RE NUDO - Anno VIII - n. 58 - ottobre 1977

IL PARTO Crema di riso. Arriva il giorno. Non è possibile, non è vero. Questi sono pic– coli dolori, che cosa vuoi che mai capiti! Eppure i dolori persistevano, c'erano, si facevano più forti, più vio– lenti. Vado sempre incredula, in clini– ca. Prima visita: in clinica mi rim.andano a casa, non c'è nulla di aperto. Lo sapevo, figurati se è già ora, manche– ranno senz'altro altri "nove mesi". Seconda visita: qualche ora dopo dal mio medico che mi rispedisce in clini– ca. Terza visita: all'accettazione della cli– nica dove mi accettano. Quarta visita: in sala travaglio dove · mi lavano "la parte" e mi pelano. Sarà, ma io sono convinta che sono state le quattro visite a farmi partorire piuttosto che il mio corpo femminile. E quindi il travaglio. Be' ho creduto di morire, inutile dirlo alle donne, forse gli uomini non lo sanno ancora. Ho persino dimenticato che doveva nasce– re qualcosa. Non ce l'ho fatta proprio. Potevo, era meglio morire. Ed alla fine: "Dio che felicità, Dio, Dio. Viva Dio. Porco Dio, ecc. ecc.· Ma che, ma che bello. E giù a ridere. A ridere, a ridere a crepapelle. Non era un mostro, aveva gli occhi, naso e tutto il resto e gli volevo bene. Ero una tigre, ero una leonessa. Ce l'ho fatta. C'era. C'è la vita. Semolino. Arrivo giù al primo piano tutta felice e raggiante perchè pensavo che, dopo un po' avrei visto la creaturi– na, ma l'ambiente triste e buio mi rattristisce un po'. La stanza travaglio - due lettini spogli un comodino - sem– bra una cella. Mi assegnano un letto dove io mi corico in attesa ma non me lo concedono per. via delle acque non ancora rotte. Me ne stavo lì da sola come un cane ad aspettare qualcuno che rende felice solo me, per loro è solo questione di lavoro. Sentivo i bambini delle altre donne che nascevano, senti– vo le donne che si lamentavano, c'era un viavai continuo. Nel corridoio me– dici, infermiere::, ostetriche camminava– no avanti e indietro, ma nessuno che entrasse per parlarmi e chiedermi se avevo bisogno di qualcosa, per dirmi come andava. Dopo tre ore, così, in cui pe11savo alla mia infanzia, ai luoghi, ai giochi che facevo, a mia madre, a lui che era fuori e chissà cosa pensava, al bambino e non riuscivo a crederci che sarebbe venuto fuori da me. Insomma, dopo tre ore di pensamenti e di dolo- retti sopportabili, avendo voglia di parlare con qualcuno, chiamo l'ostetri– ca. Arriva, mi visita e poi "Tra ~ezz'o– ra siamo in sala parto". Io dico che non è vero, che è impossibile. Mi rompono le acque, che liberazione!, mi sembrava di scoppiare. Tocco la pancia e sento nettissima la forma del bambino. Da quel momento l'ostetrica non mi abbandona più. Ogni due minuti lì a chiedermi come va. I dolori si fanno molto forti. Sento i muscoli contrarsi con tutte le forze. Non riesco a mettermi in rjlassamento e ad usare la respirazione che mi hanno insegnato al corso, mi lascio andare cercando di favorire la respirazione che mi viene di istinto. Durante le contrazioni ho un continuo dialogo con il bambino gli dico di spingere che ho voglia di vederlo-vederla. Sento tutto il mio corpo concentrato sulle contrazioni, tutta la mia forza l'energia e il pensiero. Sento che c'è armonia tra me e la piccola, sento che tutto procede bene e sono felice. Dopo forse un quarto d'ora sono in sala parto, non mi pare vero. Non ho spinte e devo spingere sotto contrazione. Chiamo lui perchè assista alla nascita. Sono felice quando lo vedo, per la gioia non ho più dolore. Dopo due spinte la bambina nasce. Sento il suo piccolissimo corpicino che esce dal mio e penso che se non l'avessi provato non avrei mai potuto crederci. Me la met– tono sulla pancia e vedo questa ran– riocchietta che si muove e fa dei verset– ti, ero così commossa che non so ricor– dare tutti i pensieri che in. quel mo– mento mi erano passati per la testa. INSOMMA Questo articolo dovevamo scriverlo in– sieme, crema - di - riso e semolino, perchè insieme abbiamo fatto la scelta, e quindi la gravidanza, il parto e il dopo, ma non ce l'abbiamo fatta, nonostante durante tutto questo tempo il nostro rapporto sia stato e sia inten– sissimo. Ci siamo trovate diverse e per questo abbiamo tenuto le due voci distinte. Perchè è diverso per ognuna di noi il modo di amare, di sentire, di affrontare la vita. Però siamo riuscite a confrontarci, una con l'altra, a parlare,_ a comunicarci la nostra diversità/individualità. - Sap– piamo anche che la nostra esperienza, per entrambe fortunatamente positiva, non è minimamente rappresentativa. Questo articolo non si interroga sul perchè e sul percome. Voleva essere un racconto del corpo e ha la limitatezza della confessione. RE NUD0/33 •-•-- SAVELU 1W SAYELll . Per acquisU diretti scrivere a: SAVELL1 P.M. C.P. 388 Roma Centro

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