RE NUDO - Anno IX - n. 62 - febbraio 1978

RE NU00/14 A nch'io, anch'io voglio dire la mia suJJa spiritualità. Però non so se l'esperienza che ho fatto si può proprio chiama– re cosi. E' stata una cosa senza mai u– scole, avvenuta per caso, niente illumi- nazioni, niente di sfolgorante ... Ero a Katmandu, fumavo la droga, avevo ancora un po' di soldi, e un mio vicino di stanza che si faceva chiamare 35 in inglese, ma in realtà aveva nome Adolfo, disse guardandomi in faccia: "Tu sei il tipo giusto per venire da Gòenka. Ce l'hai scritto in fronte è ' nel tuo karma." Siccome non mi capitava tutti i giorni di sentirmi dire cose del genere, molto incuriosito accetto. La sua, in realtà era una frase ad effetto per farsi ac– compagnare a 2.000 km. di distanza, ma questo l'ho capito dopo. Per strada mi spiegò che c'era questo monaco birmano, un illuminato, che teneva un corso di meditazione buddi– sta che faceva molto bene,ti cambiava la personalità, il tutto durava dieci giorni e costava pochissimo: il corso più vitto e alloggio veniva l'equivalen– te di 500 lire al giorno, tasse comprese. Molto allettante .. L'avvicinamento a Gòenka fu faticoso, quasi tutto in vagone di III classe indiano: il massimo della sofferenza. ln~nto scopro che Adolfo è figlio di un ambasciatore boliviano filotedesco, che suo zio è stato ministro e suo nonno primo ministro. Era di razza padrona, e lo si vedeva. Specie quando scesi dal !ren~, si prendeva un risciò a pedali, e 11mio compagno di viaggio per farsi portare più in fretta picchiava sulla schiena il povero vecchio che arranca– va sui pedali. Adolfo era buddista già da due anni. Aveva fatto questo corso con Gòenka e poi era andato a Pondicherry dove c'era la migliore scuola di yoga, diceva lui. Il suo motto era: in ogni nazione che vai, prendi il meglio. E quando arrivammo in Kashmir dal– l'illuminato, mi accorsi che aveva ra– gione. Era un albergo favoloso! Costruito all'inizio del secolo per le vacanze dei funzionari inglesi e le loro famiglie, era in pretto stile Liberty e conservava ancora nelle strutture la dolcezza del vivere di quei tempi (per quella catego- riaj. . Non c'erano stanze singole, ma solo delle suite: cioè salotto-veranda a Est più la stanza da letto più 2 stanze da bagno più un secondo salottino interno più una seconda veranda a Ovest con scrittoio. A me sembrava il massimo. Peccato che al momento dell'arrivo ci Ma poi, col pas misero nella parte della servitù, am– mucchiati in dieci per camerone. Ma procediamo con ordine. Passando da Benares il mio compagno di viaggio decide per una sosta turisti– ca. Andi~mo in un ottimo albergo dove non s1 spendeva quasi niente e lui mi convince a fare il tour organizzato della città e dintorni in pullmann e barca: quello giusto, che al tramonto ti fa trovare in mezzo al Gange proprio quando si accendono i primi fuochi sui primi cadaveri, e sei controvento. Fin qua tutto bene. Ma quando ritor– niamo in stazione avviene il primo scontro perdente di Adolfo col disprez– zato popolo indiano. Come forse già sapete, quando c'era la terza classe in India le carrozze erano prese d'assalto mentre arrivavano in stazione, e c'erano dei giovani indiani particolarmente dotati, che approfit– tando del fatto che i finestrini erano aperti e protetti soltanto da un frangi– sole di ferro incernierato all'interno, con un tuffo centravano il finestrino, la testa alzava di colpo il frangisole, e dimenandosi e sgambettando penetra– vano nello scompartimento. Questi giovani erano degli specializzati e il posto non lo prendevano per sè, ma per chi li pagava. Ora, Adolfo voleva riuscire nell'impos– sibile: trovare posto senza passare at– traverso la prestazione dei capoccioni. M ~ lasciò solo con una pigna di baga– gli, i nostri, per tentare l'alea ferrovia– ria. Quando tornò non trovò pÌù la sua borsa più preziosa: quella contenente tutti i suoi soldi, la macchina fotografi– ca e il passaporto. E 11 ebbi la mia prima lezione di buddismo. on mi picchiò, come i suoi occhi iniettati di sangue facevano presagire, non si lamentò nemmeno. Da buon buddista si dichiarò distaccato. Poi, vista la mia colpa nella scarsa sorve-– glianza dei bagagli, decide che la cosa giusta è che io divida con lui tutti i soldi che mi ritrovo. Acconsento e con signorilità gli verso della moneta allora forte, dei cash dollars. Lui, molto malfidente, mi per– quisisce per vedere se nascondo qualco– sa di indiviso; poi, non ancora del tutto convinto, si acquieta e si prepara men– talmente al corso di meditazione. Anzi, mi dà delle lezioni preliminari: m'insegna a respirare profondamente e tranqillamente, contando i respiri. E' un P?' come con le pecorelle quando uno fatica ad addormentarsi. In realtà non mi addormento anche se ' con gli occhi chiusi e il respiro regolare ne ho l'aria. Questo mi fu subito utile per sventare un tentativo di furto che un vecchio indiano ascetico stava com– mettendo sui miei bagagli. Soddisfatto di aver toccato con mano l'utilità della meditazione, riesco a fare dei conti lunghissimi di respiri, fino all'arrivo a Dalhousie, il posto del corso. Giungiamo in albergo di sera. Dopo giorni di strofinamento e compenetra– ziorie con indiani di tutte le età, quello che mi colpisce è l'uniformità della gente che vi trovo ammmassata: sono tutti giovani capelloni di ew York e della West Coast, tutti bianchissimi di pelle, con lo stesso accento americano e gli stessi gesti da giocatori di baseball. Dopo la cena vegetariana servita in piedi da coolis indiani in giacca bianca, ci si aduna in una grande sala dove tutti si siedono per terra a gambe incrociate e, quando non c'è più posto, si mettono appollaiati sui mobili: vec– chie cassapanche, massicci buff ets squadrati, armadi grandi come case con intagli floreali sui quali ci si ar– rampica. E quando tutti sono a posto, immobili

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