RE NUDO - Anno IX - n. 62 - febbraio 1978

RE NUD0/56 produzione) individuale, ba– sata sul possesso collettivo dei mezzi di produzione? Dio? Attenzione bene, quale dio è, solo più puzzolente e straccione, quello che si na– sconde in ciò che viene chia– mato il "~enso" della storia? Questi dei laici sono come i vecchi, solo ancora più inde– centi e meno dignitosi. Noi, quelli che sono abbastanza per farlo, abbiamo di dei. Di molti dei. Gli dei che esprimo– no il senso che noi sappiamo e possiamo dare all'insensato, cioè all'esistenza. Il lavoro necessario, ci ricorda Spinella. Va bene. Perchè no? Senza lavoro necessario è im– possibile la festa, cioè il tem– po della trasgressione dei di– vieti (l'erotismo, la droga, l'e– brezza, il sogno ...). Bene. Ma non avevamo già chiesto noi, da tempo, quale lavoro necessario? Il contra– sto sta qui, da sempre. Nessu– no si è mai sognato di far vivere il mondo di bacche. D'altra parte neppure Marx aveva risposto alla domanda "quale lavoro necessario?". Anche la Heller, molto atten– ta a valorizzare la sua divini– tà assoluta concorda. Mala– mente, forse persino grotte– schi, ma i buffoni dèl 68 e del 77 ne sanno qualcosa. Alcuni s'intende. Perchè, nella no– stra rivoluzione culturale, noi rispondiamo qualcosa a que– sta domànda? E non è solo la rozza risposta, ancora qei co– munisti più rozzi: "sempre di meno". Ciò che importa è per– chè e quale "lavoro.necessa- rio". Luigi Cinque Kunsertu r.m. La music~ popolare in Ita– lia (Longanesi & C.) In Italia non vengono pubbli– cati molti libri volti allo stu– dio ed alla comprensione della musica e fra quei pochi, i più hanno come argomento o la musica "colta" o il gran ma– rasma della musica rock, in gran parte di provenienza straniera. E' quindi una ben lieta sor– presa veder pubblicato il libro di un giovane musicologo che esamina le strutture musicali, e quindi sociali e politiche, delle culture subalterne, inte– se come "altre culture" e non come sottoprodotti della cul– tura dominante. Musica popolare, dunque. Ar– gomento non facile, special– mente se affrontato con serie– tà e con rispetto, che mi sem– brano le doti fondamentali del libro di Cinque, scritto con quella cura per i multifor– mi particolari presenti in ogni tipo di musica che può posse– dere solo una persona che la musica la vive non solo come "critico" ma anche come mu– sicista. Il libro inizia con una veloce presentazione dei criteri che hanno guidato l'autore nel suo lavoro, criteri che gli han– no permesso di studiare le origini, spesso magiche e ri– tuali, della musica popolare di alcune regioni italiane, spe– cialmente centrali e, meridio– nali, di cogliere i reciproci in– flussi tra musica popolare e musica colta, gli influssi pro– venienti dalla musica di altre regioni del mondo, e ancora 1~ trasformazioni operate dal– l'industrializzazione e dall'e– migrazione sulle forme e sui contenuti delle musiche popo– lari e sul modo in cui si sono evolute o tendono a scompa– rire alcune "altre" culture. L'impressione che si ha è quella di una insospettata vi– lità e forza che continuano ad avere certe musiche e culture italiane, nonostante gli attac– chi che ad esse vengono por– tati dalla cultura dominante, coi mass-medìa, l'indifferen– ziazione delle culture, l'ap– piattimento delle caratteristi– che etnico-sociali di molte po– polazioni italiane. Tutto questo badando bene a partire dal concreto, dal reale, che può essere lo studio e la descrizione dettagliata di un singolo strumento musicale, o l'intervista ad·un suonatore, o la spiegazione delle differenze tra scala maggiore ionica (u– sata in tutta la musica occi'– den tale colta) ed altre scale diverse, che spesso vengono adoperate nelle musiche po– polari. e.a.

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