RE NUDO - Anno VIII - n. 60 - dicembre 1977
RE NUDO/10 R:io non credo che si uscirà mai da una situazione di repressione inseren– dosi nell'ingranaggio della violenza: anche se c'è una violenza di Stato non sarà mai una violenza, anche di massa, a farla terminare, perchè la violenza non fa altro che rinforzare la brutalità dello Stato. Non si tratta quindi di essere pacifici o pacifisti: in ogni caso bisogna essere per la non-violenza. Il terrorismo di massa è l'esatta immagi– ne riflessa nello specchio, del terrori– smo di Stato. L'uno produce l'altro e l'altro produce l'uno. C'è in questo gioco un ingranaggio dabolico che bisogna in tutti i modi rompere. D:Ad esempio in che modo, secondo te? R:io i:redo che ci siano mille maniere di resistere allo Stato: quando io parlo di "resistenza allo Stato" non intendo necessariamente solo resistenza allo Stato centrale, vuol dire anche resistere ai "sostituti" dello Stato, che in Italia sono 1 Comum, le giunte di sinistra, i partiti politici, i sindacati. Parlare di "resistenza allo stato" per me significa che ciascuno può parlare in "prima persona":allora questo vuol dire auto– riduzioni, organizzazione spontanea della vita dei giovani, rifiuto della violenza. In ogm caso fare tutto ciò è molto difficile.· D:non c'è forse in tutto quello che dici, un'altra contraddizione? Questa volta non voluta ma insita in ogni "linguag– gio" politico sia esso libertario o marxi– sta o religioso, cioè la contraddizione dettata dal fatto di postulare qualche cosa di "irrinunciabile", in questo caso il "dovere" di resistere allo Stato? Tutto ciò non rischia cioè di diventare una nuova forma di credenza in un imperativo categorico che dicendo "non credere" abbia lo stesso valore, in quanto contrario, del dire "credi"? Cioè "credi nel non credere"? R:io credo che la resistenza debba fondarsi su una legge "non scritta",. una legge che non esiste eppure è presente: se non ci fosse, la resistenza sarebbe impossibile, credo infatti che non ci sia nulla di più difficile che resistere all'ordine del mondo. D:ma non è una credenza in ogni caso simile alle credenze cattolico-marxiste nell'avvenire? R:non credo che sia una credenza nell'avvenire, in quanto ripeto la carat– teristica di questa credenza è un crede– re nel nulla, è una credenza senza un contenuto formale. Non è come la credenza di coloro i quali dicono che il futuro, dopo la rivoluzione, sarà mi– gliore, è più che altro una credenza in una morale superiore che deve giudica 0 re, che deve intervenire nelle decisioni di ciascuno di noi. E' una credenza molto fragile ma, nello stesso tempo dura come roccia. D:come giudichi allora coloro i quali credono nella ricerca spirituale, nell'e– sperienza mistica, nella conoscenza su– :periore attraverso pratiche religiose? R:bisognadire anzitutto che non è un; pratica nella quale mi riconosco in quanto sono, in fondo, materialista: è l'unica cosa che mi è rimasta del marxismo, ma io credo comunque che· questo tipo di credenze siano una forma di protesta verso l'ordine che ci viene imposto dal Potere perchè è, in fondo, una fuga da questo ordine di cose e io credo che anche la resistenza allo Stato sia una forma di fuga: non ci sono dei protestatari che non siano anche, nel senso che ho appena detto, dei fuggitivi. Per cui considero queste esperienze mistiche, buddiste o zen, una forma di fantasmatizzazione della fuga e in questo senso io sono molto .sensibile verso queste cose e sostenitore di questo tipo di esperienze anche se non fanno parte della mia pratica. D: cosa pensi dell'uso di sostanze allu– cinogene come mezzo di "resistenza" all'ordine precostituito? R:c'è, io credo, una notevole differenza tra "resistenza" e l'uso della droga; in quanto la droga viene assimilata il più delle volte in una mentalità di "libera– zione", cioè droga come liberazione dalle catene e che, a differenza dell'i– deologia di resistenza, contiene un no– tevole fondo di "pulsione di morte". Ciò significa che l'idea di liberare i propri desideri integralmente, di fare fluire i propri desideri e i propri "appe-
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