RE NUDO - Anno IX - n. 66 - maggio 1978

FLASH di Paul Morissey E' una pellicola del '69, buona annata, che arriva solo adesso in Italia per via della censura, o meglio dell'autocensura dei distributori. Centrato su un corpo (quello di Joe Dalesandro) e la sua conversione in merce (la marchetta), il film, che proviene dal laboratorio di Andy di giungere a una visione globale della vita vista dai suoi stessi occhi. Il regista qui non è Warhol, ma un suo allievo che all'impostazione generale e geniale del maestro aggiunge qualcosa di suo, un modo di_raccontare meno speri– mentale e più potabile. Warhol nei suoi col!tometraggi aboliva completamente la "storia", piazzava la macchina da presa in un punto strategico del suo laboratorio, la faceva funzionare praticamente da sola e poi la spegneva. La vita si rispecchiava così sulla pellicola senza mediazioni, senza la retorica del racconto. (Va visto qui, a mio parere, il punto di partenza di tutta l'arte così detta "concettuale"). Bastava puntare l'obiettivo su un momen– to emergente, per es.: un sofà durante un sex party, o un travestito che mangia una banana, e lasciare che la realtà si esprimesse. E la realtà della cultura degli emarginati (subcultura o controcultura,· dipende dal punto di vista) esplodeva tranquillamente da sola. (Per cultura qui non s'intende quella dei libri o del bla bla delle buone intenzioni, ma la capacità attuale di organizzarsi la vita in un certo ambito sociale). Ora, questo meccanismo che produce spettacolo cinematografico presuppone che il bagaglio di comportamenti di quel particolare settore preso di mira non sia qualcosa di ovvio, di già accettato, di "normale". Una macchina da presa pun– tata su una dattilografa che lavora, non ci dà molto. Puntata, come in questo film, sulla giornata di un giovane padre che, per sfamare la famiglia, fa marchette, interessa, colpisce, può perfino scandaliz– zare. Se poi il protagonista si esprime sullo 'schermo così come si esprime nella vita, cioè soprattutto attraverso la carnalità del suo corpo nudo, rischia di far scattare molti meccanismi di difesa in quegli spet: tatori che al cinema preferiscono imme– desimarsi in modelli più "riconosciuti". In fondo il modello dell'emarginato in senso controculturale o viene accettato completamente, o rifiutato in blocco. Anche al cinema w.p. Il diavolo probabilmente ... 1 di Robert Bresson Il diavolo probabilmente vi impedirà di vedere questo film, e quindi non sarete aiutati a collegare in un rapporto di causa ed effetto la vostra infelicità personale col comportamento collettivo dell'urna- RE NUD0/39 nità in questo momento. Peccato. Se il diavolo non vi avesse infilato la coda, avreste visto accomunati nello stesso de– stino la·foca bianca uccisa a bastonate dai commarcianti di pelle e lo studente emar– ginato picchiato durante un interrogato– rio dalla polizia parigina; l'espand.ersi di liquami velenosi nei fiumi e nei mari, e l'entrare in vena della droga che ti co– stringe a rubare agli amici; l'esplodere dell'atomica di Nagasaki, e lo scoppiare dell'insicurezza, dell'incertezza, della freddezza, insomma dell'infelicità nei gio– vani. E' un film a tesi. Ma la tesi è suggestiva e data in maniera sfumata. Questi giovani che non sorridono (è il modo di raccontare solito di Bresson: appena uno ride è perchè subito dopo cade a terra ucciso dall'angoscia), questi ragazzini allibiti dalla fatica di vivere sanno già tutto ... sanno di essere fottuti in par~enza, dal punto di vista sociale, personale, ecologico, ecc. E non se la sentono di continuare nel sonnambuli– smo del consumo di massa, cercano delle strade meno stupide per attraversare "la vita". Ma se la cavano male: lei ama lui ma lui non ama nessuna, lui ama la matematica ma la scuola non ama lui, un amico lo segue amichevolmente ma subito cade in preda all'eroina. La città è grigia e piena di macchine, la sua stanza è vuota ma ingombra di vuoti di bottiglia. Insomma è un'elegia triste sull'odierna condizione giovanile fatta da un grande uomo di cinema nato cinquant'anni fa. Ah; direte, ci siamo lamentati di Porci con le ali (che tentava la stessa· ·cosa) perché era scritto da trentenni, e. ades– so... In realtà non vi siete lamentati voi, ma i mass media per voi. Per i diciottenni è difficile con queste strutture produttive riuscire a fare dei films in proprio. E poi, un film su un diciottenne è proprio vero che può farlo solo un diciottenne? E che solo i maschi possono parlare di maschi e le donne di donne? Alla fine ci si ritrova a parlare solo di se stessi, la sola persona che conosciamo dall'interno. Come succede in questo film: queste angosce così attuali, così calate in un momento e in una generazione precisi, sono in realtà le angosce di sempre di Bresson, almeno da "Un condannato a morte è fuggito" in poi. Solo che allora il condannato riusciva a fuggire vivendo, qui morendo. Si sa, i tempi sono cambiati w.p.

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