– minale. L'essere indulgenti con il nostro ego ci ha portato a essere schiavi passivi, robot teleguidati dalla società del nonsenso. Non amn questo mio linguaggio e oB sicuro e penetrante. Non lo amo ma mi appartiene. E' ancora par– te di me. Potrei riscrivere, potrei ridescrivere il mio ego in modo femmineo poiché so che la rivolu– zione è l'uomo che accetti il suo essere donna. Ma quello che sono non è quello che so. E non sarà comunque l'uomo travestito da donna che potra scoprire il suo esser donna. Anche la donna che per emanci– parsi, assume le stesse caratteri– stiche del nemico, è destinata a preci pi tare nell'abisso insieme a colui che combatte. Non è astra– zione. Dobbiamo capire fino in fondo che ognuno è complice del proprio padrone. Che ognuno è responsabile di quello che è. Non c'è come considerarsi vitti– me della situazione esterna, e at– tendere il paradiso dei cristiani o il paradiso dei marxisti, per ri– manere eternamente vittime. La spiritualità •ridotta a creden– za e il marxismo tradotto in po– litica, hanno agito come l'aneste– tico per colui che soffre. Soprav– vivere aspettando la fine della vita. Una vittima della società che non assuma in toto la responsabilità della propria condizione, non ar– riverà mai ad uscire dal ruolo as– segnatole dalla società stessa. Diffida dal politico quando dice di lottare per gli altri. E' come il benefattore quando dice di aiu– tare il bisognoso: lo vuole posse– dere. Nulla viene fatto per gli altri. Tutto viene fatto per nutrire il nostro ego. Assumercene la re– sponsabilità è l'unica possibilità per poter far sì che non sia più vero. L'altruismo - ha detto Nietzsche - è accortezza della persona pri– vata. Finché l'ego domina irriconosciu– to, prevale la logica del dominio e del possesso sugli altri. Anche verso chi amiamo .. Si desidera per possedere e si possiede per amare. E l'amore nasce dal desiderio. Per rompere questo terribile cir– cuito, è necessario uno specchio esterno su cui riflettere le nostre proiezioni. E riconoscendole, su– perarle. L'occidente moderno è saturo di specchi distorti. Ma chi può fungere veramente da spec– chio? Non l'analista, quel confessore laico, professionista nel rimette– re in sesto gli ego dissestati. Non il terapeuta, quel buon i– draulico del corpo, specialista nello sgorgare blocchi e rimozio– ni. E neppure il filosofo vecchio, o nuovo, limitato com'è nella pri– gione del pensiero che tutto spie– ga e nulla sperimenta. Il figlio dell'Uomo è questo spec– chio. Un maestro-amante,, un maestro– amico, vivo, libero da ogni mise– ria emozionale che ti aiuti a non sfuggire a te stesso, ai mille truc– chi della mente. « V ed endo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare al– l'altra riva. Uno dei discepoli gli disse: "Si– gnore, permettimi di andare pri– ma a seppellire mio padre". Ma Gesù gli rispose: "Seguimi e la– scia i morti seppellire i loro mor– ti" ». (Matteo) Troppe volte, senza la presenza di un maestro vivo, ci attardiamo a compiere atti che al di là delle nobili motivazioni ci portano a fuggire il centro del problema, e cioè il ritrovare noi stessi. Ma non esiste La Strada. Se qual– cuno tornato dall'Oriente ti dice: conosco la strada; diffida, perché la strada non esiste, esiste solo il camminare. E nessuno può camminare per te. Come non esiste il maestro che ti insegna la verità. Ti mette nelle condizioni di poter trovare la ve– rità. A volte, la vita stessa è il tuo mae– stro. A volte anche un gesto sem– plice come zappare la terra è me– ditazione, guardare un albero o

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