RE NUDO - Anno VIII - n. 58 - ottobre 1977
• musica Madrugada Incastro Philips Forse qualcuno ricorderà ancora i tempi di via Maroncelli, quando il centro di controcultura di Re Nudo funzionava felicemente (o quasi) creando serate musicali "magiche" e piene di buone vibrazioni. .. Proprio durante una di queste sera– te, si sono presentati sul piccolo palco allestito nel salone principale tre ragazzi di Bergamo: uno alle tastiere, uno al basso e uno alla batteria - percussioni. Quando si sono presentati è scoppiato un mo– mento di ilarità generale: erano i Perdio. La musica che facevano era vera– mente originale (era il '73), con la chitarra basso usata come solista creavano delle ati:nos'ere realmente ''diverse". Da allora non li ho f~ntiti neanche nominare, fino a questo disco, in cui si presentano col nuovo nome di "Madrugada" e col titolo "Inca– stro". Le uniche cose davvero negative di questo LP sono: il fatto che per poterlo realizzare, i Madrugada ab– biano dovuto affidarsi alla Philips, cioè ad una multinazionale dell'in– dustria musicale, con tutti i ricatti finanziari e le limitazioni imposte che questo implica, e la mancanza dei testi ali' interno. La prima parte del disco contiene forse i èlue pezzi più belli: "Roman– zen", lunga suite sullo stile dei vec– chi Perdio con relativi esercizi respi, ratori alla maniera di Claudio Roc– chi, ed "E' triste il vento", dolcissi– ma, di ispirazione medioevale. Questo è solo un aspetto dei Ma– drugada, quello professionale. L'altro è quello ironico. Lo si può sentire in "Katmandu", dove il mito dell'India, dei Guru e della "via mistica" è ridicolizzato in ri– ma, col sottofondo di rock'n'roll" ... ai Guru non ci credo più, e tanto meno a Brahma, Shiva e Visnu ...", " ... i t~oi problemi .~on sono lassù, ma qui a Bergamu ... In una lettera che ci hanno inviato, i Madrugada spiegano, i motivi e le difficoltà finanziarie che li hanno costretti a scegliere i canali tradizio– nali per poter suonare e farsi cono– scere. Cerchiamo di non buttare in pasto all'industria ciò che ancora di buo– no la musica italiana ha da propor- re. Giorgio Lo Casciò Cento anniancora Divergo a.b. Nel numero scorso era la Cooperati– va l'Orchestra con gli Henry Cow, questa volta è la Divergo, piccola casa discografica "alternativa", sempre aderente al CSC ' (Consor– zio di Comunicazione Sonora), che sforma il terzo album di Giorgio Lo Cascio "Cento anni ancora". Nonostante le contraddizioni che sono sorte dalla nascita di questo Consorzio di piccole etichette, con– tinuo a ritenere questa operazione se non altro interessante per il tipo di prodotto musicale che è riuscito finora a presentare in mezzo al marciume su vinile e ai vari "disco music" che da anni ormai sono alla testa delle vendite di questo mostro poliforme che è l'industria discogra– fica Venendo al dunque, parlare di Lo Cascio è parlare del Folkstudio, cioè di una specie di "palestra" musicale dove si sono affermati il De Gregori e il Venditti che hanno senza dubbi influenzato lo s\ile di questo cantau-· tore, o forse è meglio dire "parlauto– re", visto che più che cantare, recita quasi i suoi testi su di un sottofondo musicale. L'album precedente, "Il poeta ur– bano", non mi era decisamente pia– ciuto, mi era sembrato ancora una volta di sentirmi il trionfalismo e la fede nclla "lotta di classe" che certi nostri cantautori e gruppi ci hanno propinato per anni. .., il tutto, perdi– più, con una struttura musicale v~ ramente povera e mal curata, giusto nello stile di questo genere. Dopo aver ascoltato "Cento anni ancora" mi sono accorto che qualco– sa è cambiato; la parte musicate è sicuramente più curata, con l'impi~ go di numerosi strumenti, anche sudamericani, come la quena, il charango e il triple colombiano, oltre che di ottimi strumentisti come Roberto Colombo (tastiere) e Fabio Treves (armonica). Gli argomenti toccati da Lo Cascio vanno dalla difficoltà di fare e dire qualcosa