RE NUDO - Anno VIII - n. 60 - dicembre 1977

RE NUIJ0/34 Argentina) e fare dell'attore una merce che si consuma e che è disposta a essere consumata. Noi abbiamo fatto un'ana– lisi della realtà politica e sociale e soprattutto culturale dell'Argentina. Ora là, a partire dal 1930, si era sviluppato un grosso movimento cultu– rale che si chiamava "movimento del teatro indipendente" e che faceva una ricerca nuova su quello che doveva essere la creatività. Ma aveva fallito. Quando abbiamo cominciato a lavora– re noi il nostro problema è stato cerca– re di capire il perchè di questo falli– mento. Perchè il teatro indipendente era stata una grossa esperienza: pensa che per esempio gli attori facevano tutto, anche gli scenografi, i venditori di biglietti casa per casa, e tenevano i rapporti con il pubblico, era un modo· nuovo di intendere il teatro, di risco– prirlo; ne derivava una ricerca di qua– lità molto buona, tanto e vero che i più grossi attori in Argentina in questo momento sono nati dal <<movimento del teatro indipendente>>. Vuol dire che la ricerca era abbastanza seflsata. Ma poi è successo che tutto è stato recuperato dal sistema. Infatti adesso ' tutti quegli attori fanno televisione e si sentono falliti come individui. Non era questo il punto a cui volevano arrivare. Ecco, da qui, da questo fallimento ~ravamo partiti noi chiedendoci: "che ~osa vogliamo, che cosa profondamen– te vogliamo?" E volevamo evidente– mente fare un lavoro per recuperare il significato profondo del teatro, che appunto non è una bella struttura, uno spettacolo, ma in definitiva è l'uomo. E da lì siamo partiti. Secondo noi infatti può sparire tutto, può sparire la regia, può sparire il testo, può sparire la scenografia e il teatro ci sarà sempre. Se sparisce l'attore, non c'è più teatro. L'altro punto della nostra ricerca è stato il q1.pporto fra forma e contenut6, · che noi abbiamo riconquistato a qual– cosa di inseparabile. In Argentina, ma anche in Italia adesso, i gruppi di avanguardia teatrale miravano soprat– tutto a un discorso contenutistico nuo– vo, nuovi valori, nuove idee, però la forma rimaneva la stessa; sul palcosce– nico la forma di comunicazione non cambiava; cioè si valutava molto di più un discorso su nuovi contenuti a scapito di una ricerca anche formale e intrecciata a questi nuovi contenuti. Allora appunto noi abbiamo cercato di ricomporre questa unità perchè altri– menti avremmo ripetuto l'errore che ha portato i gruppi d'avanguardia, in Argentina come in Italia, a trasformare il palcoscenico in una tribuna politica. iotecaG'no Bia Il teatro invece è la vita, la possibilità di essere, la possibilità almeno in quel momento di togliersi la maschera e essere se stesso nel momento della rappresentazione, è l'unica possibilità di credere in me, di godere la mia , creatività, vivere le mie contraddizioni, e questo è quello che posso dare agli spettatori e questo è il senso della comunicazioné che noi stabiliamo at– traverso il nostro lavoro. Ecco questa se vuoi è un po' la storia della Comuna, come siamo nati, per lavorare nella sovrastruttura, senza psi.ura di vivere quella che viene chia– mata la contraddizione del militante e che noi chiamiamo la schizofrenia del militante: e cioè tu fai un lavoro culturale, io un lavoro politico, tu ar– rangiati con la cultura che la politica me la vedo io. Io non ho senso di colpa per non lavorare politicamente in modo tradizionale dato che ho la possi– bilità di essere io davanti alle contrad– dizioni che ci sono e di portare avanti un discorso culturale; io mi sento un militante completo facendo il lavoro che faccio e non penso certo che poichè non vado in fabbri.ca devo sentirmi colpevole. Penso che la lotta nostra sia proprio un terreno culturale dove non ci sia questa schizofrenia fra politica e cultura. Roberto: Ecco io appunto vengo da un teatro che oggi capisco che non era teatro cioè una rappresentazione nella quale tu eri soltanto un mezzo per rappresentare un fine che era fuori di te e che era sensibilizzare, portare avanti una lotta politica, far servire la cultura ad un altro fine. Pensa che allora io militavo nel PCI, tu capisci cosa vuol dire. Qui tutto quello che facciamo è tenuto insieme da un pro– getto comune: quello di dare la possi– bilità a tutti di potersi esprimere, di tirar fuori la loro creatività; noi voglia– mo che la gente venga qui per trovarsi, per d_iscutere, per parlare e gli diamo la possibilità concreta di farlo perchè ci sono gli spazi creativi per farlo. E questa è anche una proposta politica. Per questo noi non viviamo la schizo– frenia, come diceva Coco, del militan– te; per questo io quando ho smesso l'attività politica non ho sofferto, non ho cercatò di volantinare lo stesso per salvarmi la coscienza, l'ho invece fatto molto serenamente convinto che que– sto sia anche un lavoro politico e con questa convinzione io continuo a farlo. Teresa: io direi che un dato caratteri– stico di questa esperienza è il tentativo di dare guerra al balordismo, alla superficialità, al dilettantismo come a dire "questo posto è di tutti" che è come dire che è di nessuno; la Comuna è sicuramente un posto aperto però non è di tutti, questo posto ce lo paghiamo, e anche molto caro; e siamo diversi quindi dai tradizionali spazi occupati dalla sinistra in cui si afferma che sono di tutti, e in cui si vede che di fatto sono disoccupati perchè sono poi inevitabilmente vuoti di proposte e dove essere teatri di base spesso signifi– ca essere un gruppetto di amici che rappresentano per gli amici senza rigo– re di lavoro. Noi invece siamo fieri di

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