RE NUDO - Anno IX - n. 71 - dicembre 1978

diventare chiunque volesse. Alla fine mi raccontò che il padre, alla sua nascita, aveva sospettato che fosse un figlio il– legittimo: Nel dubbio che invece fosse figlio suo, lo aveva adottato e fatto al– levare fuori dalla famiglia. Lo aveva poi introdotto alla carriera militare. Quan– do però non riusci a passare ufficiale, il padre lo disconobbe. Sembra esserci quindi un problema su chi lui fosse. La sua identità sembrava essere nelle mani di suo padre, che alla fine aveva deciso: non sei d~ventato uf– ficiale, quindi non sei mio figlio. Non è andare troppo in là con la meta– fora pensare che, nella vita, quest'uomo si era trovato a sbattere contro dei muri che non riusciva ad attraversare. Cosi sbatteva concretamente la testa contro i muri, e cercava di liberarsi dal rapporto col padre diventando chiunque volesse, schioccando le dita. Un gioco insieme per uscire dalla follia Una sera mi coinvolse a partecipare al suo gioco, sebbene gioco non sia la pa– rola giusta per descrivere quello che si– gnificava per lui. Ogni sera ci trasforma– vamo in diversi personaggi. Spesso de– siderava essere un ladro e nella sua im– maginazione anelavamo ad arrampicar– ci in luoghi impossibili, come i grattacieli di New York, e rubavamo gioielli, poi fuggivamo. A quel punto il gioco per– deva per lui interesse; non gli interessa– va vendere i gioielli per arricchirsi, ma rubare il tesoro in posti inaccessibili e_ sotto controllo, e riuscire a sfuggire. . ·ora potrei fare varie interpretazione psi– canalitiche, ma non lo faccio, come non l'ho fatto allora perché non sarebbe cer– to servito nel mio rapporto con lui. Continuavo a giocare, a stare insieme. A poco a poco incominciò a ragionare su questo gioco e mi disse che era un modo di parlare alla vita. Poi cominciò a rac– contarmi di come si era trovato male nell'esercito, come gli pesava la man– canza di rapporti umani. Le nostre chiacchierate ormai avvenivano fuori della stanza imbottita. Non aveva più crisi. Dopo qualche tempo decise di usciredall'esercito. Stava meglio e venne dimesso. Ho saputo poi che aveva tro– vato lavoro e si era sposato. Cinque anni dopo mi scrisse dicendo che stava be– nissimo e aveva un figlio. Imprigionato in ospedale psichiatrico Negli anni seguenti ho cercato di avere questo tipo di rapporto con altr~ perso– ne «psicotiche». Notate che non è certo psicanalisi. E non è certo il rapporto uf– ficiale tra psichiatra e· paziente. Ma quando ho iniziato a lavorare in un ospedale psichiatrico, tutto questo mi è diventato impossibile. Ero in un reparto di lungo-degenti: 100 donne, nessuna aveva uno spazio priva– to, nessuna vestiti propri. Per tutte, la stessa ora di alzarsi, mangiare, dormire. Poi le giornate vuote, sedute a gesticolare, a parlare senza senso, a volte a chiac– chierare. Casi senza speranza, ricovera- RE NUD0/19 te da più di 10 anni. Le uniche due in– fermiere avevano solo una funzione di controllo. Ero isolato, non riuscivo a trovare un'alternativa. Allora ho deciso di «fare una ricerca». Ho chiesto alle in– fermiere quali delle 100 donne erc1;no più difficili e an~ipatiche. Venne fuori una lista di dodici. Allora hq chiesto alle autorità dell'ospedale di fare un esperi– mento. Che avessero una stanza per lo– ro, per passare la giornata, arredata con sedie tavoli posate ..E due infermiere so– lo per loro. Il primo giorno que$te donne. vennero portate nella nuova stanza come pecore, e alla sera riportate a dormire in corsia (questo era il massimo che ayev.o potuto ' .

RkJQdWJsaXNoZXIy