RE NUDO - Anno X - n. 78-79 - luglio-agosto 1979

RE NUD0/58 Daevid Allen N'existe pas Charlie Records Era tanto che non usci– va più un disco « solo » di Daevid Allen: è vero che tanti LP erano usci– ti sotto la sua inconfon– dibile regia ma « Gong est mort, vive Gong » e– ra una celebrazione po– stuma dei Gong, Floating Anarchy (live) con gli Here and Now, « Good Morning » con gli spa– gnoli Euterpe e c'era poi stato quel bellissimo « Mother » inciso da Gil– ly Smith per festeggiare il figlioletto. Insomma, come produzione Daevid Allen questo disco viene dopo il grande Banana Moon ed il quasi scono– sciuto « Now is the hap– piest time of your life » (naturalmente tralascian– do il capitolo Gong). Tanto per cominciare, u– na notizia di carattere extra-musicale: pare che anche il vecchio Bert Camembert sia passato all'arancione, colore mo– da del giorno d'oggi: ba– sta ascoltare il pezzo « Thank to Rajneesh » o « No other than the mo– ther is my song » dove Daevid ci dice che a lui non servono né soldi, né cibo, né acqua, etc. aven– do egli bisogno solo di Dio. A parte questo, veniamo alla musica. Penso che tutti più o meno cono– sciamo Daevid Allen (e spero che siamo rimasti in mcl ti a volergli bene) per cui sappiamo già che lo stesso non si è mai preoccupato di fare al– bum concept o di unifor– marsi ad un solo stile di musica. Ançhe questo LP dimo– stra la sua versatilità e la sua apertura a qual– siasi forma di comunica– zione; si va dal « parla– to» del succitato« Thank to Rajneesh » alla giga tipo Alan Stivell di « Thè– me from Hashish to A– shes » (Tema dall'hascish alla cenere) al free/sax di George Bishop che pervade tutto il disco al– lo scherzosissimo pezzo finale « O man you ». Lo strumento preponde– rante sembra essere pro– prio il sax, potentissimo, nervoso e onnipresente, pronto al duetto con la batteria di Chris (già Henrv Cow ora Art Bears). Sul resto dei mu– sicisti non so cosa dire dato che gli stessi ven– gono elencati con i soli– ti simpatici nomignoli che Allen distribuisce da anni nel suo entourage, comunque dovrebbero es– sere del « giro spagnolo » degli Euterpe (Pepsi Mi– lan e Angel Aduana). Da notare che tutti i pezzi sono firmati dalla sola Gilly Smith (da sempre « mystic sister » del « ma– gik brother » di cui si parla). Devo dire che, tutto som– mato, questo disco è « più serio » rispetto al– le bizzarrie cui Daevid ci aveva abituato e, in fon– do, mi dispiace un po'. Eh sì, perché per chi scrive Daevid Allen ri– mane forse l'ultimo (se non il più grande) di tut– ta una generazione di musicisti per i quali la musica è vita e non me– ra professione. Comun– que, un disco di D. Allen è sempre una piacevole sorpresa. Permettetemi in proposito un consiglio poco obbiettivo: mollate per un attimo i « mostri sacri » che per incidere un disco impiegano anni e miliardi di sala d'inci– sione e andatevi a sen– tire cosa si può fare su un quattro piste del « Ba– nana Moon Observatory » (la casa di Allen in quel di Majorca) quando si ha veramente voglia di co– municare qualcosa! luigi marinoni David Bowie Lodger RCA Dopo « Low » e « He– roes », due dischi lancia– ti verso la sperimentazio– ne, ed un doppio live co– me «Stage», ecco ora David l'omeostatico, che si assesta sui risultati fin qui ottenuti e cerca di fare qualche passo avan– ti nella costruzione del– la musica leggera degli anni '90. Questo è inf~tti l'incon– fesso scopo che accomu– na l'associazione sovver– siva del suono composta da Bowie ed Eno (con il fiancheggiatore validissi– mo Carlos Alomar) di nuovo al lavoro insieme in questo losco LP, a no– me « Lodger ». Indiziato dello stesso reato è an– che, come risulta dalla scheda allegata al corpo (del reato) è un tal Hou– se, addetto ai violini vari. « Lodger » è altra cosa del resto: inutile cercar– vi l'aria tesa di « Neu– koln »odi« Warswaza », Eno non · tesse più le sue atmosfere tenebrose, sembra .anzi un viJleg– gian te di passaggio.'-; Un disco anomalo, senza sperimentalismi, da a– scoltare attentamente e più volte prima di giu– dicarlo, oppure un disco da vivere per il suo lato più immediato, da con– sumare subito, senza pre– tese. Insomma un nuovo passo verso la musica del futuro. Patti Smith Wave Arista g.m. Dopo i dubbi sollevati da Easter, Wave viene a confermare il momento di impasse attraversato da Patti Smith. Se non mancano episodi di no- tevole interesse, primo fra tutti lo stesso Wave, bell'esempio di recitati– vo, a carattere molto più intimo dell'usuale, è scar– sa la coesione generale, quel sound asciutto e scarno che caratterizza– va un Radio Ethiopia. Si sente che Patti Smith è in bilico tra il ripeter– si e il cercare una pro– spettiva diversa, ma l'in– decisione riesce soltanto a smarrire l'antico mor– dente: alcuni brani, co– me l'iniziale Frederick, si trascinano con la ti– pica irresolutezza del materiale troppo arran– giato (forse parte della responsabilità va al pro– duttore Todd Rundgren), sorretti appena da una voce un po' stanca. E' un'opera discontinua: a momenti fiacchi si al– ternano le cose come Revenge o Seven W ays of Going, fiammate della vera Patti che potrebbe– ro entrare di diritto in un'ipotetica antologia.

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