RE NUDO - Anno IX - n. 61 - gennaio 1978
disposti in due cerchi concentnc1 si abbandonano ad un movimento circo– lare vorticoso, tale che tutte le loro tonache sovrapposte formano una grande campana intorno ai loro capi. La danza libera da ogni naturale im– paccio il portamento e il movimento dell'uomo e fa perdere al danzatore il sentimento del suo corpo- e del suo io, fino a fargli vincere la vertigine nel raggiungimento di una condizione ca– tartica. Senso di tale danza è la "rap– presentazione" di movimenti rotatori dei pianeti, del sole e delle stelle. La musica e i canti hanno un ruolo deter– minante perchè danno forma alle dif– ferenti parti del rito. Con i due musicisti turchi, tra un pezzo e l'altro, si è parlato molto, raggiungendo, qui sì, il famoso abbati– mento di barriere tra il musicista e lo spettatore. Dimostra questo, che il pro– blema di struttura esiste, strettamente collegato alla quantità numerica del pubblico che assiste (oltre allo ambien– te in cui viene tenuta la rappresenta– zione). Inoltre una cosa importante cui non si è mai badato sufficientemente è rap– presentata dal fatto che le persone che compongono la situazione, e qui tutti indistintamente, devono avere quelle minime doti di disponibilità, nel voler ascoltare gustare, vivere attentamente la situazione (aspetto in pieno contra– sto col voler consumare). I due suonatori turchi ci hanno spiega– to il significato della parola "Dervisci" che sta a "nè dentro, nè fuori, sulla soglia della porta, con modestia". Non essendoci i danzatori, lo spettaco– lo, si è sviluppato nella sola componen– te sonora; i due suonatori dervisci hanno eseguito tre lunghi brani. Ognu– no dei quali, sviluppato secondo i canoni classici della loro tradizione di flauto (ney), significherebbe la mono– tonia della loro religione. Nella secon– da parte il flauto è accompagnato da un tamburo (bendir) che si introduce molto lentamente unito al canto di testi sacri scritti dai maestri dervisci e cantati dal suonatore di tamburo. Questo rappresenta la conoscenza che cresce e si sviluppa in una terza parte dove il ritmo si fa via via più marcato e travolgente, riuscendo finalmen,te, come è nell'intento della religione, a comunicare la gioia. La musica è al tempo stesso, improvvi– sata e conforme a schemi tradizionali che vengono tramandati oralmente da maestro ad allievo. · La presenza, di questi r_itmi, non solo sonori, una ennesima volta qui a Mila– no, ci ha rimosso il vecchio problema di trovare· il più possibile un equilibrio tra il ritmo urbano automatizzato, reso non-coscente, e la nostra sete di cono– scenza, equilibrio e serenità. Cose che forse, dette così, si svuotano del preciso e assai grave peso, che sia in un verso che nell'altro, possono rappresentare per noi che viviamo in una città come Milano. E qui, ancora una volta, sta a noi, persone della Nuova Era, rimanere· composti il più possibile, e faticosa– mente, con valori in crescita all'inter– no, tenere ben presente sia la situazio– ne delle case occupate, che quelle della nostra "conoscenza"; ben consapevoli che quello che manca oggi a Milano, e non solo qui, è la volontàdi esprimere e dove poterla esprimere. L'ultima parte dell'incontro si è basata sulla partecipazione di noi spettatori ad una danza, che consisteva nel' farsi RE NUD0/63 dondolare, stando seduti in semicer– chio. Ha sviluppato tranquillamente cose piacevoli, frutto di impegno e disponibilità, sia da parte di N. Uzel cne ci inseguava come muoverci, che da parte nostra che ci siamo lasciati andare ad un ritmo, che in frequenti momentj era identico, tra il nostro corpo e il tamburo toccato. Riscoprendo il famoso "rito" del cer– chio, in cui le energie possono girare, toccarsi, comprendersi, la porta è sem– pre aperta in ognuno tji noi, sulla conoscenza, la meditazione, la vita. E mai come ora, l'attenzione va posta sì sul sistema-morte che ci inibisce a noi stessi, ma anche su quanto e cosa noi stessi vogliamo realizzare. Per poter sentire la gioia, bisogna anche serbarla dentro.
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