RE NUDO - Anno X - n. 77 - giugno 1979

.RE NUD0/34 Una delle situazioni più interes– santi della tradizione indiana sono senza dubbio le scuole che si rifan– no al culto dei siddha, i Perfetti Maestri, quegli yogin che ·hanno sperimentato sul loro stesso orga– nismo una vera e propria forma di alchimia organica. · La scuola dei Perfetti Maestri si colloca al-· l'interno della grande tradizione tantrica, di cui accentua e appro– fondisce gli aspetti legati alla fi– siologia mistica e alla ricerca della immortalità. Il culto siddha ha o– rigini molto antiche che si perdo– no nel substrato pre-ariano del– l'India che ha caratterizzato molte delle scuole e delle sette dei devo– ti del dio Shiva. La scuola dei sid– dha conferisce un particolare ri– salto alle tecniche dell'hatha-yoga che hanno come obiettivo l'acqui– sizione di un corpo fisicamente perfetto e la conquista dell'immor– talità; amplificando i contenuti magici del tantrismo, i siddha-yo– gin hanno fatto della ricerca della immortalità e dello stato del jivan– mukta (il liberato nella vita) il centro delle loro tecniche di libe– razione. Nella tradizione indiana il siddha è colui che ha realizzato e raggiun– to la liberazione attraverso la per– fezione e il possesso dei « poterf » che la pratica dello yoga permette di raggiungere. Il maestro siddha ottiene i suoi poteri con la pra– tica costante della meditazione e e la scuola dei perfetti maestri della concentrazione alle quali as– socia una tecnica di derivazione sciamanica, la possessione, cioè la capacità di impadronirsi degli og– getti su cui porta l'attenzione. Per dare un esempio, quando un sid– dha yogin si concentra sulla for– ma del suo corpo, mediante una particolare attitudine della men– te, distrugge la percettibilità della forma che è causa della percezione del suo corpo, rendendosi così in– visibile. Lo sguardo di un'altra persona non riesce a trovare la forma dello yogin, non riesce ad entrare in contatto. con il corpo che è divenuto invisibile e lo yo– gin è come dissolto, scomparso al– la normale percezione ottica. In altri termini, dopo avere reso per– fetto il suo organismo tramite le tecniche fisiche dell'hatha-yoga lo yogin si concentra e medita su di un oggetto .e lo assimila magica– mente, ne prende possesso. Prima si concentra sull'oggetto o sulla idea di questo, quando è riuscito 'a eliminare tutte le distrazioni ed a concentrarsi soltanto su di un particolare oggetto o idea da rag– giungere egli lo medita ed il pro– cedimento si conclude con il rag– giungimento di una identificazione totale tra colui che medita e l'og– getto meditato. Anche per la scuola dei Perfetti Maestri, come per tutte le scuole indù, i poteri magici non vanno ri– cercati in quanto tali e non devo– no costituire una fonte di attacca– mento né tanto meno di essere i– dentificati con l'idea di possesso, poiché in questo caso diventano un ostacolo alla liberazione e si trasformano in una trappola da cui sarà difficile liberarsi. I mae– stri siddha raccomandano di col– tivare la perfezione del corpo e i diversi poteri che ne derivano ma di non attaccarsi ad essi; dicono· ai loro allievi di considerare i po- teri con distaoco e di agire con di– stacco anche nei confronti del mondo magico se vogliono rag– giungere una autentica liberazio– ne. Caratteristica della scuola dei sid– dha è una certa insofferenza ver– so le forme troppo ascetico-specu– lative di alcune correnti indiane ed è molto evidente la loro estra– neità a tutte le forme di vuoto ri- ' tualismo, di astratta speculazione e di esasperata idolatria. Spesso, nella storia dell'India maestri sid– dha si sono trovati al centro di po– lemiche aspre con gli ambienti più tradizionalisti della religione indù, anche se la grande tolleranza del– l'induismo ha evitato che queste polemiche, sfociassero in episodi di intolleranza religiosa. « Cosa si– gnifica i templi e le piscine sacre! A che serve adorare gli idoli e ba– gnarsi nelle acque delle piscine sa– cre! Queste cose esistono solo nel– la mente degli uomini! » così e– sclama Civavakkyar un poeta di questa corrente spirituale. che mise anche in ridicolo le differen– ze tra le diverse religioni in nome di una universale e appassionata ricerca del sacro che non conosce divisioni o limitazioni di sorta. Il Dio dei siddha infatti non è parti– colare né limitato da alcuna defi– nizione, ma è una divinità univer– sale, è la Cosa Suprema che par– tecipa di ogni aspetto dell'esisten– za, che non ha bisogno di un no- • me, che è dentro e fuori di ogni essere umano. Un'altra poesia di Civavakkyar afferma, « Egli non è Hari, non è il dio Shiva. E' l'ulti– ma causa al di là di ogni cosa, che trascende l'oscurità come il chia– rore. Egli è inamovibile. Cercate di capire, non è né piccolo né grande, Egli è la Distanza Infinita, che non si muove e che trascende anche la Suprema Acquiescenza. • Per i siddha il mondo è reale; in

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