RE NUDO - Anno IX - n. 63 - marzo 1978
sacranti condizioni di vita dei minatori o dei contadini co– stretti a diventare .operai e ad abbandonare la loro vita già misera per una miseria ancora più grande. Pete Seeger è quindi un artista di sinistrà. non facilmente ed ideologicamente di sinistra, ma perché ha scelto di cantare questo tipo di canzoni, e di cantarle in un certo modo, sen– za "spettacolo", senza forzatu– re, senza orpelli, rifacendosi in– vece in modo completo ed as– solutamente diretto ad una precisa tradizione popolare, che lascia tutta la forza del messag– gio al "fatto" narrato, senza la– sciarsi andare a facili virtuosi– smi estetici e senza congelare la musica nel museo del ben fatto, ma poco sentito. Quello che esce da questo solco, non è gu– stoso né edificante, ed il loro valore non sta nel "piacere" che ci procurano, ma più salda– mente nella forza enellarabbia che esprimono, e nel dolore. Un disco da ascoltare come docu– mento storico e politico, al dj fuori ed al di là del semplice passatempo. Un valido aiuto in questo senso vien dato all'a– scolto dalla presenza nella con– fezione dell'LP di un libretto con una accurata traduzione dei brani, e dalle interessanti note di copertina. Pepe Maina Il canto dell'arpa e del flauto Ascolto e.a L'Italia è il paese della canzone, tutti gli italiani cantano (giu- tamente anche quelli stonati) sulla dolce aria di tradizione melodica. Chi fa invece, musica trumentale deve arrampicarsi sugli specchi. Il vizio è sempre lo stesso... il suono deve essere (e non si capisce bene il perché) un accompagnamento alla can– zone, alla voce o alla coinuni- cazione verbale. Di conseguen– za chi fa solo mu~ica in direzio– ne di ricerca del suono e della compo izioni:, deve lottare tre– mendamente per ottenere un suo spazio discograficamente qualificato. Le difficoltà aumentano poi, se uno è sprovvisto di un nome particolare, çhe lasci intendere delle origini straniere. Ve lo immaginate se Mike Ol– field e gli Henry Cow si fos,sero chiamati Giovanni Brambilla e l'Orchestra Giacomazzi? Per fortuna ogni tanto, qualche discografico in vena di progres– sismo, cerca uri qualcosa aldilà della commerciabilità e cosi si arriva con fatica a questa lieta sorpresa di Pepe Maina (pluri– strumentista convertitosi al suono dopo un passato di can– tautorismo). "Il canto dell'arpa e del flauto" è tutta una sua realizzazione. Il disco se l'è costruito con nor– mali apparecchiature di regi– strazione (registratori Teac e Akai a 4 e 2 piste e un mixer) raggiungendo anche sotto il profilo tecnico, un ottimo risul– tato e dimostrando come si possa autoprodursi un disco, senza essere assillati dalle "fab– briche di registrazione" dove si hanno non facili problemi di tempo e di ambientamento. Come ho già detto la musica di Pepe Maina è orientata verso una ricerca del suono che non è quasi mai vittima di facili effetti elettronièi (a parte brevissimi momenti di introduzione). La strumentazione principale è prevalentemente acustica (chi– tarre, arpa, flauti, percussioni e strumenti originali orientali), mentre l'apporto elettrico è de– cisamente di secondo piano e sfruttato come base sonora di sottofondo. Questo ovviamen– te, per garantire al suono un disegno più naturale e meno artefatto. Unico neo di questo ·disco è l'immagine di copertina, che pur essendo bella ed efficace, ricorda più che altro una im– magine di Frank Zappa o di qualche altra atmosfera assurda o· provocatoria dell'under– ground americano. In realtà la musica di Pepe Maina è di altra . natura e parte da origini ben diverse. E' soprattutto una mu– sica aldilà delle etichette o dei generi, prevalentemente ricca di sonorità e di pazi più "spiri- tuali" che nulla hannno a che vedere con facili misticismi di moda. ~ Anthony Braxton Five Pieces 1975 (Arista) r.m. Anche tra gli esponen.ti della nuova musica nera americana, Braxton è una figura atipica: è colto, gioca a scacchi, fuma la pipa, è fortemente interessato a tutte le esperienze musicali contemporanee. Forse per que– sto, Anthony inizia il disco in– terpretando (in modo, per la verità, molto personale) una classica canzone melodica: "You stepped out of a dream". A questo- duetto tenore-con– trabbasso fanno seguito due brani caratteristici, in atmosfe– ra di intellettualità: special– mente il 2, con il suo uso finis– •simodelle percussioni (un otti– mo Barry AltschuJ, batterista che sa far valere i suoi silenzi quanto i suoni). Il 3 è condotto su ritmi veloci e spezzati, con ricami di tromba e sax soprano, tirato veramente alle sue ultime possibilità. Queste due pièces rivelano ra– dici nella musica classica con– temporanea, tanto che molti critici (americani) hanno di– chiarato che Braxton non è un vero jazzman. Lui si difende: "... la musica si è sempre arricchita di esperienze eterogenee: basti pensare quanto, nello sviluppo della musica "europea", abbia in– fluito la musica araba medioe– vale...". Altre radici di Braxton, quelle free, risaltano meglio nella se– conda facciata, occupata quasi interamente da un lungo brano, in buona parte di libera im– provvisazione, dove Anthony si prodiga su una intera gamma di strumenti, con risultati più "caldi" e sensuali, rispetto al resto del disco. p.b. RE NUD0/49 Conclude un piccolo gioiello in cui è ancora il sax tenore a far' emergere gradualmente il tema da una lunga improvvisazione iniziale. Il pregio squisito del disco è l'equilibrio tra le strut– ture, sempre nitide, e le im– provvisazioni; non si cade mai nel difficilissimo fine a sè stesso e neppure nella forzatura. No– nostante il rigore intellettuale braxtoniano, questo disco è di ascolto estremamente piacevo– le. Qualità che non è troppo fa– cile scoprire in molle opere– d'avanguardia. p.b. (segue da pag, 27) "libertà" dei mezzi d'infor– mazione? Nessuno. E' come se la sinistra storica si fosse battuta per la- libertà .degli strumenti di produzione ca– pitalistica invece che per i diritti della classe operaia a gestirli, per esempio, per mezzo dei "consigli operai". (Si confronti questa posizio– ne con l'ideologia della li– bertà d'antenna e si capi– ranno i rischi di questa trap– pola). E' chiaro che non bisogna lottare per la libertà di pro– durre informazione in condi– zioni di libera concorrenza, ma lottare contro l'accumu– lazione capitalista dell,.mfor– mazione al di fuori del con– trollo critico rivoluzionario. Cioè, bisogna lottare contro le banche di dati, contro la loro costituzione, contro gli obiettivi statali e delle tran– snazion\li che le gestiscono. Spesso, la classe operaia ha dovuto apprendere a pro– prie spese che, sapere ciò che non si vuole, è altrettanto necessario della coscienza di ciò che si deve fare. Scrisse Marx nel febbraio del 1848 sulla Neue Rheinische Zei– tung: «Il primo dovere della stampa è di minare l'ordine costituito!•... e lasciamo lo "spirito" di Helsinki e di Belgrado ai borghesi e ai lo– ro lacché intellettuali - da Bifo a Guattari - che ad esso si appellano (sic!) per quella ancor poca risibile repressione a cui credono di essere stati sottoposti! (ottobre 1977)
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