RE NUDO - Anno X - n. 77 - giugno 1979

Nella tradizione tibetana l'osser– vatore è chiamato dzinba ('dzin pa), che significa « fissazione » o «trattenere». Se abbandoniamo l'osservatore allora non ci resta nulla per cui sopravvivere, nulla per cui continuare. Abbandonia– mo la speranza di attaccarci a qualcosa. E' un passo molto gran– de verso il vero ascetismo. Devi abbandonare colui che domanda e la risposta - cioè, la mente dedut– tiva, il meocariismo di controllo che ti dice se stai andando bene o no. « Io sono questo, io sono quel– lo». « Sto andando bene, sto me– ditando correttamente, sto andan– do da qualche parte?». Se abban– doniamo tutto ciò, come facciamo allora a sapere se stiamo progre– dendo nella pratica spirituale? Molto probabilmente non esiste un qualcosa che possa dirsi pra– tica spirituale, eccetto uscire dal– l'autoinganno, interrompere la no– stra lotta per prendere possesso di stati spirituali. Lascia perdere. In caso contrario non c'è spiritua– lità. E' una situazione molto de– solata. E'· come vivere tra picchi innevati avvolti dalle nuvole, col sole e la luna che splendono al di sopra. Più in basso, alti alberi al– pini si piegano sotto il forte ven– to ululante e sotto di loro rumo– reggia una cascata. Dal nostro punto di vista possiamo apprez– zare questa desolazione se siamo un turista occasionale che la foto– grafa o uno scalatore che cerca di ascendere la cima. Ma in realtà non vogliamo vivere in questi po– sti desolati. Non è divertente. E' terrificante, terrificante. Ma è possibile fare amicizia con la desolazione e apprezzare la bel– lezza. I grandi saggi come· Milare– pa hanno un rapporto con la de– solazione come con una moglie. Si sposano alla desolazione, alla fondamentale solitudine psicolo– gica. Non hanno bisogno di sva– ghi fisici o psichici. La solitudine diventa loro compagna, loro con- .sorte spirituale, parte del loro es– sere. In qualsiasi posto vadano so– no soli, qualsiasi cosa facciano so– no soU. Che abbiano rapporti con gli amici o meditino da soli o ce- RE NUD0/27 lebrino cerimonie con gli altri o meditino con gli altri, la solitu– dine è sempre presente. Quella so– litudine è libertà, fondamentale li– bertà. La solitudine è descritta co– me l'unione della shunyata con la saggezza in cui la percezione della solitudine suggerisce l'inutilità di occupazioni dualistiche. E' anche descritta come l'unione della shu– nyata con la compassione, in cui la solitudine ispira azioni compas– sionevoli nelle situazioni della vi– ta. Tale scoperta rivela la possi– bilità di andare al di là della ca– tena di reazioni del karma che ri– crea le situazioni orientate verso l'ego, poiché quella solitudine o lo spazio della desolazione non ti diverte, non ti nutre più. L'estre– mo ascetismo diventa par.te della tua natura fondamentale. Scopria– mo quanto le occupazioni samsa– riche ci nutrano e ci intrattenga– no. Una volta che vediamo le occu– pazioni samsariche come giochi, già ciò in se stesso è assenza di fissazione dualista, nirvana. Ricer– care il nirvana diventa superfluo a quel punto. Così all'inizio del sentiero accet– tiamo le nostre qualità fondamen– tali, ciò è tantra di base, e poi se– guiamo il sentiero che può essere caldo o freddo, piacevole o dolo– roso. Nel tantra della fruizione, che è oltre ciò di cui abbiamo di– scusso, scopriamo la nostra na– tura fondamentale. L'intero pro– cesso del sentiero spirituale, dal punto di vista buddhista, è un pro– cesso organico di crescita natura– le: riconoscere la base come è, ri– conoscere il caos del sentiero, ri– conoscere il colorato aspetto deJla fruizione. L'intero processo è una odissea senza fine. Avendo ottenu– to la realizzazione non ci si fer– ma a quel punto, ma si continua, esprimendo senza fine l'attività di buddha. Mandala Abbiamo visto che nel mahayana o sentiero del bodhisattva è anco– ra implicito un qualche tipo di sforzo, non necessariamente lo sforzo pesante dell'ego, ma c'è an-

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