di utile e bello nel mezzo del CaQS in cui ci dibattiamo, fino all'analisi del comportamento di due bambini che hanno già in loro stessi, in germe, quelle differenze di personalità introdotte dalla famiglia e dall'ambiente in cui vivono, che li porteranno ad essere, domani, ma– schio e femmina. Ad ogni modo, nel bene e nel male, Lo Cascio è convinto che " ... con le parole, con tante piccole parole, possiamo costruire dei ponti che, anche se esili e sottili, possono con– giungere I~ cim_e~elle montagne, le sponde dei marL.. . Steve Winwood Island ILPS 9494 a.b. Ci sono voluti molti anni perché arrivasse un disco solo di Winwood complice da sempre di momenti grossi, come lo Spencer Davis Group, Traffic, Blind Faith o meno grossi come il più recente pasticcio con Yamashta e Klaus Shulze. Winwood ha lavorato con calma, con una nuova ritmica e con l'aiuto di vecchi amici Oim Capaldi) e colleghi (ricordate le percussioni nere degli ultimi Traffic, Reebop?). Non più di due giorni di studio di lila "lo studio può inghiottirti" - ha 1 detto Steve - "se non lo misuri a gocce." C'é molto ritmo, c'é Win– wood come sempre brillante tasti~ rista e chitarrista, c'é anche una splendida ed ispirata "Let me make something in your )ife" canzone d'amore dolce e precisa. C'é una strizzata d'occhio ma appena accen– nata all'esplosione "Disco" pur se filtrata da una cultura, ma soprat– tutto una esperienza che non posso– no che portare altrove. "Time is running out". "lo mi sono da sempre sentito ta– stierista - ha detto Winwood recen– temente a Rolling Stone - e se ho spesso suonato la chitarra soprattut– to in studio é perché non é facile RE NUD0/61 dire ad altri di suonare quelfo che vuoi tu, meglio farlo da sè". Perso– naggio atipico della scena inglese da sempre illuminata da pop stars tut– to meno che modeste ed "umane" Winwood si presenta con modestia gusto e classe e capacità in un album forse non travolgente di pri– mo acchito ma che ad ogni ascolto successivo svela particolari ed atmo– sfere veramente pregevoli. Una pa– ,rola in fondo per la copertina molto semplice e bella, un dipinto di Ja– mes Hutcheson. Miradas Canzonieredel Lazio Cramps CRSLP 5351 f.c. Nuovo disco per il Canzoniere del Lazio, primo del gruppo per la Cramps. Splendidi i suoni di una accurata produzione (Tofani-CdL) e ricchi i solchi di colori raccolti sui cento tamburi e aggeggi di un viag– gio in Africa ("sembra Sardegna Campidano ...). Un airone d'argen– to e riflessi colorati; devono esserci momenti nei quali sono in quattro almeno a percuotere qualcosa che diventa poi percossa (la mente?). E poi il !iato nei sax e le dita sulle corde. "Glorias" é un momento di calibrata misura acustica, gioco di archi e chitarre ma prima ancora "Glorias" sono baracche sarde di canne e frasche a testimoniare anco– ra una volta l'attenzione ideologica del CdL ai fatti e ai gesti le cose e le storie della nostra fotografia nazio– nale. Una presenza nuova, voce cal– da e forte di femmina ClaraMurtas in un gruppo di maschi. Era forse meglio donna e uomini? "Che cosa può cantare il poeta in termini di gelo e carestia? Non può dire palazzo alla capanna né canta– re di castelli incantati, né vedere verde la campagna". A spremere bene Miradas sembra ne esca un succo insolito che lega alla magia della "Liberazione da lasciarsi an– dare"; il poeta invita forse in questi tempi di carestia ad un rituale di ritmo che guidi il fluire delle ener– gie represse? Scaricarsi dunque per caricarsi? Grandi feste popolari po– trebbero certo e potranno vedere il CdL chiamare la danza collettiva che tanto si é visto molti sanno cosi fino in fondo godere. Wilhelm Reich è in buona compagnia: po– trebbe accumulare orgoni leggendo un Sartre inedito che celebra Lu– mumba che guarda Totò e rimpian– ge Pasolini mentre ascoltando Wa– gner si fa d'Oppio. In verità dalla palude s'alza un airone. f.c. segue
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